Di Paolo Quazzolo.
Come nelle altre città italiane, anche a Trieste l’autore siciliano è da sempre fortemente amato. Tranne qualche perplessità agli esordi, le sue opere hanno sempre sollevato dapprima la curiosità e poi il plauso convinto di pubblico e critica triestini.
Rappresentazioni pirandelliane a Trieste
Un caso di “pirandellismo”: «O di uno o di nessuno»
O di uno o di nessuno non è stato uno dei testi fra i più fortunati della produzione pirandelliana.
Certamente ve ne sono stati altri anche meno fortunati ma, statistiche alla mano, l’edizione proposta dal Teatro Stabile La Contrada di Trieste è, dal 1929 a oggi, appena l’undicesima edizione scenica di O di uno o di nessuno realizzata in Italia. Se si pensa, tanto per fare un paragone abbastanza lampante, che i Sei personaggi in cerca d’autore dal 1921 – anno del debutto – a oggi sono stati messi in scena da compagnie professionali più di cento volte (vale a dire più di una volta l’anno), il paragone è chiaro.
Quasi tutte le versioni – eccezion fatta per le ultime tre – di O di uno o di nessuno sono passate per i palcoscenici triestini. La Contrada, in tale contesto, detiene almeno due primati: quello di essere la prima compagnia triestina ad aver allestito questo dramma pirandelliano (sino a questo momento né lo Stabile del Friuli-Venezia Giulia, né lo Stabile Sloveno hanno mai pensato di allestirlo); nonché quello di aver portato O di uno o di nessuno su un palcoscenico diverso da quello del Teatro Verdi: per una curiosa coincidenza, infatti, tutte le precedenti edizioni del dramma pirandelliano apparse a Trieste sono state rappresentate al Verdi.
Prima di fare alcune considerazioni sulle rappresentazioni triestine di O di uno o di nessuno, vorrei fare alcune riflessioni sul rapporto tra Trieste e l’opera di Luigi Pirandello. Come nelle altre città italiane, anche a Trieste l’autore siciliano è da sempre fortemente amato. Tranne qualche perplessità agli esordi, le sue opere hanno sempre sollevato dapprima la curiosità e poi il plauso convinto di pubblico e critica triestini. Le statistiche delle rappresentazioni teatrali triestine ci indicano che Pirandello, dopo Goldoni, è l’autore che vanta il maggior numero di rappresentazioni.
Il dato assume particolare significato se si considera che Goldoni, attivo nella seconda metà del Settecento, ha dopo di sé duecento anni di storia dello spettacolo, mentre Pirandello, attivo nei primi decenni del Novecento, ha meno di un secolo di tradizione rappresentativa. In questa prospettiva, fatte le dovute proporzioni, Pirandello risulta essere l’autore più rappresentato sui palcoscenici triestini. Nonostante ciò, Trieste conobbe il teatro di Luigi Pirandello con un lieve ritardo rispetto il resto d’Italia. Le prime rappresentazioni di lavori pirandelliani risalgono infatti attorno gli anni Venti, vale a dire negli anni in cui Pirandello stava godendo della maggiore popolarità, dovuta in parte anche alle polemiche che avevano accompagnato alcune prime rappresentazioni dei suoi drammi. Una certa curiosità da parte del pubblico – stimolata sia dalla novità presentata dall’opera del drammaturgo siciliano, sia dalle cose che su di essa si erano dette – era quindi più che comprensibile e quindi non deve stupire se Pirandello fosse uno fra gli autori contemporanei tra i più richiesti. I motivi del ritardo con il quale i drammi di Pirandello giunsero a Trieste, possono essere spiegati in vario modo. Uno dei motivi più forti è sicuramente di ordine storico-politico: sino alla fine della prima guerra mondiale la città faceva parte dell’Impero Austro-ungarico. Questo rese di fatto difficile la rappresentazione di molti autori italiani contemporanei che solamente a fatica, dopo il 1918, iniziarono ad essere rappresentati sui nostri palcoscenici. Di contro Trieste godette di alcuni primati positivi. Innanzitutto che vennero rappresentati numerosi testi di autori tedeschi, spesso anche in lingua originale; in secondo luogo Trieste fu una delle prime città della penisola italiana ad aprirsi verso nuove forme di teatro, soprattutto verso la drammaturgia nordica, rappresentando testi di Ibsen e Strindberg. È noto, in particolare, il caso del teatro di Ibsen che – grazie alla presenza di intellettuali di sicuro spessore quali Michelstaedter, Slataper o Benco – venne letto attraverso nuove e più appropriate chiavi interpretative. Non deve inoltre essere dimenticato che a Trieste, proprio in virtù della situazione politica dominante, transitarono compagnie che non si esibirono su altri palcoscenici italiani: è il caso della celebre Compagnia dei Meiningen, al Politeama Rossetti nel 1886, il gruppo dal quale prese avvio il grande cammino di innovazione del teatro europeo che culminerà con la nascita della figura del regista. Per i motivi sopra esposti, Pirandello approdò ai palcoscenici triestini con un certo ritardo rispetto gli altri teatri italiani. Il primo gruppo significativo di recite pirandelliane ebbe luogo nel 1926. L’autore siciliano, tuttavia, giunse a Trieste per la porta principale: le sue commedie vennero infatti rappresentate al Teatro Verdi, il palcoscenico di maggiore prestigio in ambito cittadino e protagonista del ciclo di recite fu la Compagnia del Teatro d’Arte di Roma, vale a dire il gruppo fondato dallo stesso Pirandello e diretto da Marta Abba. Lo stesso Pirandello, per tutta la durata della permanenza della compagnia, fu in città per assistere alle repliche. Come fu abitudine per le compagnie italiane sino alla metà, circa, del Novecento, anche il Teatro d’Arte si presentò con un repertorio di spettacoli particolarmente vasto, consentendo così di proporre ogni sera uno spettacolo diverso. La compagnia presentò a Trieste ben 15 commedie delle quali 13 appartenenti al repertorio pirandelliano, le rimanenti due al repertorio contemporaneo: La donna del mare di Ibsen – testo ben conosciuto dalla platea triestina che lo aveva visto recitato, tra l’altro, anche da Eleonora Duse – e Marionette che passione di Rosso di San Secondo, che venne accolto dal pubblico in modo abbastanza freddo, nonostante l’opera fosse già stata rappresentata a Trieste qualche anno prima con esito discreto.
Il Teatro d’Arte di Roma si fermò a Trieste dal 20 novembre al 3 dicembre 1926. Esordì con i Sei personaggi in cerca d’autore, cui fece seguito, il 21, Vestire gli ignudi, il 22 Così è (se vi pare), il 23 Il giuoco delle parti, mentre il 24 furono proposte addirittura due commedie nella stessa serata: Il berretto a sonagli e l’atto unico L’uomo dal fiore in bocca. Il 25 novembre fu la volta de La vita che ti diedi, il 26 L’uomo, la bestia e la virtù, il 27 la già citata Donna del mare di Ibsen, il 28 Ma non è una cosa seria, il 29 Due in una (la seconda stesura della Signora Morli una e due), il 30 Pensaci, Giacomino! Il 1° dicembre fu la volta di Come prima, meglio di prima, il 2 venne proposta la già ricordata Marionette che passione di Rosso di San Secondo, e infine, il 3 dicembre, chiusura trionfale con Il piacere dell’onestà. L’atteggiamento tenuto dal pubblico e dalla critica nei confronti di questo ciclo di rappresentazioni fu dapprima di curiosità e poi, via via, di crescente successo, sino all’autentico trionfo delle ultime serate. Si è accennato all’esito particolarmente felice della serata di congedo: il motivo deve essere ricercato soprattutto nel fatto che Luigi Pirandello, come si è detto, in città per seguire la compagnia, si presentò prima dell’inizio dello spettacolo alla ribalta del palcoscenico del Teatro Verdi per colloquiare con la platea. Pirandello non era solito intrattenersi con il pubblico, lo faceva solo sporadicamente. Il pubblico di Trieste evidentemente lo ispirò e quella sera si presentò sul proscenio prima del levarsi del sipario per rispondere alle domande del pubblico. Le cronache, che riportano quasi integralmente il testo della discussione, raccontano che l’autore siciliano – forse perché timoroso di qualche contestazione – esordì dicendo che avrebbe risposto alle domande purché queste fossero non troppo pressanti e polemiche. La raccomandazione fu comunque inutile perché il pubblico triestino, secondo una sua ben nota etichetta, non pose alcuna polemica ed anzi, si dimostrò entusiasta nei confronti del teatro pirandelliano.
Le curiosità del pubblico si riversarono soprattutto sui due maggiori cardini della poetica pirandelliana: il tema della pazzia e soprattutto l’argomento del relativismo e delle molteplici facce possedute da una medesima realtà. Al termine del dibattito la direzione del Teatro Verdi offrì a Pirandello una targa d’argento a ricordo della serata. Motivo di curiosità che accompagnò le esibizioni della compagnia pirandelliana a Trieste fu anche la presenza di una giovanissima Marta Abba. L’attrice all’epoca aveva solo 26 anni. Sui palcoscenici triestini l’attrice era già comparsa nel 1924, ma in ruoli marginali: è quindi comprensibile la curiosità del pubblico triestino nel sentire e vedere un’attrice che nel giro di pochi anni era passata dai ruoli di contorno a quelli fortemente protagonistici. La Compagnia del Teatro d’Arte di Roma, dopo la permanenza a Trieste (una delle poche città italiane ad aver ospitato il gruppo) proseguì la sua tournée verso le grandi capitali danubiane: Budapest, Praga, Bucarest e infine a Vienna ove si esibì nel teatro di Max Reinhart. In seguito la Compagnia non tornò più a Trieste, sia perché la lunga tournée la condusse lontano dall’Italia e dall’Europa, sia perché si sciolse dopo pochi anni. A Trieste ritornò invece Marta Abba, interprete proprio di O di uno o di nessuno. Vorrei, in questa ultima parte del mio discorso, dare notizia delle varie edizioni che di O di uno o di nessuno si sono susseguite sui palcoscenici triestini. O meglio, sul solo palcoscenico del Teatro Verdi perché, curiosamente, questa commedia pirandelliana ebbe la ventura di essere rappresentata solo nel maggiore teatro cittadino. Trieste fu la seconda città italiana, dopo Torino, a rappresentare O di uno o di nessuno. La commedia debuttò il 4 novembre 1929 al Teatro di Torino, nell’interpretazione della Compagnia Almirante-Rissone-Tòfano.
La stessa compagnia, trasferitasi da Torino a Trieste, tra la fine del novembre e gli inizi del dicembre dello stesso anno, diede un ciclo di rappresentazioni al Teatro Verdi, tra le quali, il 9 dicembre, anche O di uno o di nessuno. Accanto a Luigi Almirante, Giuditta Rissone e Sergio Tofano, che vestirono i tre ruoli principali, recitarono Amalia Chelli e Vittorio De Sica. O di uno o di nessuno tornò al Teatro Verdi il 19 novembre 1930 nella interpretazione della Compagnia Almirante-Besozzi-Pagnani. A questo proposito è interessante sottolineare che Luigi Almirante fu una sorta di erede e poi interprete della tradizione pirandelliana e per molti anni fu anche il depositario di questo testo. Non a caso, anche l’edizione successiva di O di uno o di nessuno, giunta a Trieste nel maggio del 1934 e interpretata dalla Compagnia Stabile di San Remo con Marta Abba, vide tra i protagonisti Luigi Almirante. Al loro fianco Giovanni Cimara e Romano Calò, celebre allora in Italia per le sue interpretazioni di drammi polizieschi. Una nuova edizione di O di uno o di nessuno fu proposta a Trieste nel novembre del 1936 con la Compagnia Palmer-Almirante-Scelzo. Nel novembre del 1940 a cimentarsi con la commedia fu invece la Compagnia di Mario Ferrari con Giuseppina Cei e Luigi Carini. L’ultima volta, in ordine di tempo, che O di uno o di nessuno venne proposta a Trieste, sempre sul palcoscenico del Teatro Verdi, fu il 3 marzo del 1952 con la Compagnia diretta da Laura Solari (attrice che due anni più tardi sarebbe divenuta la prima donna del neonato Teatro Stabile “Città di Trieste”) con Giuseppe Porelli, Ivo Garrani, Gianrico Tedeschi e Alberto Lionello. Da allora e sino a oggi, O di uno o di nessuno non è stato più rappresentato a Trieste. Nel resto d’Italia tuttavia la situazione non è stata di gran lunga migliore: dal 1952 a oggi si possono infatti contare solo altre tre edizioni: quella del 1957 proposta dal Teatro Stabile di Palermo con Lucia Catullo e la regia di Lucio Chiavarelli. Poi una fortunatissima edizione allestita dal Teatro dei Filodrammatici di Milano che rimase in scena per tre stagioni consecutive (1986/87, 1978/88, 1988/89) per la regia di Lamberto Puggelli con Adriana De Guidi, Riccardo Pradella e Claudio Beccari. Ultima edizione in ordine di tempo è quella diretta da Walter Manfrè con Paola Quattrini protagonista, nella stagione 1992/93.
Concludendo, credo sia doveroso dare notizia degli esiti della prima rappresentazione triestina di O di uno o di nessuno del dicembre 1929. Questa commedia pirandelliana non è stata particolarmente fortunata: sia il pubblico che la critica la accolsero senza particolari entusiasmi, sebbene tutti i quotidiani avessero dato grande rilievo alla serata.
I due articoli più significativi furono quello apparso su “Il Piccolo” e siglato v.t. (Vittorio Tranquilli) e quello pubblicato su “Il Popolo di Trieste” e siglato ant.
La critica del “Piccolo” è sicuramente più favorevole al nuovo testo pirandelliano, rivelando, tra l’altro, anche la personalità di un critico di sicuro spessore quale era Vittorio Tranquilli. Il recensore analizza con intelligenza il tema della paternità egoistica e della maternità offesa e soprattutto si sofferma sul contrasto tra ragione e natura. La ragione che in Tito e Carlino trova esplicazione attraverso un amore “pianificato” e la natura che nella nascita di un figlio imprevisto e nella malaugurata morte di Melina vanifica prepotentemente ogni calcolo precedente.
Il recensore del “Popolo di Trieste” si dimostra invece molto più severo, addirittura scagliandosi con una certa violenza contro la commedia di Pirandello. Leggiamo infatti: “O di uno o di nessuno dà un’impressione di fontana chioccia la cui acqua scarsa può guizzare soltanto, ma non è mai zampillo sicuro. La fatica della costruzione si risente a ogni atto, la magrezza d’inventiva colpisce subito per rappresentarci gente che Pirandello ha già fritto in altre commedie sue. Quando un autore grande si ripiega su se stesso, la sua fatica si può dire mancata”. È d’altra parte curioso che al termine dell’articolo il recensore avesse sentito il bisogno di sottolineare che, nonostante tutto, la commedia era pur sempre opera di Pirandello e quindi un certo valore lo conservava.
Desidero chiudere il discorso offrendo un piccolo saggio di quali possano essere le difficoltà, per chi si occupa di storia del teatro e dello spettacolo, nel ricostruire con precisione l’andamento di una serata teatrale, soprattutto se questa è lontana da noi nel tempo. I due critici citati assistettero alla medesima rappresentazione, nello stesso teatro, con la stessa compagnia. Eppure i responsi sono quasi opposti. Dice infatti Vittorio Tranquilli su “Il Piccolo”: “Il pubblico, imponente, che gremiva il teatro in tutti i posti, ha accolto la commedia con caldo fervore applaudendo due volte dopo il primo atto, quattro volte dopo il secondo, tre volte dopo il terzo, che è stato però anche disapprovato da alcuni solitari”. Scrisse invece il critico del “Popolo di Trieste”: “La commedia, teatralmente parlando, non vale. Nel teatro di Pirandello può tranquillamente occupare l’ultimo posto, tant’è miseruccia. Il pubblico ha sentito ciò e dopo aver accolto freddamente il primo atto, dopo aver applaudito con contrasti il secondo, il terzo si è alzato in fretta scontento nella maggioranza. Qualche fischio isolato”.
A questo punto, con una citazione pirandelliana ci potremmo chiedere dove stia la verità dei fatti. Due critici, testimoni del medesimo avvenimento spettacolare, danno due versioni differenti. Ma nel decretare le diverse opinioni, lo sappiamo, concorrono inevitabilmente diversi fattori, dallo stato d’animo, al coinvolgimento emotivo, dalla formazione culturale sino – fatto non trascurabile – l’orientamento politico del quotidiano per il quale ciascuno scriveva.
Paolo Quazzolo
Università degli Studi di Trieste – Dipartimento di Italianistica Linguistica Comunicazione Spettacolo
La Contrada – Teatro Stabile di Trieste, Associazione Amici della Contrada
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