1916 – Pensaci, Giacomino! – Commedia in tre atti

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Commedia morale, umoristica ma anche grottesca, con un personaggio che sembra voler affrontare l’ipocrisia del mondo senza la maschera di un ruolo sociale, quello di marito, perché di questo ruolo si libera subito, dichiarando di non volerlo essere.

FONTE  Novella «Pensaci, Giacomino!» 1910
STESURA febbraio – marzo 1916
PRIMA RAPPRESENTAZIONE 10 luglio 1916 – Roma, Teatro Nazionale, Compagnia di Angelo Musco (in dialetto siciliano).

Approfondimenti nel sito:
Sezione Tematiche – Luigi Allegri – “Pensaci Giacomino!”: una famiglia al maschile
Sezione Novelle – Pensaci, Giacomino!
Sezione Video – Pensaci, Giacomino! 1986. Salvo Randone
Link esterni
Opere letterarie del Novecento Italiano – Introduzione e trama
Diablogues – Note di regia

Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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Pensaci, Giacomino! - Commedia in tre atti
Angelo Musco – Pensaci Giacomino! – 1936. Immagine dal Web.

Premessa

Scritta in dialetto siciliano all’inizio del 1916 per il grande attore dialettale Angelo Musco, andata trionfalmente in scena nel luglio dello stesso anno, Pensaci, Giacomino! fu poi “tradotta” in italiano e offerta invano ad alcuni dei maggiori capocomici italiani dell’epoca, da Alfredo De Sanctis a Ruggero Ruggeri, da Ermete Novelli a Emma Gramatica. Probabilmente portata sulle scene, nella versione in lingua, da Ugo Piperno nel 1920, poi anche da Pirandello stesso nel 1926-27, nella nuova riscrittura meno impregnata di calchi dal siciliano, la commedia dovette tuttavia attendere Sergio Tofano, nel 1932, per una definitiva affermazione.

         È una commedia in tre atti, tratta dalla novella omonima apparsa sulle colonne del Corriere della Sera del 23 febbraio 1910 ora nella raccolta La giara di Novelle per un anno. La stesura della commedia risale al febbraio-marzo 1916, la pubblicazione in Noi e il mondo all’aprile-giugno 1917. Prima a rappresentarla, con la traduzione siciliana di Pirandello, fu la Compagnia Angelo Musco, al Teatro Nazionale di Roma, il 10 luglio 1916. Nel 1936 vi fu, inoltre, la riduzione cinematografica a opera di Gennaro Righelli, con l’interpretazione dello stesso Musco, di Elio Steiner e Dria Paola.

         Il professore settantenne Agostino Toti affronta coraggiosamente il conflitto tra il suo autentico senso d’umanità e le regole di una società mediocre e ipocrita che egli trasgredisce accettando di risultare a tutti stravagante e senza scomporsi dalla corale censura che l’intero paese gli infligge. Egli decide di sposare Lillina, la giovane e bella figlia del bidello, solo allo scopo di beneficarla, lasciandole la pensione dello Stato e il suo patrimonio. Lillina è incinta di Giacomino, suo fidanzato, ed è stata cacciata di casa perché sorpresa in intimo colloquio con lui. Il matrimonio col vecchio professore è per lei una vera salvezza, sarà un matrimonio convenzionale, vivrà con lui come una figlia, potrà continuare a incontrarsi con Giacomino, il frutto del loro amore nascerà in una famiglia onorata e avrà un avvenire. È singolare come l’illuminata ribellione di Agostino Toti contro le convenzioni si traduca sostanzialmente nel ripristino ordinato delle regole; ma questa esteriore verniciatura d’onorabilità ha un evidente significato umoristico, per le contraddittorie conseguenze che suscita.

         Naturalmente le assidue visite di Giacomino in casa Toti sono motivo di pettegolezzo e di scandalo per l’intero paese. Persino i genitori di Lillina protestano animosamente per questa ambigua situazione in cui vive la figlia che è sulla bocca di tutti. Ma i veri protagonisti del conflitto sono Toti e Lillina, da un lato, e dall’altro, l’arcigna sorella di Giacomino Rosaria che ha il sostegno del prete Landolina, uomo viscido e ipocrita devoto soltanto alle apparenze, fino a predicare una falsa morale che capovolge le regole del giusto e dell’umano. Succube di Rosaria s’adopera a convincere Giacomino a interrompere la relazione con Lillina, per sposare una brava ragazza, amica di Rosaria. Pirandello dà una vera e propria lezione a questo prete che ha una contorta visione delle cose: per sottrarre Giacomino a una situazione «scandalosa» non esita a consigliarlo d’abbandonare suo figlio e la sua donna.

         La soluzione della commedia è in apparenza paradossale: Agostino Toti si precipita a convincere l’amante della moglie a tornare a frequentarla nella sua casa; ma, in realtà, è, a un tempo, profondamente umana: per convincerlo non si accontenta di sostenere calorosamente le sue ragioni in favore di Lillina contro le pretestuose ragioni di Rosaria e del prete Landolina, ma porta in casa di Giacomino, presente la scandalizzata Rosaria e il pusillanime prete, il piccolo Nini. La vista del figlio e le parole del professore, dopo un animato colloquio, convincono Giacomino.

         Il finale è una violenta requisitoria contro il cattivo prete che cerca di recuperare Giacomino. Il professore gli urla: «Vade retro! distruttore delle famiglie! Vade retro!». E alla concitata affermazione di Landolina: «Giacomino, io credo… », Agostino Toti gli urla: « Che crede ? Lei neanche a Cristo crede!». Contro il prete il Professore ha usato il linguaggio biblico, come se avesse indossato lui le vesti sacerdotali per indicare da che parte è la giustizia.

         Coglie nel segno il sintetico giudizio di Lucio D’Ambra, espresso a caldo, dopo la prima rappresentazione: «La commedia di Luigi Pirandello è tutta nel suo ardito, arguto e nuovo punto di partenza e nella profonda umanità del suo punto d’arrivo» ’. Proprio quella «profonda umanità» celebra la vittoria dei sentimenti autentici contro la ottusa disumanità di certi pregiudizi borghesi.

         Rispetto alla novella il Professor Toti dimostra nella commedia un carattere più risoluto, una più decisa rivolta contro l’ipocrisia, un più forte impegno monde.

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