Legge Giuseppe Tizza.
«Sai da che nasce questa illusione, amico mio? Dal fatto che crediamo in buona fede d’esser tutti, ogni volta, in ogni nostro atto; mentre purtroppo non è così.»
Prima pubblicazione: Prima pubblicazione: Corriere della Sera, 4 febbraio 1912.
Risposta
Voce di Giuseppe Tizza
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Ti sei sfogato bene, amico mio!
Veramente è da rimpiangere che tu, facendo violenza alla tua nativa disposizione, non abbia potuto dedicarti alle Muse. Quanto calore nelle tue espressioni, e con quale trasparente evidenza, in pochi tocchi, fai balzar vivi innanzi agli occhi luoghi, fatti e persone!
Sei addolorato, sei indignato, povero Marino mio; e non vorrei che questa mia risposta ti accrescesse il dolore e l’indignazione. Ma tu vuoi che io ti esponga francamente quel che penso del tuo caso. Lo farò per contentarti, pur essendo sicuro che non ti contenterò
Seguo il mio metodo, se permetti. Prima, riassumo in breve i fatti, poi ti espongo, con la franchezza che desideri, il mio parere.
Dunque, con ordine.
I. Persone, connotati e condizioni,
a) La signorina Anita. – Ventisei anni (ne dimostra appena venti; va bene; ma sono intanto ventisei e sonati). Bruna; occhi notturni:
Negli occhi suoi la notte si raccoglie,
profonda…
Labbra di corallo; e va bene.
Ma il naso, amico mio? Tu non mi parli del naso. Alle brune, innanzi tutto, guardare il naso; e segnatamente le pinne del naso.
Io sono sicuro che la signorina Anita l’ha un po’ in su. Non dico brutto; di ciamo anzi nasino; ma in su. E con due pinne piuttosto carnosette, che le si dilatano molto, quando serra i denti, quando fissa gli occhi nel vuoto e trae per le nari un lungo lungo sospiro silenzioso.
Hai notato come gli occhi le si velano e le cangiano di colore, quando trae qualcuno di questi sospiri silenziosi?
Ha molto sofferto la signorina Anita, perché molto intelligente. Era agiata, quando il padre era vivo; ora, morto il padre, è povera. E venti sei anni. Nasino ritto e occhi notturni.
Andiamo avanti.
b) Il mio amico Marino. – Ventiquattro anni, due di meno della signorina Anita, che forse perciò ne dimostra appena venti.
Povero anche lui; orfano di padre anche lui. Cose tristi, ma care quando si hanno in comune con una persona cara. Identità, che pajono predestinazioni!
Ma l’amico Marino, orfano e povero com’è, ha la mamma e una sorella da mantenere. Orfana e povera, la signorina Anita ha anche lei la mamma, ma non la mantiene.
Pensa al mantenimento il commendator Ballesi.
Il mio amico Marino odia, naturalmente, questo commendator Ballesi. Testa accesa, cuore ardente. Facilissima loquela, colorita, affascinante, come
lo sguardo dei begli occhi cerulei. Diciamo che il mio amico Marino è il giorno e che la signorina Anita è la notte. Quello ha il biondo del sole nei capelli e il cielo azzurro negli occhi; questa, negli occhi, due stelle, e nei capelli la notte. Mi pare che, parlando con un poeta, non potrei esprimermi meglio di così.
Proseguiamo.
Costretto dalla necessità a esser saggio, l’amico Marino non può commettere la follia, finché durano le presenti condizioni (e dureranno per un pezzo!), di assumersi il fardello di un’altra donna; e deve lasciar quella che meno gli peserebbe.
Forse questo terzo peso gli farebbe sentir più lievi quegli altri due, ch’egli non può, né oserebbe mai togliersi d’addosso.
Ma c’è chi pensa che in tre sulle spalle di uno non si può star comodamente e di buon accordo. E anch’egli, saggio per forza, deve riconoscerlo.
c) Il commendator Ballesi. – Vecchio amico della buon’anima. S’intende, del babbo d’Anita. Sessantasei anni. Piccoletto, fino fino; gambette come due dita, ma armate da tacchettini imperiosi. Testa grossa, grossi baffi spioventi, sotto i quali sparisce non solo la bocca, ma anche il mento, dato che si possa dire che il commendator Ballesi abbia davvero un mento. Folte ciglia sempre aggrottate, e un dito spesso nel naso. Quel dito pensa. Pensano anche i peli delle sue sopracciglia. E come un cannoncino carico di pensieri, il commendator Ballesi. Le sorti finanziarie della nuova Italia sono ne’ suoi piccoli pugni ferrigni.
Ora, non si sa come né perché, tutt’a un tratto il commendator Ballesi ha creduto di dover cangiare l’amor paterno per la signorina Anita in un amore d’altro genere. E l’ha chiesta in isposa.
La signorina Anita ha strappato parecchi fazzoletti, con le mani e coi denti. Più che sdegno, ha provato onta, ribrezzo, orrore. La mamma ha pianto. Perché ha pianto la mamma? Per la gioja, ha detto. Ma di gioja, ammesso che si pianga, si piange poco, e poi si ride. La mamma della signorina Anita ha pianto molto e non ride più. Honni soit qui mal y pense.
E veniamo all’ultimo personaggio.
d) Nicolino Respi. – Trent’anni, solido, atletico, nuotatore e cavalcatore famoso, canottiere, spadaccino; e poi impudente, ignorante come un pollo d’India, biscazziere, donnajolo… Di’ su, di’ su, amico mio: te le passo tutte. Conosco Nicolino Respi e condivido i tuoi apprezzamenti e la tua indignazione. Ma non credere, con questo, che gli dia torto.
Do dunque torto a te? No. Alla signorina Anita? Neppure. Oh Dio, lasciami dire, lasciami seguire il mio metodo. Credi, amico mio, che il tuo caso è vecchissimo. Di nuovo, di originale, qui, non c’è altro che il mio metodo, e la spiegazione che ti darò.
Proseguiamo per ordine.
II. Il luogo e il fatto. La spiaggia d’Anzio, d’estate, in una notte di luna.
Me n’hai fatto una tale descrizione, che non m’arrischio a descriverla anch’io. Soltanto, troppe stelle, caro. Con la luna quasi in quintadecima, se ne vedono poche. Ma un poeta può anche non badare a queste cose, che son di fatto. Un poeta può veder le stelle anche quando non si vedono, e viceversa poi non vedere tant’altre cose, che tutti gli altri vedono.
Il commendator Ballesi ha preso in affitto un villino su la spiaggia, e la signorina Anita è con la mamma ai bagni.
Occupato a Roma, il Commendatore va e viene. Nicolino Respi è fisso ad Anzio, per i bagni e per la bisca; e dà ogni mattina, in acqua, e ogni sera al tappeto verde, spettacolo delle sue bravure.
La signorina Anita ha bisogno di smorzare la fiamma dello sdegno, e s’indugia perciò molto nel bagno. Non può competere certamente con Nicolino Respi, ma tuttavia, da brava nuotatrice, una mattina s’allontana, in gara con
lui, dalla spiaggia. Vanno e vanno. Tutti i bagnanti seguono ansiosi dalla spiaggia quella gara, prima a occhio nudo, poi coi binocoli.
La mamma, a un certo punto, non vuole più guardare; comincia a smaniare, a trepidare. Oh Dio, come farà adesso la figliuola a ritornare a nuoto da così lontano? Certo la lena non le basterà… Oh Dio, oh Dio! Dov’è? Dio, com’è lontana… non si vede più… Bisogna mandare subito un ajuto, per carità! una lancia, una lancia! qualcuno subito in ajuto!
E tanto fa e tanto dice, che alla fine due bravi giovanotti balzano eroicamente su una lancia, e via a quattro remi.
Santa ispirazione! Perché la signorina Anita, poco dopo che i giovani sono partiti, è colta da un crampo a una gamba, e dà un grido; Nicolino Respi accorre con due bracciate e la sorregge; ma la signorina Anita è per svenire e gli s’aggrappa al collo disperatamente; Nicolino si vede perduto; sta per affogare con lei; nella rabbia, per farsi lasciare, le dà un morso feroce al collo. Allora la signorina Anita s’abbandona inerte; egli può sostenerla; le forze stanno per mancargli quando la lancia sopravviene. Il salvataggio è compiuto.
Ma la signorina Anita deve curarsi per più d’una settimana del morso al collo di Nicolino Respi.
Sono impressioni che rimangono, Marino mio!
Per parecchi giorni la signorina Anita, appena muove il collo, non può negare che Nicolino Respi morde bene. E quel morso non può dispiacerle, perché deve a esso la sua salvezza.
Tutto questo è, veramente, antefatto.
Eppure no, forse. È e non è. Perché tutto sta dove e come si tagliano i fatti.
Quando tu, Marino mio, nella magnifica sera di luna arrivasti ad Anzio con la morte nel cuore, per avere un ultimo abboccamento con la signorina Anita già ufficialmente fidanzata al commendator Ballesi, ella aveva ancora nel collo l’impressione dei denti di Nicolino Respi.
Per tua stessa confessione, ella ti seguì docile lungo la spiaggia, si perdette con te nella lontananza delle sabbie deserte, fino al grande scoglio inarenato, laggiù laggiù. Tutti e due, sotto la luna, a braccetto, inebriati dalla brezza marina, storditi dal sommesso perpetuo fragorio delle spume d’argento.
Che le dicesti? Lo so, tutto il tuo amore e tutto il tuo tormento; e le proponesti di ribellarsi all’infame imposizione di quel vecchio odioso e di accettare la tua povertà.
Ma ella, amico mio, infiammata, sconvolta, straziata dalle tue parole, non poteva accettare la tua povertà; voleva sì, invece, accettare il tuo amore e vendicarsi con esso anticipatamente, quella sera stessa, dell’infame imposizione del vecchio, che sopra di lei, così, da usurajo, voleva pagarsi dei lunghi benefizi.
Tu, onestamente, nobilmente, le hai impedito questa vendetta.
Amico mio, ti credo: sarai scappato via come un pazzo. Ma alla signorina Anita, rimasta sola lì, su la sabbia, all’ombra dello scoglio, non sembrasti un pazzo, te l’assicuro io, in quella fuga scomposta lungo la spiaggia, sotto la luna. Sembrasti uno sciocco e un villano.
E purtroppo, povero Marino, su quello scoglio, quella sera, a godersi zitto zitto, in grazia delle tasche vuote, il bel chiaro di luna, e poi anche lo spettacolo della tua fuga, c’era Nicolino Respi, quello del morso e del salvataggio.
Gli bastarono tre parole e una risata, di lassù:
– Che sciocco, è vero, signorina?
E saltò giù.
Tu avesti, poco dopo, la soddisfazione di sorprendere, insieme col commendator Ballesi, arrivato tardi da Roma in automobile, Nicolino Respi, sotto la luna, a braccetto con la signorina Anita.
Tu, nell’andata, e lui nel ritorno. Più dolce l’andata o il ritorno?
Ed ecco, amico mio, che viene adesso il punto originale.
III. Spiegazione. Tu credi, caro Marino, d’aver sofferto un’atroce disillusione, perché hai veduto all’improvviso la signorina Anita orribilmente diversa da quella che conoscevi tu, da quella ch’era per te. Sei ben certo, adesso, che la signorina Anita era un’altra.
Benissimo. Un’altra, la signorina Anita è di certo. Non solo; ma anche tante e tante altre, amico mio, quanti e quanti altri son quelli che la conoscono e che lei conosce. Il tuo errore fondamentale, sai dove consiste? Nel credere che, pur essendo un’altra per come tu credi, e tante altre per come credo io, la signorina Anita non sia anche, tuttora, quella che conoscevi tu.
La signorina Anita è quella, e un’altra, e anche tante altre, perché vorrai ammettere che quella che è per me non sia quella che è per te, quella che è per sua madre, quella che è per il commendator Ballesi, e per tutti gli altri che la conoscono, ciascuno a suo modo.
Ora, guarda. Ciascuno, per come la conosce, le dà – è vero? – una realtà. Tante realtà, dunque, amico mio, che fanno «realmente», e non per modo di dire, la signorina Anita una per te, una per me, una per la madre, una per il commendator Ballesi, e via dicendo; pur avendo l’illusione ciascuno di noi che la vera signorina Anita sia quella sola che conosciamo noi; e anche lei, anzi lei soprattutto, l’illusione d’esser una, sempre la stessa, per tutti.
Sai da che nasce questa illusione, amico mio? Dal fatto che crediamo in buona fede d’esser tutti, ogni volta, in ogni nostro atto; mentre purtroppo non è così. Ce ne accorgiamo quando, per un caso disgraziatissimo, all’improvviso restiamo agganciati e sospesi a un atto solo tra i tanti che commettiamo; ci accorgiamo bene, voglio dire, di non esser tutti in quell’atto, e che un’atroce ingiustizia sarebbe giudicarci da quello solo, tenerci agganciati e sospesi a esso, alla gogna, per l’intera esistenza, come se questa fosse tutta assommata in quell’atto solo.
Ora questa ingiustizia appunto stai commettendo tu, amico mio, contro la signorina Anita.
L’hai sorpresa in una realtà diversa da quella che le davi tu, e vuoi credere adesso, che la sua vera realtà non sia quella bella che tu le davi prima, ma questa brutta in cui l’hai sorpresa insieme col commendator Ballesi di ritorno dallo scoglio con Nicolino Respi.
Non per nulla, amico mio, guarda, tu non mi hai parlato del nasino all’insù della signorina Anita!
Quel nasino non ti apparteneva. Quel nasino non era della tua Anita. Erano tuoi gli occhi notturni, il cuore appassionato, la raffinata intelligenza di lei. Non quel nasino ardito dalle pinne piuttosto carnosette.
Quel nasino fremeva ancora al ricordo del morso di Nicolino Respi. Quel nasino voleva vendicarsi dell’odiosa imposizione del vecchio commendator Ballesi. Tu non gli hai permesso di fare con te la sua vendetta, e allora essa l’ha fatta con Nicolino.
Chi sa come piangono adesso quegli occhi notturni, e come sanguina quel cuore appassionato, e come si rivolta quella raffinata intelligenza: voglio dire tutto quello che di lei appartiene a te.
Ah, credi, Marino, fu assai più dolce per lei l’andata con te allo scoglio, che il ritorno da esso con Nicolino Respi.
Bisogna che tu te ne persuada e ti disponga a imitare il Commendatore, il quale – vedrai – perdonerà e sposerà la signorina Anita.
Ma non pretendere che ella sia una e tutta per te. Sarà una e tutta per te sincerissimamente: e un’altra per il commendator Ballesi, non meno sinceramente. Perché non c’è una sola signorina o signora Anita, amico mio.
Non sarà bello, ma è così.
E procura che Nicolino Respi, mostrando i denti, non vada a far visita a quel nasino all’insù.
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