La macchina e la maschera: gli inganni della modernità nei “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”

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Di Marcella Strazzuso

Molti sono i nuclei tematici presenti nel romanzo e imposti dallo scontro con la modernità: la rappresentazione di un mondo parcellizzato e convulso; la presenza di soggetti scorporati dalla realtà; la vita caotica delle città; il dualismo realtà-finzione […]

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Saggio - Quaderni di Serafino Gubbio
Immagine dal Web

La macchina e la maschera: gli inganni della modernità
nei “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”

Atti del XII Congresso dell’Associazione degli Italianisti, Roma, 17-20 settembre 2008

da ADI – Associazione degli Italianisti Italiani
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Proporre la lettura dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore in un contesto didattico ritengo sia una bella scommessa per chi fa il lavoro dell’insegnante. Il romanzo è in genere poco frequentato nelle scuole e pochissimo antologizzato; a torto, in quanto in esso Pirandello organizza una  compiuta riflessione sulla modernità.
I Quaderni non sono solo un conte philosophique sul cinema, ma attorno all’immagine di questa invenzione si condensano i miti e gli inganni di un’intera epoca storica. Il cinema assume infatti nel romanzo una forte valenza simbolica sia come emblema di tutto il macchinismo spersonalizzante del mondo contemporaneo sia perché mediante la riproducibilità delle tecniche industriali di cui si avvale altera l’idea tradizionale dell’opera d’arte unica e irripetibile.
La lettura del testo potrebbe pertanto consentire un’utile messa a fuoco della realtà sociale ed economica del primo Novecento, segnata da forti cambiamenti.
Inoltre, considerata l’attuale centralità del cinema quale mezzo di intrattenimento culturale e la sua frequentazione da parte del pubblico giovanile, conoscerne gli inizi, sui quali Pirandello fornisce numerosi dettagli, potrebbe essere di qualche  interesse per gli studenti.

Molti sono i nuclei tematici presenti nel romanzo e imposti dallo scontro con la modernità: la rappresentazione di un mondo parcellizzato e convulso; la presenza di soggetti scorporati dalla realtà (Serafino è privo di connotati fisionomici e per ultimo anche della voce); la vita caotica delle città; il dualismo realtà-finzione (il cinema è metafora di una realtà fittizia in cui tutti recitano una parte); la volgarità e stupidità della società moderna (il mondo fatuo degli attori ne è una lettura umoristica); l’emarginazione dell’intellettuale in una realtà tecnologica.
E ancora la maschera, l’oltre, il doppio, il valore salvifico della scrittura. Tutti riconducibili a quello più ampio della meccanizzazione della realtà, oggi di grande attualità per la presenza massiccia delle macchine nella vita quotidiana.
E proprio sul tema della “macchina” si articola questa proposta di percorso che attraversa il romanzo di Pirandello e in parte l’oltrepassa mettendo in gioco altri testi  dello scrittore e di autori a lui contemporanei.

I Quaderni si aprono, infatti,  con un’invettiva contro l’accelerazione della vita cittadina, definita essa stessa, da Pirandello, “congegno meccanico” che fragorosamente e vertiginosamente affaccenda l’uomo senza requie impedendogli una reale consapevolezza delle proprie azioni e l’attribuzione di un senso alla vita. Sebbene esista un oltre in tutto, gli uomini spesso si rifiutano di vederlo o, se ne avvertono il bagliore, si turbano ed irritano.
L’umanità appare ridotta in “tale stato di follia, che presto proromperà frenetica a sconvolgere e a distruggere tutto”
Prefigurazione della catastrofe finale è la rappresentazione notturna della città (i “riflessi serpentini dei lumi dei ponti”, “l’acqua nera e misteriosa del fiume”, “i riverberi rossastri dei fanali”) che raggiunge l’apice nella descrizione dell’ospizio di mendicità dove si aggira un’umanità reietta e sperduta. Lì sperimentano la propria emarginazione anche gli intellettuali: Simone Pau e il suonatore di violino, l’uomo che è “il simbolo della sorte miserabile a cui il continuo progresso condanna l’umanità”.
Nel romanzo si susseguono i riferimenti ai reali congegni meccanici di nuova invenzione che asserviscono l’uomo divorandone l’anima. Dall’orologio alla monotype, al pianoforte automatico all’automobile e, soprattutto, alla macchina da presa che assume nel romanzo una centralità negativa. Infatti, in quanto strumento meccanico, la sua pretesa di cogliere e fissare la realtà non fa che uccidere la vita e  l’arte stessa che  della vita è rappresentazione.
Nel testo la negatività della macchina si traduce in una sua trasformazione zoomorfa. E se la monotype è  “un pachiderma  piatto, nero, basso; una bestiaccia mostruosa”, la macchina da presa “pare sul treppiedi a gambe rientranti un grosso ragno in agguato”  che “succhia e assorbe” la realtà viva.
Attraverso la macchina da presa Pirandello rende tangibile la trasformazione dell’uomo-macchina. Serafino infatti è soltanto una mano che gira una manovella. Ha perso tutta la sua umanità.

Nelle pagine conclusive del romanzo, riprendendo lo sbranamento della tigre, la macchina rivolgerà la sua carica aggressiva contro l’uomo che l’ha creata, e il conseguente silenzio dell’operatore manifesterà il completo asservimento al suo potere.
Le macchine dunque esautorano l’uomo che da poeta che era, “buttati via i sentimenti” “s’è messo a fabbricar di ferro, d’acciajo”, divenendo schiavo di  nuove divinità. Questo si verifica anche quando le macchine sembrano voler semplificargli la vita, come nel caso dei mezzi di trasporto che nell’immaginario pirandelliano occupano un posto significativo.
Noto è il passo del terzo Quaderno giocato sulla contrapposizione automobile-carrozzella in cui i due oggetti si caricano rispettivamente di sensi negativi e positivi. Si tratta di un’immagine comica che visualizza l’intuizione che è alla base del romanzo e cioè il mutamento prospettico indotto nell’uomo moderno dall’avvento della macchina.
Stessa diffidenza si ritrova nei confronti del tram elettrico che nel Fu Mattia Pascal (1904), capitolo IX, diviene il simbolo di quello “stordimento di macchine”che domina la realtà quotidiana e nasconde la natura illusoria del progresso con la sua assurda pretesa di felicità.
Anche l’aereo è tra i bersagli dello scrittore. Nella novella Canta l’epistola (1911) l’uccello meccanico viene posto a confronto con un uccellino vero. Confronto che si ritrova in parte manipolato in un’altra novella di Pirandello, La trappola (1915), e  nel romanzo Uno, nessuno e centomila (1925), capitolo X (L’uccellino ) del libro II.
Ma mentre l’uccellino vola lieve e gioioso, l’aeroplano appare goffo e rumoroso.

Anche nel caso di Canta l’Epistola si tratta di un testo che difficilmente viene letto in classe sebbene presenti elementi d’interesse. Primo fra tutti la rappresentazione del protagonista che incarna l’altra faccia del personaggio pirandelliano, quello privo di maschera e pertanto fuori posto nella società. Canta l’Epistola è un ingenuo, un po’ come Ciàula, che scopre l’unicità di un filo d’erba allo steso modo in cui Ciàula scopre la luna.
Nella novella si rintraccia inoltre la presenza di una realtà oppositiva al mondo industrializzato, quella di una natura, ancora per poco incontaminata, depositaria  di valori maggiormente consoni alla dimensione umana.
Anche nei Quaderni è presente una sensibilità “ecologica”  – oggi di estrema attualità – che si concretizza nella rappresentazione del mondo dell’infanzia e della campagna presente nel II Quaderno. Si tratta di un campo semantico abbastanza frequentato nei primi anni del Novecento, che rimanda, ad esempio, a certa poesia di Pascoli e dei crepuscolari.

Sui temi della modernità e in particolare sull’avvento della macchina si confrontano altri autori contemporanei di Pirandello, in primo luogo i futuristi il cui approccio alle nuove realtà, diversamente  dallo scrittore siciliano, è caratterizzato da altisonanti toni celebrativi
Marinetti nel Primo manifesto del futurismo (1909) teorizza una nuova arte omologa alla società industriale più avanzata, che deve partire dal presente, dalla vita della grande città moderna e deve esaltare la bellezza della velocità e della macchina.
Nel testo è presente l’immagine di “un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo”, mentre successivamente viene sottolineata l’urgenza di cantare “i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera  e sembra applaudire come una folla entusiasta.”
Si è di fronte ad una macchina senziente la cui rappresentazione è vicina allo zoomorfismo pirandelliano.
Ma Marinetti va ancora oltre con la scandalosa proposta di un uomo meccanizzato, diverso dall’uomo-macchina Serafino.
In L’uomo moltiplicato e il Regno delle macchine (1910) lo scrittore afferma la necessità  di “preparare l’imminente e inevitabile identificazione dell’uomo col motore, facilitando e perfezionando uno scambio incessante di intuizione, di ritmo, d’istinto e di disciplina metallica”. E dichiara la sua fiducia nella  “possibilità di un numero incalcolabile di trasformazioni umane”  dichiarando “ senza sorridere che nella carne dell’uomo dormono le ali.” Il risultato di un simile sforzo sarà l’Uomo Moltiplicato, il “tipo non umano e meccanico” che “non conoscerà la tragedia della vecchiaia”.
Da qui alla fantascienza il passo è breve. Basti pensare a  Blade Runner di Ridley Scott, film del 1982, in cui il replicante, immerso in  un’umanità globalizzata e alienata, che vive alla giornata in brulicanti metropoli,  assume le sembianze dell’unico essere autenticamente umano.

Sulla stessa lunghezza d’onda di Pirandello anzi oltre, in uno scenario in cui la tecnica sfuggita al controllo umano produce i suoi esiti più devastanti si trova invece Svevo la cui profezia a conclusione della Coscienza di Zeno (1923), ha un sapore fantascientifico.
Secondo l’autore la società attuale basata sul possesso degli “ordigni” ha preso una direzione contraria alla natura ed è diventata luogo dell’inautenticità, condannata alla disgregazione e alla catastrofe e la macchina, che inizialmente era una promulgazione del “braccio dell’uomo”, adesso “non ha più alcuna relazione con l’arto” e si è sostituita all’uomo nella gestione degli eventi conducendolo alla sua distruzione.
Tale scenario negativo, comune ad entrambi i romanzi, è però attraversato da un filo di speranza. Per fortuna per l’uno e l’altro scrittore esistono le “stelle”, anche se  gli uomini spesso dimenticano di guardarle.

Nella Coscienza di Zeno, nell’episodio della morte del padre, il padre di Zeno poco prima di morire, dalla finestra della sua stanza guarda il cielo stellato ed invita il figlio ad ammirarlo con lui, senza riuscirvi. Nei Quaderni, dopo il colloquio finale con Aldo Nuti, Serafino sa che, se vuole, può aprire la finestra e contemplare il cielo e vorrebbe suggerire al Nuti, schiacciato dalla tristezza, di guardare le stelle perché “contemplandole, s’inabissa la nostra inferma piccolezza, sparisce nella vacuità degli spazii, e non può non sembrarci misera e vana ogni ragione di tormento”, ma sa anche che, se lo facesse, il Nuti lo caccerebbe “a modo di un cane”.
Le stelle, come anche  il filo d’erba di Canta l’Epistola e la luna di Ciaula, sebbene nei testi costituiscano delle occasione mancate, rappresentano un’opportunità di riscatto e funzionano in parte come correttivi del pessimismo degli autori.

Marcella Strazzuso

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