Di Marzia Samini.
Questo romanzo è, prima di tutto, un romanzo di denuncia, dove autore e personaggio riuniti in una sola goccia, svelano l’inquietante non coincidenza tra tempo storico e tempo soggettivo
Tesina: Il fu Mattia Pascal – L’eterno prigioniero
Le anime hanno un loro particolar modo d’intendersi, d’entrare in intimità, fino a darsi del tu, mentre le nostre persone sono tuttavia impacciate nel commercio delle parole comuni, nella schiavitù delle esigenze sociali.
Prima di parlare di uno dei più importanti autori della letteratura italiana del ‘900, Luigi Pirandello, è bene inquadrare il periodo storico-letterario in cui l’autore si trova a scrivere, vivere e confrontare e, soprattutto, scontrare.
Nei primi del ‘900 infatti, si viene ad esaurire quella letteratura definita ‘verista’, quella che trovava come miglior esponente il Verga, e nasce un nuovo tipo di personaggio, di protagonista, un eroe atipico, mai visto, nasce l’eroe piccolo-borghese; un uomo, un personaggio, sospeso ed escluso dal tempo, che non si riconosce nel passato e non vede il futuro, un pellegrino solitario delle mille e nessuna possibilità della vita che cammina, corre, in uno spazio senza più tempo. E se con uno sforzo non indifferente, se si voltasse ancora indietro, il suo passato assumerebbe le forme di un carnefice che perseguita la sua vittima, che tortura con i ricordi e che ride e ringhia e gli sputa in faccia ogni sua sconfitta, ogni ingiustizia subita, ogni battaglia non combattuta… insomma il passato, per questo eroe, non è altro che la sua più grande sconfitta e questo perché viene a coincidere e a identificarsi con la Storia e le sue istituzioni le quali, vecchie, borbottanti e arrugginite, bloccano anche la visione e la vita futura, perché ormai non sono nient’altro che forma, involucro privo di sostanza, quel sale marino che sospinto dal vento si posa su ogni cosa, e la paralizza, invecchiandola e deprivandola.
E tra un passato che uccide e un futuro che non può vivere, il nuovo eroe vive senza tempo né luogo, e dunque senza casa, perché ovunque vada trova desolazione, assenza e infinita ripetizione del Nulla; così nel romanzo del ‘900 questa nuova figura diventa specchio e riflesso della crisi esistenziale e storia che viveva l’intellettuale sotto il governo giolittiano, cioè sotto l’avvento delle società di massa, dove non si riconosce più, si sente perso, diverso, inutile, alienato da se stesso e da quel mondo che ormai non riconosce più.
Per quanti sforzi facciamo nel crudele intento di strappare, di distruggere le illusioni che la provvida natura ci aveva create a fin di bene, non ci riusciamo. Per fortuna, l’uomo si distrae facilmente.
Con queste premesse è facile comprendere perché il tempo è ciò che organizza tutta la vicenda del Il fu Mattia Pascal, un tempo storico degradante, abietto, in grado di produrre ormai solo forme vuote, alienanti e corruttrici, alterità che non permettono riconoscimenti, acque confuse, in tempesta, specchi che hanno perduto la memoria, l’immagine, il riflesso. E dove non c’è memoria non può esserci passato, perché in un solo attimo, in un gesto inatteso e privo di senso, ci si accorge che tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà è solo forma artificiale di ciò che non potrà più essere. Dunque questo romanzo è, prima di tutto, un romanzo di denuncia, dove autore e personaggio riuniti in una sola goccia, svelano l’inquietante non coincidenza tra tempo storico e tempo soggettivo; il passato, non potendo più attingere ad ideali e valori fissi, diventa incubo, memoria inaridita, sterile e allo stesso tempo nel suo essere deserto nulla, diventa trappola per il presente, che si ritrova in un spazio atemporale, vuoto, senza possibilità di estensione, trovandosi in balia, sospeso, bloccato tra lo non-vita e la non-morte, perchè la verità che queste portavano in sè è svanita nella forma pura. Ed ecco allora spiegate le fughe del personaggio, da una vita all’altra, da una forma all’altra da Mattia Pascal ad Adriano Meis, ecco allora quelle falsi morti, la prima casuale e sbagliata del necrologio, la seconda voluta e architettata del finto suicidio… non c’è più spazio per la verità.
E seppur nel romanzo il tempo interiore, quello dei bisogni assorbe quello storico, il vuoto di quest’ultimo si rovescerà all’interno, come acqua zozza raccolta in un vaso, fino a creare una distanza esistenziale, tra il proprio essere nel tempo e dunque la propria esistenza e l’attesa, a volte inutile, della riconciliazione tra vita e coscienza.
Ma la causa vera di tutti i nostri mali, di questa nostra tristezza, sai qual è? La democrazia, cioè il governo della maggioranza, perchè quando molti governano, pensano soltanto a contentar se stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà
Il male di tutti i mali è per Pirandello la democrazia, cioè quella forma di governo che ha creato la società di massa, quel tempo storico e sociale che ha portato l’uomo alla sua alienazione, che ha creato forme uguali e artificiali, portando un tirannico caos e facendo morire non solo l’uomo ma anche l’arte e l’artista. L’emblema di questa disgregazione è Roma e San Pietro (luoghi che non mancano di essere rappresentati nel romanzo) che rappresentano allo stesso tempo la vita e la morte: la morte è quella rimpianta dell’ancien régime, dove vigeva una tirannia ordinata e l’uomo e l’artista avevano e si riconoscevano nella loro vita estetica; la vita è il qui e ora, quella del tempo non autentico e delle sue istituzioni che non permettono la vita nella forma, che emarginano l’uomo nell’irrealtà, imprigionandolo nella sua vita, fatta di forme che alterano e comandano, e spingono via e distruggono valori e idee, e la verità si ritrova a San Pietro mendica, ubriaca e sola.
Mattia Pascal grazie al suo stato di morto-vivo riesce a vedere e soffrire l’inautenticità della vita ma quello che vive lui è uno stato di grazia fuori dal tempo e dalla storia, dalla vita e dalla morte e seppure può sembrare che si sia salvato, sarà costretto a tornare, ad aprire di nuovo la porta e tornare in una casa che non è più sua, cambiato, diverso. Ma anche qui assaporerà la sconfitta perché nessuno lo riconoscerà, nessuno lo vorrà: ciò che era stato non tornerà più… il tempo non perdona.
Perché la vita, per tutte le sfacciate assurdità, piccole e grandi, di cui beatamente è piena, ha l’inestimabile privilegio di poter fare a meno di quella stupidissima verosimiglianza, a cui l’arte crede suo dovere obbedire
Non essendo più autentica, la realtà non va più imitata ma anzi necessariamente interpretata e chi può fare questo è il soggetto. Infatti a Pirandello non interessa il senso del mondo ma la scelta del soggetto di scomporre e ironizzare la realtà, la quale una volta indagata con l’occhio della verità si rivela altro. Di cruciale importanza per interpretare il messaggio pirandelliano è dunque la scena ambientata a casa del signor Paleari delle marionette e il suo dialogo con Adriano Meis; lo squarcio del cielo che si produce nel teatrino è lo squarcio che si è prodotto nella nostra vita (un’immagine questa che sarà utilizzata largamente per tutto il novecento, vedi il Partigiano Jhonny di Fenoglio): con lo squarcio si è passati dall’uomo antico, chiuso nella sua coscienza, al nuovo intellettuale che guarda nell’ombra dello squarcio, riuscendo a vedere la parzialità della realtà e, allo stesso tempo, a percepire il microcosmo dove abita ancora la verità, ovvero il luogo dell’Assoluto, della vita universale, prendendo l’accezione romantica, il luogo della coincidenza dove l’uomo, superato il limite si incontra con se stesso (Dio).
Il fu Mattia Pascal si presenta come una pietra miliare del Novecento non solo per il suo contenuto letterario ma anche per quello filosofico, svelando e denunciando la difficile convivenza e i tirannici compromessi a cui un uomo deve sottostare per vivere nello spazio-tempo di una società artificiale, fatta di forme senza contenuti e dove la verità è nascosta dietro un cielo intonacato, urlante con un filo di voce che aspetta solo di essere vista. Ma per cercare e trovare la verità, come sempre e da sempre, è necessario soffrire, scavare, scappare, levarsi di dosso quell’abito che siamo abituati ad essere, perderci in ciò che non abbiamo mai avuto il coraggio di essere, diventare altro, altri, e poi trovarci in quelli che siamo, senza più mentire e mentirci, senza più forme, tornare a noi stessi, possederci nella totalità di un’esistenza che è solo nostra. Solo dopo questo processo potremmo andare in giro nudi, senza bisogno di abiti perché, finalmente, non avremmo più nulla da nascondere.
Marzia Samini
26 giugno 2004
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