Analisi di “Pensaci Giacomino!”: una famiglia al maschile

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Di Luigi Allegri. 

La storia è quella di un curioso ménage à trois: ridotta all’osso, parla infatti della convivenza tra una giovane donna, un giovane uomo e un uomo anziano che prova per entrambi un tenero affetto paterno ma che è formalmente il marito della ragazza. 

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Elio Steiner, Dria Paola e Angelo Musco in una scena del film Pensaci Giacomino !, 1936

“Pensaci Giacomino!”: una famiglia al maschile

da Teatro del Novecento

Scritta in dialetto siciliano all’inizio del 1916 per il grande attore dialettale Angelo Musco, andata trionfalmente in scena nel luglio dello stesso anno, Pensaci, Giacomino! fu poi “tradotta” in italiano e offerta invano ad alcuni dei maggiori capocomici italiani dell’epoca, da Alfredo De Sanctis a Ruggero Ruggeri, da Ermete Novelli a Emma Gramatica.

Probabilmente portata sulle scene, nella versione in lingua, da Ugo Piperno nel 1920, poi anche da Pirandello stesso nel 1926-27, nella nuova riscrittura meno impregnata di calchi dal siciliano, la commedia dovette tuttavia attendere Sergio Tofano, nel 1932, per una definitiva affermazione. Da allora, il professore di Storia Naturale Agostino Toti fu personaggio caro a Luigi Almirante e a Nino Taranto, a Ernesto Calindri e a Turi Ferro, e a più riprese cavallo di battaglia di Salvo Randone. Pensaci, Giacomino! è una commedia particolare.

Apparentemente molto “normale”, con un linguaggio che si concede poche libertà (qualche immagine felice, come quella del fuoco che proiettando le ombre ingigantisce i gesti, qualche “scarto” improvviso come nel dialogo tra Toti e don Landolina nel secondo atto: quell’allusione alle “stradacce” che si sfanno sotto i piedi che serve a straniare il discorso “untuoso” del prete, quella preghiera di “togliersi i guanti dalla lingua”), con una struttura drammaturgica in tre atti, addensata intorno a tre nuclei tematici perfettamente scanditi (la decisione di impiantare quella strana famiglia che è al centro della commedia, la crisi di questa convivenza, il ricompattarsi dell’unione). E con un tema che è apparentemente quello del rapporto tra coscienza individuale e immagine sociale, significativamente lo stesso del coevo Berretto a sonagli ma con una radicale inversione di prospettiva: là Ciampa teorizza la priorità imprescindibile dell’immagine sociale, mentre qui Toti si fa campione dell’indipendenza del sentire e dell’agire dalle opinioni e dai condizionamenti della gente.

E se nel Berretto a sonagli l’immagine-chiave di questo rapporto è quella del pupo (la proiezione sociale di sé, per la quale ognuno pretende il rispetto degli altri), qui è quella della maschera, evocata nel dialogo tra la serva Marianna e il professore alla fine del secondo atto, con la donna che intende come maschera il comportamento socialmente anomalo di Toti e questi che rovescia il concetto accusando di mascherarsi chi è schiavo delle convenienze sociali. Dico che il tema è apparentemente questo, perché in realtà gli argomenti di Pensaci, Giacomino! sono un po’ meno lineari e non poco più torbidi.

Comunque la si voglia raccontare, la storia è quella di un curioso ménage à trois: ridotta all’osso, parla infatti della convivenza tra una giovane donna, un giovane uomo e un uomo anziano che prova per entrambi un tenero affetto paterno ma che è formalmente il marito della ragazza. Più un bambino, figlio dei due giovani ma legalmente figlio della giovane e dell’anziano, che drammaturgicamente non è un soggetto ma un oggetto (di scandalo), uno strumento (di ricatto, di investimento affettivo). Nella coscienza del vecchio protagonista, quella in cui si trova felicemente coinvolto è una famiglia a pieno titolo, che stringe coi suoi legami non solo affettivi ma anche formali tutti i suoi componenti, come è confermato da quel “Vade retro! Distruttore delle famiglie!” che Toti grida in chiusura a Don Landolina, che aveva cercato di sottrarre Giacomino a questo ménage.

Un tema scabroso, dunque, in cui il nodo più intricato non è nel rapporto, già ambiguo, tra Toti e Lillina ma in quello ancor meno chiaro tra Toti e Giacomino. Il vecchio professore ha sposato Lillina per rivalsa contro lo Stato, per costringerlo a pagare per decenni una pensione che lui non avrebbe potuto godere che per pochi anni, ma anche per dare un nome al bambino concepito da Lillina con Giacomino, giovane buono ed educato, ma “senza arte ne parte, sventato”. Toti vuole essere solo un padre per la ragazza, e dunque un nonno per il bambino, che pure lo chiama papà (“Quanto mi piacerebbe che mi chiamasse nonno!”, dice alla fine del secondo atto), e dunque favorisce l’amore tra i due giovani permettendo a Giacomino di frequentare con assiduità la propria casa.

Negli schemi di una famiglia normale (madre, padre, figlio), Giacomino è dunque formalmente l’ospite ma è Toti sostanzialmente l’intruso: e si sa quanto per il Pirandello di questi anni (si pensi solo al Giuoco delle parti, che è del 1918) sia importante la dialettica tra forma e sostanza, e come sia la sostanza a dover prevalere. E davvero Agostino Toti è un uomo di sola sostanza, che si scontra per questo apertamente con le forme della convivenza sociale. Il dialogo del secondo atto con don Landolina è in questo senso esemplare, perché, per riprendere la metafora del Berretto a sonagli, il professore usa sempre la “corda seria”, quella della verità nuda e cruda, mentre il prete usa la “corda civile”, quella formale che si usa nei rapporti sociali.

Padre Landolina è un personaggio chiaramente negativo e antipatico (anche se la famosa battuta finale in cui il Toti lo accusa di non credere neanche in Dio non compare nella prima stesura del testo, ed è forse da attribuire ad un’invenzione di Musco, recepita poi da Pirandello nelle stesure successive), ma questi non comporta automaticamente che Toti sia un personaggio positivo e che la sua posizione sia condivisa da Pirandello. Almeno a credere alla testimonianza dello stesso autore che, in una lettera del 1910 ad Alberto Albertini, capo-redattore del Corriere della Sera, commentando le reazioni alla pubblicazione della novella dallo stesso titolo e dallo stesso soggetto, bollava come “ridicolo” il comportamento del professore, sostenendo che l’umorismo della novella nasceva proprio dalla coerenza estrema del personaggio ad un suo assunto morale aprioristico. Allora forse Toti non è il contrario di Ciampa, ma può essere il suo doppio, quello che, al bivio, ha scelto di seguire fino in fondo la strada della “corda seria”.

Ma perché, in fondo? Perché Ciampa aveva una posizione sociale da difendere, il suo “ruolo pubblico”: di marito, che era un valore spendibile ufficialmente e apertamente nel confronto con gli altri. Agostino Toti non ha questo ruolo, non ha una linea sociale su cui attestarsi per chiedere, almeno formalmente, il rispetto della gente: non è davvero un marito, né gli interessa esserlo, e dunque non è sulla difesa dell’onore del marito tradito che può attenersi; non è il padre del bambino, non fa nulla per apparire tale e anzi vorrebbe esserne il nonno, e dunque neanche gli interessa la salvaguardia della sua fittizia famiglia legale. I valori che lo interessano non sono spendibili e difendibili socialmente, perché sono “fuori regola e la società non può accettarli.

La sua battaglia è infatti, da un lato – e manifestamente -, per il benessere della “famiglia di fatto” che ha aiutato a nascere e di cui si è fatto garante e custode (quella dei due giovani e del bambino) e, dall’altro – e oscuramente -, la sua personale situazione esistenziale, grumo difficilmente stemperabile, anche per se stesso. È qui il nodo cruciale, il tema centrale di Pensaci, Giacomino!, il suo nucleo oscuro. Toti, alla fine, non è tanto interessato al rapporto con Lillina (che infatti potrebbe continuare a coltivare anche se Giacomino sposasse un’altra) quanto al rapporto con Giacomino, con un’ombra di omosessualità, naturalmente non pienamente consapevole, naturalmente non consumata, che si allunga con evidenza sul finale della commedia.

Anche a non voler cogliere qualche segnale precedente (il professore non si è mai sposato e mai si è interessato alle donne, i suoi allievi non lo rispettano a testimonianza di una benevolenza che tutto perdona, sposa Lillina ma il suo affetto maggiore è per il piccolo Ninì; e poi Giacomino è designato con un diminutivo che stona un po’ addosso ad un uomo giovane ma già adulto), è la scena dell’ultimo atto tra Toti e Giacomino che è decisiva. Il tono, le parole, i gesti di entrambi, lo sconcerto e la disperazione del professore, la ribellione quasi con ribrezzo del giovane disegnano palesemente la tipologia di una scena “amorosa”.

Toti appoggia “amorosamente” una mano sulla spalla a Giacomino, e questi, “convulso, come per ribrezzo”, esclama: “Non mi tocchi! Non mi s’accosti, professore! Lei mi sta facendo soffrire una pena d’inferno”. Quando il giovane gli confessa di essere fidanzato e dunque di voler uscire dalla strana famiglia del professore, quest’ultimo “vacilla, come per una mazzata sul capo […]; balbetta”: E poi il dialogo continua col giovane che proclama “basta per sempre” e il vecchio, “inebetito, con la bocca aperta”, che farfuglia: “E… e… e si lascia tutto, così?… e… e… e non si pensa più a… a niente? non… non si tien più conto di niente?”, e poi, come da consuetudine nei litigi amorosi, ricorda i propri meriti e rimprovera all’altro ingratitudine.

È una tipica “crisi coniugale”, apparentemente senza soluzione se non fosse per l’intervento di un inconsueto deus ex machina, che in questo caso è il piccolo Ninì, gettato tra le braccia di Giacomino a riconquistare per tutti (lui stesso, Lillina, il professore) l’affetto o almeno la disponibilità di questo padre – marito – figlio – amante (fantasmatico). È una partita tutta maschile quella che si gioca in questa scena: Lillina è fuori scena, ma anche fuori gioco, ridotta alla pura funzione di anello di congiunzione tra i maschi di tre generazioni che cercano di stringere o di sciogliere i nodi che li legano. E alla fine è infatti l’amore paterno, non quello coniugale o sessuale, che vince e ristabilisce un ordine che l’intrusione di un elemento femminile (la nuova fidanzata di Giacomino, spalleggiata non a caso dalla sorella-madre di lui, Rosaria) aveva cercato di alterare.

Luigi Allegri

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