Pirandello amava la parlata agrigentina

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Di Luigi Sedita

Della parlata di Girgenti l’autore scriveva che ‘tra le non poche altre del dialetto siciliano, è incontestabilmente la più pura, la più dolce, la più ricca di suoni, per certe sue particolarità fonetiche, che forse più d’ogni altra ravvicinano alla lingua italiana”.

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Pirandello amava la parlata agrigentina
Busto di Pirandello, casa natale, Agrigento (contrada Kaos). Immagine dal web

Pirandello amava la parlata agrigentina

da Agrigento Ieri e Oggi

In un articolo sul “Resto del Carlino’ del 15 marzo 1943, Maria Borgese. proponeva questo cammeo di ricordi pirandelliani “A Roma, nei primi anni dell’altra guerra, Luigi Pirandello saliva i cento scalini di una casa amica, il  “passerotto”. com’egli aveva ribattezzata una bimba, gli correva incontro con le braccine tese, appena udita la sua voce  e gli s’aggrappava finché non la traesse in collo … Poi il Maestro, seduto con “passerotto’ sulle ginocchia, mentre le impigliava le fragili ditine nella barbetta grigia di lui, le si metteva a parlare nella lingua delta sua Agrigento. La piccola, seria seria, lo fissava per capirlo, poi, sfavillando gli occhi verdi, gettava indietro la testa e rideva con tutti i dentini. – Che cosa ti ho detto ? – le chiedeva Pirandello, ridendo pure lui, con quella bontà tenace che gli traspariva dagli occhi, quand’era sereno. – Ma vai ! – rispondeva “passerotto’’. Tu non sai discorrere, non sai discorrere. Non ti si capisce nemmeno! E quando la bimba gli scivolava dalle ginocchia, già sazia del giuoco, allora lui si metteva a ragionare coi grandi: – Se mai un giorno io fossi al potere, la lingua d‘Agrigento, e ingiusto che ci si ostini a chiamarla dialetto, la imporrei in tutte le scuole italiane.  E con dotta, amorosa eloquenza, ne spiegava ogni raffinata, viva bellezza, armonia, musicalità .

È sorprendente che questa definizione pirandelliana dei caratteri della lingua di Agrigento, ricostruita da Marta Borgese, corrisponda quasi alla lettera con il giudizio espresso da Pirandello, proprio nei primi anni della Grande Guerra, nel 1917. nell’ ‘Avvertenza” a Liolà. Della parlata di Girgenti l’autore scriveva infatti che ‘tra le non poche altre del dialetto siciliano, è incontestabilmente la più pura, la più dolce, la più ricca di suoni, per certe sue particolarità fonetiche, che forse più d’ogni altra ravvicinano alla lingua italiana”.

In Liolà, commedia campestre composta in quindici giorni, in ‘pretto vernacolo”, nell’estate del 1916, lo scrittore ha liberato le risorse drammaturgiche insite nella parlata girgentina e fissandola in un testo di grande felicità scenica, ha salvato la memoria di un ricco patrimonio idiomatico, altrimenti destinato a disperdersi. La testimonianza contenuta nell’articolo della  Borgese ci documenta in Pirandello, al tempo della composizione di Liolà, un interesse dominante per la lingua madre, Un interesso che nel dialogo con l’ignara bambina, si riversava in un gioco linguistico di rimemorazione dell’idioma nativo  per riassaporarne i suoni perduti.

I confini dell’area di diffusione della lingua girgentina, rilevati con il teodolite del topografo, li precisa lo stesso Pirandello nella “Premessa della tesi, scritta in tedesco. Suoni e sviluppi di suono della parlala di Girgenti, presentata per l’esame di laurea in Filologia all’Università di Bonn nel 1891: “Girgenti (l’antico Agrigentum,  uno dei sette capoluoghi – solo nel 1927 saranno aggiunte le provincie di Enna e Ragusa – in cui é divisa politicamente la Sicilia, e situata a pochi chilometri dalla costa meridionale dell’isola e conta circa 28.001) abitanti. A nord la provincia si estende fino a Cammarata, ad ovest fino a Sciacca, ad est fino al fiume Maroglio e comprende le contrade di Aragona, Favara, Naro, Canicattì, Casteltermini, Cianciana, Cammarata, S. Stefano, Ribera Sciacca, Bivona . Racalmuto, Raffadali, Licata e altri. Ma i confini dialettali non corrispondono esattamente ai confini amministrativi; troviamo perciò, che, mentre fra Girgenti e le piccole contrade circostanti, come per es. Porto Empedocle, Siculiana, Montaperto, Aragona, Racalmuto, Favara, fuori di un certo allungamento della pronuncia ci sono soltanto rarissime o nessuna diversità, la stessa cosa non si può dire delle contrade più lontane. Cosi per es, Canicattì e Casteltermini si avvicinano più al gruppo dialettale dell’interno dell’isola (Caltanissetta), dove la pronuncia è molto allungata. Cosi anche Licata si avvicina un po’ ai dialetti della punta sud-est |…|; inoltre Sciacca appartiene quasi del tutto al gruppo dialettale della costa occidentale dell’isola (…).

Questa Girgenti del 1891, indicata nella “Premessa” della tesi di laurea, corrisponde alla “triste cittaduzza moribonda” del romanzo giovanile II turno (1895); al “Paese morto”, alla “città dei preti e delle campane a morto” de I vecchi e giovani (1909), un romanzo che rappresenta eventi relativi agii anni 1892-94. È la stessa città che, nella prima stesura della novella Un cavallo nella luna (1907), ambientata al Caos, é presentata, in calo demografico, come “vecchia  cittaduzza di circa 25.000 abitanti, dalle viuzze strette, tortuose, malamente acciottolata e, che s’arrampicavano a scalini su quella vetta di colle esposto a tutti i venti”. È ancora la “cittaduzza natale”, abitata da “gente terrigna, cotta dal sole, piena di pregiudizi, ombrosa, diffidente, violenta, nello stesso tempo, pigra e rilassata”, che ha costituito il primo teatro del mondo di cui Pirandello è stato compartecipe spettatore. E la terra infine di cui ho osservato i caratteri è indagato il costume mentale. Quel costume che secondo Leonardo Sciascia fa degli agrigentini dei “lucidi notomizzatori dei propri sentimenti e dei propri guai, presi fino al delirio della passione delle “ragionare”.

I “guai” dei personaggi di area agrigentina, secondo una tipologia ancora verista, sono legate alle sorti della roba, minacciata da soci infidi speculatori, da improbabili investimenti o avversa congiuntura. I protagonisti di questo epos  patrimoniale girgentino sono possidenti terrieri, proprietari di zolfare, affittuari, appaltatori, titolari di banche locali, e usurai, tutti oppressi dall’alea della rovina economica e  dell’emarginazione. Sul versante sociale della lotta per la sopravvivenza dello stento quotidiano figurano invece contadini, garzoni, zolfatari, carusi, scritturali artigiani, come lo sbilenco zi’ Dima della Giara, e quegli infelici su cui la collettività scarica il peso di paure inconsce, gli iettatori, di cui Rosario Chiarchiaro della Patente un memorabile esemplare.

Di Girgenti, sempre presente nella memoria, Pirandello si ricorda in una lettera da Berlino del 29 – 30 marzo 1930 indirizzata a Marta Abba in tournée in Sicilia: “che avvenisse di toccare per qualche giorno Girgenti, (…) Salutami il pino del caos e la vecchia bicocca dove sono nato. Forse non li vedrò mai più !”.

Non le avrebbe più visti, ma la missione di un grande olivo saraceno della campagna agrigentina (come quello che campeggiava sulla scena de La giara), apparsagli, secondo la testimonianza del figlio Stefano, la mattina del giorno della morte, e che avrebbe dovuto costituire la soluzione scenografica, a lungo cercata, per l’ultimo atto degli incompiuti Giganti della montagna, fu invece il viatico per il definitivo ritorno nella terra natale.

Luigi Sedita

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