Pirandello antifascista solo post mortem

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Di Lorenzo Catania

Le ultime volontà dello scrittore, lasciar passare sotto silenzio la sua morte, carro d’infima classe, divieto a parenti e amici di seguirlo, cremazione e dispersione delle ceneri al vento stridevano con «la bella morte fascista» e dribblavano beffardamente ogni strumentalizzazione politica presente e futura.

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Pirandello antifascista

Pirandello antifascista solo post mortem

da Archivio Repubblica.it

Nell’articolo Quasimodo e Pirandello, i due Nobel opposti, apparso su “Repubblica Palermo” di giovedì 22 novembre, Salvatore Ferlita ha scritto che Luigi Pirandello, in occasione del Premio Nobel assegnatogli nel 1934, «si limitò a un breve ringraziamento con parole di circostanza durante il banchetto di rito coi reali svedesi. Luigi Pirandello forse rinunciò al discorso ufficiale di ringraziamento per il Nobel, gesto certo poco usuale e contro il rituale, per evitare di proferire parole di encomio nei confronti del regime fascista». E questo perché nel 1934, Pirandello non era più quello di dieci anni prima, quando, dopo l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, aveva aderito clamorosamente al Partito nazionale fascista, suscitando lo sdegno di Giovanni Amendola, figura di spicco della liberaldemocrazia, che aveva definito il Nostro «un uomo volgare ».

Scrive ancora Ferlita che l’ipotesi di un Pirandello, che «pur non dicendo nulla » prende le distanze dal fascismo, avvalorata di recente anche dallo scrittore Andrea Camilleri, è assai suggestiva e probabile; tanto più che detta ipotesi è sostenuta dal fatto che al ritorno da Stoccolma a Roma, il premiato non ebbe alcun festeggiamento ufficiale: alla stazione Termini non c’erano esponenti del governo ad accogliere Pirandello, e nemmeno giornalisti e fotografi. C’era solo l’amico e scrittore Massimo Bontempelli, accompagnato dalla poetessa e narratrice Paola Masino.

In realtà, l’ipotesi suggerita da Camilleri, e rilanciata da Ferlita, se prestiamo attenzione alla biografia dell’artista, si rivela fragile. Non bisogna dimenticare, ad esempio, che al tempo delle operazioni militari contro l’Etiopia, Pirandello, di ritorno da una sua permanenza all’estero, a chi lo intervistava per “L’Italia letteraria” (27 ottobre 1935), dichiarava: «Sono tornato in Italia da pochi giorni: non volevo star lontano in un momento politico così delicato…».

Qualche giorno dopo, il 29 ottobre, al Teatro Argentina, di fronte a Mussolini, Pirandello pronunciava un discorso in cui, esaltato anche dal fatto che il duce aveva dato il suo assenso alla realizzazione di un Teatro di Stato, plaudiva all’impresa etiopica:

« L’opera nostra, [cioè l’impresa africana] quando sarà compiuta, non risentirà di questa prima accoglienza ostile che oggi le fa il mondo. L’Autore di questa nostra grande opera in atto è anch’egli un Poeta che sa bene il fatto suo.
Vero uomo di teatro, eroe provvidenziale che Dio al momento giusto ha voluto concedere all’Italia, agisce, autore e protagonista, nel Teatro dei Secoli; e ogni volta opportunamente sa dire la giusta parola a tutti, la giusta battuta, sia che la sua voce debba essere udita e vagliata oltre i confini della Patria, sia che in Patria parli alle milizie che partono per conquistare al popolo italiano, che ne ha diritto e bisogno, un po’ di terra al sole, o che parli con tanto amore della terra e con tanta umanità agli agricoltori perché non ci lascino mancare il pane quotidiano di cui, ove occorra, sapremo tutti accontentarci; o che parli ai poeti, quando vuole che il popolo sia ammesso al teatro, non certo per assistere a effimeri e vani giuochi scenici, ma per nutrire e ritemprare il suo spirito con opere degne di questi tempi di sensi svegli e di serissimi impegni…
Auguriamoci, o Signori, che i provvedimenti già presi e tutti quelli maggiori e più effettivi ancora da prendere, diano presto fondamento e decoro al nostro teatro…e salutiamo intanto, con cuore fedele e con cuore devoto fino all’estremo, il nostro Duce».

Mentre in occasione della “Giornata dell’Oro alla Patria”, Pirandello donava, insieme ad altri oggetti d’oro, anche la medaglia del Premio Nobel.

Pertanto, forse è più giusto dire che il vero distacco del drammaturgo dal regime si verificò al momento della morte, nel 1936. Le ultime volontà dello scrittore – lasciar passare sotto silenzio la sua morte, carro d’infima classe, divieto a parenti e amici di seguirlo, cremazione e dispersione delle ceneri al vento stridevano con «la bella morte fascista» e dribblavano beffardamente ogni strumentalizzazione politica presente e futura.

Lorenzo Catania
20 novembre 2018

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