Di Pietro Seddio.
Scopo di questa analisi quella di entrare nella mente dell’autore arrogandoci il diritto di formulare, molto probabilmente, una semplice ma complessa domanda: quale teatro intese sviluppare durante la sua carriera letteraria, già sapendo che per molto tempo dichiarò pubblicamente che mai a questa forma d’arte si sarebbe avvicinato considerato che non lo interessava affatto?
Quale teatro?
Secondo Luigi Pirandello
“Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!”.
Luigi Pirandello
NOTA
Da quando Luigi Pirandello è comparso sulla scena letteraria, diventando il grande autore celebrato, studiato, imitato, criticato, lodato, ecc., nel corso degli anni sono stati scritti, in tutto il mondo, centinaia di testi tendenti a dare tutta una serie di indicazioni, spiegazioni e quant’altro sul valore letterario dello stesso spesso anche addentrandosi nel mondo così complesso e astruso che è stato sempre oggetto di analisi e non sempre, a ragion ben veduta, i tanti pareri sono stati concordanti. Anzi, spesso la discordia ha alimentato l’interesse attorno a questo Autore siculo che dal lontano “Caos” (località vicino ad Agrigento) si è imposto presentando tutta una serie di opere di assoluto valore letterario che si sono imposte per la completezza, e non solo, della tua tematica, del suo pensiero, del suo analizzare le tante facce dell’umanità e dell’universo pirandelliano nei confronti dei quali ebbe sempre il massimo rispetto e un interesse quasi morboso.
Per questo e per un insieme di fattori, alcuni noti critici letterari hanno sempre cercato di sezionare tutta la complessa opera che si è arricchita di romanzi, poesie, saggi, opere teatrali e queste, in particolare, sono state sempre oggetto di attenta analisi e disputa in quanto l’elemento cardine, la pazzia, ha costituito un fulcro attorno al quale l’Autore ha fatto ruotare la stessa umanità da lui rappresentata così i tanti Personaggi sono diventati i veri protagonisti dell’intera tematica pirandelliana. E grazie alle loro “tragedie” (considerate anche “commedie”, per il senso “umoristico”) si è cercati di capire il senso della vita così radicato in Pirandello.
Ed allora è bene affermare che secondo lo stesso Autore la vita è in un continuo, inafferrabile divenire. Nella vita e nel suo flusso eterno, Pirandello avverte disordine, casualità e caos. Anche l’individuo manca di unità e di compattezza.
Ciascuno di noi si sforza di costruirsi una forma unitaria e compatta. Inoltre, gli altri che ci osservano e la società con le sue convenzioni ci attribuiscono una forma (una maschera) diversa da quella in cui noi stessi ci riconosciamo. Di conseguenza l’individuo si dibatte inutilmente nella trappola che gli altri, e lui stesso, gli hanno costruito, soffocando il suo desiderio di una vita autentica.
Pirandello sente i rapporti sociali come una ragnatela di convenzioni inautentiche, a cui contrappone un desiderio di sincerità, una costante aspirazione alla spontaneità. Gran parte della produzione di Pirandello si fonda sul contrasto fra “realtà e apparenza”, sull’idea del “doppio”: l’individuo, diviso in due e, all’interno della sua coscienza, si sdoppia anche nell’esistenza reale.
Il personaggio pirandelliano è un “forestiere della vita”, un uomo che si isola, che guarda vivere gli altri e se stesso dall’esterno, da lontano. Il teatro diviene il luogo-simbolo delle falsità e delle apparenze. Gli individui non sono in grado di liberarsi delle convenzioni: essi cercano una vita più autentica, più vera, ma sono costretti a vivere in un mondo falso, nel mondo delle maschere.
Ai personaggi pirandelliani restano, come unica via di fuga dalle forme, l’estraniazione o la pazzia.
Nel contesto del crollo dei miti della ragione, della scienza e del progresso, che caratterizza la cultura del decadentismo, si colloca il relativismo di Pirandello. La realtà è multiforme, non esiste una verità oggettiva, ognuno ha la sua verità, che nasce dal suo modo soggettivo di vedere le cose.
Da ciò deriva l’inevitabile incomunicabilità fra gli uomini, che alimenta il senso di solitudine: essi non possono comprendersi, perché ognuno fa riferimento alla realtà com’è per lui e non può sapere come sia per gli altri.
L’umorismo è una particolare capacità di cogliere, attraverso la riflessione, i molteplici e contrastanti aspetti della realtà, di scinderne e isolarne le varie e contraddittorie componenti, di andare al di là di ciò che cade sotto i nostri sensi.
Pirandello assegna alla fantasia artistica il ruolo di scopritrice delle condizioni assurde dell’esistenza, squarciando il velo dell’illusione e mostrando quale ne sia la vera sostanza, fatta di vanità e di dolore.
Nel saggio L’Umorismo (pubblicato nel 1908) lo scrittore espone la sua poetica: la prima parte è storica, dedicata all’esame delle varie forme assunte dall’umorismo nel corso del tempo e ad analizzare l’opera di vari umoristi italiani e stranieri; nella seconda parte, di carattere teorico, Pirandello distingue due stadi dell’osservazione del reale, che egli definisce “avvertimento del contrario” e “sentimento del contrario”.
Si manifesta quando percepiamo che in una certa situazione o in un certo comportamento vi è qualcosa che non corrisponde alle attese, quando ci accorgiamo di una stonatura nella realtà che ci circonda, che ci sconcerta e ci induce a reagire in modo istintivo e immediato, come quando, vedendo una vecchia signora troppo truccata e vestita, in modo inadatto alla sua età, ci mettiamo a ridere. Quando in un’opera la descrizione si limita a questa primo stadio si ha il “comico”.
Si manifesta se superiamo quell’impressione superficiale e la trasformiamo in riflessione: se cerchiamo di capire, ad esempio, perché la signora agisce in quel modo, scoprendo che forse non prova nessun piacere ad abbigliarsi così, ma lo fa per un disperato tentativo di mantenere vivo l’amore del marito, più giovane di lei. Mettendo in luce tutto ciò, si fa umorismo. L’umorismo è la capacità di cogliere, attraverso la riflessione propria dell’arte umoristica, la molteplicità del reale, vedendolo secondo prospettive diverse, contemporaneamente.
L’umorismo non significa solo cogliere il ridicolo di una persona o di una situazione, ma vedervi anche l’aspetto dolente, tragico; viceversa, nel serio e nel tragico esso non può che far emergere il ridicolo. Comico e tragico non possono essere separati, essendo entrambi elementi della multiforme realtà.
Compito dell’umorismo è di ricercare le cause vere di ogni comportamento, di rilevare gli elementi paradossali della vita.
L’umorismo implica la scomposizione della realtà per coglierne i molteplici aspetti, spesso mascherati dietro false apparenze. Quando l’individuo riesce a togliersi la “maschera”, viene crudelmente alla luce tutta l’inconsistenza della vita.
I personaggi di Pirandello sono tormentati, messi improvvisamente di fronte alla frantumazione della loro identità e alla crisi di quelle certezze che la “forma” sembrava loro garantire.
“La vita non conclude”: forse solo in questo modo è possibile riassumere la profonda riflessione che Luigi Pirandello svolge sulla Vita e che ritroviamo snocciolata in ogni sua opera.
La citazione giunge da una delle opere più importanti dello scrittore siciliano: Uno, nessuno e centomila, datata 1925.
Non solo un romanzo, ma anche, e soprattutto, lo si potrebbe definire “summa” della concezione della vita dell’autore di Agrigento. Per capire appieno la forza di questa frase, in apparenza così semplice, bisogna ripercorrere tutta la poetica pirandelliana.
La riflessione, nonché tutta l’opera di Pirandello, nasce e si sviluppa in un periodo dominato da varie correnti letterarie, le quali, nonostante le forti ascendenze che esercitano sul panorama culturale del tempo, soprattutto per quanto riguarda il culto della parola, non intaccheranno mai la poetica e la riflessione dello scrittore, che potremmo definire un preludio dell’esistenzialismo.
Il primo punto forte del pensiero di Pirandello è nel netto contrasto che egli intuisce fra illusioni e realtà: le illusioni si rivelano come qualcosa di irrealizzabile mentre la realtà, avvilente, si rivela profondamente inadeguata a quelle speranze.
Secondo punto importante è L’Umorismo, a cui lo scrittore dedica un saggio omonimo, datato 1908, definito da Pirandello come “sentimento del contrario”: tralasciando gli esempi consueti, possiamo definire l’umorismo come un “momento di riflessione critica”, il quale deve accompagnare ogni nostra percezione, per far in modo che ogni nostra possibile illusione possa svanire, mettendo in luce il suo contrario. Senza questa riflessione, l’umorismo si risolve nel semplice “avvertimento del contrario”, che porta non più all’umorismo, ma al comico.
Da queste riflessioni, Pirandello matura una forte spinta antiretorica (come già ricordato), che si riflette con forza nelle sue opere, imperniate su un linguaggio comune e comprensibile al pubblico, (almeno a quello più attento) una tipologia di scrittura che rifiuta le sperimentazioni linguistiche e che sembra voler essere linguaggio delle cose più che delle parole.
Ulteriore punto, importantissimo, è la constatazione dell’imprevedibilità, della casualità delle vicende umane, e di conseguenza la visione della vita come un continuo fluire, una sorta di fiume in piena che non può essere fermato in modo alcuno, o meglio, può rapprendersi in una forma che segna però il morire della vita stessa.
Da qui Pirandello sviluppa la sua poetica della “maschera”: ognuno di noi, desideroso di trovare la propria identità, si crea una maschera strappandola al perenne flusso vitale. Ma questa maschera non riguarda semplicemente la visione di sé, può essere anche una maschera di un concetto, di un ideale, nella quale cerchiamo di dare valore oggettivo alla nostra conoscenza, la quale, al pari della maschera-identità, si rivela fittizia. Inoltre la visione di noi stessi, irrigidita nella maschera, non è detto che sia in accordo con la visione che gli altri hanno di noi: è possibile che vi sia una visione diversa per ogni individuo che ci osserva o che ci conosce, in positivo oppure in negativo. Ma a questo punto il fatto di essere uno per noi stessi, centomila per gli altri, deve portarci a concludere che alla fine siamo nessuno, perché il vero flusso vitale non si chiude in nessuna forma.
L’unico modo per sfuggire a ciò è immergersi nel flusso continuo della vita: “Albero, nuvola; domani libro o vento. La vita non conclude” come dice Vitangelo Moscarda, il protagonista di Uno, nessuno e centomila.
Un ulteriore esempio di “gioco delle maschere” pirandelliano è nel racconto La Patente (portato sul grande schermo dall’immenso Totò), dove a prevalere è una finta giustizia a danno di una reale ingiustizia.
La storia presenta una trama esile: a Rosario Chiarchiaro viene attribuito il potere di iettatore ed a causa di questa cattiva fama la sua vita viene rovinata.
Chiarchiaro si presenta in tribunale desideroso di farsi riconoscere ufficialmente come iettatore, infatti, solo in questo modo potrà guadagnarsi da vivere, perché tutti, per evitare iettature, saranno costretti a pagargli una piccola somma.
In primo luogo, possiamo osservare come le relazioni tra gli individui siano sempre più alterate a causa dei preconcetti e dei giudizi superficiali. Soprattutto in questa novella, (poi atto teatrale) bisogna notare la denuncia del fatto che per sopravvivere, o almeno per illudersi di vivere, l’uomo deve immedesimarsi nelle maschere che vengono plasmate dalla gente che lo circonda, dalle quali non si può sottrarre, anche perché, creata la maschera, il pregiudizio della massa ha il sopravvento: così la personalità dell’individuo giunge alla dissolvenza totale.
Inoltre Chiarchiaro mostra un esempio di reazione umoristica alla maschera: gli viene attribuita una maschera, egli non si rassegna all’evento, ma alla fine la accetta con atteggiamento umoristico.
La Patente sembra cogliere un elemento dominante nell’uomo di quei tempi, l’incertezza derivante dai grandi cambiamenti in atto: probabilmente, a distanza di oltre un secolo, le “regole del gioco” attuali non sono poi così tanto diverse da quelle dei tempi di Pirandello.
“Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo. […] E l’aria è nuova. E tutto, attimo per attimo, è com’è, che s’avviva per apparire. Volto subito gli occhi per non vedere più nulla fermarsi nella sua apparenza e morire.
Così soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo. Impedire che il pensiero si metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni. […] perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori”.
Con queste parole Luigi Pirandello concludeva la sua opera forse più intensa ed emblematica “Uno, nessuno e centomila” intitolando questo suo ultimo capitolo “Non conclude” per ricollegarsi a un leitmotiv che si ripresenta più volte nella sue opere, e il cui senso più profondo lo si ritrova spiegato dall’autore stesso in questo suo saggio del 1909:
“Concludere! Tra tutti i bisogni che premono e affliggono l’umanità questo è senza dubbio il più triste e il più vano.
Negli affari, in ogni impresa, piccola o grande che sia, in politica, nelle scienze, nelle arti, nell’amore, nell’odio, in tutte le passioni onde l’uomo è agitato, e insomma in ogni cosa, egli d’ora in ora vuol concludere, deve concludere per forza, non si dà requie se non conclude, o se almeno non crede d’aver concluso. Che cosa? Nulla. Se n’accorge sempre poco dopo. […] Che ho concluso? si domanda allora l’uomo”.
Ma il riconoscimento più forte di non aver concluso nulla avviene quando, astraendoci dalle contingenze effimere, dalle brighe quotidiane, dalle passioni, dai desideri, dai doveri che ci siamo imposti, dalle abitudini che ci siamo tracciate, abbattiamo i limiti illusorii della nostra coscienza presente, allarghiamo i confini della nostra abituale visione della vita, ci solleviamo spassionati a contemplare e a considerare, da una altezza tragica e solenne, la natura.
E’ il riconoscimento dei vecchi, che appunto al grembo eterno della natura si riaccostano.
E da questo riaccostarsi alla natura deriva il riconoscimento.
Perché, in ultima analisi, la natura, nella sua eternità, non conclude. E noi che siamo in lei, che siamo lei stessa, ma che per alcun tempo ci siamo visti e considerati come parti per noi medesimi staccate e distinte, quando s’approssima il momento di rientrare e di perderci in essa, nella sua eternità, riconosciamo vana, illusoria, arbitraria ogni conclusione nostra, riconosciamo che veramente non concludiamo nulla.
Rimane eterna dopo ciascuno di noi la natura: eterna appunto perché non conclude.
La vita è flusso continuo che noi cerchiamo d’arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi, perché noi stessi già siamo forme fissate, forme che si muovono in mezzo ad altre immobili, e che però possono seguire il flusso della vita
fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il movimento, già a poco a poco rallentato, non cessi del tutto. E le forme in cui cerchiamo d’arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gl’ideali a cui vorremmo serbarci coerenti e fedeli, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo a stabilirci.
Ma dentro di noi, in ciò che noi comunemente chiamiamo anima e che è la vita in noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo, per comporci una coscienza, per costruirci una personalità.
E in certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi distinto e che noi abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti, nei doveri che ci siamo imposti, nelle abitudini che ci siamo tracciate, in certi momenti di piena, straripa e sconvolge tutto.
“Io odio a morte tutti coloro che si son composti e quasi automatizzati in un dato numero di pensieri e di movimenti, paghi, tranquilli e sicuri d’aver capito il congegno dell’universo, di aver trovato la chiave per caricarne o scaricarne le molle, per regolarne il registro. Io li chiamo conclusioni ambulanti. Vogliono vedere in tutto, trarre da tutto una conclusione, dalla storia antica e moderna, da ogni avvenimento, da ogni piccolo incidente. Amo invece ed ammiro le anime sconclusionate, irrequiete, quasi in uno stato di fusione continua, che sdegnano di rapprendersi, di irrigidirsi in questa o in quella forma determinata”.
Pietro Seddio
Pietro Seddio, agrigentino, ma residente da molti anni in Verrua Po, provincia di Pavia, da oltre cinquant’anni (ha iniziato a pubblicare nel 1965) si interessa di attività culturali e letterarie.
E’ stato Regista (e tra i Fondatori) del Gruppo T. M. 17 (Gruppo Teatro Moderno 17) con il quale ha iniziato la sua attività teatrale proponendo un testo Diaframma che tanto successo ebbe per l’impostazione, la tematica, l’insieme di trovate (gestualità, mimica, inserimento di musiche appropriate, filmati, ecc.) ad Agrigento. Successivamente, e con altri amici, è stato tra i Fondatori del Piccolo Teatro Pirandelliano di Agrigento, svolgendo una intensa attività teatrale in qualità di Regista Teatrale e di Direttore Artistico facendo conoscere autori come, oltre a Pirandello, Ionesco, Miller, Garcia Lorca, Sartre, Malaparte, Goldoni, ecc. Ha collaborato con illustri operatori quali il prof. Ruggero Jacobbi e il prof. Andrea Camilleri. Trasferitosi a Pavia, per l’Università della Terza Età, ha tenuto per alcuni anni dei Corsi di Drammaturgia Teatrale, rappresentando, a fine corso, con gli “Allievi”, l’opera di Luigi Pirandello: Così è (se vi pare). Ha al suo attivo una numerosa produzione letteraria e proprio a Pavia, è stato premiato, in occasione della Fiera Letteraria del Libro, con un saggio sulla umanità di Luigi Pirandello: L’Uomo del Caos. Tale libro in seconda edizione aggiornata ed ampliata è stato successivamente pubblicato a cura della Editrice Tipografica Anselmi di Marigliano (Na). La terza edizione, ancora più aggiornata, è stata pubblicata dall’editore Mauro Bonanno nel marzo del 2007. La quarta edizione dalla Editrice Montecovello, la quinta edizione dalla Casa Editrice Simple, Macerata. Nel 1992 ha fondato a Pavia il Piccolo Teatro “Italo Agradi”, Città di Pavia, portando sulle scene, in qualità di Regista e Direttore Artistico, numerose opere di illustri autori tra cui: Pirandello, Malaparte, Ionesco, Sartre, Goldoni, ecc. Con i detenuti della Casa Circondariale di Pavia ha messo in scena l’opera di W. Shakespeare: Giulio Cesare. Nel 1994 ha ricevuto, per meriti teatrali, unitamente a Michele Placido e Gianfranco Iannuzzo, il Premio Palcoscenico in Agrigento. Molti i premi ed i riconoscimenti nazionali per la sua attività, conseguiti in questi ultimi anni, fra tutti il Premio Telamone 1999 assegnatogli per la sua più che ventennale attività letteraria così variegata. Nell’anno 2001 gli è stato assegnato il 1° Premio Città di Avellino per la Saggistica ed il 1° Premio assoluto per la narrativa dall’Accademia Internazionale “G. Pitrè” di Palermo ed inoltre il 2° Premio per la Saggistica indetto dal Club Letterario Italiano di Latina. Nel 2004 gli è stata conferita una Targa Merito dalla Casa Natale Museo di Luigi Pirandello in occasione del 2° Stable Festival 2004 Agrigento Pirandello. Recentemente ha vinto il 3° Premio Città di Firenze con l’opera: Il Teatro di Eugène Ionesco ed il 2° Premio per la narrativa a Taormina con il romanzo: Il Caso Argento. Il 24 novembre 2004 ha ricevuto il Premio Punto Fermo Teleacras in Agrigento per la Saggistica. Il 24 giugno 2006 ha ricevuto ad Agrigento il Premio Sikelè per la Letteratura e Saggistica. Nel Luglio 2007 in occasione della Fiera Letteraria del Libro a Torino ha presentato il saggio: Le Donne di Pirandello. Nel dicembre del 2007 con il testo L’Uomo del Caos è risultato tra i finalisti del Premio Città di Firenze, edizione XXV. Il 14 ottobre 2010 la Biblioteca Museo “L. Pirandello” di Agrigento gli ha conferito il Premio alla Carriera. Con opere di saggistica, narrativa e teatrali è stato finalista, inoltre, a vari premi nazionali ed in particolare al Premio Pirandello (per Atti Unici) indetto dal Centro Studi Pirandelliani di Agrigento e semifinalista come autore teatrale al Premio Teatrale indetto dal Piccolo Teatro di Milano con l’opera: Nebbia sulla collina. Come autore ha pubblicato i seguenti libri: Poesie: Ricerca – Rivoli – Frammenti – Solo ricordi – Favola
Romanzi: Nido d’api – Il Calvario – Yeshua – Il caso Argento Il ragioniere Martorella La pelle dell’orso La piaga Schegge impazzite Cose dell’altro mondo La ragnatela
Opere Teatrali: Nebbia sulla collina – Surfara – Giovanna dell’Arco
Saggi Teatrali: Eduardo De Filippo Ettore Petrolini Henrik Ibsen
Saggi Storici: Briganti – Cola di Rienzo e Masaniello – I Templari
Saggi Musicali: Gioacchino Rossini – Gaetano Donizetti – Giacomo Puccini Le opere di Giuseppe Verdi (3 volumi). Saggi Letterari e su Pirandello L’Uomo del Caos – Cesare Pavese – Ernest Hemingway – Carlo Goldoni – Guido Gozzano – Grazia Deledda Giuseppe Parini L’Omo sanza lettera (Leonardo da Vinci) Leonardo Sciascia Ludovico Ariosto L’Uomo del Colle Michelangelo Buonarroti Raffaello Sanzio Scritti vari Torquato Tasso Ugo Foscolo Vincenzo Monti I romanzi di Luigi Pirandello Gian Lorenzo Bernini Antonio Canova Niccolò Machiavelli Lucio Anneo Seneca Angeli e Demoni (2 volumi) Fedor Dostoevshij
critica – Il teatro umoristico/grottesco – Liolà, analisi critica Il fu Mattia Pascal, analisi critica Pirandello e l’Umorismo Io, Figlio e Uomo del Caos Uno, nessuno e centomila, analisi critica Atti Unici, analisi critica Luigi Pirandello, Poeta e Novelliere (3 volumi) Sei personaggi in cerca d’autore, analisi critica Diana e la Tuda, analisi critica Il teatro nel teatro Sei personaggi in cerca d’autore, analisi critica Quale teatro? In qualità di Regista ha diretto le seguenti opere: Pavia
Come aiuto regista e direttore Artistico (Registi: Ruggero Jacobbi e Andrea Camilleri) in occasione delle varie “Settimane Pirandelliane”, in località Caos di Agrigento, ha partecipato alle seguenti rappresentazioni:
Per meriti letterari è stato nominato: Membro Accademico Benemerito dell’Accademia “Giosuè Carducci”, Socio dell’Unione Operatori Culturali, Socio dell’Ordine Nazionale Autori e Scrittori, Socio del-l’Associazione Nazionale Poeti e Autori d’Italia, Membro del Centro Studi Accademia Internazionale “Accademia”, Socio Onorario e Membro Effettivo dell’Accademia Internazionale “G. Pitrè”, ed ultimamente è stato nominato Membro della International Writers and Artists Association che ha sede negli Stati Uniti, presso il Bluffon College. E’ stato nominato, nel 2016, ad Agrigento: Accademico d’Onore. |
Quale teatro?
Secondo Luigi Pirandello
Cap. 1: Pirandello e il dialetto »»»
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