Di Luca Tognocchi.
Pirandello non si distacca molto dalle teorie futuriste, per quanto molto più “moderato”. Negli anni ’20, all’interno di alcune lettere mandate a Marta Abba parla di un’idea da lui chiamata melografia, da lui stesso definita la via della fortuna.
Pirandello e Futurismo:
l’inaspettata convergenza sul cinema
I primi decenni del secolo scorso sono stati pieni di rivolgimenti culturali ed artistici: in tutta Europa dilagava l’inarrestabile energia creativa delle Avanguardie, ma soprattutto nasce il cinema. Era molto tempo che non succedeva qualcosa di simile: la comparsa di una nuova arte in un periodo così rivoluzionario. È lecito aspettarsi che tutti i protagonisti del periodo decisero di confrontarvisi, dai Surrealisti a D’Annunzio. In pochi anni il cinema diventa una mostruosa macchina di produzione, vengono girati e distribuiti film a centinaia ogni anno, rischiando di portare la neonata arte ad uno stato di sterilità precoce, per lo sfruttamento intensivo degli stessi filoni narrativi e per l’assoluta mancanza di sperimentalismo. In questo clima convergono, parzialmente e inaspettatamente, le teorie dei Futuristi e di Luigi Pirandello.
Il circolo sorto intorno alla magnetica personalità di Filippo Tommaso Marinetti e lo scrittore siciliano sono ovviamente agli antipodi in molte concezioni della vita e dell’arte: i primi esaltano la macchina, la velocità, il progresso in tutte le sue forme, il secondo disprezzava una società che riducesse a silenzio di cosa, riflessivo e pessimista di matrice leopardiana. Solo sul cinema, contenitore vuoto e privo di passato, potevano casualmente assomigliarsi le loro idee.
Da entrambi i poli vengono prima di tutto le teorie distruttive: quelle del Futurismo espresse nel Manifesto della cinematografia futurista del 1916, quelle di Pirandello ne Quaderni di Serafino Gubbio Operatore del 1915 e in molte lettere. I futuristi ritenevano, giustamente, che il cinema avesse alla sua nascita ereditato la tradizione del teatro di prosa, annullando così tutti gli spazi di innovazione dati dal mezzo tecnico. Si era configurato come un’arte che ha saputo offrire solo drammi, drammoni e drammetti passatissimi, anche le sceneggiature non sono altro che pietose e trite ANALISI. Il cinema non deve essere imitazione del palcoscenico ma arte a sé. Pirandello invece condanna la pretesa che il cinema, che è meccanismo, possa essere vita e arte. Esso si è rivelato, nel suo sciocco tentativo di imitare la letteratura ed il teatro, capace di produrre solo sciocchezze e follie. Inoltre erra nel voler associare parola e immagine, poiché l’immagine, come insegnato dalla pittura e dalla lettura, è muta ed esprime se stessa senza bisogno di parlare. Anche la dicotomia fra immagine lontana e suono vicino crea l’ennesima assurdità a quest’arte che non sembra aver capito la propria direzione. Entrambe le critiche sembrano quindi andare verso una demolizione del cinema di prosa, quello narrativo, insomma quello odierno.
Come è noto i Futuristi non si sono mai limitati alle critiche ma hanno sempre proposto la loro versione, la loro idea, delle cose; così anche nel Manifesto per il cinema. “Il cinematografo, essendo essenzialmente visivo, deve compiere innanzitutto l’evoluzione della pittura: distaccarsi dalla realtà, dalla fotografia, dal grazioso e dal solenne.” Con questa frase si apre la fase costruttiva del testo, firmato da Marinetti, Corrà, Ginna e Balla. “Nel film futurista entreranno come mezzi di espressione gli elementi più svariati: dal brano di vita reale alla chiazza di colore, dalla linea alle parole in libertà, dalla musica cromata e plastica alla musica di oggetti.” Ecco in breve il cinema futurista: tutto ciò che la mente dell’artista, nei suoi capricci, può pensare. Furono senza dubbio i primi ad intuire le capacità espressive, pressoché illimitate, del cinema, anche anticipando i tempi sulle possibilità di realizzazione. Quest’arte si configurava come la più vicina ballettistica futurista: dinamica per natura, univa testo, immagine, danza e musica. Niente di meglio per la polisensibilità futurista.
Pirandello non si distacca molto da queste teorie, per quanto molto più “moderato”. Negli anni ’20, all’interno di alcune lettere mandate a Marta Abba parla di un’idea da lui chiamata melografia, da lui stesso definita la via della fortuna. Passerà molti anni a riflettere su questa melografia che però non prenderà mai forma, d’altronde come non prenderà mai forma realmente il cinema futurista, e ne definirà i caratteri nelle sue lettere. “Espressione visiva non della parola, ma della musica”. Pirandello aveva acquistato molti libri su Beethoven e riproduzioni delle sue sinfonie, ed aveva intenzione di realizzare dei poemi visivi che fossero pura musica e pura visione, immagini che potessero rappresentare ciò che poteva aver percepito il compositore stesso, che lavorassero sui sensi per eccellenza, vista e udito, come il sogno lavora sulla mente del dormiente.
Nessuna delle due originalissime visioni andrà mai in porto, purtroppo. Il cinema si è evoluto molto e distaccato da quello che loro vedevano ma, nella sua natura, nella sua costituzione è rimasto lo stesso. Oggi le parole di questi grandi artisti sono proiezioni di un cinema che sarebbe potuto essere.
Luca Tognocchi
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