Sei personaggi in cerca d’autore – Personaggi, Inizio

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Premessa, Articolo
Prefazione dell’Autore
Personaggi, Inizio
Dopo la pausa
Si riapre il sipario

In English – Six characters in search of an author
En Español – Seis personajes en busca de autor

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Sei personaggi in cerca d’autore - Inizio
Carlo Giuffrè, Pino Micol, Sei personaggi in cerca d’autore, 2001. Immagine dal Web.

Personaggi

PERSONAGGI DELLA COMMEDIA DA FARE
Il padre
La madre
La figliastra
Il figlio
Il giovinetto
La bambina (questi ultimi due non parlano)
(Poi, evocata): Madama Pace

GLI ATTORI DELLA COMPAGNIA
Il direttore–capocomico
La prima attrice
Il primo attore
La seconda donna
L’attrice giovane
L’attor giovane
Altri attori e attrici
Il direttore di scena
Il suggeritore
Il trovarobe
Il macchinista
Il segretario del capocomico
L’uscere del teatro
Apparatori e servi di scena

Di giorno, su un palcoscenico di teatro di prosa.

1921
Sei personaggi in cerca d’autore

Inizio

       N. B. La commedia non ha atti né scene. La rappresentazione sarà interrotta una prima volta, senza che il sipario s’abbassi, allorché il Direttore-Capocomico e il capo dei personaggi si ritireranno per concertar lo scenario e gli Attori sgombreranno il palcoscenico; una seconda volta, allorché per isbaglio il Macchinista butterà giù il sipario.

       Troveranno gli spettatori, entrando nella sala del teatro, alzato il sipario, e il palcoscenico com’è di giorno, senza quinte né scena, quasi al bujo e vuoto, perché abbiano fin da principio l’impressione d’uno spettacolo non preparato.

       Due scalette, una a destra e l’altra a sinistra, metteranno in comunicazione il palcoscenico con la sala.

       Sul palcoscenico, il cupolino del suggeritore, messo da parte, accanto alla buca.

       Dall’altra parte, sul davanti, un tavolino e una poltrona con la spalliera voltata verso il pubblico, per il Direttore-Capocomico.

       Altri due tavolini, uno più grande, uno più piccolo, con parecchie sedie attorno, messi lì sul davanti per averli pronti, a un bisogno, per la prova. Altre sedie, qua e là, a destra e a sinistra, per gli Attori, e un pianoforte in fondo, da un lato, quasi nascosto.

       Spenti i lumi della sala, si vedrà entrare dalla porta del palcoscenico il Macchinista in camiciotto turchino e sacca appesa alla cintola; prendere da un angolo infondo alcuni assi d’attrezzatura; disporli sul davanti e mettersi in ginocchio a inchiodarli. Alle martellate accorrerà dalla porta dei camerini il Direttore di scena.

       IL DIRETTORE DI SCENA: Oh! Che fai?

       IL MACCHINISTA: Che faccio? Inchiodo.

       IL DIRETTORE DI SCENA: A quest’ora? (Guarderà l’orologio.) Sono già le dieci e mezzo. A momenti sarà qui il Direttore per la prova.

       IL MACCHINISTA: Ma dico, dovrò avere anch’io il mio tempo per lavorare!

       IL DIRETTORE DI SCENA: L’avrai, ma non ora.

       IL MACCHINISTA: E quando?

       IL DIRETTORE DI SCENA: Quando non sarà più l’ora della prova. Su, su, pòrtati via tutto, e lasciami disporre la scena per il secondo atto del Giuoco delle parti.

       Il Macchinista, sbuffando, borbottando, raccatterà gli assi e andrà via. Intanto dalla porta del palcoscenico cominceranno a venire gli Attori della Compagnia, uomini e donne, prima uno, poi un altro, poi due insieme, a piacere: nove o dieci, quanti si suppone che debbano prender parte alle prove della commedia di Pirandello Il giuoco delle parti, segnata all’ordine del giorno. Entreranno, saluteranno il Direttore di scena e si saluteranno tra loro augurandosi il buon giorno. Alcuni s’avvieranno ai loro camerini; altri, fra cui il Suggeritore che avrà il copione arrotolato sotto il braccio, si fermeranno sul palcoscenico in attesa del Direttore per cominciar la prova, e intanto, o seduti a crocchio, o, in piedi, scambieranno tra loro qualche parola; e chi accenderà una sigaretta, chi si lamenterà della parte che gli è stata assegnata, chi leggerà forte ai compagni qualche notizia in un giornaletto teatrale. Sarà bene che tanto le Attrici quanto gli Attori siano vestiti d’abiti piuttosto chiari e gai, e che questa prima scena a soggetto abbia, nella sua naturalezza, molta vivacità. A un certo punto, uno dei comici potrà sedere al pianoforte e attaccare un ballabile; i più giovani tra gli Attori e le Attrici si metteranno a ballare.

       IL DIRETTORE DI SCENA: (battendo le mani per richiamarli alla disciplina) Via, via, smettetela! Ecco il signor Direttore!

       Il suono e la danza cesseranno d’un tratto. Gli Attori si volteranno a guardare verso la sala del teatro, dalla cui porta si vedrà entrare il Direttore-Capocomico, il quale, col cappello duro in capo, il bastone sotto il braccio e un grosso sigaro in bocca, attraverserà il corridojo tra le poltrone e, salutato dai comici, salirà per una delle due scalette sul palcoscenico. Il Segretario gli porgerà la posta: qualche giornale, un copione sottofascia.

       IL CAPOCOMICO: Lettere?

       IL SEGRETARIO Nessuna. La posta è tutta qui.

       IL CAPOCOMICO: (porgendogli il copione sottofascia) Porti in camerino. (Poi, guardandosi attorno e rivolgendosi al Direttore di scena:) Oh, qua non ci si vede. Per piacere, faccia dare un po’ di luce.

       IL DIRETTORE DI SCENA: Subito.

       Si recherà a dar l’ordine. E poco dopo, il palcoscenico sarà illuminato in tutto il lato destro, dove staranno gli Attori, d’una viva luce bianca. Nel mentre, il Suggeritore avrà preso posto nella buca, accesa la lampadina e steso avanti a sé il copione.

       IL CAPOCOMICO: (battendo le mani) Su, su, cominciamo. (Al Direttore di scena:) Manca qualcuno?

       IL DIRETTORE DI SCENA: Manca la Prima Attrice.

       IL CAPOCOMICO: Al solito! (Guarderà l’orologio.) Siamo già in ritardo di dieci minuti. La segni, mi faccia il piacere. Così imparerà a venire puntuale alla prova.

       Non avrà finito la reprensione, che dal fondo della sala si udrà la voce della Prima Attrice.

       LA PRIMA ATTRICE: No, no, per carità! Eccomi! Eccomi!

       È tutta vestita di bianco, con un cappellone spavaldo in capo e un grazioso cagnolino tra le braccia; correrà attraverso il corridojo delle poltrone e salirà in gran fretta una delle scalette.

       IL CAPOCOMICO: Lei ha giurato di farsi sempre aspettare.

       LA PRIMA ATTRICE: Mi scusi. Ho cercato tanto un’automobile per fare a tempo! Ma vedo che non avete ancora cominciato. E io non sono subito di scena. (Poi, chiamando per nome il Direttore di scena e consegnandogli il cagnolino:) Per piacere, me lo chiuda nel camerino.

       IL CAPOCOMICO: (borbottando) Anche il cagnolino! Come se fossimo pochi i cani qua. (Batterà di nuovo le mani e si rivolgerà al Suggeritore:) Su, su, il secondo atto del Giuoco delle parti. (Sedendo sulla poltrona:) Attenzione, signori. Chi è di scena?

       Gli Attori e le Attrici sgombreranno il davanti del palcoscenico e andranno a sedere da un lato, tranne i tre che principieranno la prova e la Prima Attrice, che, senza badare alla domanda del Capocomico, si sarà messa a sedere davanti ad uno dei due tavolini.

       IL CAPOCOMICO: (alla Prima Attrice) Lei dunque è di scena?

       LA PRIMA ATTRICE: Io, nossignore.

       IL CAPOCOMICO: (seccato) E allora si levi, santo Dio!

       La Prima Attrice si alzerà e andrà a sedere accanto agli altri Attori che si saranno già tratti in disparte.

       IL CAPOCOMICO: (al Suggeritore) Cominci, cominci.

       IL SUGGERITORE: (leggendo nel copione) «In casa di Leone Gala. Una strana sala da pranzo e da studio».

       IL CAPOCOMICO: (volgendosi al Direttore di scena) Metteremo la sala rossa.

       IL DIRETTORE DI SCENA: (segnando su un foglio di carta)La rossa. Sta bene.

       IL SUGGERITORE: (seguitando a leggere nel copione) «Tavola apparecchiata e scrivania con libri e carte. Scaffali di libri e vetrine con ricche suppellettili da tavola. Uscio in fondo per cui si va nella camera da letto di Leone. Uscio laterale a sinistra per cui si va nella cucina. La comune è a destra».

       IL CAPOCOMICO: (alzandosi e indicando) Dunque, stiano bene attenti: di là, la comune. Di qua, la cucina. (Rivolgendosi all’Attore che farà la parte di Socrate:) Lei entrerà e uscirà da questa parte. (Al Direttore di scena:) Applicherà la bussola in fondo, e metterà le tendine. (Tornerà a sedere.)

       IL DIRETTORE DI SCENA: (segnando) Sta bene.

       IL SUGGERITORE: (leggendo c.s.) «Scena Prima. Leone Gala, Guido Venanzi, Filippo detto Socrate». (Al Capocomico:) Debbo leggere anche la didascalia?

       IL CAPOCOMICO: Ma sì! sì! Gliel’ho detto cento volte!

       IL SUGGERITORE: (leggendo c.s.) «Al levarsi della tela, Leone Gala, con berretto da cuoco e grembiule, è intento a sbattere con un mestolino di legno un uovo in una ciotola. Filippo ne sbatte un altro, parato anche lui da cuoco. Guido Venanzi ascolta, seduto».

       IL PRIMO ATTORE: (al Capocomico) Ma scusi, mi devo mettere proprio il berretto da cuoco in capo?

       IL CAPOCOMICO: (urtato dall’osservazione) Mi pare! Se sta scritto lì! (Indicherà il copione.)

       IL PRIMO ATTORE: Ma è ridicolo, scusi!

       IL CAPOCOMICO: (balzando in piedi sulle furie) «Ridicolo! ridicolo!». Che vuole che le faccia io se dalla Francia non ci viene più una buona commedia, e ci siamo ridotti a mettere in iscena commedie di Pirandello, che chi l’intende è bravo, fatte apposta di maniera che né attori né critici né pubblico ne restino mai contenti?(Gli Attori rideranno. E allora egli, alzandosi e venendo presso il Primo Attore, griderà:) Il berretto da cuoco, sissignore! E sbatta le uova! Lei crede, con codeste uova che sbatte, di non aver poi altro per le mani? Sta fresco! Ha da rappresentare il guscio delle uova che sbatte! (Gli Attori torneranno a ridere e si metteranno a far commenti tra loro ironicamente.) Silenzio! E prestino ascolto quando spiego! (Rivolgendosi di nuovo al Primo Attore:) Sissignore, il guscio: vale a dire la vuota forma della ragione, senza il pieno dell’istinto che è cieco! Lei è la ragione, e sua moglie l’istinto: in un giuoco di parti assegnate, per cui lei che rappresenta la sua parte è volutamente il fantoccio di sé stesso. Ha capito?

       IL PRIMO ATTORE: (aprendo le braccia) Io no!

       IL CAPOCOMICO: (tornandosene al suo posto) E io nemmeno! Andiamo avanti, che poi mi loderete la fine! (In tono confidenziale:) Mi raccomando, si metta di tre quarti, perché se no, tra le astruserie del dialogo e lei che non si farà sentire dal pubblico, addio ogni cosa! (Battendo di nuovo le mani:) Attenzione, attenzione! Attacchiamo!

       IL SUGGERITORE: Scusi, signor Direttore, permette che mi ripari col cupolino? Tira una cert’aria!

       IL CAPOCOMICO: Ma sì, faccia, faccia!

       L’Uscere del teatro sarà intanto entrato nella sala, col berretto gallonato in capo e, attraversato il corridojo fra le poltrone, si sarà appressato al palcoscenico per annunziare al Direttore-Capocomico l’arrivo dei Sei Personaggi, che, entrati anch’essi nella sala, si saranno messi a seguirlo, a una certa distanza, un po’ smarriti e perplessi, guardandosi attorno.

       Chi voglia tentare una traduzione scenica di questa commedia bisogna che s’adoperi con ogni mezzo a ottenere tutto l’effetto che questi Sei Personaggi non si confondano con gli Attori della Compagnia. La disposizione degli uni e degli altri, indicata nelle didascalie, allorché quelli saliranno sul palcoscenico, gioverà senza dubbio; come una diversa colorazione luminosa per mezzo di appositi riflettori. Ma il mezzo più efficace e idoneo, che qui si suggerisce, sarà l’uso di speciali maschere per i Personaggi: maschere espressamente costruite d’una materia che per il sudore non s’afflosci e non pertanto sia lieve agli Attori che dovranno portarle: lavorate e tagliate in modo che lascino liberi gli occhi, le narici e la bocca. S’interpreterà così anche il senso profondo della commedia. I Personaggi non dovranno infatti apparire come fantasmi, ma come realtà create, costruzioni della fantasia immutabili: e dunque più reali e consistenti della volubile naturalità degli Attori. Le maschere ajuteranno a dare l’impressione della figura costruita per arte e fissata ciascuna immutabilmente nell’espressione del proprio sentimento fondamentale, che è il rimorso per il Padre, la vendetta per la Figliastra, lo sdegno per il Figlio, il dolore per la Madre con fisse lagrime di cera nel livido delle occhiaje e lungo le gote, come si vedono nelle immagini scolpite e dipinte della Mater dolorosa nelle chiese. E sia anche il vestiario di stoffa e foggia speciale, senza stravaganza, con pieghe rigide e volume quasi statuario, e insomma di maniera che non dia l’idea che sia fatto d’una stoffa che si possa comperare in una qualsiasi bottega della città e tagliato e cucito in una qualsiasi sartoria.

       Il Padre sarà sulla cinquantina: stempiato, ma non calvo, fulvo di pelo, con baffetti folti quasi acchiocciolati attorno alla bocca ancor fresca, aperta spesso a un sorriso incerto e vano. Pallido, segnatamente nell’ampia fronte; occhi azzurri ovati, lucidissimi e arguti; vestirà calzoni chiari e giacca scura: a volte sarà mellifluo, a volte avrà scatti aspri e duri.

       La Madre sarà come atterrita e schiacciata da un peso intollerabile di vergogna e d’avvilimento. Velata da un fitto crespo vedovile, vestirà umilmente di nero, e quando solleverà il velo, mostrerà un viso non patito, ma come di cera, e terrà sempre gli occhi bassi.

       La Figliastra, di diciotto anni, sarà spavalda, quasi impudente. Bellissima, vestirà a lutto anche lei, ma con vistosa eleganza. Mostrerà dispetto per l’aria timida, afflitta e quasi smarrita del fratellino, squallido Giovinetto di quattordici anni, vestito anch’esso di nero; e una vivace tenerezza, invece, per la sorellina, Bambina di circa quattro anni, vestita di bianco con una fascia di seta nera alla vita.

       Il Figlio, di ventidue anni, alto, quasi irrigidito in un contenuto sdegno per il Padre e in un’accigliata indifferenza per la Madre, porterà un soprabito viola e una lunga fascia verde girata attorno al collo.

       L’USCERE: (col berretto in mano) Scusi, signor Commendatore.

       IL CAPOCOMICO: (di scatto, sgarbato) Che altro c’è?

       L’USCERE: (timidamente) Ci sono qua certi signori, che chiedono di lei.

       Il Capocomico e gli Attori si volteranno stupiti a guardare dal palcoscenico giù nella sala.

       IL CAPOCOMICO: (di nuovo sulle furie) Ma io qua provo! E sapete bene che durante la prova non deve passar nessuno! (Rivolgendosi in fondo:) Chi sono lor signori? Che cosa vogliono?

       IL PADRE: (facendosi avanti, seguito dagli altri, fino a una delle due scalette) Siamo qua in cerca d’un autore.

       IL CAPOCOMICO: (fra stordito e irato) D’un autore? Che autore?

       IL PADRE: D’uno qualunque, signore.

       IL CAPOCOMICO: Ma qui non c’è nessun autore, perché non abbiamo in prova nessuna commedia nuova.

       LA FIGLIASTRA: (con gaja vivacità, salendo di furia la scaletta) Tanto meglio, tanto meglio, allora, signore! Potremmo esser noi la loro commedia nuova.

       QUALCUNO DEGLI ATTORI: (fra i vivaci commenti e le risate degli altri) Oh, senti, senti!

       IL PADRE: (seguendo sul palcoscenico la Figliastra) Già, ma se non c’è l’autore! (Al Capocomico:) Tranne che non voglia esser lei.

       La Madre, con la Bambina per mano, e il Giovinetto saliranno i primi scalini della scaletta e resteranno lì in attesa. Il Figlio resterà sotto, scontroso.

       IL CAPOCOMICO: Lor signori vogliono scherzare?

       IL PADRE: No, che dice mai, signore! Le portiamo al contrario un dramma doloroso.

       LA FIGLIASTRA: E potremmo essere la sua fortuna!

       IL CAPOCOMICO: Ma mi facciano il piacere d’andar via, che non abbiamo tempo da perdere coi pazzi!

       IL PADRE: (ferito e mellifluo) Oh, signore, lei sa bene che la vita è piena d’infinite assurdità, le quali sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perché sono vere.

       IL CAPOCOMICO: Ma che diavolo dice?

       IL PADRE: Dico che può stimarsi realmente una pazzia, sissignore, sforzarsi di fare il contrario; cioè, di crearne di verosimili, perché pajano vere. Ma mi permetta di farle osservare che, se pazzia è, questa è pur l’unica ragione del loro mestiere.

       Gli Attori si agiteranno, sdegnati.

       IL CAPOCOMICO: (alzandosi e squadrandolo) Ah sì? Le sembra un mestiere da pazzi, il nostro?

       IL PADRE: Eh, far parer vero quello che non è; senza bisogno, signore: per giuoco… Non è loro ufficio dar vita sulla scena a personaggi fantasticati?

       IL CAPOCOMICO: (subito, facendosi voce dello sdegno crescente dei suoi Attori) Ma io la prego di credere che la professione del comico, caro signore, è una nobilissima professione! Se oggi come oggi i signori commediografi nuovi ci danno da rappresentare stolide commedie e fantocci invece di uomini, sappia che è nostro vanto aver dato vita – qua, su queste tavole – a opere immortali!

       Gli Attori, soddisfatti, approveranno e applaudiranno il loro Capocomico.

       IL PADRE: (interrompendo e incalzando con foga) Ecco! benissimo! a esseri vivi, più vivi di quelli che respirano e vestono panni! Meno reali, forse; ma più veri! Siamo dello stessissimo parere!

       Gli Attori si guarderanno tra loro, sbalorditi.

       IL DIRETTORE DI SCENA: Ma come! Se prima diceva…

       IL PADRE: No, scusi, per lei dicevo, signore, che ci ha gridato di non aver tempo da perdere coi pazzi, mentre nessuno meglio di lei può sapere che la natura si serve da strumento della fantasia umana per proseguire, più alta, la sua opera di creazione.

       IL CAPOCOMICO: Sta bene, sta bene. Ma che cosa vuol concludere con questo?

       IL PADRE: Niente, signore. Dimostrarle che si nasce alla vita in tanti modi, in tante forme: albero o sasso,acqua o farfalla… o donna. E che si nasce anche personaggi!

       IL CAPOCOMICO: (con finto ironico stupore) E lei, con codesti signori attorno, è nato personaggio?

       IL PADRE: Appunto, signore. E vivi, come ci vede.

       Il Capocomico e gli Attori scoppieranno a ridere, come per una burla.

       IL PADRE: (ferito) Mi dispiace che ridano così, perché portiamo in noi, ripeto, un dramma doloroso, come lor signori possono argomentare da questa donna velata di nero.

       Così dicendo porgerà la mano alla Madre per ajutarla a salire gli ultimi scalini e, seguitando a tenerla per mano, la condurrà con una certa tragica solennità dall’altra parte del palcoscenico, che s’illuminerà subito di una fantastica luce. La Bambina e il Giovinetto seguiranno la Madre; poi il Figlio, che si terrà discosto, in fondo; poi la Figliastra, che s’apparterà anche lei sul davanti, appoggiata all’arcoscenico. Gli Attori, prima stupefatti, poi ammirati di questa evoluzione, scoppieranno in applausi come per uno spettacolo che sia stato loro offerto.

       IL CAPOCOMICO: (prima sbalordito, poi sdegnato) Ma via! Facciano silenzio! (Poi, rivolgendosi ai Personaggi:) E loro si levino! Sgombrino di qua! (Al Direttore di scena:) Perdio, faccia sgombrare!

       IL DIRETTORE DI SCENA: (facendosi avanti, ma poi fermandosi, come trattenuto da uno strano sgomento) Via! Via!

       IL PADRE: (al Capocomico) Ma no, veda, noi…

       IL CAPOCOMICO: (gridando) Insomma, noi qua dobbiamo lavorare!

       IL PRIMO ATTORE: Non è lecito farsi beffe così…

       IL PADRE: (risoluto, facendosi avanti) Io mi faccio maraviglia della loro incredulità! Non sono forse abituati lor signori a vedere balzar vivi quassù, uno di fronte all’altro, i personaggi creati da un autore? Forse perché non c’è là (indicherà la buca del Suggeritore) un copione che ci contenga?

       LA FIGLIASTRA: (facendosi avanti al Capocomico, sorridente, lusingatrice) Creda che siamo veramente sei personaggi, signore, interessantissimi! Quantunque, sperduti.

       IL PADRE: (scartandola) Sì, sperduti, va bene! (Al Capocomico subito:) Nel senso, veda, che l’autore che ci creò, vivi, non volle poi, o non poté materialmente, metterci al mondo dell’arte. E fu un vero delitto, signore, perché chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, può ridersi anche della morte. Non muore più! Morrà l’uomo, lo scrittore, strumento della creazione; la creatura non muore più! E per vivere eterna non ha neanche bisogno di straordinarie doti o di compiere prodigi. Chi era Sancho Panza? Chi era don Abbondio? Eppure vivono eterni, perché – vivi germi – ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire: far vivere per l’eternità!

       IL CAPOCOMICO: Tutto questo va benissimo! Ma che cosa vogliono loro qua?

       IL PADRE: Vogliamo vivere, signore!

       IL CAPOCOMICO: (ironico) Per l’eternità?

       IL PADRE: No, signore: almeno per un momento, in loro.

       UN ATTORE: Oh, guarda, guarda!

       LA PRIMA ATTRICE: Vogliono vivere in noi!

       L’ATTOR GIOVANE: (indicando la Figliastra) Eh, per me volentieri, se mi toccasse quella lì!

       IL PADRE: Guardino, guardino: la commedia è da fare; (al Capocomico:) ma se lei vuole e i suoi attori vogliono, la concerteremo subito tra noi!

       IL CAPOCOMICO: (seccato) Ma che vuol concertare! Qua non si fanno di questi concerti! Qua si recitano drammi e commedie!

       IL PADRE: E va bene! Siamo venuti appunto per questo qua da lei!

       IL CAPOCOMICO: E dov’è il copione?

       IL PADRE: È in noi, signore.

       Gli Attori rideranno.

       Il dramma è in noi; siamo noi; e siamo impazienti di rappresentarlo, così come dentro ci urge la passione!

       LA FIGLIASTRA: (schernevole, con perfida grazia di caricata impudenza) La passione mia, se lei sapesse, signore! La passione mia… per lui!

       Indicherà il Padre e farà quasi per abbracciarlo; ma scoppierà poi in una stridula risata.

       IL PADRE: (con scatto iroso) Tu statti a posto, per ora! E ti prego di non ridere così!

       LA FIGLIASTRA: No? E allora mi permettano: benché orfana da appena due mesi, stiano a vedere lor signori come canto e come danzo!

       Accennerà con malizia il «Prends garde à Tchou-Tchin-Tchou» di Dave Stamper ridotto a Fox-trot o One-step lento da Francis Salabert: la prima strofa, accompagnandola con passo di danza.

       Les chinois sont un peuple malin,

       De Shangaï à Pékin,

       Ils ont mis des écriteaux partout:

       Prenez garde à Tchou-Tchin-Tchou!

       Gli Attori, segnatamente i giovani, mentre ella canterà e ballerà, come attratti da un fascino strano, si moveranno verso lei e leveranno appena le mani quasi a ghermirla. Ella sfuggirà; e, quando gli Attori scoppieranno in applausi, resterà, alla riprensione del Capocomico, come astratta e lontana.

       GLI ATTORI E LE ATTRICI: (ridendo e applaudendo) Bene! Brava! Benissimo!

       IL CAPOCOMICO: (irato) Silenzio! Si credono forse in un caffè-concerto? (Tirandosi un po’ in disparte il Padre, con una certa costernazione:) Ma dica un po’, è pazza?

       IL PADRE: No, che pazza! È peggio!

       LA FIGLIASTRA: (subito accorrendo, al Capocomico) Peggio! Peggio! Eh altro, signore! Peggio! Senta, per favore: ce lo faccia rappresentar subito, questo dramma, perché vedrà che a un certo punto, io – quando quest’amorino qua (prenderà per mano la Bambina che se ne starà presso la Madre e la porterà davanti al Capocomico) – vede come è bellina? (la prenderà in braccio e la bacerà) cara! cara! (la rimetterà a terra e aggiungerà, quasi senza volere, commossa) ebbene, quando quest’amorino qua, Dio la toglierà d’improvviso a quella povera madre: e quest’imbecillino qua (spingerà avanti il Giovinetto, afferrandolo per una manica sgarbatamente) farà la più grossa delle corbellerie, proprio da quello stupido che è (lo ricaccerà con una spinta verso la Madre) – allora vedrà che io prenderò il volo! Sissignore! prenderò il volo! il volo! E non mi par l’ora, creda, non mi par l’ora! Perché, dopo quello che è avvenuto di molto intimo tra me e lui (indicherà il Padre con un orribile ammiccamento) non posso più vedermi in questa compagnia, ad assistere allo strazio di quella madre per quel tomo là (indicherà il Figlio) – lo guardi! lo guardi! – indifferente, gelido lui, perché è il figlio legittimo, lui! pieno di sprezzo per me, per quello là (indicherà il Giovinetto), per quella creaturina; ché siamo bastardi – ha capito? bastardi. (Si avvicinerà alla Madre e l’abbraccerà.) E questa povera madre – lui – che è la madre comune di noi tutti – non la vuol riconoscere per madre anche sua – e la considera dall’alto in basso, lui, come madre soltanto di noi tre bastardi – vile!

       Dirà tutto questo, rapidamente, con estrema eccitazione, e arrivata al «vile» finale, dopo aver gonfiato la voce sul «bastardi», lo pronunzierà piano, quasi sputandolo.

       LA MADRE: (con infinita angoscia al Capocomico) Signore, in nome di queste due creature la supplico… (si sentirà mancare e vacillerà) – oh Dio mio…

       IL PADRE: (accorrendo a sorreggerla con quasi tutti gli Attori sbalorditi e costernati) Per carità una sedia, una sedia a questa povera vedova!

       GLI ATTORI (accorrendo) – Ma è dunque vero? – Sviene davvero?

       IL CAPOCOMICO: Qua una sedia, subito!

       Uno degli Attori offrirà una sedia; gli altri si faranno attorno premurosi. La Madre seduta, cercherà d’impedire che il Padre le sollevi il velo che le nasconde la faccia.

       IL PADRE: La guardi, signore, la guardi…

       LA MADRE: Ma no, Dio, smettila!

       IL PADRE: Làsciati vedere! (Le solleverà il velo.)

       LA MADRE: (alzandosi e recandosi le mani al volto, disperatamente) Oh, signore, la supplico d’impedire a quest’uomo di ridurre a effetto il suo proposito, che per me è orribile!

       IL CAPOCOMICO: (soprappreso, stordito) Ma io non capisco più dove siamo, né di che si tratti! (Al Padre:) Questa è la sua signora?

       IL PADRE: (subito) Sissignore, mia moglie!

       IL CAPOCOMICO: E com’è dunque vedova, se lei è vivo?

       Gli Attori scaricheranno tutto il loro sbalordimento in una fragorosa risata.

       IL PADRE: (ferito, con aspro risentimento) Non ridano! Non ridano così, per carità! È appunto questo il suo dramma, signore. Ella ebbe un altro uomo. Un altro uomo che dovrebbe esser qui!

       LA MADRE: (con un grido) No! No!

       LA FIGLIASTRA: Per sua fortuna è morto: da due mesi, glie l’ho detto. Ne portiamo ancora il lutto come vede.

       IL PADRE: Ma non è qui, veda, non già perché sia morto. Non è qui perché – la guardi, signore, per favore, e lo comprenderà subito! – Il suo dramma non poté consistere nell’amore di due uomini, per cui ella, incapace, non poteva sentir nulla – altro, forse, che un po’ di riconoscenza (non per me: per quello!) – Non è una donna; è una madre! – E il suo dramma – (potente, signore, potente!) – consiste tutto, difatti, in questi quattro figli dei due uomini ch’ella ebbe.

       LA MADRE: Io, li ebbi? Hai il coraggio di dire che fui io ad averli, come se li avessi voluti? Fu lui, signore! Me lo diede lui, quell’altro, per forza! Mi costrinse, mi costrinse ad andar via con quello!

       LA FIGLIASTRA: (di scatto, indignata) Non è vero!

       LA MADRE: (sbalordita) Come non è vero?

       LA FIGLIASTRA: Non è vero! Non è vero!

       LA MADRE: E che puoi saperne tu?

       LA FIGLIASTRA: Non è vero! (Al Capocomico:) Non ci creda! Sa perché lo dice? Per quello lì (indicherà il Figlio) lo dice! Perché si macera, si strugge per la noncuranza di quel figlio lì, a cui vuol dare a intendere che, se lo abbandonò di due anni, fu perché lui (indicherà il Padre) la costrinse.

       LA MADRE: (con forza) Mi costrinse, mi costrinse, e ne chiamo Dio in testimonio! (Al Capocomico:) Lo domandi a lui (indicherà il marito) se non è vero! Lo faccia dire a lui!… Lei (indicherà la Figlia) non può saperne nulla.

       LA FIGLIASTRA: So che con mio padre, finché visse, tu fosti sempre in pace e contenta. Negalo, se puoi!

       LA MADRE: Non lo nego, no…

       LA FIGLIASTRA: Sempre pieno d’amore e di cure per te! (Al Giovinetto, con rabbia:) Non è vero? Dillo! Perché non parli, sciocco?

       LA MADRE: Ma lascia questo povero ragazzo! Perché vuoi farmi credere un’ingrata, figlia? Io non voglio mica offendere tuo padre! Ho risposto a lui, che non per sua colpa né per mio piacere abbandonai la sua casa e mio figlio!

       IL PADRE: È vero, signore. Fui io.

       Pausa.

       IL PRIMO ATTORE: (ai suoi compagni) Ma guarda che spettacolo!

       LA PRIMA ATTRICE: Ce lo dànno loro, a noi!

       L’ATTOR GIOVANE: Una volta tanto!

       IL CAPOCOMICO: (che comincerà a interessarsi vivamente)Stiamo a sentire! stiamo a sentire!

       E così dicendo, scenderà per una delle scalette nella sala e resterà in piedi davanti al palcoscenico, come a cogliere, da spettatore, l’impressione della scena.

       IL FIGLIO: (senza muoversi dal suo posto, freddo, piano, ironico) Sì, stìano a sentire che squarcio di filosofia, adesso! Parlerà loro del Dèmone dell’Esperimento.

       IL PADRE: Tu sei un cinico imbecille, e te l’ho detto cento volte! (Al Capocomico già nella sala:) Mi deride, signore, per questa frase che ho trovato in mia scusa.

       IL FIGLIO: (sprezzante) Frasi.

       IL PADRE: Frasi! Frasi! Come se non fosse il conforto di tutti, davanti a un fatto che non si spiega, davanti a un male che ci consuma, trovare una parola che non dice nulla, e in cui ci si acquieta!

       LA FIGLIASTRA: Anche il rimorso, già! sopra tutto.

       IL PADRE: Il rimorso? Non è vero; non l’ho acquietato in me soltanto con le parole.

       LA FIGLIASTRA: Anche con un po’ di danaro, sì, sì, anche con un po’ di danaro! Con le cento lire che stava per offrirmi in pagamento, signori!

       Movimento d’orrore degli Attori.

       IL FIGLIO: (con disprezzo alla sorellastra) Questo è vile!

       LA FIGLIASTRA: Vile? Erano là, in una busta cilestrina sul tavolino di mogano, là nel retrobottega di Madama Pace. Sa, signore? una di quelle Madame che con la scusa di vendere Robes et Manteaux attirano nei loro ateliers noi ragazze povere, di buona famiglia.

       IL FIGLIO: E s’è comperato il diritto di tiranneggiarci tutti, con quelle cento lire che lui stava per pagare, e che per fortuna non ebbe poi motivo – badi bene – di pagare.

       LA FIGLIASTRA: Eh, ma siamo stati proprio lì lì, sai! (Scoppia a ridere.)

       LA MADRE: (insorgendo) Vergogna, figlia! Vergogna!

       LA FIGLIASTRA: (di scatto) Vergogna? È la mia vendetta! Sto fremendo, signore, fremendo di viverla, quella scena! La camera… qua la vetrina dei mantelli; là, il divano-letto; la specchiera; un paravento; e davanti la finestra, quel tavolino di mogano con la busta cilestrina delle cento lire. La vedo! Potrei prenderla! Ma lor signori si dovrebbero voltare: son quasi nuda! Non arrossisco più, perché arrossisce lui adesso! (Indicherà il Padre.) Ma vi assicuro ch’era molto pallido, molto pallido, in quel momento! (Al Capocomico:) Creda a me, signore!

       IL CAPOCOMICO: Io non mi raccapezzo più!

       IL PADRE: Sfido! Assaltato così! Imponga un po’ d’ordine, signore, e lasci che parli io, senza prestare ascolto all’obbrobrio, che con tanta ferocia costei le vuol dare a intendere di me, senza le debite spiegazioni!

       LA FIGLIASTRA: Qui non si narra! qui non si narra!

       IL PADRE: Ma io non narro! voglio spiegargli.

       LA FIGLIASTRA: Ah, bello, sì! A modo tuo!

       Il Capocomico, a questo punto, risalirà sul palcoscenico, per rimettere l’ordine.

       IL PADRE: Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo d’intenderci; non c’intendiamo mai! Guardi: la mia pietà, tutta la mia pietà per questa donna (indicherà la Madre) è stata assunta da lei come la più feroce delle crudeltà!

       LA MADRE: Ma se m’hai scacciata!

       IL PADRE: Ecco, la sente? Scacciata! Le è parso ch’io l’abbia scacciata!

       LA MADRE: Tu sai parlare; io non so… Ma creda, signore, che dopo avermi sposata… chi sa perché! (ero una povera, umile donna…)

       IL PADRE: Ma appunto per questo, per la tua umiltà ti sposai, che amai in te, credendo… (S’interromperà alle negazioni di lei; aprirà le braccia, in atto disperato, vedendo l’impossibilità di farsi intendere da lei, e si rivolgerà al Capocomico:) No, vede? Dice di no! Spaventevole, signore, creda, spaventevole, la sua (si picchierà sulla fronte) sordità, sordità mentale! Cuore, sì, per i figli! Ma sorda, sorda di cervello, sorda, signore, fino alla disperazione!

       LA FIGLIASTRA: Sì, ma si faccia dire, ora, che fortuna è stata per noi la sua intelligenza.

       IL PADRE: Se si potesse prevedere tutto il male che può nascere dal bene che crediamo di fare!

       A questo punto la Prima Attrice, che si sarà macerata vedendo il Primo Attore civettare con la Figliastra, si farà avanti e domanderà al Capocomico:        

       LA PRIMA ATTRICE: Scusi, signor Direttore, seguiterà la prova?

       IL CAPOCOMICO: Ma sì! ma sì! Mi lasci sentire adesso!

       L’ATTOR GIOVANE: È un caso così nuovo!

       L’ATTRICE GIOVANE: Interessantissimo!

       LA PRIMA ATTRICE: Per chi se n’interessa! (E lancerà un’occhiata al Primo Attore.)

       IL CAPOCOMICO: (al Padre) Ma bisogna che lei si spieghi chiaramente. (Si metterà a sedere.)

       IL PADRE: Ecco, sì. Veda, signore, c’era con me un pover’uomo, mio subalterno, mio segretario, pieno di devozione, che se la intendeva in tutto e per tutto con lei (indicherà la Madre), senz’ombra di male – badiamo! – buono, umile come lei, incapaci l’uno e l’altra, non che di farlo, ma neppure di pensarlo, il male!

       LA FIGLIASTRA: Lo pensò lui, invece, per loro – e lo fece!

       IL PADRE: Non è vero! Io intesi di fare il loro bene – e anche il mio, sì, lo confesso! Signore, ero arrivato al punto che non potevo dire una parola all’uno o all’altra, che subito non si scambiassero tra loro uno sguardo d’intelligenza; che l’una non cercasse subito gli occhi dell’altro per consigliarsi, come si dovesse prendere quella mia parola, per non farmi arrabbiare. Bastava questo, lei lo capisce, per tenermi in una rabbia continua, in uno stato di esasperazione intollerabile!

       IL CAPOCOMICO: E perché non lo cacciava via, scusi, quel suo segretario?

       IL PADRE: Benissimo! Lo cacciai difatti, signore! Ma vidi allora questa povera donna restarmi per casa come sperduta, come una di quelle bestie senza padrone, che si raccolgono per carità.

       LA MADRE: Eh, sfido!

       IL PADRE: (subito, voltandosi a lei, come per prevenire)Il figlio, è vero?

       LA MADRE: Mi aveva tolto prima dal petto il figlio, signore!

       IL PADRE: Ma non per crudeltà! Per farlo crescere sano e robusto, a contatto della terra!

       LA FIGLIASTRA: (additandolo, ironica) E si vede!

       IL PADRE: (subito) Ah, è anche colpa mia, se poi è cresciuto così? Lo avevo dato a balia, signore, in campagna, a una contadina, non parendomi lei forte abbastanza, benché di umili natali. E stata la stessa ragione, per cui avevo sposato lei. Ubbìe, forse; ma che ci vuol fare? Ho sempre avuto di queste maledette aspirazioni a una certa solida sanità morale! (La Figliastra, a questo puntò, scoppierà di nuovo a ridere fragorosamente.) Ma la faccia smettere! E insopportabile!

       IL CAPOCOMICO: La smetta! Mi lasci sentire, santo Dio!

       Subito, di nuovo, alla riprensione del Capocomico, ella resterà come assorta e lontana, con la risata a mezzo. Il Capocomico ridiscenderà dal palcoscenico per cogliere l’impressione della scena.

       IL PADRE: Io non potei più vedermi accanto questa donna. (Indicherà la Madre.) Ma non tanto, creda, per il fastidio, per l’afa – vera afa – che ne avevo io, quanto per la pena – una pena angosciosa – che provavo per lei.

       LA MADRE: E mi mandò via!

       IL PADRE: Ben provvista di tutto, a quell’uomo, sissignore, – per liberarla di me!

       LA MADRE: E liberarsi lui!

       IL PADRE: Sissignore, anch’io – lo ammetto! E n’è seguito un gran male. Ma a fin di bene io lo feci… e più per lei che per me: lo giuro! (Incrocerà le braccia sul petto; poi, subito, rivolgendosi alla Madre:) Ti perdei maid’occhio, di’, ti perdei mai d’occhio, finché colui non ti portò via, da un giorno all’altro, a mia insaputa, in un altro paese, scioccamente impressionato di quel mio interessamento puro, puro, signore, creda, senza il minimo secondo fine. M’interessai con una incredibile tenerezza della nuova famigliuola che le cresceva. Glielo può attestare anche lei! (Indicherà la Figliastra.)

       LA FIGLIASTRA: Eh, altro! Piccina piccina, sa? con le treccine sulle spalle e le mutandine più lunghe della gonna – piccina così – me lo vedevo davanti al portone della scuola, quando ne uscivo. Veniva a vedermi come crescevo…

       IL PADRE: Questo è perfido! Infame!

       LA FIGLIASTRA: No, perché?

       IL PADRE: Infame! Infame! (Subito, concitatamente, al Capocomico, in tono di spiegazione:) La mia casa, signore, andata via lei (indicherà la Madre), mi parve subito vuota. Era il mio incubo; ma me la riempiva! Solo, mi ritrovai per le stanze come una mosca senza capo. Quello lì (indicherà il Figlio), allevato fuori – non so – appena ritornato in casa, non mi parve più mio. Mancata tra me e lui la madre, è cresciuto per sé, a parte, senza nessuna relazione né affettiva né intellettuale con me. E allora (sarà strano, signore, ma è così), io fui incuriosito prima, poi man mano attratto verso la famigliuola di lei, sorta per opera mia: il pensiero di essa cominciò a riempire il vuoto che mi sentivo attorno. Avevo bisogno, proprio bisogno di crederla in pace, tutta intesa alle cure più semplici della vita, fortunata perché fuori e lontana dai complicati tormenti del mio spirito. E per averne una prova, andavo a vedere quella bambina all’uscita della scuola!

       LA FIGLIASTRA: Già! Mi seguiva per via: mi sorrideva e, giunta a casa, mi salutava con la mano – così! Lo guardavo con tanto d’occhi, scontrosa. Non sapevo chi fosse! Lo dissi alla mamma. E lei dovette subito capire ch’era lui (La Madre farà cenno di sì col capo.) Dapprima non volle mandarmi più a scuola, per parecchi giorni. Quando ci tornai, lo rividi all’uscita – buffo! – con un involtone di carta tra le mani. Mi s’avvicinò, mi carezzò; e trasse da quell’involto una bella, grande paglia di Firenze con una ghirlandina di roselline di maggio – per me!

       IL CAPOCOMICO: Ma tutto questo è racconto, signori miei!

       IL FIGLIO: (sprezzante) Ma sì, letteratura! letteratura!

       IL PADRE: Ma che letteratura! Questa è vita, signore! Passione!

       IL CAPOCOMICO: Sarà! Ma irrappresentabile!

       IL PADRE: D’accordo, signore! Perché tutto questo è antefatto. E io non dico di rappresentar questo. Come vede, infatti, lei (indicherà la Figliastra) non è più quella ragazzetta con le treccine sulle spalle –

       LA FIGLIASTRA: – e le mutandine fuori della gonna!

       IL PADRE: Il dramma viene adesso, signore! Nuovo, complesso –

       LA FIGLIASTRA: (cupa, fiera, facendosi avanti) – appena morto mio padre –

       IL PADRE: (subito, per non darle tempo di parlare) – la miseria, signore! Ritornano qua, a mia insaputa. Per la stolidaggine di lei. (Indicherà la Madre.) Sa scrivere appena; ma poteva farmi scrivere dalla figlia, da quel ragazzo, che erano in bisogno!

       LA MADRE: Mi dica lei, signore, se potevo indovinare in lui tutto questo sentimento.

       IL PADRE: Appunto questo è il tuo torto, di non aver mai indovinato nessuno dei miei sentimenti!

       LA MADRE: Dopo tanti anni di lontananza, e tutto ciò che era accaduto…

       IL PADRE: E che è colpa mia, se quel brav’uomo vi portò via così? (Rivolgendosi al Capocomico:) Le dico, da un giorno all’altro… perché aveva trovato fuori non so che collocamento. Non mi fu possibile rintracciarli; e allora per forza venne meno il mio interessamento, per tanti anni. Il dramma scoppia, signore, impreveduto e violento, al loro ritorno; allorché io, purtroppo, condotto dalla miseria della mia carne ancora viva… Ah, miseria, miseria veramente, per un uomo solo, che non abbia voluto legami avvilenti; non ancor tanto vecchio da poter fare a meno della donna, e non più tanto giovane da poter facilmente e senza vergogna andarne in cerca! Miseria? che dico! orrore, orrore: perché nessuna donna più gli può dare amore. – E quando si capisce questo, se ne dovrebbe fare a meno… Mah! Signore, ciascuno – fuori, davanti agli altri – è vestito di dignità: ma dentro di sé sa bene tutto ciò che nell’intimità con sé stesso si passa, d’inconfessabile. Si cede, si cede alla tentazione; per rialzarcene subito dopo, magari, con una gran fretta di ricomporre intera e solida, come una pietra su una fossa, la nostra dignità, che nasconde e seppellisce ai nostri stessi occhi ogni segno e il ricordo stesso della vergogna. È così di tutti! Manca solo il coraggio di dirle, certe cose!

       LA FIGLIASTRA: Perché quello di farle, poi, lo hanno, tutti!

       IL PADRE: Tutti! Ma di nascosto! E perciò ci vuol più coraggio a dirle! Perché basta che uno le dica – è fatta! – gli s’appioppa la taccia di cinico. Mentre non è vero, signore: è come tutti gli altri; migliore, migliore anzi, perché non ha paura di scoprire col lume dell’intelligenza il rosso della vergogna, là, nella bestialità umana, che chiude sempre gli occhi per non vederlo. La donna – ecco – la donna, infatti, com’è? Ci guarda, aizzosa, invitante. La afferri! Appena stretta, chiude subito gli occhi. È il segno della sua dedizione. Il segno con cui dice all’uomo: «Accècati, io son cieca!».

       LA FIGLIASTRA: E quando non li chiude più? Quando non sente più il bisogno di nascondere a sé stessa, chiudendo gli occhi, il rosso della sua vergogna, e invece vede, con occhi ormai aridi e impassibili, quello dell’uomo, che pur senz’amore s’è accecato? Ah, che schifo, allora, che schifo di tutte codeste complicazioni intellettuali, di tutta codesta filosofia che scopre la bestia e poi la vuol salvare, scusare… Non posso sentirlo, signore! Perché quando si è costretti a «semplificarla» la vita – così, bestialmente – buttando via tutto l’ingombro «umano» d’ogni casta aspirazione, d’ogni puro sentimento, idealità, doveri, il pudore, la vergogna, niente fa più sdegno e nausea di certi rimorsi: lagrime di coccodrillo!

       IL CAPOCOMICO: Veniamo al fatto, veniamo al fatto, signori miei! Queste son discussioni!

       IL PADRE: Ecco, sissignore! Ma un fatto è come un sacco: vuoto, non si regge. Perché si regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato. Io non potevo sapere che, morto là quell’uomo, e ritornati essi qua in miseria, per provvedere al sostentamento dei figliuoli, ella (indicherà la Madre) si fosse data attorno a lavorare da sarta, e che giusto fosse andata a prender lavoro da quella… da quella Madama Pace!

       LA FIGLIASTRA: Sarta fina, se lor signori lo vogliono sapere! Serve in apparenza le migliori signore, ma ha tutto disposto, poi, perché queste migliori signore servano viceversa a lei… senza pregiudizio delle altre così così!

       LA MADRE: Mi crederà, signore, se le dico che non mi passò neppur lontanamente per il capo il sospetto che quella megera mi dava lavoro perché aveva adocchiato mia figlia…

       LA FIGLIASTRA: Povera mamma! Sa, signore, che cosa faceva quella lì, appena le riportavo il lavoro fatto da lei? Mi faceva notare la roba che aveva sciupata, dandola a cucire a mia madre; e diffalcava, diffalcava. Cosicché, lei capisce, pagavo io, mentre quella poverina credeva di sacrificarsi per me e per quei due, cucendo anche di notte la roba di Madama Pace!

       Azione ed esclamazioni di sdegno degli Attori.

       IL CAPOCOMICO: (subito) E là, lei, un giorno, incontrò –

       LA FIGLIASTRA: (indicando il Padre) – lui, lui, sissignore! vecchio cliente! Vedrà che scena da rappresentare! Superba!

       IL PADRE: Col sopravvenire di lei, della madre –

       LA FIGLIASTRA: (subito, perfidamente) – quasi a tempo! –

       IL PADRE: (gridando) – no, a tempo, a tempo! Perché, per fortuna, la riconosco a tempo! E me li riporto tutti a casa, signore! Lei s’immagini, ora, la situazione mia e la sua, una di fronte all’altro: ella, così come la vede; e io che non posso più alzarle gli occhi in faccia!

       LA FIGLIASTRA: Buffissimo! Ma possibile, signore, pretendere da me – «dopo» – che me ne stessi come una signorinetta modesta, bene allevata e virtuosa, d’accordo con le sue maledette aspirazioni «a una solida sanità morale»?

       IL PADRE: Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi – veda – si crede «uno» ma non è vero: è «tanti», signore, «tanti», secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: «uno» con questo, «uno» con quello – diversissimi! E con l’illusione, intanto, d’esser sempre «uno per tutti», e sempre «quest’uno» che ci crediamo, in ogni nostro atto. Non è vero! non è vero! Ce n’accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all’improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non esser tutti in quell’atto, e che dunque un’atroce ingiustizia sarebbe giudicarci da quello solo, tenerci agganciati e sospesi, alla gogna, per un’intera esistenza, come se questa fosse assommata tutta in quell’atto! Ora lei intende la perfidia di questa ragazza? M’ha sorpreso in un luogo, in un atto, dove e come non doveva conoscermi, come io non potevo essere per lei; e mi vuol dare una realtà, quale io non potevo mai aspettarmi che dovessi assumere per lei, in un momento fugace, vergognoso, della mia vita! Questo, questo, signore, io sento sopratutto. E vedrà che da questo il dramma acquisterà un grandissimo valore. Ma c’è poi la situazione degli altri! Quella sua… (Indicherà il Figlio.)

       IL FIGLIO: (scrollandosi sdegnosamente) Ma lascia star me, ché io non c’entro!

       IL PADRE: Come non c’entri?

       IL FIGLIO: Non c’entro, e non voglio entrarci, perché sai bene che non son fatto per figurare qua in mezzo a voi!

       LA FIGLIASTRA: Gente volgare, noi! – Lui, fino! – Ma lei può vedere, signore, che tante volte io lo guardo per inchiodarlo col mio disprezzo, e tante volte egli abbassa gli occhi – perché sa il male che m’ha fatto.

       IL FIGLIO: (guardandola appena) Io?

       LA FIGLIASTRA: Tu! tu! Lo devo a te, caro, il marciapiedi! a te! (Azione d’orrore degli Attori.) Vietasti, sì o no, col tuo contegno – non dico l’intimità della casa – ma quella carità che leva d’impaccio gli ospiti? Fummo gli intrusi, che venivamo a invadere il regno della tua «legittimità»! Signore, vorrei farlo assistere a certe scenette a quattr’occhi tra me e lui! Dice che ho tiranneggiato tutti. Ma vede? È stato proprio per codesto suo contegno, se mi sono avvalsa di quella ragione ch’egli chiama «vile»; la ragione per cui entrai nella casa di lui con mia madre – che è anche sua madre – da padrona!

       IL FIGLIO: (facendosi avanti lentamente) Hanno tutti buongiuoco, signore, una parte facile tutti contro di me. Ma lei s’immagini un figlio, a cui un bel giorno, mentre se ne sta tranquillo a casa, tocchi di veder arrivare, tutta spavalda, così, «con gli occhi alti», una signorina che gli chiede del padre, a cui ha da dire non so che cosa; e poi la vede ritornare, sempre con la stess’aria, accompagnata da quella piccolina là; e infine trattare il padre – chi sa perché – in un modo molto ambiguo e «sbrigativo» chiedendo danaro, con un tono che lascia supporre che lui deve, deve darlo, perché ha tutto l’obbligo di darlo –

       IL PADRE: – ma l’ho difatti davvero, quest’obbligo: è per tua madre!

       IL FIGLIO: E che ne so io? Quando mai l’ho veduta, io, signore? Quando mai ne ho sentito parlare? Me la vedo comparire, un giorno, con lei (indicherà la Figliastra), con quel ragazzo, con quella bambina; mi dicono: «Oh sai? è anche tua madre!». Riesco a intravedere dai suoi modi (indicherà di nuovo la Figliastra) per qual motivo, così da un giorno all’altro, sono entrati in casa… Signore, quello che io provo, quello che sento, non posso e non voglio esprimerlo. Potrei al massimo confidarlo, e non vorrei neanche a me stesso. Non può dunque dar luogo, come vede, a nessuna azione da parte mia. Creda, creda, signore, che io sono un personaggio non «realizzato» drammaticamente; e che sto male, malissimo, in loro compagnia! – Mi lascino stare!

       IL PADRE: Ma come? Scusa! Se proprio perché tu sei così –

       IL FIGLIO: (con esasperazione violenta) – e che ne sai tu, come sono? quando mai ti sei curato di me?

       IL PADRE: Ammesso! Ammesso! E non è una situazione anche questa? Questo tuo appartarti, così crudele per me, per tua madre che, rientrata in casa, ti vede quasi per la prima volta, così grande, e non ti conosce, ma sa che tu sei suo figlio… (Additando la Madre al Capocomico:) Eccola, guardi: piange!

       LA FIGLIASTRA: (con rabbia, pestando un piede) Come una stupida!

       IL PADRE: (subito additando anche lei al Capocomico) E lei non può soffrirlo, si sa! (Tornando a riferirsi al Figlio:) – Dice che non c’entra, mentre è lui quasi il perno dell’azione! Guardi quel ragazzo, che se ne sta sempre presso la madre, sbigottito, umiliato… È così per causa di lui! Forse la situazione più penosa è la sua: si sente estraneo, più di tutti; e prova, poverino, una mortificazione angosciosa di essere accolto in casa – così per carità… (In confidenza:) Somiglia tutto al padre! Umile; non parla…

       IL CAPOCOMICO: Eh, ma non è mica bello! Lei non sa che impaccio dànno i ragazzi sulla scena.

       IL PADRE: Oh, ma lui glielo leva subito, l’impaccio, sa! E anche quella bambina, che è anzi la prima ad andarsene…

       IL CAPOCOMICO: Benissimo, sì! E le assicuro che tutto questo m’interessa, m’interessa vivamente. Intuisco, intuisco che c’è materia da cavarne un bel dramma!

       LA FIGLIASTRA: (tentando d’intromettersi) Con un personaggio come me!

       IL PADRE: (scacciandola, tutto in ansia come sarà, per la decisione del Capocomico) Stai zitta, tu!

       IL CAPOCOMICO: (seguitando, senza badare all’interruzione) Nuova, sì…

       IL PADRE: Eh, novissima, signore!

       IL CAPOCOMICO: Ci vuole un bel coraggio però – dico – venire a buttarmelo davanti così…

       IL PADRE: Capirà, signore: nati, come siamo, per la scena…

       IL CAPOCOMICO: Sono comici dilettanti?

       IL PADRE: No: dico nati per la scena, perché…

       IL CAPOCOMICO: Eh via, lei deve aver recitato!

       IL PADRE: Ma no, signore: quel tanto che ciascuno recita nella parte che si è assegnata, o che gli altri gli hanno assegnato nella vita. E in me, poi, è la passione stessa, veda, che diventa sempre, da sé, appena si esalti – come in tutti – un po’ teatrale…

       IL CAPOCOMICO: Lasciamo andare, lasciamo andare! – Capirà, caro signore, che senza l’autore… – Io potrei indirizzarla a qualcuno…

       IL PADRE: Ma no, guardi: sia lei!

       IL CAPOCOMICO: Io? Ma che dice?

       IL PADRE: Sì, lei! lei! Perché no?

       IL CAPOCOMICO: Perché non ho mai fatto l’autore, io!

       IL PADRE: E non potrebbe farlo adesso, scusi? Non ci vuol niente. Lo fanno tanti! Il suo compito è facilitato dal fatto che siamo qua, tutti, vivi davanti a lei.

       IL CAPOCOMICO: Ma non basta!

       IL PADRE: Come non basta? Vedendoci vivere il nostro dramma…

       IL CAPOCOMICO: Già! Ma ci vorrà sempre qualcuno che lo scriva!

       IL PADRE: No – che lo trascriva, se mai, avendolo così davanti – in azione – scena per scena. Basterà stendere in prima, appena appena, una traccia – e provare!

       IL CAPOCOMICO: (risalendo, tentato, sul palcoscenico)Eh… quasi quasi, mi tenta… Così, per un giuoco… Si potrebbe veramente provare… –

       IL PADRE: Ma sì, signore! Vedrà che scene verranno fuori! Gliele posso segnar subito io!

       IL CAPOCOMICO: Mi tenta… mi tenta. Proviamo un po’… Venga qua con me nel mio camerino. (Rivolgendosi agli Attori:) – Loro restano per un momento in libertà; ma non s’allontanino di molto. Fra un quarto d’ora, venti minuti, siano di nuovo qua. (Al Padre:) Vediamo, tentiamo… Forse potrà venir fuori veramente qualcosa di straordinario…

       IL PADRE: Ma senza dubbio! Sarà meglio, non crede? far venire anche loro. (Indicherà gli altri Personaggi.)

       IL CAPOCOMICO: Sì, vengano, vengano! (S’avvierà; ma poi tornando a rivolgersi agli Attori:) – Mi raccomando, eh! puntuali. Fra un quarto d’ora.

       Il Capocomico e i Sei Personaggi attraverseranno il palcoscenico e scompariranno. Gli Attori resteranno, come storditi, a guardarsi tra loro.

       IL PRIMO ATTORE: Ma dice sul serio? Che vuol fare?

       L’ATTOR GIOVANE: Questa è pazzia bell’e buona!

       UN TERZO ATTORE: Ci vuol fare improvvisare un dramma, così su due piedi?

       L’ATTOR GIOVANE: Già! Come i Comici dell’Arte!

       LA PRIMA ATTRICE: Ah, se crede che io debba prestarmi a simili scherzi…

       L’ATTRICE GIOVANE: Ma non ci sto neanch’io!

       UN QUARTO ATTORE: Vorrei sapere chi sono quei là. (Alluderà ai Personaggi.)

       IL TERZO ATTORE: Che vuoi che siano! Pazzi o imbroglioni!

       L’ATTOR GIOVANE: E lui si presta a dar loro ascolto?

       L’ATTRICE GIOVANE: La vanità! La vanità di figurare da autore…

       IL PRIMO ATTORE: Ma cose inaudite! Se il teatro, signori miei, deve ridursi a questo…

       UN QUINTO ATTORE: Io mi ci diverto!

       IL TERZO ATTORE: Mah! Dopo tutto, stiamo a vedere che cosa ne nasce.

       E così conversando tra loro, gli Attori sgombreranno il palcoscenico, parte uscendo dalla porticina in fondo, parte rientrando nei loro camerini.

       Il sipario resterà alzato.

       La rappresentazione sarà interrotta per una ventina di minuti.

1921 – Sei personaggi in cerca d’autore – Commedia da fare
Premessa, Articolo
Prefazione dell’Autore
Personaggi, Inizio
Dopo la pausa
Si riapre il sipario

In English – Six characters in search of an author
En Español – Seis personajes en busca de autor

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