Trovarsi – Atto secondo

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Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

Dedicata a Marta Abba

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Trovarsi - Atto II
Gianfranco De Grassi e Adriana Asti, Trovarsi, 1981. Immagine dal Web.

1932
Trovarsi
Atto Secondo

        Stanza nel villino di Gianfranco Mola in Riviera, adibita a studio di pittura per Elj Nielsen. La stanza è a pianterreno ed ha in fondo una grande vetrata che s’apre sulla spiaggia del mare. Un uscio è a destra; un altro, a sinistra, dà nello spogliatoio. Bizzarro addobbo e molto disordine. Tele, disegni, caval­letto, un manichino che può prendere tutti gli atteggiamenti, con una testa di cartone, tignosa, che non dice nulla. Divano-letto, con coperta di velluto e molti cuscini. Modelli di nave a vela. Tavolino-bar, tavolino da scrivere, pol­trone, seggiole. Un grande specchio, nella parete sinistra, è stato nascosto da Donata con uno scialle veneziano.

        Sono passati venti giorni dal primo atto. Donata è stata trasportata di peso, mezza morta, da Elj, la sera del naufragio della lancia a vela, e li è rimasta. Al levarsi della tela, Donata, in vestaglia e con un accappatoio soprammesso per la medicazione, sta seduta in mezzo alla stanza, a capo chino, con le spalle voltate contro la vetrata. Il Dottore ha finito di medicarle la ferita alla nuca. Elj regge una catinella, dove il Dottore ha gettato l’ultimo bioccolo di bambagia.

        DOTTORE: Ecco fatto. Vuol vedere, prima che passi alla fasciatura…?

        DONATA (subito, quasi con orrore): Ah, no no!

        ELJ: E poi, dove? Donata ha abolito gli specchi.

        DOTTORE: Oh! Questo, per una donna…

        DONATA (per deviar subito il discorso): Crede che la cicatrice si vedrà molto?

        DOTTORE: Non siamo ancora, purtroppo, alla cicatrizzazione.

        ELJ: Dopo venti giorni!

        DONATA: Miracolo, caro, che non mi hai mangiato la nuca!

        DOTTORE: Certo – scollata – si vedrà.

        DONATA: E… si riconoscerà che è stato un morso…?

        ELJ (finendo la frase): …di cane arrabbiato?

        DOTTORE (a Elj, indicando): Eh, guardi… c’è tutta la chiostra dei denti stam­pata…

        DONATA: …affondata!

        ELJ: Fui sul punto, una volta, di perderne due per una barra di timone che mi sbatté in faccia. Avessi perduto almeno quelli – due ferite di meno!

        DONATA: Preferisco che non li abbia perduti.

        DOTTORE: Allora, rifasciamo? (Comincia ad eseguire.)

        DONATA: Mi pare che alle bestie, per non perderle, si usa fare un marchio sul­l’anca.

        ELJ: Ma che paragoni!

        DONATA: Tu me l’hai fatto alla nuca.

        DOTTORE: E fortuna che l’istinto lo portò a farglielo! Sareste annegati tutti e due. Soltanto non capisco come lì…

        ELJ: E dove?

        DONATA: Eh, ma alla gola sarebbe stato peggio!

        DOTTORE: Ah, certo! E ben più pericoloso!

        ELJ: Non potevo che lì, scusi! Mi s’era aggrappata così stretta al collo…

        DOTTORE: Prima che la lancia scuffiasse?

        DONATA: Volevo morire.

        ELJ: Ma io no, grazie! Morire, proprio quando…? Lei capisce? non avevo altra presa che alla nuca… E la vita morse la morte, finché non le fece allentare le braccia e non l’ebbe inerte in suo potere, svenuta.

        DONATA: La tua vita…

        ELJ: No no, la nostra! la mia e la tua! Saremmo morti tutti e due. Così invece ci siamo salvati tutti e due.

        DONATA: Ma tu forse, in quel momento, mordendo – di’ la verità – cercasti di sbarazzarti di me, no? ferocemente…

        ELJ: No! Come lo puoi dire?

        DONATA: L’istinto…

        ELJ: Ma no, che istinto! Non fu l’istinto! Lo feci di proposito! T’avrei lasciata colare a fondo, allora, per salvare me solo. Rischiai d’annegare invece una seconda volta per sostenerti, nuotando con un braccio solo, nemmeno io so più come. Fortuna che accorsero le barche; non reggevo più.

        DOTTORE (a Donata): Ah, ma le assicuro, sa? che le forze gli tornarono tutte, appena a terra! Se la prese in collo come una bambina, difendendosela contro tutti.

        ELJ: Ti volevano portare dalla tua amica, sfido!

        DOTTORE: Cacciò via tutti – pazzo, pazzo furioso, le dico – tirando dentro sol­tanto me, per darle ajuto.

        DONATA: Ma era pur giusto…

        ELJ: …che ti portassero là?

        DONATA: Dovevano…

        ELJ: Eri in braccio a me!

        DONATA: E allora tu, dovevi…

        ELJ: Ma nient’affatto! Prima di tutto, era più lontano. Lo scalo è qua.

        DONATA: Sì, due passi di più…

        ELJ: E poi, giusto un corno! t’eri, sì o no, buttata al rischio con me? T’avevo salvata io. Ah, per morire insieme, sì? Grazie! Non siamo morti: dovevi ri­manere a me! Questo è giusto, non è vero, dottore?

        DOTTORE: Per diritto di vita.

        DONATA: Suggellato con un morso, di cui mi resterà il segno finché campo.

        DOTTORE (finita la fasciatura): Speriamo il meno possibile.

        ELJ: Ah no, Dottore!

        DOTTORE: Dico il segno! dico il segno!

        ELJ: Io non lascio la presa!

        DOTTORE: Ma ora, per fortuna, non è più coi denti. Basta. Io vado. A rivederci a domani.

        DONATA: A rivederla, Dottore.

        ELJ: L’accompagno. (Via col Dottore.)

        Donata, rimasta sola, si prova a piegare indietro la testa ed esprime, con gli occhi chiusi, un dolore che forse non è soltanto della ferita. Rientra Elj e la sorprende in quell’espressione.

        ELJ (premuroso): Ti fa male?

        DONATA: No. È la fasciatura.

        ELJ: Troppo stretta?

        DONATA: No: come un collare. Non ho mai potuto sentirmi nulla al collo. – Ma tu… non volevi uscire?

        ELJ: Io? No, dove?

        DONATA: M’è parso volessi andare col Dottore… – ma sì, va’ un po’ fuori!

        ELJ: Ma no, che dici! Vuoi che ti lasci sola?

        DONATA: Vedi? Resti per me, per non lasciarmi sola.

        ELJ: No no, per me stesso, perché non potrei più senza di te!

        DONATA: Chiuso qua da venti giorni; tu che –

        ELJ: – non me ne sono neanche accorto! –

        DONATA: – ti guardavi dall’intimità, hai detto, come dalla peste!

        ELJ: Perché non conoscevo ancora la tua! Da quella degli altri sì, per un prin­cipio, t’ho detto: per non patire disillusioni. Da te, non c’è pericolo.

        DONATA: È anche troppo presto; e siamo ancora come tu, secondo un altro tuo principio, vorresti sempre restare –

        ELJ: – io? come? –

        DONATA: – eh, ancora come estranei –

        ELJ: – estranei? ancora? noi due? – ma niente affatto! Sappiamo già tutto quello che importa sapere. Basta.

        DONATA: Ah no, caro, non basta! Tutt’altro! Troppo poco!

        ELJ: Sì sì, credi! Io dico estranei nel senso di nuovi, intendi? sempre nuovi!

        DONATA: E ti pare possibile?

        ELJ: Ma sì – sta’ a sentire! Amarci tanto da non poterci mai aspettare il male, né tu da me, né io da te. E poi nuovi, sempre, l’uno all’altra: che tu non sap­pia mai quello che ti possa venire da me: atti, pensieri, sorprese, che so? cose appunto che non ti pajano vere in uno come me. Anche se in prima non t’ar­rivino gradite, anche se ti sembrino strane, se escludi assolutamente che io te l’abbia potuto far per male, ti faranno sorridere. E sarà sempre meglio che non averne mai più nessuna – se mi conosci tutto, se ti conosco tutta. – Del resto io poi, ti dico francamente… non lo so mica io, come sono… (Con un improvviso dubbio, che gli fa comicamente paura:) Se ho ingegno… Forse non ne ho… E con te bisognerebbe averne tanto…

        DONATA (ridendo): Ma no… che c’entra adesso l’ingegno!

        ELJ: Non ho mai cercato di saperlo, come sono… Mai fatta un’idea di me stesso…

        DONATA: Oh Dio, saprai almeno ciò che ti piace o non ti piace…

        ELJ: Tu mi piaci! Vivere mi piace!

        DONATA: Vivere… c’è modo e modo…

        ELJ: Ecco: senza saperlo: vivere… Non in mezzo agli altri, per esempio! Per­ché senti, è un fatto: quando sono solo, sul mare, in campagna coi miei colori, insomma all’aperto – anche se ho contrarietà o c’è rischi da affrontare – non mi perdo, ci vado incontro, e sono lieto. – In mezzo agli altri, invece, no: sono sempre di malumore; e non valgo più nulla. – Non posso soffrire tutto quello che è solito. (Prende dal cavalletto una tavoletta dipinta.) Dipingo male – grazie – lo so; ma perché non è facile, sai, dipingere come vorrei io… le cose come appajono in certi momenti… lo scoppio, lo scompiglio di tutti gli aspetti consueti che hanno ridotto la vita, la natura, oh Dio, come una moneta logora, senza più valore. Io non capisco: è come volersi umiliare… subire… Il solito cielo che t’ammicca con le solite stelle, sulle solite case che ti sbadigliano con le solite finestre, e tu che vai sul solito lastricato delle so­lite strade… Ah, che soffocazione! Ti sarà avvenuto qualche volta – non sai come – non sai perché – di vedere all’improvviso la vita, le cose, con occhi nuovi… – palpita tutto, a fiati di luce – e tu, sollevata in quel momento e con l’anima tutta spalancata in un senso di straordinario stupore… – Io vivo così! In questo stupore! E non voglio sapere mai nulla! – Tu, ecco, sei per me uno stupore, come mi sei apparsa, come ti sei gettata nel pericolo con me, come t’ho salvata, come sei ora qua mia… tutta, tutta uno stupore… la tua bellezza… codesti occhi, come mi guardano… (Le prende la testa tra le mani.)

        DONATA: Li chiudo… sì, li chiudo davvero… se tu mi prendi… non vedo più nulla… muojo per un momento in questa gioja che ti prendi di me e che mi dai… Bisogna perdersi…

        ELJ: Nell’amore, sì! Guaj se uno cerca di salvare qualche cosa! Per questo, istintivamente, a un certo punto, si chiudono gli occhi. Guaj a vederci, a ve­dersi… – Ma tu piangi?

        DONATA: No! No! Non ci badare… Nulla!

        ELJ: Come no! Se è un male che ti faccio senza volerlo, sì che ci bado! Che cos’è?

        DONATA: Niente… Ho scoperto in me… non so…

        ELJ: Una sofferenza? Per causa mia?

        DONATA: No. Forse perché sei stato… (Non sa aggiunger altro.)

        ELJ: Come sono stato? (Donata esita.) – Di’ di’; non è male, sai, provare in principio una sofferenza.

        DONATA: Ah sì? Perché?

        ELJ: Perché guaj, gioja mia, guaj, in amore, a stabilire rapporti sul sublime! Una piccola sofferenza in principio è proprio quello che ci vuole… Ma di’ di’, come sono stato?

        DONATA (dolcemente): Vuoi saperlo? (Esita ancora un po’; poi, senza attenuar la dolcezza, ma abbassando gli occhi:) Hai pensato a te… troppo…

        ELJ: A me? T’è parso?

        DONATA (tornando a sorridere): Ma forse è dell’uomo essere così.

        ELJ: Non vuoi dir come? Vedi, questo, lo vorrei proprio sapere. Non capisco.

        DONATA: Basta, basta, ti prego; non ci far caso. Non saprei dirtelo.

        ELJ: Hai pure detto una sofferenza!

        DONATA: No… ora più!

        ELJ: E allora? Parla! Non è bene che tenga per te, nascosta, una cosa che… sarà bene, invece, ch’io conosca.

        DONATA: Può darsi che dipenda da me…

        ELJ: Non ti piace come io t’amo? Devi dirmelo, perché io… io non comprendo più nulla: ardo tutto, basta che ti tocchi!

        DONATA: Sì, tu sei così. È naturale. Non stare più a pensarci! Non devo più pensare neanch’io; ma vivere, ora, avere una vita mia; essere come te! Sì, perché io finora – tu forse non lo sai – non ho mai appartenuto a me stessa, da un canto, pur avendo, dall’altro, appartenuto a me, troppo – sempre sola – e senz’aver mai voluto pensare a certe cose… ecco, a certe cose che tu, tutt’a un tratto, m’hai rivelate… ma vedi? in una maniera – non so – che ora vorrei mi fossero ancora nascoste, perché tu…

        ELJ: Perché io?

        DONATA: Perché tu potessi di nuovo cercarle in me, ma altrimenti.

        ELJ: E come?

        DONATA: Ah, è così difficile dirlo! Ma ora è passato, ora è passato. E forse dev’essere così. La vita è questa. E io non voglio più vedere, non voglio più sentire che in te la mia vita. Ecco, toccarla in te, così: luce dei tuoi occhi (e gli passa le mani amorose sugli occhi) sapore delle tue labbra (e gli passa leggermente le dita sulla bocca, poi carezzandogli e scomponendogli i ca­pelli:) Ora vivo «io»… ora amo «io»… (Tutt’a un tratto avverte quell’atto di carezzargli e scomporgli i capelli – già notato dal Giviero nell’atto prece­dente – e ritrae le mani, con orrore.) No!

        ELJ (stordito da quello scatto improvviso; ma non comprendendo e volendo ancora la carezza): Perché? Ancora!

        DONATA: No! No!

        ELJ: Mi piace tanto, quando mi carezzi così i capelli o me li scomponi sul capo…

        DONATA: Io? i tuoi capelli? anche altre volte?

        ELJ: Ma sì… Che hai?

        DONATA: Nulla! Non me n’ero accorta.

        ELJ: Ti strizzi le mani… ti vedo far certi gesti…

        DONATA: Gesti? Ma no! Che gesti ho fatto?

        ELJ: Eh, non posso mica rifarteli… Come ti sei levata… E come ora mi stai guardando…

        DONATA: Oh Dio, no! no! per carità, non dirmi più nulla!

        ELJ (stordito più che mai, ma anche un po’ divertito): Perché? cos’è?

        DONATA: Non mi far pensare come sono, come mi muovo, come ti guardo; i gesti che faccio… Non voglio vedermi!

        ELJ: Hai nascosto gli specchi per questo?

        DONATA: Sì. Conosco troppo la mia faccia; me la sono sempre fatta, troppo fatta: ora basta! ora voglio la «mia», così com’è, senza ch’io me la veda. (Ha ancora nelle dita l’orrore della carezza scoperta.) Sai, è… è per forza così… perché io sono stata sempre vera… sempre vera… ma non per me… ho vissuto sempre come di là da me stessa; e ora voglio essere «qua» – «io» – «io» – avere una vita mia, per me… devo trovarmi! (S’infosca; si esaspera.) Ecco, vedi? dico: trovarmi. È orribile! Se parlo… Dovrei non parlare… Mi sento parlare… Non vorrei più riconoscere la mia voce; me ne sono tanto servita! Vorrei parlare con una voce nuova; ma non è possibile, perché non mi son mai fatta una voce, mai; e prima non ci ho mai badato; ho parlato sempre con questa mia voce, Ora non posso averne un’altra, è vero? è vero? è la mia!

        ELJ: Ma certo che è la tua! Di chi vuoi che sia? Benché tu, tante volte, non la voce sola, ma tutta, tutta, sai – sembri un’altra – irriconoscibile! Sì sì, anche la voce ti cangi.

        DONATA: Anche la voce?

        ELJ: Sì, in certi momenti che forse stai pensando… a còse che ti restano vaghe… e l’una dentro di te chiama l’altra, e t’allontanano… Poi, tutt’a un tratto – mentre io sto a guardare il tuo corpo, a cui certo in quel momento non pensi più affatto – ti volti brusca a fissarmi, come un’estranea!

        DONATA: Eh, se tu allora guardi il mio corpo…

        ELJ: E che vuoi che guardi?

        DONATA: …ecco sì, vedi? quello sì mi è veramente «estraneo» allora. E credi che soltanto così, con quello, si può restare, come tu dici, estranei. Io sono così poco nel mio corpo.

        ELJ: E dove sei?

        DONATA: Quando si pensa, dove si è? Non ci si vede, quando si parla… Sono nella vita… nelle cose che sento… che mi s’agitano dentro… in tutto ciò che vedo fuori – case, strade, cielo… tutto il mondo… Fino al punto che, veden­domi talvolta richiamata da certi sguardi al mio corpo, trovarmi donna… – oh Dio, non dico che mi dispiaccia – ma mi pare una necessità quasi odiosa in certi momenti, a cui mi viene di ribellarmi. Non vedo più, t’assicuro, non vedo più la ragione ch’io debba riconoscere il mio corpo come la cosa più mia, in cui io debba realmente consistere per gli altri. Ma sai che arrivo a sentire per il mio corpo… ma sì, anche antipatia! Tante volte ne avrei voluto un altro, diverso.

        ELJ: Ah, ma io no! io voglio questo! io amo questo! E tu sei ingrata, se non te ne contenti.

        DONATA: Devi comprendere, però, che non è il corpo soltanto… Se la tua vita e la mia si sono unite, non ti pare che dobbiamo pur venire a parlare tra noi di tante cose?

        ELJ: Ma sì! ma sì! di tutte quelle che vorrai!

        DONATA: Questo lasciarsi prendere dagli atti della giornata…

        ELJ: Eh, ma ne troveremo tanti, aspetta! ne inventeremo tanti – cento al giorno! – lascia fare a me!

        DONATA: Io dico ora – queste necessità precarie – delle cose che si debbono fare, dire… Arriva poi un momento… – come questa mattina, uscita dal bagno… – sì, dev’esserci anche questo… e quello… le cure della persona… – ma a un certo punto, cascano le braccia… C’era tanta luce, che accecava – sono rimasta lì, inerte, a pensare… Il bagno… Eh, altro che bagno! Mi sono gettata nel mare, come una cieca.

        ELJ (spalancando le braccia): Qua ti sei gettata, nelle mie braccia che non ti lasceranno più! A che vuoi più pensare adesso?

        DONATA: Ma anche per te – a tante cose! – della nostra vita – come sarà… –

        ELJ: Programmi? Regole? No! Niente! Sarà come sarà. In qualche modo. In tanti modi.

        DONATA: Ma – in tanti modi – caro, è come sono stata finora! – E tu dici che non puoi soffrire il teatro? È strano!

        ELJ: No, sai, è il luogo: quella tetraggine – palchi, tutte quelle poltrone – an­dare a rinchiudersi lì – e poi come ci si va – tutta quella gente che vuole stare attenta – Dio mio, a cose che si sanno non vere –

        DONATA: – ma possibili – create – come tu puoi crearle a te stesso!

        ELJ: E non si può vivere così… come in vacanza? senza bisogno di crearsi nulla? A caso – com’è vero – come tu sei vera – come io sono vero – che ci viene all’improvviso di scapparcene e piantiamo qui tutto… Questo non ti sarà mai avvenuto a teatro!

        DONATA: Ma sì! come no? – di spezzare una scena e scapparsene all’improv­viso…? – tante volte!

        ELJ: Be’, non importa. Andiamo lo stesso; andiamo un po’ fuori!

        DONATA: Ma no, come? in vestaglia?

        ELJ: Non importa! Siamo sulla spiaggia! Vedo che stai troppo a pensare; sei stata qua troppo chiusa: andiamo! andiamo!

        DONATA: No, no, Elj: qua – restiamo qua – bisogna pensare, caro! – vediamo di decidere un po’… Che vita può essere, scusa, così a caso?

        ELJ: Che vita? La vita – come ti si presenta – come ti va… – senza bagagli…

        DONATA: Senza bagagli? Sapessi quanti ne ho io!

        ELJ: E io ti propongo d’ora in poi un tascapane a tracolla, e via! La gente ci vede passare a braccetto: «Ecco un uomo d’ingegno e una donna di cuore!».

        DONATA: Ah, così – vagabondi – tu dici?

        ELJ: Ti spaventa?

        DONATA: Ma no: che vuoi che mi spaventi? ti dico che non ho mai fatto altro finora! – Ma non è vita! Per trovar la vita – facendo così – sai che ho dovuto fare? cercarla, sentirla in altre creature che l’avevano – oggi in una, domani in un’altra – create dalla fantasia – a cui io ho dato la verità del mio corpo, della mia voce. Appunto, appunto in cento casi diversi – come mi sono stati dati da vivere – e li ho vissuti, sulla scena! Tu non sai in quante situazioni mi sono trovata –

        ELJ – ma senza esser vere! –

        DONATA: Ecco: ora mi trovo in una «vera» – «io», «io» – e debbo pur vedere com’è, Dio mio! come mi ci sento dentro – «io», «io» – in questa vita che dev’esser «mia» finalmente! – io – sola io – come penso, come sento dentro di me, come sono! – Mi sono gettata come una cieca – ma non avrei mai po­tuto altrimenti… Ora, guarda: tu stesso m’hai portata qua: m’hai presa: non ho nulla da rimproverarti né da pretendere perché ho voluto anch’io l’ho quasi voluto io sola –

        ELJ: – no, come? –

        DONATA: – tu non volevi – t’ho sfidato io – ma poi, sì, qua volesti portarmi tu: bene, vedi? ci sono io, ora, nella tua vita, come tu nella mia. Non possiamo restare insieme come due estranei. Tu vuoi riprendere la tua vita –

        ELJ: – ma con te! –

        DONATA: – ecco, con me… – forse a te sarà facile, se sei così, che vuoi tutto a caso e senza regola… – ma per me no, vedi? per me sarà tanto difficile –

        ELJ: – e perché? –

        DONATA: – ma perché ora io ho – ho – la mia vita e la voglio avere «per me» – e non so come sarà, con te che sei come un bambino che forse si spaventerà – come si spaventano tanti bambini – quando vedono le maschere.

        ELJ: Vorresti tornare al teatro?

        DONATA: Ma certo…

        ELJ: Ah no no! Al teatro, no!

        DONATA: Debbo, caro: tra dieci giorni il mio mese di riposo sarà finito.

        ELJ: Ah no no: io non ti lascio più andare! No no, niente più teatro! Hanno vo­glia d’aspettarti tra dieci giorni!

        DONATA: Ma ho i miei impegni!

        ELJ: Si mandano a monte!

        DONATA: Sì, e come?

        ELJ: A qualunque costo! Io non voglio saper nulla! Tu resti a me! a me! Ma figurati se io ti lascio più ritornare al teatro, a dar vita ai tuoi fantocci! Te la do io, ora, la vita, se non hai mai vissuto; e tu a me!

        DONATA: Sono felice che tu mi dica così. Ma tanto più, allora, vedi? dobbiamo parlare, vedere…

        ELJ: Sì, sì – prima di tutto di scioglierti da codesti impegni –

        DONATA: – non è facile –

        ELJ: – non sarà impossibile! –

        DONATA: – impossibile no; ma son così gravi! impegni con gli attori – tutta una compagnia – impegni coi teatri…

        ELJ: Ci sarà da pagare una somma…?

        DONATA: Tentare di venire a un accordo…

        ELJ: Ecco, ecco – questo si farà subito!

        DONATA: Eh sì, si dovrebbe subito: non c’è più tempo da perdere – dieci giorni…

        ELJ: Subito subito! Mi dirai tu come si deve fare, perché io non lo so!

        DONATA: Prima di tutto, un telegramma al mio amministratore, perché venga qua –

        ELJ: – ecco: fallo – ora stesso – si spedirà subito – su su, senza perder tempo!

        DONATA: Ma no, Elj – aspetta! – non si può così subito!

        ELJ: Perché no? La risoluzione l’hai presa così, di gettarti nella vita, e ora avanti! avanti! bisogna nuotare, nuotare!

        DONATA: Ma vedi che non ho saputo? Mi sono aggrappata a te, con gli occhi chiusi…

        ELJ: E resta così, aggrappata a me, con gli occhi chiusi, se vuoi vivere! – Ti vuoi «trovare». Ma bisogna trovarsi così nella vita, di volta in volta, senza cercare; perché, a furia di cercare, se alla fine riesci a trovarti, ma sai che t’avviene? che non trovi più nulla e non puoi più vivere: bell’e morta, con gli occhi aperti!

        DONATA: E allora – lasciare tutto?

        ELJ: Tutto, sì! Tutti i bagagli delle vesti altrui!

        DONATA: Ma ebbero pure la mia vita, quelle vesti!

        ELJ: Grazie, per vivere loro, e non tu!

        DONATA: Non è vero: vissi pure io, in loro, della loro vita…

        ELJ: Sì: «come di là da te stessa», l’hai detto. Ora invece sei tu, qua…

        DONATA: E dove sono?

        ELJ: Con me!

        DONATA: E tu chi sei?

        ELJ: Come, chi sono?

        DONATA: Non mi pare vero ancor nulla, lo vuoi capire?

        ELJ: Ma questo è il bello!

        DONATA: Vuoi che non sappia neppure come vivremo insieme?

        ELJ: Sarai mia moglie!

        DONATA: Sì; ma…

        ELJ: Senti: un colpo di coda, come fanno i pesci, e si cambia direzione: il mare è infinito…

        DONATA: Ma no… che dici?…

        ELJ: Dico una verità sacrosanta! Non si è considerato abbastanza, gioja mia, che la Terra, guarda, è tanta! (Fa, levando la mano e congiungendo il pollice e l’indice in alto, il segno d’un piccolo tondo) negli spazii celesti – tanta! Mica un granello di sabbia, sai? come si crede. Che! Una gocciola d’acqua.

        DONATA: E con questo?

        ELJ: Acqua! Acqua! Con questo, tu dici? Con questo, i suoi abitatori più proprii – pensa – chi vengono a essere? I pesci! I pesci, da cui si dovrebbe pren­dere regola. Dico sul serio, sai? Io credo che la prima ragione dell’infelicità degli uomini, degli altri animali detti di terraferma, sia proprio questa: che siamo una sciagurata degenerazione derivata dall’essere, a un dato momento, rimasti sul duro, in secco. (Donata ride.) Sì sì, è la verità, credi! Ne ebbi il lampo una volta, in un acquario, ritrovando nell’aspetto d’ogni pesce i tratti, le espressioni, di tante facce umane di mia conoscenza. La marchesa Boveno, famiglia delle tinche: mio zio, famiglia degli scòrfani…

        DONATA, (ridendo ancora): Ma via… smettila… che ti scappa di bocca?…

        ELJ: Ecco, vedi? ridi… Questa è la vita… Ti ci ritrovi?… Un colpo di coda, e si vira altrove… Bollicine, bollicine… Niente: bollicine… Se tu ora pensi che il più proprio dei pesci è il silenzio, il silenzio! e che noi l’abbiamo perduto, questo bene, forse per andar gridando in tutti i modi la nostra sciagura d’es­sere rimasti così fuori del nostro vero elemento! Guarda la foca, da un canto, in cui il mostro umano e bestiale comincia anche nella voce; e guarda dall’al­tro la donna! La donna è tutta dell’acqua. Tutto il suo corpo è un’onda. Tutte le sue curve e cavità sono marine. Una donna, come creatura più marina che terrestre, in questa gocciola d’acqua, non si dovrebbe mai perdere! (Con riso­luzione improvvisa:) Sì, sì, ora esco davvero: vado da mio zio, per parlargli di tutto. È uno scòrfano saggio, mio zio; e quando si tratta di ragionare, ci vuol lui. Lo informerò di quanto abbiamo stabilito…

        DONATA: Ma se non abbiamo ancora stabilito nulla…

        ELJ: Come nulla? Tutto! Mandare a monte gl’impegni! Sposarci!

        DONATA: Sposarci, va bene; ma prima bisognerà veder tante cose, Elj, non così! Anche per i miei impegni… Chi sa quanto ci sarà da pagare!

        ELJ: Ci penserà lo zio!

        DONATA: Sì, è giusto che tu vada ora a trovare tuo zio –

        ELJ: – l’ho cacciato di casa, pensa, poverino: dalla sua stessa casa: pum! la porta in faccia. E dorme da venti giorni all’albergo. Appena mi vede, scòr­fano: un colpo di coda e cambia direzione.

        DONATA: Chi sa che avrà pensato anche di me! come m’avrà giudicata!

        ELJ: Non te ne curare: gli passa tutto, subito. Non ha altri che me; ed è per me come un padre. Vado e lo porto qua. Parleremo di tutto; e vedrai che si ag­giusterà ogni cosa. – Se vuoi vedere anche la tua amica…

        DONATA: Sì, ora sì…

        ELJ: Benissimo! Apriamo le porte! – Chiede ogni giorno di te. È qua dirim­petto: te la chiamo.

        DONATA: Sì sì.

        ELJ: Così, mentre io parlo con lo zio, non resterai sola. Vado. Elj, via. Donata resta un momento assorta; è come smarrita; più che smar­rita, stordita. Poi si alza; ma è perplessa; alla fine, con una risoluzione im­provvisa, strappa con una bracciata lo scialle veneziano che nasconde il grande specchio sulla parete sinistra, e restando con lo scialle ancora in pugno si mira, dopo venti giorni, per la prima volta. Immobile, a lungo, in quell’atteggiamento, esprime dapprima maraviglia, poi quasi sgomento; istintivamente leva l’altra mano a rialzarsi un po’ da un lato i capelli; ma ri­conosce il gesto teatrale e subito, con sdegno, l’interrompe. S’accosta, spor­gendo il capo, di più in più allo specchio, come a un’acqua, e vi si mira af­fitto affitto negli occhi, quasi per leggersi dentro; ma ne ha un così gran tur­bamento che se ne ritrae, quasi con paura. In quest’atto la sorprende Elisa.

        ELISA: Donata…

        DONATA: Oh, cara… (Le si butta, convulsa, tra le braccia, lasciando cadere a terra lo scialle; trema tutta.)

        ELISA (sorpresa, affettuosa): Donata mia, Donata mia… che hai? tremi tutta…

        DONATA (senza lasciarla, stringendola anzi di più): Ho avuto paura… ho avuto paura…

        ELISA: Di me?

        DONATA: No! Mi sono guardata…

        ELISA: Guardata? Che dici?

        DONATA: Sì, smarrita, là, in quello specchio! Non mi guardavo da venti giorni.

        ELISA (sbalordita): No! Perché?

        DONATA: Vedi? (E si china a raccattar lo scialle per buttarlo sul divano.) L’a­vevo nascosto con questo – e tutti gli altri!

        ELISA: Ma no! Com’hai potuto fare? Non è possibile!

        DONATA: Non ho voluto più vedermi!

        ELISA: Oh bambina! Bene, ora che ti sei veduta? Sei più bella che mai!

        DONATA: Non comprendo più nulla! Non mi trovo! Non mi trovo!

        ELISA: Non ti trovi… come? con lui?

        DONATA: No! Non dico per lui! – Lui è così, per aria, sparpagliato, tutto dietro alle cose…

        ELISA: Ah, questo sì!

        DONATA: Ma è caro! tanto caro!

        ELISA: E allora?

        DONATA: No. Io, io non mi trovo – in me stessa. Credevo non mi dovessi più riconoscere: (indica lo specchio) mi sono vista dapprima – la stessa – la stessa.

        ELISA: Eh, certo!

        DONATA: Ma poi, accostandomi, per guardarmi negli occhi, ho avuto paura di… di essere così… non so… non so più come!

        ELISA Ma perché tutto t’è avvenuto all’improvviso, cara! È per questo! In una maniera così inopinata! Ora vedrai che, a poco a poco…

        DONATA: Sì sì, sarà per questo, sarà per questo…

        ELISA: Ma certo che è per questo! Ora vedrai…

        DONATA (con altro tono, un po’ vergognosa): Tu m’hai scusata?

        ELISA: Io? E di che? Tu non avevi e non hai da dar conto a nessuno di ciò che t’è piaciuto fare. Rischiasti di morire! Nello stato in cui eri –

        DONATA: – no: fu come una follia che mi prese lì per lì –

        ELISA: – era inevitabile, io lo compresi così bene; non potevi più rimanere in quello stato. – Bene: l’hai fatto – ti sei buttata – e io t’approvo. – Ma ora dimmi, ora dimmi cara: non sei contenta? È un così caro giovane – bello – forte – un po’ selvaggio – un po’ strano – ma sei l’invidia di tante, sai? di tutte le ragazze e anche di tutte le signore della spiaggia, sì… E non deve perciò stupirti lo scandalo che è scoppiato.

        DONATA: Ah sì, scandalo? Eh già, certo…

        ELISA: Perché non s’era potuto mai dir nulla di te, ora si vendicano, capisci? Come se avessi fatto chi sa che cosa enorme – enorme – a confronto di quello che si sa di tante altre, che naturalmente si mostrano le più indignate: è da ridere! Io t’ho difesa contro tutti. Ma guarda un po’, come se non avessi più diritto, perché te l’eri sempre vietato! Sciocchezze, sciocchezze, di cui non ti devi curare.

        DONATA: E non so poi perché tanto scandalo, se ci sposiamo…

        ELISA: Ah sì? Vi sposerete? E non me lo dicevi ancora? Eh, ma allora benis­simo! Guarda, vorrei scappare a gridarlo in faccia a tutti! Ne sono felice, proprio felice! La cosa più normale, allora! Siete già d’accordo su questo?

        DONATA: L’ha proposto lui stesso. È andato a parlarne allo zio.

        ELISA: Ma non lascerai mica il teatro, no? Sarebbe un peccato!

        DONATA: Pare di sì. È contrario. Non vuol saperne.

        ELISA: Ma a te non sarebbe possibile!

        DONATA: Io ancora non so. Ho tutti i miei impegni, da cui non sarà facile scio­gliermi. Ma non sono soltanto gl’impegni…

        ELISA: Eh, lo capisco! Se si tratta di questo…

        DONATA: Non c’ero preparata neanch’io. Me l’ha detto: poco fa. Io non gliel’avevo nemmeno chiesto. Lo feci – tu intendi – soltanto per… volevo li­berarmi… ma sì, fors’anche della vita! – Quello che ho provato in questi giorni… È inverosimile! – Io dico che, da soli, o di nascosto dentro di noi, anche in presenza degli altri, siamo pazzi. – Io, figurati – provare anche una spavalda soddisfazione d’averlo potuto fare alla fine – sì, sì – una soddisfa­zione come per un’inferiorità superata, anche per la mia professione d’attrice – e anche verso le altre donne. E appunto verso le altre donne (quelle che tu mi dici le più indignate) ho provato a mettermi… così – non ridere – sul mento – negli occhi – la sfida, come un’improntitudine che ormai non do­vessi più lasciare – come una già del tutto spregiudicata, che accetta la posi­zione… sì, di dònna che ha accolto l’amore fuori d’ogni legalità, ammettendo ormai come niente che tutti possano credere che sì, avendolo fatto una volta… farlo ancora, come tutte le altre… E questo, capisci, pur sentendomi d’averla data vinta a chi se l’aspettava… e d’esser venuta meno così… – No no, non era inevitabile, come tu dici! – E poi, per non provarci in fondo – ti giuro – alcun piacere; anzi, se debbo dirti, una vera sofferenza; forse… sì, con questa sola soddisfazione, di sentirla come una cosa che la donna deve fare per quie­tare in lei un uomo – e di provare, dopo, anch’io questa quiete, grande, per un attimo, senza più pensare, per non turbarmela, a ciò che m’è costata, com­pensandomene con la gratitudine tenera e un po’ vergognosa ch’egli mi di­mostra. Questa, mi immagino, è l’unica cosa che possa veramente stabilire il legame. L’affetto… Su tutto il resto, chiudere gli occhi, per riaprirli soltanto in questo affetto riconoscente; e salvare tutto così.

        ELISA: Eh, ma gli uomini adesso, cara, pretendono che debba essere la donna, invece, a restar grata a loro, del piacere che loro le danno.

        DONATA: Loro?

        ELISA: Perché la donna è divenuta così stupida d’averlo dato loro a vedere – sì sì – fino al punto che ne hanno ormai acquistato la più profonda convinzione – e si fanno anche pregare!

        DONATA: Ma non è vero!

        ELISA: Che, non è vero? Eh, capisco che tu devi attendere che nasca per te – ancora bene – l’amore…

        DONATA: Ma sì, io l’amo!

        ELISA: Ma non ancora «con lui». Quando amerai con lui – allo stesso modo e allo stesso tempo che lui – sarà un’altra cosa… vedrai…

        DONATA (levandosi, turbata): Io so per ora che, in certi momenti, come me lo vedo davanti – lì – così sicuro in quel suo corpo agile e pronto – (sì, è bello! ma tutto lì, ma tutto lì! mentre io…) – in quei momenti, vedi? se mi s’acco­sta… non so, io lo odio!

        ELISA (sorridendo): No! che dici!

        DONATA: Sì, sì! Perché non posso essere nelle sue braccia una cosa soltanto sua… un corpo – là – e nient’altro, che diventa suo… Mi sento tutta sconvol­gere – provo anche ribrezzo di me stessa… Se è questa tutta la vita che m’a­spettavo! Vuoi che sia in questo tutta la mia vita?

        ELISA: Ma no, certo! Perciò ti dico che non devi lasciare il teatro!

        DONATA: No no, non penso adesso al teatro! Vedessi almeno come sarà…

        ELISA: È troppo presto!

        DONATA: Sì, certo, è troppo presto…

        ELISA: Bisogna che t’intenda con lui…

        DONATA: Sfugge, sfugge – non può fermarsi un momento a pensare… Ed io… (S’interrompe, perché ritorna col pensiero a ciò che Elisa ha detto prima.) Sì, forse è vero quello che tu dici. Vorrei anch’io difatti in quei momenti sen­tire il contrario – non d’essere io, là, una cosa sua, ma che fosse lui, invece – lui, mio! – Non è; non è perché io non sono nulla, sento che non sono nulla in quel momento con lui; e provo allora una sfiducia che mi gela, che m’avvi­lisce e mortifica; come se in fondo fossi stata spinta da una curiosità che m’abbia forzata a vincermi, o dal bisogno di provare anch’io…

        ELISA: Non è niente – questo – credi! – Sì, lo capisco… Ma aspetta, aspetta… Non c’è stata in te l’attesa… la preparazione… E non hai ancora tanta confi­denza con lui, da poterti difendere.

        DONATA: Come, difendermi?

        ELISA: Imparerai! imparerai! In principio è così! – Lo costringerai intanto a fermarsi – questo sì – e a cercare con te, d’accordo, – senza sfuggire – una maniera di vivere che ti contenti. È così buono, in fondo, come un fanciullo…

        DONATA: Sì, e così estroso…

        ELISA: Se ti ama poi tanto e ti vuole sposare…

        DONATA: Eh sì, forse sono io… che vuoi che ti dica… Ma credevo, capisci? che appena entrata in una vita mia, subito mi si sarebbe chiarito tutto; che sarei uscita, intendo, dall’incerto in cui vagavo prima. Ma che! Non è vero! È peg­gio! E in questa incertezza, vedi? contribuisce a tenermi anche lui che mi dice che dev’esser così… tutt’a caso, come vien viene… i fatti della giornata…

        ELISA: Eh già… la vita, com’è…

        DONATA: Anche tu dici così? Ma allora è vero!

        ELISA: Che, vero?

        DONATA: Questo mio smarrimento allora è naturale: quest’ansia… Non c’è ve­ramente, non ci può essere nulla di certo… La volontà, sì, la volontà di far­cela, una vita, il bisogno di farla consistere in qualche modo, com’è possi­bile… – eh sì, com’è possibile, perché non dipende più da noi soltanto, ci sono gli altri – i casi – le condizioni – e chi ci sta più vicino – che possono contrariarci, ostacolarci – non sei più tu sola, in mezzo a tutto questo increato che vuol crearsi e non ci riesce – non sei più libera! E allora… allora dove la vita è creata liberamente, è là invece, nel teatro! Ecco perché mi ci sono sempre trovata subito, sicura – là sì! E il vago, l’incerto che sentivo prima, non dipendevano dal non avere io ancora una vita mia: ma che! no! è peggio, è peggio averla! Non comprendi più nulla, se t’abbandoni ad essa perduta­mente. Riapri gli occhi, e se non vuoi lasciarti andare a tutto ciò che è solito, che diventa abitudine, solco, monotonia che non ha più colore, sapore, allora è tutto incerto di nuovo, instabile; ma con questo: che non sei più come prima; che ti sei legata, compromessa con ciò che hai fatto, e in cui è così difficile, impossibile trovarti tutta intera, sicura. – Lo comprendevo anche prima; ma ora lo so, lo so per prova! Dimmi, dimmi almeno di lui… che al­meno sappia di lui qualche cosa che ancora non so.

        ELISA: Sai che non ha altri parenti all’infuori dello zio…

        DONATA: Sì, questo lo so. E questo zio?

        ELISA: Lo vedesti da me.

        DONATA: Sì, il conte Mola –

        ELISA: – un vero signore, perfetto gentiluomo –

        DONATA: – Elj dipende da lui?

        ELISA: Sono stati sempre insieme, come padre e figlio.

        DONATA: È figlio d’una sorella di lui, lo so, morta giovane.

        ELISA: Ecco, sì. Ma in che rapporti stiano propriamente tra loro, non saprei dir­telo. Credo però che Elj debba avere anche del suo, dalla parte materna, la dote… Sono – almeno, hanno fama – di molto agiati.

        DONATA: Vorrei saperlo, perché – tu comprendi – se Elj dipendesse da lui –

        ELISA: – ah, ma lui farà sempre tutto quello che vorrà il nipote!

        DONATA: Tu l’hai più veduto?

        ELISA: Sì; e c’è stato anzi qualche urto tra noi. È molto irritato, capirai!

        DONATA: Contro di me?

        ELISA: Non contro di te propriamente; contro di lui: è stato messo alla porta… E poi, per lo scandalo… Un uomo come lui… tutto appuntato con gli spilli… martire delle forme… L’ha offeso il modo… Ma son sicura che per te…

        DONATA: Sai se, per caso, non avesse qualche idea per il nipote?

        ELISA: Ah sì, credo… Ma a proposito! Tu non sai quello che fece Elj alla Nina, quella sera? sai, quella ragazzina…

        DONATA: …che non mi credeva sincera?

        ELISA: Sì, quella. Ah, una delle sue! Proprio feroce, sai!

        DONATA: Non so nulla! Che fece?

        ELISA: Ma sì… pare che, per farla tacere, le abbia detto o fatto… non si sa bene che cosa… parla di «suggello»… «patto suggellato»… e si preme con le mani la bocca… Noi la trovammo lì boccheggiante, che gridava ajuto, soffocata…

        DONATA: Ah sì?

        ELISA: Puoi immaginarti, poverina, innamorata di lui come una gatta. Ne è come impazzita… sì, sì tuttora…

        DONATA: E tu sai che lo zio avrebbe veduto bene…?

        ELISA: Sì, suppongo – d’accordo con la nonna… sai, quella vecchia, la mar­chesa Boveno… Ah, è furibonda! la marchesa è furibonda!

        DONATA: Sarà andata a gridar vendetta allo zio?

        ELISA: Eh, figurati!

        DONATA: Ci sarà di mezzo allora anche questa ragazzina – ora – per lo zio…

        ELISA: Ma no; che vuoi che sia! non è cosa a cui si possa dare importanza! Una ragazzata! Il conte è seccato per le conseguenze che ha portato… lo scombussolamento momentaneo di quella poverina… Si ode a questo punto dall’ interno la voce del conte Mola.

        IL CONTE MOLA: Permesso?

        ELISA: Ah, eccolo! Vuoi che vada?

        DONATA: Aspetta un po’. – Avanti!

        IL CONTE MOLA (entrando, forzandosi di vincere l’imbarazzo): Buon giorno, Donata… Cara Elisa…

        DONATA: Buon giorno…

        ELISA: Caro conte…

        DONATA: S’accomodi…

        IL CONTE MOLA: Grazie.

        DONATA: Ed Elj?

        IL CONTE MOLA: Elj… ecco se mi permette, questa volta, gli ho reso la pariglia: ho lasciato io lui fuori, per poter parlare posatamente…

        ELISA (alzandosi): Allora io ti lascio, Donata…

        IL CONTE MOLA (alzandosi subito anche lui): No, io avrei caro, invece, che lei restasse, Elisa…

        ELISA: Ma se avete da parlare… io non so…

        DONATA: Se il conte stesso desidera che tu rimanga…

        IL CONTE MOLA: Sì, lo desidero; sapevo che lei era qua; me lo disse Elj; mi sono appunto affrettato a venire, per trovarla ancora qua…

        ELISA: Ah… bene… allora (a Donata) se anche tu vuoi…

        DONATA: Ma sì, figurati, resta! Io però tengo a dir subito che tutto questo… (Si alza smaniosa; si passa le mani sulla faccia.) Dio mio, no… (scoppia a ri­dere) non potete immaginare come tutto questo mi sa di teatro…

        ELISA: Oh bella!

        DONATA (sempre ridendo, male, convulsa): Ma sì… Una scena preparata, a tre, con Elj lasciato fuori… Debbo mettermi qua?… Là? che posa debbo prendere? mi metterò a recitare… forse un pochino meglio di voi, scusate…

        IL CONTE MOLA (imbarazzatissimo): Ma no… perché… perché le pare così?…

        ELISA (guardando il Conte e ridendo con Donata, per contagio): Sì sì… cu­rioso… come l’hai detto… anche a me, anche a me, ora, sta facendo quest’ef­fetto… Ma guarda che idea!… Forse perché è teatrale anche la vita, cara!

        DONATA: Eh no, scusate! – Allora, il teatro! Almeno là si è sicuri che tutto av­verrà come deve avvenire, sino alla fine… No, conte, mi scusi! Per me è grave, è grave! C’è di mezzo la mia vita; sono ora qua viva, io, in uno stato che lei può bene immaginarsi… So quello che ho fatto – guardi – non pre­tendo nulla. Se a lei ha recato dispiacere; se lei aveva altre idee per suo ni­pote e non approva – ecco – la prego, lasci la posatezza, tutto il suo garbo – io non sono in grado di sopportare più nulla; ho bisogno in questo momento di sapere a che attenermi. – Lei è contrario? Lo dica!

        IL CONTE MOLA: Ma io… ecco…

        DONATA: È contrario. – Sta bene. – Mi risponda: Elj ha bisogno del suo con­senso?

        IL CONTE MOLA: Ma no… io…

        DONATA: Mi risponda, mi risponda – sì – no – per carità!

        ELISA: Ma no, aspetta, Donata, così non è possibile…

        IL CONTE MOLA: Io non sarei affatto contrario, se…

        DONATA: Se…? dica, la prego! Le ripeto che ho bisogno di sapere!

        IL CONTE MOLA: Se non me ne lascia il tempo, scusi…

        ELISA: Calma, calma, cara… Siediti qua, accanto a me… Prego, conte…

        IL CONTE MOLA: Mi dispiace ora veramente d’aver lasciato fuori Elj.

        Elj sporge a questo punto il capo dall’uscio; ma il Conte non se n’accorge e prosegue: se questo ha potuto dar l’impressione…

        ELISA (scorgendolo): Eccolo qua Elj! Come il diavolo!

        ELJ (entrando d’un balzo): Che diavolo! Come l’Angelo Salvatore! (Allo zio:) Vedi? te l’avevo detto io?

        IL CONTE MOLA (alzandosi, adirato): Ah, ma io posso parlare apertamente anche davanti a te, sai!

        ELJ: E sì parla! sfogati! buttami in faccia tutto quello che vuoi!

        IL CONTE MOLA: Volevo risparmiare a lei (indica Donata) di farle conoscere la mia riprovazione, la mia indignazione per il tuo modo d’agire!

        DONATA: Ma quello che Elj ha fatto, l’ho voluto anch’io!

        ELJ: No, aspetta! Ha detto che non te la voleva far conoscere! (Allo zio:) Be’, e ora che gliel’hai fatta conoscere?

        IL CONTE MOLA (a Donata): La mia riprovazione è soltanto per lui.

        ELJ: Perché t’ho portata qua! Tu non potevi neanche volerlo: non davi più segno di vita! – È lui è così offeso perché chiusi anche a lui la porta in faccia

        – non è vero?

        DONATA: Ma ad andare sulla lancia lo sfidai io: lui non voleva!

        IL CONTE MOLA: Ah no no, mi scusi, Donata: è proprio per questo! lui non do­veva accettare la sua sfida, approfittare dello stato in cui lei si trovava!

        DONATA: Ma non poteva saperlo, Elj, il mio stato…

        ELJ (con impeto): Era così bello! così coraggioso! divino! Tu non ne sei pentita! Non ne sei pentita! Non ne puoi essere pentita!

        DONATA: No, Elj, no!

        ELJ: Non mancherai a te stessa! Non mi mancherai! Non mi mancherai!

        DONATA: No! no! – ma dobbiamo ora vedere –

        ELJ: – niente vedere! ci sposeremo! tu sei mia! – Lui è così irritato anche per ciò che feci prima.

        IL CONTE MOLA: Ah, indegno, indegno quello che hai fatto!

        DONATA: Questa complicazione, veramente…

        ELJ: Ma no, che complicazione! (Allo zio:) Oh, basta ora con quello che ho fatto! Le ho dato quello che voleva, per levarmela d’attorno! Finiamola! Mi volete mandare all’ergastolo per un bacio a una ragazzina che non si voleva levare di mezzo?

        ELISA (non potendo trattenersi dal riderne): Ah, fu un bacio?

        IL CONTE MOLA: Non ne rida anche lei, Elisa, la prego…

        ELJ (a Donata): Lì per lì, capisci? non trovando altro modo… mi seccava… bene: un bacio – affar finito !

        IL CONTE MOLA (fremendo): Lasciamo andare, lasciamo andare! Non ti permetto d’aggiungere la derisione!

        DONATA (a Elj, per fargli intendere le ragioni dello zio): Il conte sarà amico della marchesa…

        IL CONTE MOLA: Da tanti anni, molto amico, Donata. Non si fa così ! La vita non

        è una burla, e tanto meno una follia. Io sono vivamente costernato anche per lei, cara Donata… mi consenta che la chiami così…

        DONATA: Ma sì, ma sì; io la ringrazio anzi…

        ELJ (cercando d’abbracciare lo zio): È tanto buono, te l’ho detto…

        IL CONTE MOLA (respingendolo, risentitissimo): Ma no, lasciami, ti prego! Io non sarò sempre il tuo zimbello! (A Donata.) Mi faccia il piacere, Donata… Io non posso proprio davanti a lui…

        ELJ: Bene bene, sta’ tranquillo, parla a tuo agio: me ne rivado – ecco – me ne rivado! Ma non la pigliare ancora così, per carità! E sopra tutto, non me la umiliare, non me la umiliare… (Via.)

        IL CONTE MOLA: È pazzo! È pazzo!

        ELISA: È così… (a Donata:) tu hai detto bene: «estroso»…

        IL CONTE MOLA (raffibbiando, convinto): È pazzo!

        ELISA: Non mi spaventi la mia Donata…

        DONATA: Ma no, io, figurati… se è per questo… Anzi, che sia così…

        IL CONTE MOLA: Io non dico che per un momento non possa anche piacere; ma credano che vivere con lui… Io l’ho lasciato fare finora…

        ELISA: Questa è un po’ colpa sua…

        IL CONTE MOLA: Ma non c’è verso, amica mia, di dominarlo con la ragione – vede? Si riesce appena con un po’ d’affetto, se egli lo sente… sì, dico, per il freno che lui stesso riesce a imporsi per non spaventare e non tenere in continuo palpito chi gli vuol bene!

        ELISA: Eh, però questo è anche bello!

        IL CONTE MOLA: Sì, questo l’ha, perché è di natura affettuosa.

        ELISA: Dunque vede…

        IL CONTE MOLA: Ora io ecco, dico… (esita, a Donata.) – mi permette?

        DONATA: Ma sì, ma sì, mi dica!

        IL CONTE MOLA: Ecco: un conto, io dico, è la sua vita, la vita d’un giovanotto, come finora l’ha avuta – sempre facile e così purtroppo fuori dell’ordinario… tutta grilli… (creda, non si tiene! non si tiene!)… un capriccio dopo l’altro… mai conti da fare, mai conti da rendere… e senz’alcun senso di responsabilità (ignora tutto, non conosce neppure i limiti delle sue sostanze, quantunque, debbo dirlo – senza vizii e schietto – non abbia mai sperperato troppo) (i suoi capricci sono pericolosi sopra tutto per la sua incolumità)… Ecco, con una vita così… e la facilità con cui crede… (e s’inganna! s’inganna!) di aver tro­vato in lei tutt’a un tratto la compagna ideale, la compagna voglio dire di tutte le sue stravaganze, delle sue pazzie, capisce (io non riesco forse a esprimere la mia costernazione…).

        DONATA: Comprendo, comprendo ciò che lei vuol dire: la mia vita lei non crede ch’io la possa affidare a lui, così, cecamente?

        IL CONTE MOLA: No, ecco, dico: un altro conto è la sua vita, Donata! la sua vita che è preziosa… che non le sarà stata certo mai facile…

        DONATA (fosca, recisa): No – mai. (E si alza, come non potendo più contenere un’ambascia che le fa impeto dentro.)

        IL CONTE MOLA: Lo credo bene! Chi sa che le deve essere costata! Difficoltà d’ogni genere, lotte, amarezze – per arrivare dov’è arrivata!

        DONATA: Ah sì sì – difatti – arrivata! Ma sa fin dove, conte… arrivata? Fino al punto di gettarla via – là… – Se non era lui che mi salvava…

        ELISA (colpita dal subitaneo alteramento di Donata): Ma no, cara, che dici?

        DONATA: Sì – proprio così – se vuoi saperlo! Non so bene ciò che avvenne in me in quel momento di terrore, sbattuta nel mare – quella morte urlante – li­quida e di piombo – so che chiusi gli occhi proprio per morire. – A questo, ecco, a questo, conte, ero arrivata!

        IL CONTE MOLA: Difatti, sì, ricordo, ce ne disse lei stessa qualcosa, quella sera; e forse quanto ci disse – è niente! – Ma deve pur tener conto – mi pare – che dopo tutto però – sì, dico – lei ha vinto!

        DONATA: Dopo tutto – sì: ma è così appunto, sa, quando si vince come ho vo­luto vincere io. Il prezzo della mia vittoria – a me, donna – qua, nelle mie mani, sa che cosa è parso? io, donna, come l’ho sentito? Come un insulto – sì! Io donna, io donna, dico! Perché, a me donna, sarebbe stato anche facile, sa, far vincere l’attrice – e facile, allora, facile anche per me, la vita! – ba­stava insudiciarla, questa vittoria, anche un poco, non molto, con lodi che an­davano all’attrice, perché la donna le aveva procacciate. Non aver mai potuto tollerare questa confusione – della donna e dell’attrice – l’aver voluto salvare l’orgoglio dell’attrice che vuol vincere sola, per quel che vale – questa pre­sunzione di credere che quanto c’era in me di nuovo, di vivo nella mia arte, questo soltanto e nient’altro mi dovesse bastare per vincere… – ho vinto, sì, ho vinto sola – oh, sola come in cima a una montagna, nel gelo… – mi sve­glio, apro gli occhi in mezzo a un silenzio e a una luce che non conosco, e a cose che per me non hanno senso… – che donna sono più? com’è? com’è? che sento? dove mi trovo? che ho nelle mani, che non ho più nemmeno la forza di sollevarle? quest’orgoglio d’aver vinto? sì, come un macigno, buono soltanto da legarmelo al collo per affogare: ecco tutto, quando non se ne può più! Vi giuro che si pensa alla fine, si pensa se ne valeva la pena! Bisogna che la dia alla fine qualche cosa la vita, la dia, la dia… – io ho dato tutto me stessa… sempre, senza mai pensare a me… – e vedermi trattata come se non dovessi sentir nulla, come se fossi di marmo… o con certe impudenze… cose, sa? di quelle che torcono le visceri dentro, come una fune; …e notti, notti, a piangere lagrime di sangue, senza veder più la ragione di star perdendo così gli anni migliori della vita… senza un conforto, senza una gioja… Ho vinto, sì, ho vinto… ma eccomi, così… Non ne posso più, non ne posso più…

        ELISA (commossa, andando a lei, come ad accoglierla in sé): Cara! Cara! Lo vedi! Lo vedi quello che vale la tua vita?

        IL CONTE MOLA: Tutta la sua arte… quel che l’è costata… queste lagrime… tanta nobiltà… – Egli non ne sa nulla!

        DONATA (risolvendosi): Sì, questo è giusto: bisogna che egli lo sappia.

        ELISA (incalzando): Non ti conosce! Non t’ha mai veduta.

        IL CONTE MOLA (c.s.): Eh già! – quella che lei veramente è – quello che vale una vita come la sua! – Appunto questo volevo dire! Ecco! Bisogna che egli sap­pia che valore ha, il dono che lei gliene vuol fare!

        ELISA (c.s.): Sì, sì, anche per lui, Donata! Non puoi abbandonargliela così, come se non ti fosse costata nulla!

        DONATA (rigida, fissando gli occhi nel vuoto): E anche per me. Sì. Dev’essere una prova – anche per me. Ne ho bisogno io stessa. Sento ora che ne ho bi­sogno io stessa.

        ELISA: Una prova? Che vuoi dire?

        DONATA: Sì. Se io – io – posso avere anche una vita.

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1932 – Trovarsi – Commedia in tre atti
Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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