Di Giuseppe Cocchiara.
Nella Nuova Antologia del 1° aprile 1943 L. Finazzi Agrò ha pubblicato alcune lettere, veramente interessanti, che Luigi Pirandello dal settembre 1889 al settembre del 1890, indirizzò ad Ernesto Monaci. Queste lettere anche se qualcuna è datata da Palermo, annunciano e commentano il soggiorno di Pirandello a Bonn.
Pirandello a Bonn e la tesi sulla parlata di Girgenti
Da Giornale di Sicilia, 10 giugno 1943.
Nella Nuova Antologia del 1 aprile 1943 L. Finazzi Agrò ha pubblicato alcune lettere, veramente interessanti, che Luigi Pirandello dal settembre 1889 al settembre del 1890, indirizzò ad Ernesto Monaci . Queste lettere anche se qualcuna è datata da Palermo, annunciano e commentano il soggiorno di Pirandello a Bonn.
“Ernesto Monaci”, avverte il Finazzi Agrò “ ebbe alla Sapienza romana moltissimi scolari che indirizzati e animati da lui si fecero grande onore nel campo degli studi. Ne ebbe due fuoriclasse che sempre lo ricordano con gratitudine ed affetto e che dovevano fare in direzioni diametralmente opposte, moltissima strada: D’Annunzio e Pirandello.
Il primo s’iscrisse all’università di Roma nell’autunno del 1881 e tra le poche lezioni che frequentava erano appunto quelle del Monaci… Pirandello s’iscrisse all’ateneo romano nel 1888 e prese norma ai suoi studi dal metodo vigorosamente scientifico del filologo, il quale aveva tutte le qualità per conciliarsi irresistibilmente la venerazione l’affetto dei giovani più intelligenti o meglio promettenti.
Disgrazia volle che l’inquieto agrigentino avesse qualche dissenso col titolare della letteratura latina Onorato Orcioni, in seguito al quale l’ambiente della Sapienza gli si fece ostile al punto di decidere di compiere gli studi fuori, non solo di Roma, ma l’Italia”.
Pare che l’illustre professor Orcioni, non sapesse perdonare all’allievo di essersi accolto di uno strafalcione sfuggitogli nel leggere una commedia di Plauto e di averlo fatto notare.
Sta di fatto, ad ogni modo, che nel settembre dell’89, incoraggiato dallo stesso Monaci, Pirandello ha già preso la decisione di lasciare Roma per Bonn, dove insegnava filologia – la materia nella quale Pirandello voleva meglio approfondirsi – Wendelin Forster, il successore di Federico Diez.
“Ora, egli scrive al Monaci, mi dispongo a partire per la Germania. Il giorno 26 (settembre) sarò senza dubbio a Roma, dove mi tratterò più di tre giorni premendomi di trovarmi a Bonn a tempo debito”.
A Bonn Pirandello entra subito in contatto con Forster, al quale viene presentato dal Monaci. “Sono già stato dal professor Forster”, scrive allo stesso Foster il 14 novembre 1889, “che mi ha accolto assai cortesemente. Abbiamo molto parlato di Lei: e di poi dei miei progetti, parlandogli a lungo dei miei precedenti studi. Mi ha promesso il suo aiuto, la sua guida, quando sarà possibile per l’avvenire; e secondo il suo consiglio mi sono messo con impegno nel mio lavoro su la “Parlata della provincia di Girgenti”. Ho con me una grande raccolta di fiabe, canti popolari e improvvisi che io stesso ho raccolti e che serviranno di base al mio studio. La farò poi stampare come appendice al mio lavoro”.
Appena il lavoro è quasi finito il Pirandello ne dà subito notizia al Monaci in una lettera del 7 settembre 1890. “Ho condotto a fine la mia dissertazione di laurea e mi sento in dovere di dargliene notizia. Attendo ora che il professor Forster ritorni a Bonn per fargliela esaminare ancora una volta. Ho seguito sempre la via da lui tracciatami; e ho dovuto in molte parti allontanarmi dallo Seheegans e però anche dal Meyer-Lubke, specialmente nel trattare della dittongazione dell’è e nei paesi dell’interno della provincia di Girgenti, come per esempio Casteltermini. Credo di aver fatto bene…”.
Né si ingannava. In una lettera senza data, indirizzata al Monaci, il Pirandello, infatti, aggiunge: “il Forster è finalmente tornato a Bonn”. Egli “non ha ritrovato molto da ridire sul mio lavoro, onde io seguendo l’ordine di lui indicatomi e fatte le correzioni suggeritemi, potrò in breve dare alle stampe”.
Prima di esaminare la dissertazione di laurea di Pirandello sarà utile notare che, in Italia, fin dal 1874 erano state fondate le prime cattedre di filologia romanza. La filologia pone, così, le sue basi su un solido terreno. I suoi orizzonti man mano si allargano. Lo studio delle lingue neolatine è ritenuto come un elemento indispensabile per la storia del pensiero e della civiltà. Si discutono idee e principi. Si formulano risultati. Si perfezionano i metodi di indagine.
Durante questo lungo e paziente lavoro, mentre fervono le discussioni sulle leggi fonetiche, esce nel 1882, nell’Archivio glottologico italiano, un acuto articolo di Graziadeo Ascoli, il fondatore della dialettologia italiana, il quale invita gli italiani a studiare, con amore, i dialetti d’Italia.
Dal 1824 al 1833, è vero, una imponente raccolta di materiali dialettali era stata messa assieme dei raccoglitori dei canti popolari, dei proverbi, delle novelle, eccetera. Per quanto le due scienze, la filologia e la scienza delle tradizioni popolari, avessero indirizzi e metodi diversi, tuttavia la dialettologia trovava, nella scienza delle tradizioni popolari, una impareggiabile alleata. I filologi italiani, dal Monaci al Novati, sono infatti studiosi di fenomeni linguistici e acuti interpreti delle letterature popolari.
Non bastava però, alla scienza linguistica romanza, avere a sua disposizione dei “dialetti”. Era necessario che si compilassero sopra i singoli dialetti viventi delle monografie e che questi dialetti si studiassero, in un primo momento, nelle loro leggi fonetiche.
Questa era la consegna, alla quale ubbidì anche Luigi Pirandello, Agrigentino, egli pertanto sceglie – come argomento di studio per la sua tesi di laurea – il dialetto agrigentino: la “lingua” dei suoi genitori e della sua gente che egli ricorderà a Bonn, non solo le viuzze della sua città lontana, splendente fra i templi e luminosa nei suoi tramonti, ma anche la casa dove egli nacque e alla quale sapeva di ritornare, appena compiuto il suo viaggio sulla terra.
Non è dunque senza commozione, che, noi oggi apriamo la sua “inaugurat” – “disertattion” – intitolata appunto Laute und Lautentwickelung der Mundart von Girgenti e edita nel 1891 ad Halle. In essa Luigi Pirandello si rivela un filologo attento e preparato. Solidale architettura del lavoro. Scrupolose le ricerche. Ciascun fenomeno linguistico è descritto dal Pirandello come più tardi egli descriverà i suoi personaggi.
Strumenti di lavoro: le grammatiche del Diez e del Mayer-Lubke. Due pubblicazioni di Gaetano di Giovanni dedicate ai canti e alle novelle popolari siciliane (della provincia di Agrigento) forniscono al Pirandello modi di dire, proverbi, frasi, eccetera ma le parole che egli sottopone al suo esame sono le parole che egli stesso ha parlato coi suoi primi compagni d’infanzia e che ha sentito nei paesi vicini. Gli sono di grande aiuto i canti popolari che egli stesso raccolse ad Agrigento.
Il Pirandello, però, da buon filologo, non si contenta di catalogare, di disporre le parole secondo le scale fonetiche; vocali, gutturali consonanti, ecc. Man mano che raccoglie ha sempre presente l’investigazione etimologica, onde egli fa parlare le parole stesse, le quali di tutte le dominazioni siciliane ci illuminano tanti lati.
Così, attraverso il dialetto di Agrigento della sua provincia, da Canicattì a Naro, Luigi Pirandello ci dà una pagina acuta e geniale della stessa vita agrigentina. Omaggio alla sua terra, al suo paese. Ma al tempo stesso, un vero contributo alla filologia romanza, tant’è vero che il volume, appena uscito fu salutato da una dotta recensione del Meyer-Lubke (da colui, cioè che allora era considerato il maestro di tutti) pubblicata nella Literaturblatt fur Germ’anische un Romanische Philologie (XII, nov.1895).
L’arte allontanò Pirandello da questi studi. Le università perdettero un ottimo professore di filologia romanza. Ma quanta fosse stata utile questa preparazione filologica ce lo dimostrano oggi tutte le opere di Pirandello.
Del soggiorno a Bonn il Pirandello si giovò, d’altra parte, per approfondire in maniera impeccabile la conoscenza della lingua tedesca. E geniale frutto di questo studio oltre la sua tesi di laurea, fu la traduzione delle Elegie renane di Goethe. Più tardi, in risposta al grande poeta tedesco, egli compose Elegie romane e le dedicò ad una fanciulla tedesca.
Il suo soggiorno a Bonn, ormai, diventava un nostalgico ricordo.
Giuseppe Cocchiara
Giornale di Sicilia, 10 giugno 1943
Se vuoi contribuire, invia il tuo materiale, specificando se e come vuoi essere citato a
collabora@pirandelloweb.com