Video – Pirandello : Ritratto, biografia, centenario nascita

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da RSI Cultura

Tre video della Radiotelevisione Svizzera italiana
“Ritratto di Luigi Pirandello” – Di Igor Scherb (Archivi RSI, 1975)
“Pirandello: centenario della nascita” – Di Sergio Genni (Archivi RSI, 1967)
“Biografia” –  Di Dino Balestra (Archivi RSI, 1983)

da RSI Cultura

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Ritratto di Luigi Pirandello

Di Igor Scherb (Archivi RSI, 1975)

 

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Pirandello: centenario della nascita

Di Sergio Genni (Archivi RSI, 1967)

 

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Biografia

Di Dino Balestra (Archivi RSI, 1983)

Biografia

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Pirandello è infinito. Nel bene e nel male. Infinito, in senso letterale: ovvero che non finisce mai. Non solo per le trame dei suoi romanzi, assiduamente aurorali, incessantemente digressivi, costruiti su continui rilanci fantastici, guizzi narrativi, capovolgimenti umoristici ed ironici, cerebralità abissali, cavillosità minute e minuziose.

Ma anche per i significati che affiorano dalle sue opere, essi pure innumerevoli, non circoscrivibili, sebbene tutti riconducibili alla sfera dell’io, quella sfera che un altro grande scrittore (che pure visse a cavallo fra Otto e Novecento) aveva definito come una sola moltitudine.

L’io non è monolitico, bensì plurimo, fatto d’infinte maschere, sfaccettature. L’io è uno nessuno e centomila. E questo perché (grazie agli strumenti della fantasia, dell’immaginazione e dell’umorismo) può attuare continue vie di fuga dalla realtà e da se stesso: soluzioni di sopravvivenza, straniamenti, sdoppiamenti, transfert, …

Eppoi, Pirandello è infinito anche per le reazioni che suscita nel lettore, spesso entusiasta in età adolescente (allorché la costruzione dell’identità trova nei libri dello scrittore siciliano uno specchio infranto, che riflette un’immagine scheggiata dell’io, sollevando quesiti e agnizioni), critico e renitente in età adulta (non solo per l’inevitabile insofferenza verso la macchina narrativa spesso cerebrale, ma anche per la presenza di astrusaggini concettuali, come una certa fumisteria metafisica, un facile psicologismo e qua e là gli echi di un’adesione ideologica al fascismo), sereno, ammirato e compassionevole in età matura, allorché, nel conoscersi più compiutamente, il lettore si ritrova in Pirandello, avendo vissuto lui stesso la fragilità dell’io, la sua doppiezza, la sua infinità. Insomma, come diceva Sciascia, ad un certo punto della propria vita si ritrova Pirandello, nel conoscerci, lo si riconosce.

Per riconoscerlo, però, occorre fare un falò di tutti gli orpelli di scena ostentati dallo scrittore siciliano: il pizzo mefistofelico, le foto davanti allo specchio, la feluca di Accademico, le mille maschere, la Versilia con Marta Abba, i viaggi in Europa, le celebrazioni e la grande recita di Stoccolma in occasione del Nobel … Fatto questo grande falò, ecco che Pirandello ci appare per quello che in realtà è stato, al di qua delle sue innumerevoli maschere.

Non il dandy, non il fascista, non l’accademico imbevuto dei suoi studi tedeschi, ma il professore siciliano che ha vissuto per anni accanto a una moglie squilibrata, che si è chiuso nella fornace della scrittura da cui ha tratto innumerevoli storie, mettendo in scena personaggi ancipiti, insieme vittime e carnefici, persecutori e martirizzati.

Uno scrittore che ha vissuto sulla propria pelle la disperazione (nel condividere senza ribrezzo la follia della moglie, senza abbandonarla), la depressione (per aver perso tutto: le zolfare paterne distrutte da una frana, il patrimonio familiare, la dote della moglie), il pessimismo (per il tramonto degli ideali della Belle Epoque, la crisi della famiglia borghese, lo sbriciolamento della volontà di potenza, la nascita del conflitto di classe). Uno scrittore che, alla stregua del suo Mattia Pascal, ha guardato la propria ombra col desiderio di calpestarla, esclamando: l’ombra di un morto, ecco la mia vita.

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