Sei donne in cerca di Pirandello

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Di Luciano Lucignani

Ricostruiamo, con documenti e lettere sconosciute, un tema tempestoso nella vita del grande drammaturgo: Caterina, sua madre. Giovanna, la collegiale. Jenny, la tedesca. La cugina Linuccia. La moglie Antonietta. E Marta Abba, l’ultimo amore.

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Pirandello e le donne
Luigi Pirandello e Antonietta sulla terrazza della casa in via Sistina, Roma

Sei donne in cerca di Pirandello

da Biblioteca dei Classici Italiani

Ricostruiamo, con documenti e lettere sconosciute, un tema tempestoso nella vita del grande drammaturgo: Caterina, sua madre. Giovanna, la collegiale. Jenny, la tedesca. La cugina Linuccia. La moglie Antonietta. E Marta Abba, l’ultimo amore.
Come nella migliore tradizione psicoanalitica, la prima è la madre, Caterina. Bambino fragile e insicuro, Luigi Pirandello le fu sempre molto affezionato. Un muro, che in seguito divenne insormontabile, lo divideva invece dal padre, Stefano. Forse, grazie anche a un oscuro episodio di cui, quattordicenne, fu testimone. Lui stesso lo raccontò in seguito (gran parte dell’opera di Pirandello è, direttamente o no, autobiografica) nella novella «Ritorno». Scoprì che suo padre aveva un amore clandestino con una ragazza che diceva essere sua cugina, ma in realtà era sua nipote. I due s’incontravano, tutte le domeniche mattina, nel parlatorio d’un convento del quale era madre badessa la sorella del padre. E una domenica Luigi andò a sorprenderli. Il padre fece in tempo a nascondersi dietro una tenda (dalla quale, però, spuntavano due grosse scarpe di coppale), lei invece restò seduta al tavolo, con un bicchierino di rosolio ancora in mano. Luigi le andò vicino e le sputò in faccia. Il padre non si mosse, né poi, a casa gli disse o fece nulla.

     Nella novella, Pirandello scrive che il ragazzo non rivide più suo padre. Fu quasi quello che accadde nella realtà; Pirandello ebbe scarsissimi rapporti con lui, ma dopo la morte della madre, nel 1915, lo ospitò nella sua casa di Roma, occupandosene per quel poco che poteva.
La scoperta dell’adulterio paterno è un trauma che non resterà senza conseguenze. Qualcosa, in Pirandello, andò perduta per sempre: l’innocenza, la fiducia nei sentimenti ne furono sconvolte: mai più, nella sua vita, l’amore d’una donna o per una donna significherà felice serenità. E nel suo lavoro di scrittore non vibrerà mai un sincero, spontaneo accordo dei sensi e del cuore.
Sensi e cuore sveglissimi in lui, fin dall’adolescenza. Nel 1882, quando Luigi aveva quindici anni, la famiglia lasciò Girgenti (oggi Agrigento), la città in cui era nato e si trasferì a Palermo, al primo piano di una casa di via Porta di Castro. Al secondo piano c’era una famiglia della borghesia agiata, con una bambina di appena dieci anni, Giovanna, che frequentava l’aristocratico collegio Maria Adelaide. Nel periodo delle vacanze Giovanna, come Luigi, restava a casa. Da un balcone all’altro, i due ragazzi cominciarono a guardarsi con simpatia; e un giorno Luigi, seduto sulla ringhiera del balcone, intento a fissare la bambina, perse l’equilibrio e rischiò di cadere di sotto. Se la cavò, però, con un dente scheggiato.
Più tardi, alla fine delle vacanze, Giovanna venne a salutarlo. E Luigi, emozionato, fece un gesto incauto, ferendosi a un dito. Giovanna, avvicinatasi, gli prese il dito e se lo portò alla bocca per succhiarne il sangue. Eccitato, Luigi prese quel gesto come un bacio e scoppiò a piangere. Quasi subito gli venne la febbre e restò per tre giorni tra la vita e la morte, come smemorato. Non si nutriva, non si tratteneva nulla, non riconosceva nessuno. Rimase a letto due mesi, quando si alzò era quasi Pasqua. Si aggirava per la casa avvolto in uno scialle enorme, pallido, i capelli dritti. Fu così che lo vide la bambina, rientrata per le vacanze; Giovanna gettò un grido e svenne tra le braccia del padre. E Luigi restò dov’era, tremando come avesse avuto quaranta di febbre. Fu la scoperta dell’amore.

     Tre anni dopo, altro fuoco, altro dramma. In Luigi divampa l’amore per la cugina Lina (detta Linuccia, per distinguerla dall’altra Lina, sorella di Luigi). Lina è figlia d’un fratello di Stefano, Andrea, ha quattro anni più di Luigi, è molto carina, molto corteggiata e, sembra, molto civetta. Da principio lei lo rifiuta, si fa beffe di lui. Poi d’improvviso, forse a causa d’una delusione subìta, lo accetta e gli si promette. Ma i genitori di lei non sono d’accordo, non ritengono Luigi un buon partito, è ancora studente e, cosa più grave, ha sogni di poeta. Più tardi, per le insistenze di lei, che rifiuta ogni partito «serio», consentiranno al fidanzamento, ma a condizione che Luigi la pianti con gli studi e le poesie e si metta col padre nel commercio dello zolfo.
Luigi obbedisce, passa un’estate nell’inferno di Porto Empedocle nelle zolfare. Ma non resiste. La vocazione poetica è troppo forte (e forse la vita nelle zolfare troppo dura); torna a Palermo, si iscrive all’università e pubblica il primo libro di versi («Mal giocondo», 1889). Da Palermo passa a Roma e da Roma in Germania, a Bonn. Sempre più lontano da Lina che intuisce l’intiepidirsi del sentimento e teme il distacco; colta da crisi isteriche, smarrisce la ragione. Luigi è costretto a precipitosi ritorni, da Bonn e da Roma; ha il suo primo incontro con la follia, e non sarà l’ultimo.
Bonn, dove resta un anno e mezzo, in confronto è un’oasi di serenità. Soffre la lontananza dei suoi familiari e sente la nostalgia della sua terra (Girgenti resterà sempre nel suo cuore; dovunque sia); ma gode la quieta, libera e aperta vita studentesca che si conduce nella cittadella accademica. Studia, scrive versi (in seguito compresi nelle due raccolte, «Pasqua di Gea», 1891 ed «Elegie renane», 1895) e non trascura le occasioni di svago, gite, feste e rapidi, spregiudicati amori, come quello per Jenny Schulz-Lander, graziosa figlia della sua affittacamere.
Luigi si laurea con una tesi sulla parlata di Girgenti torna in Italia e si stabilisce a Roma. Frequenta i salotti letterari, stringe amicizia con i letterati siciliani Ugo Fleres e Luigi Capuana. Sarà quest’ultimo a spingerlo a provarsi nel romanzo. Nella solitudine di Monte Cave, chiuso nella cella d’un convento, Pirandello porta a compimento il suo primo romanzo, «L’esclusa» (uscirà otto anni dopo, nel 1901).
Ad un anno dalla rottura del fidanzamento con la cugina, Luigi riceve dal padre la proposta di prendere in moglie Maria Antonietta Portulano – Nietta – figlia d’un suo socio in affari. Nietta è bella, dotata d’un suo fascino ombroso e ha una dote di settantamila lire (grosso modo, alcune centinaia di milioni di oggi). Pirandello accetta subito, va ad incontrare la ragazza, si fidanza con lei e la sposa. Tutto avviene con un’incredibile rapidità. Tra l’incontro e il matrimonio non passano neppure due mesi.
In realtà, i due non si conoscono. Lei è una ragazza siciliana, appena istruita, cresciuta in un ambiente dove il possesso, della «roba» come delle persone, è diritto naturale. Il tormento intellettuale dell’uomo che sta per diventare suo marito le è incomprensibile, la preoccupa. Luigi le scrive quotidianamente, narrandole per filo e per segno la sua giornata, i piccoli problemi che deve affrontare, i suoi progetti artistici le sue smanie filosofiche. Chiede insistentemente che lei gli scriva e quando Nietta finalmente lo fa lui esulta, la proclama grande scrittrice, si propone di farle da guida; è incredibile a quale punto possa condurre la nefasta combinazione di passione e ingenuità.
Trascorrono nove anni, il matrimonio sembra funzionare. Da Luigi e Antonietta sono nati tre figli, Stefano, Lietta e Fausto. Pirandello insegna al Magistero, dà lezioni private collabora a giornali e riviste. E a questo punto sulla famigliola si abbatte la sciagura: la miniera nella quale il padre di Luigi ha investito tutto il suo denaro e quello della dote di Antonietta, si allaga. E’ il disastro, il dramma, la tragedia. Alla notizia, Antonietta è colta da paralisi; non si riprenderà più dal trauma, cadrà preda della follia e finirà in casa di cura, dalla quale uscirà soltanto morta.
Messo con le spalle al muro dalla vita, Pirandello reagisce con una forza, una caparbietà e una capacità di lavoro impressionanti. Nascono nuovi romanzi («Il fu Mattia Pascal», 1904, « Suo marito», che poi diventerà «Giustino Roncella, nato Boggiòlo», 1911 e «Si gira», riscritto come «Quaderni di Serafino Gubbio, operatore», 1916), escono raccolte di novelle, saggi («L’umorismo» e «Arte e scienza», 1908) e prendono forma i primi timidi tentativi di teatro. Fortuna e sfortuna si alternano nel destino dello scrittore: la maggiore casa editrice del tempo, quella dei fratelli Treves, gli apre le porte e così farà il primo quotidiano d’Italia, «Il Corriere della sera». Ma c’è anche la guerra, c’è la prigionia del figlio Stefano, c’e la morte della madre, l’aggravarsi delle condizioni di Nietta.
Il lavoro non è più solo una necessità, diventa una specie di anestesia: chiuso nel suo studio, dove tuttavia lo raggiungono le urla della sventurata moglie, Luigi trascorre ore e ore al tavolino, vergando un foglio dopo l’altro con quella sua calligrafia obliqua, da professore; ma sarà questa condizione di martire a guadagnargli il paradiso dell’arte. Attori e attrici di fama gli rappresentano drammi e commedie, da Talli a Ruggeri, dalla Melato alla Gramatica. Nel 1921 la compagnia di Niccodemi, con la Vergani e Almirante mette in scena al Valle di Roma «Sei personaggi in cerca d’autore», un insuccesso seguito da un trionfo. Pirandello è ormai uno scrittore affermato, viaggia per tutto il mondo, ha casa nei grandi alberghi di Parigi, Londra, Berlino, New York. Nel 1924 c’è una pagina nera; (iscrizione al partito fascista, l’indomani del delitto Matteotti. Innocenza, rivalsa nei confronti della borghesia che lo ha ignorato, deriso, insultato? Sono ipotesi possibili; ma il nero resta.

     L’anno dopo si costituisce il Teatro d’arte di Roma e Pirandello ne assume la direzione artistica. Cerca un’attrice che possa interpretare la commedia di Bontempelli, «Nostra Dea» e incontra Marta Abba. Altro colpo del destino, l’ultimo. Dal primo istante in cui la vide Pirandello se ne innamora. È una passione senza scampo, la passione d’un celebre vecchio (Luigi ha cinquantotto anni) per una bella e giovane donna (Marta ne ha venticinque) destinata a diventare famosa. Da quel momento Pirandello non vedrà che lei, non scriverà che per lei; nascono «Diana e la Tuda», «L’amica delle mogli», «Trovarsi», «Come tu mi vuoi». Non sono fra i suoi drammi migliori, ma da essi traspare la vicenda del suo amore, un amore violento, contorto, feroce, che non può (e forse non vuole) essere corrisposto. Nella solitudine in cui vive, questo sentimento è l’unica consolazione che resta al vecchio scrittore.
Quali furono i rapporti tra i due? Fu, il loro, un amore platonico o furono amanti? Non possiamo dirlo, il mistero è (forse) chiuso nel carteggio fra i due, gelosamente custodito dall’attrice fino al giorno della sua morte e poi donato alla Princeton University che dovrebbe (ma quando?) curarne la pubblicazione.
Confidenze fatte da persona degna di fede che fu molto vicina a Pirandello e alla Abba, fanno intuire che qualcosa accadde, fra i due, nell’autunno del 1925 durante la prima tournée del teatro d’arte di Roma in Germania. Una sera, nel grande albergo d’una città tedesca, Luigi entrò nella camera di Marta, ma ne uscì non molto tempo dopo, visibilmente emozionato. Perché? Lei gli si rifiutò? O lui non ebbe il coraggio di prenderla?
È stata fatta una terza ipotesi, troppo delicata per poterla riferire, che coinvolgerebbe una terza persona. Una donna.

Luciano Lucignani

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