«È pazza! È pazza!». Tradimenti al femminile in Luigi Pirandello (Con audio lettura)

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Di Lucrezia Giorgi

Il macrotema del tradimento rappresenta nell’opera di Pirandello un’occasione unica di denuncia delle regole sociali, scritte o meno, vigenti nella Sicilia di inizio ‘900, nonché del trattamento all’epoca riservato alle donne, con la creazione di un corpus dall’indiscutibile valore antropologico oltre che letterario.

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Tradimenti al femminile in Luigi Pirandello
Titina ed Eduardo. Il berretto a sonagli, 1936. Immagine dal Web.

«È pazza! È pazza!».
Tradimenti al femminile in Luigi Pirandello

da La città immaginaria

Leggi e ascolta. Voce di Giuseppe Tizza. 

Nel 1912 Luigi Pirandello ha quarantacinque anni e da ormai qualche tempo si è avvicinato alla composizione drammaturgica. È infatti nel 1910 che, su invito dell’amico regista e sceneggiatore Nino Martoglio, ha ricavato dalla novella Lumie di Sicilia l’omonimo atto unico rappresentato, insieme a La morsa, per la prima volta il 9 dicembre dello stesso anno dalla Compagnia dei Minimi dello stesso Martoglio presso il teatro Metastasio di Roma. Tuttavia, lo scrittore siciliano, ancora fedele alla sua forma di scrittura prediletta, la novella per l’appunto, nel 1912 pubblica due racconti che costituiscono i prodromi della pièce Il berretto a sonagliCerti obblighi e La verità.

La somiglianza caratteriale tra i protagonisti maschili delle tre opere – Quaquèo, Saru e Ciampa – è innegabile, così come non può non saltare all’occhio l’omogeneità in termini di argomento trattato: difatti, sempre di eventi connessi a un tradimento si sta parlando. E con il tradimento tutto ciò che ne consegue in termini di ruoli fissi da ricoprire: vittima e carnefice in primis. Inoltre, desta un particolare interesse la parabola che accomuna i personaggi femminili, i quali, pur nel caso fortuito si trovino ad agire in una posizione di vantaggio, finalmente manipolatori e non manipolati, finiscono poi sempre per ricadere su se stessi, in completa balìa delle decisioni altrui, uccisi o allontanati dalla società perché maniacali.

Bisogna ammettere che Pirandello non dovette lavorare poi molto di fantasia dato che l’Italia e – nel caso specifico – la Sicilia del suo tempo erano in grado di fornire innumerevoli spunti in materia. L’arcaica concezione dell’onore e della rispettabilità da preservare sopra ogni altra cosa, anche a costo di uccidere, era all’epoca ancora vivissima, per non parlare delle pene inerenti il delitto d’onore che vennero cancellate solamente dalla legge n.442 del 10 agosto 1981.

Per tornare al mondo dell’invenzione letteraria il protagonista di Certi obblighi è Quaquèo, un lampionaio sciancato e ubriacone che viene deriso dall’intero paese dal momento in cui è divenuta nozione comune il fatto che venga tradito dalla moglie. Quando l’uomo scoprirà che l’amante è niente meno che il suo benefattore, il Cavalier Bissi, invece di andare su tutte le furie, come ci si aspetterebbe, lo aiuterà anzi a nascondersi meglio in modo da salvare l’onore davanti ai suoi concittadini, mostrando loro che il fatto non sussiste. Insomma successo o non successo, l’importante è che non lo si sappia.

Del tutto simile la vicenda narrata ne La verità. La novella è difatti incentrata sulla figura di Saru Argentu, detto Tararà, che, essendo stato accusato di aver ucciso la moglie Rosaria a colpi di accettate, si presenta in tribunale vestito a nuovo e pronto a confermare la propria colpevolezza a patto di affermare le sue tre verità, cioè quelle che hanno mosso il suo stesso agire. Tra queste spicca la certezza della necessità che la donna consideri sempre e primariamente la questione dell’onore, ovvero che non si permetta mai, ella, di sporcare la faccia pubblica del marito così da macchiarne l’onore con il fardello di un tradimento, ipotetico o reale che sia. Anche questa volta fuoriesce con chiarezza la problematica principale dal punto di vista maschile, ciò che conta non è tanto che la consorte sia rea o meno quanto la risonanza sociale dell’evento: tutto va bene purché non se ne parli.

Allo stesso modo, ciò che avviene ne Il berretto a sonagli è una vera e propria inversione di rotta, la quale, tra primo e secondo atto, porta la protagonista Beatrice Fiorica da una posizione invidiabile, di vera giostratrice degli accadimenti, in vantaggio sulla furbizia del marito, a un tragico epilogo in cui ella finisce per esser accusata di follia non solo da Ciampa, il marito della donna coinvolta nello scandalo col cavalier Fiorica, ma anche dai suoi stessi familiari che si schierano a favore della consuetudine, convincendola al grido di «È pazza! È pazza!» di aver addirittura inventato il tradimento perché malata di mente, gelosa.

Anche per quanto riguarda quest’ultimo dettaglio Pirandello non dovette faticare poi molto, dato che già nel 1903 la moglie Maria Antonietta Portulano, sposata il 27 gennaio 1894, aveva iniziato a manifestare i primi segni di instabilità mentale che sfoceranno poi in una condizione di perenne paranoia, tanto che nel 1919 lo scrittore fu costretto a ricoverarla stabilmente in una casa di cura.

Il macrotema del tradimento rappresenta quindi nell’opera di Pirandello un’occasione unica di denuncia delle regole sociali, scritte o meno, vigenti nella Sicilia di inizio ‘900, nonché del trattamento all’epoca riservato alle donne, con la creazione di un corpus dall’indiscutibile valore antropologico oltre che letterario.

Lucrezia Giorgi

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