Pirandello ateo mistico (Con audio lettura)

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Di Roberto Righetto

«Io ho una fede in Dio, non so se vera per lei, prete, ma fermissima, alla quale ho dovuto obbedire, offrire dolorose rinunzie. La pace? Non posso fare a meno di desiderarla anch’io: ma poi non riesco ad accettarla, caro don De Luca! La bontà è un’altra cosa, e qui cerco di fare tutto quello che posso, sapendo tutto quello che si potrebbe fare se fosse dato di dimenticarsi di se stessi: e allora è niente!».

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Pirandello ateo mistico

Pirandello ateo mistico
Pirandello e il rapporto con la religione

da L’Osservatore Romano, 24 giugno 2017

Leggi e ascolta. Voce di Giuseppe Tizza. 

Negli ultimi anni della sua vita era entrato in confidenza con don Giuseppe De Luca, il sacerdote amico degli artisti, e dai loro incontri romani era nata l’idea di un volume che doveva essere pubblicato da Morcelliana col titolo emblematico Colloqui su Dio. Ma il progetto svanì a causa della scomparsa improvvisa di Luigi Pirandello, il 10 dicembre 1936.

Come ha ricostruito efficacemente lo storico Marco Roncalli (si veda il suo contributo nel volume Pirandello e la fede, edito nel 2001 dal Centro studi pirandelliani a cura di Enzo Lauretta), i due si erano visti la prima volta il 26 ottobre 1934 nella casa dello scrittore a Roma, e dell’incontro furono fra l’altro testimoni Carlo Bo e il fratello di Corrado Alvaro, don Massimo. Il quale annotò come «don Giuseppe parlava, parlava, e io mi chiedevo come mai un personaggio celebre come Pirandello non aprisse quasi mai bocca». Il “prete cattolico” De Luca e il “sacerdote scettico” Pirandello si rividero e si scrissero.

Ecco un passo significativo di una lettera, inviata dallo scrittore da Parigi il 10 gennaio 1935: «Io ho una fede in Dio, non so se vera per lei, prete, ma fermissima, alla quale ho dovuto obbedire, offrire dolorose rinunzie. La pace? Non posso fare a meno di desiderarla anch’io: ma poi non riesco ad accettarla, caro don De Luca! La bontà è un’altra cosa, e qui cerco di fare tutto quello che posso, sapendo tutto quello che si potrebbe fare se fosse dato di dimenticarsi di se stessi: e allora è niente!». Difficile apporre glosse a questo documento, commenta Roncalli, senza correre il rischio di forzature. Da altre riflessioni di don De Luca, si sa che lo studioso della pietà popolare aveva in mente di trascorrere una giornata alla Cappella Sistina con l’autore del Fu Mattia Pascal, anche se egli era ben cosciente dell’abisso che li separava.

Ma come accennato sarebbe davvero eccessivo attribuire una spiritualità cristiana al grande drammaturgo. L’unico che l’ha fatto con convinzione è stato il narratore e critico Pietro Mignosi in un libro del 1935 (Il segreto di Pirandello).
Per Mignosi le opere dello scrittore siciliano hanno una chiara «impalcatura religiosa» e vi appare «un Dio vivo e vero, che è uomo perché Dio, e Dio perché uomo». In varie novelle, come La giara, «Dio è sempre nella vita reale dei poveri», umili personaggi che egli pone sempre al centro: «Pirandello predilige queste creature mansuete: il suo sentimento cristiano è veramente positivo: beati i mansueti, beati i pacifici, beati i poveri».
Il divario fra la Weltanschauung di Pirandello e la fede cristiana è stato invece evidenziato dalla quasi totalità della critica letteraria cattolica. Per Divo Barsotti «la religione di Pirandello è tutta qui: la solitudine infinita dell’uomo senza Dio». Così per Papini: «Nel furor distruttivo trovava il suo estro creativo, nell’eracliteo fluire dell’essere il suo punto d’appoggio, nella disperazione una specie di severo conforto. Non fu dunque cristiano». Il gesuita Ferdinando Castelli, per decenni acuto critico letterario di Civiltà cattolica, lo inserì nella categoria dei «cavalieri del nulla», così come per il filosofo Adriano Tilgher Pirandello era «forse lo scrittore più nettamente irreligioso d’Italia»; Tutt’al più lo si può definire «un ateo mistico». Ma lo studio senza dubbio più approfondito si deve al cardinale Giovanni Colombo che nel libro Aspetti religiosi nella letteratura contemporanea del 1937 dedica un intero capitolo all’opera dell’autore agrigentino. Il mondo di Pirandello è una realtà vana e insensata, «una nudità arida e inquietante» e tutta la vita «un abisso di vuoto». Per il teologo che sarebbe diventato arcivescovo di Milano Pirandello è «lo straziato poeta del soggettivismo e della relatività». Egli ha anzi accreditato l’immagine di un cattolicesimo intransigente ed ipocrita (si pensi a come ha rappresentato preti assolutamente indegni) e nei suoi personaggi l’illusione della fede serve solo per rendere almeno un po’ sopportabile l’esistenza.

Il dramma Lazzaro rappresenta al meglio il suo credo: lotta al dogmatismo e riconoscimento al solo valore della carità. Come scrisse lui stesso rispondendo alle polemiche dei critici cattolici, soddisfatto perché l’opera non era stata messa all’indice: «Cristo è charitas, amore. Solo dall’amore che comprende, e sa tenere il giusto mezzo fra ordine a anarchia, fra forma e vita, è risolto il conflitto».

Roberto Righetto

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