O di uno o di nessuno – Atto terzo

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Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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O di uno o di nessuno - Atto III
Gerarda Mariconda, O di uno o di nessuno, 2015. Immagine dal Web.

1929
O di uno o di nessuno
Atto T
erzo

        La prima delle due camerette dell’alloggio di Melina. – È a un tempo in­gresso, cucina e saletta da pranzo. La porta d’ingresso è nella parete destra; e nella stessa parete, più infondo, è prima l’acquajo, con su, appesa al muro, una rustica piattaja, poi, in muratura, il focolare con quattro fornelli e, sopra, alcune stoviglie da cucina in disordine. Nella parete di fondo è una grande finestra con l’inferriata, perché la casa è a pianterreno. A destra di questa finestra è una piccola credenza, molto modesta e, a sinistra, una vetrinetta. Nella parete sinistra è l’uscio che immette nella camera da letto di Melina. Troveranno posto in questa parete un vecchio divano, seggiole, qualche tavolinetto. La tavola da mangiare è nel mezzo della scena coperta da un tappeto rosso cupo. Vi pende sopra un semplicissimo lume, filo e padella; ma tutt’in giro a questa padella è stato adattato con garbo un mantino verde che fa da paralume.

        È notte. La scena è illuminata appena da questo lume verde sul tappeto rosso della tavola. Ma dalla finestra in fondo entra di sguincio il giallo riverbero d’un fanale acceso nella via.

        Al levarsi della tela s’intravede infondo nel riverbero che entra dalla finestra, prima presso la credenza, poi presso l’acquajo, Melina, come una larva, in una vestaglietta di tenerissimo colore azzurro, leggera. S’è levata di letto, moribonda; ma è sostenuta da una prodigiosa forza nervosa, che fa quasi ilare, rapidissima e convulsa tutta la sua azione. Prepara per il suo bimbo, che è nato da tre giorni e che ora piange di là affamato, un po’ di pane che ha tratto dalla credenza e che ora pone in un fazzolettino per andarlo a ba­gnare all’acquajo; farà di quel fazzolettino, col pan bagnato dentro, una spe­cie di capezzolo che darà a succhiare alla sua creaturina. La sorprende in questi preparativi la Vicina che entra dalla porta d’ingresso socchiusa; e ne resta spaventata.

        LA VICINA: Oh Dio, come? s’è levata di letto?

        MELINA: Piange… piange…

        LA VICINA: Ma è una pazzia! venga! torni a letto!

        MELINA: Non potevo più sentirlo piangere…

        LA VICINA: Venga! venga, per carità!

        MELINA: Ora è fatto… ecco, ora è fatto…

        LA VICINA: Ma ora verrà la bàlia! Sono andata a chiamarla! Ah se sapesse quello che ho trovato!

        MELINA: La signora?

        LA VICINA: Sì, anche la signora; ma il bambino –

        MELINA: – morto?

        LA VICINA: Venga, venga – le dirò tutto, appena sarà ritornata a letto…

        MELINA: Non sono riusciti a salvarlo?

        LA VICINA: Per salvare la madre –

        MELINA: – hanno ucciso il bambino?

        LA VICINA: – per forza! – Ma venga, per carità! Non vorrà mica morir lei, ora…

        Sopravviene l’avvocato Merletti, e resta anche lui sbalordito di trovare in piedi Melina.

        MERLETTI: Come, in piedi?

        MELINA (con grande ansia): Oh, lei, avvocato!… mi dica, mi dica: verranno?

        MERLETTI: Sì sì – verranno!

        MELINA (felice): Ah Dio! Verranno! Ha potuto trovarli?

        MERLETTI: Ma perché s’è alzata?

        LA VICINA (a Merletti)): M’ajuti, m’ajuti a ricondurla a letto!

        MERLETTI: Sì, venga, sia buona! Sono andato prima dall’uno e poi dall’altro!

        MELINA: Lo so! Non stanno più insieme! Si sono divisi! (Fa un atto come se le mancassero improvvisamente le gambe, e tende le braccia.) Ah Dio!…

        LA VICINA (sorreggendola con Merletti): Lo vede? lo vede che non si regge più in piedi? (A Merletti:) M’ha mandata a chiamare anche il prete… Si figuri, ora verrà…

        MELINA (riavendosi): Non importa! Anche in piedi posso ricevere il viatico e Dio mi darà ancor tanto di vita da poter loro consegnare il bambino! Non lo butteranno più via, adesso, avvocato: me lo debbono giurare davanti a Dio, alla presenza del prete e di voi tutti! Sto morendo per loro; mi vede…

        MERLETTI: Ma no…

        MELINA: – sì, sto morendo! Perché mi vuol dire di no, se è vero? – Ma non ne deve andar di mezzo il bambino! Ecco: questo lo dovete dir voi, voi – se non faccio a tempo a dirlo io!

        MERLETTI: Ma sì, non dubiti, lo diremo noi!

        LA VICINA: Intanto venga!

        MELINA (seguitando): Per tutto quello che m’hanno fatto patire! per come mi sono macerata in tutto questo tempo per loro! Lei lo sa, sono venuta due volte a dirlo anche a lei, perché m’ajutasse a persuaderli a tornare! Si sono divisi; sono divenuti nemici, per me! M’ero financo arresa, lei lo sa, a fare quello che volevano loro, per come anche lei, avvocato, m’aveva persuasa –

        MERLETTI: – sì, sì, carina, è vero! – ma non stia ancora così – venga! –

        MELINA: – pur di farli ritornare insieme! – No! no! – Hanno voluto loro stessi, lei ne è testimonio, che mi tenessi il bambino –

        MERLETTI: – sì, per non tornare più qua…

        MELINA: Pagare, pagare – hanno pagato ogni mese – come se questo mi po­tesse bastare! – E il mio cuore, avvocato, s’è disfatto… s’è disfatto… – Ora al mio bambino debbono pensarci loro…

        MERLETTI: E sarà il loro castigo!

        MELINA: No, castigo! no, castigo, avvocato, il mio bambino!

        MERLETTI: No, non dico il suo bambino…

        MELINA: – lui, no castigo!

        MERLETTI: – per tutto il male che hanno fatto a lei!

        MELINA: – ah, ecco – e che dovranno ripagare in tanto bene a lui, ora! – lui, no castigo; se no come potrebbero volergli bene?

        MERLETTI: Stia sicura che non lo dirò! Sopravvengono il Medico e la Bàlia.

        LA VICINA (vedendoli entrare): Ecco qua il dottore e la bàlia!

        MELINA (voltandosi e poi subito lasciandosi portare a letto): Ah! la bàlia! Sì, sì, andiamo, andiamo…

        Via di fretta, sostenuta da Merletti e dalla Vicina. Il Medico e la Bàlia la se­guono, avanzando il passo. Il Medico, attraversando la scena, ha appena il tempo di dire:

        IL MEDICO: Ma che sproposito…

        La scena resta per un pezzo vuota. Si odono di là voci confuse, di Melina, del Medico, della Vicina, di Merletti. Melina vuole prima di tutto che la Bàlia dia latte al bambino; poi si lascia mettere a letto. Il Medico le tasta il polso; le fa una iniezione d’olio canforato; perché il male, – com’ella stessa ha detto, – è nel cuore; nel cuore che le mancherà d’un tratto. – Davanti la fine­stra aperta, intanto, nella notte estiva, passerà quasi a passo di marcia una frotta di giovinastri con chitarre e mandolini. Il suono, dapprima fievole, lon­tano, andrà gradatamente rafforzandosi e poi diminuendo man mano che torna ad allontanarsi. S’udrà durante il passaggio qualche voce che accenna il canto, qualche risata. Poi, silenzio. Si riudranno, confuse, ma più pacate, le voci nella camera attigua. A un certo punto, silenziosamente entrerà il Prete, col nicchio e la stola, le mani congiunte davanti al petto in atto di preghiera. Lo seguirà il Sagrestano che recherà involto in un panno nero il tabernacoletto che custodisce la Pisside. Attraverseranno la scena, senza dir nulla, dalla porta d’ingresso, all’uscio della camera di Melina. Poco dopo, ne verranno fuori il Medico e Merletti.

        MERLETTI: Crede che possa durare almeno per qualche ora?

        IL MEDICO: Probabile, ma… s’ha da fare col cuore… e purtroppo, da un mo­mento alTaltro… Ho fatto, ha visto? un’altra iniezione d’olio canforato…

        MERLETTI: È tutta così… accesa, convulsa…

        IL MEDICO: Forza di nervi…

        MERLETTI: Ma è stata qua in piedi, parlando…

        IL MEDICO: Lei sa che il lume si ravviva tutto, prima di spegnersi d’un tratto. – Ha sofferto molto…

        MERLETTI: Eh, lo so!

        IL MEDICO: E quest’ansia trepidante per il bambino… Ha visto? Ha voluto prima vedere come s’attaccava alla bàlia… Tre giorni, senza poterlo allattare… Vo­leva allattarlo lei, si figuri! in questo stato… Per fortuna, s’è trovata questa bàlia… – Dico fortuna: sapesse invece che tragedia, qua a due passi!

        MERLETTI: Ah, già – come s’è trovata?

        IL MEDICO: Ero qui, anche l’altra sera, e sono stato chiamato all’improvviso, dalla villa qua accanto: una villa di signori… Avevano pensato a tutto, sa? per la nascita del primo figlio! Tenevano pronta da tre giorni anche la bàlia – la quale, poverina, comprenderà, spasimava, col petto che le scoppiava… La mando subito qua, per alleviarsi, e fare il bene anche di questa creaturina che piangeva senza latte –

        MERLETTI: – ah, benissimo… –

        IL MEDICO: – sì – per qua, benissimo – ma sa che questa sera io ho dovuto di là sacrificare il bambino per salvare la madre? e non so ancor bene se l’ho sal­vata: spero di sì!

        MERLETTI: La bàlia intanto potrà restar qui… Benché, s’immagina lei adesso che complicazione, questo bambino, se, come pare purtroppo…

        IL MEDICO: Ah, sì, purtroppo non v’è più da farsi illusioni, creda!

        MERLETTI: E resta invece il bambino! qua, a questi due sciagurati! Lei sa tutta la storia?

        IL MEDICO: Eh, sono miei clienti… Mi hanno mandato loro qua…

        MERLETTI: Sa che si sono divisi?

        IL MEDICO: Sì, lo so.

        MERLETTI: E che adesso si odiano, tra loro, ferocemente? – Li aspetto qua. Sono andato a chiamarli.

        IL MEDICO: Sarà un bell’affare metterli d’accordo!

        MERLETTI: Peggio di così non poteva loro capitare! E l’hanno voluto loro stessi! Mica per accontentare questa poverina, sa? che s’era rimessa, in tutto, a fare com’essi avrebbero deciso! – No. – Tutto per una caparbietà, dell’uno contro l’altro! – E ora questa poverina muore – e loro restano col bambino, che li ha fatti nemici da tanto amici che erano!

        IL MEDICO: E il figlio non può essere che di uno –

        MERLETTI: – o di nessuno! – Quel che dico io! – Ma che sia di nessuno – depo­sto a un ospizio – questa povera madre non lo può tollerare!

        IL MEDICO: Credo che già l’abbia fatto denunziare allo Stato Civile…

        MERLETTI: Ah sì? E come?

        IL MEDICO: Era obbligo della levatrice denunziarlo…

        MERLETTI: Ma sa com’è stato denunziato?

        IL MEDICO: Sotto il nome di lei – suppongo. Mi pare che faccia di casato: Franco.

        MERLETTI: Sì: Melina Franco.

        IL MEDICO: Ecco: – e d’ignoto. – Son già tre giorni ch’è nato!

        MERLETTI: E ancora non son venuti nemmeno a vederlo…

        IL MEDICO: Credo che se ne struggano tutt’e due dalla voglia…

        MERLETTI: Lo so! Ma si sentono come trattenuti dall’odio che si portano, e da questa caparbietà bestiale che le ho detto: non viene l’uno e non vuol venire neanche l’altro! Ora ci sarà anche l’orrore di ciò che hanno fatto… Ma ver­ranno: li aspetto.

        IL MEDICO: Sono di un’incredibile inesperienza –

        MERLETTI: – sì – e il bello è questo, che avevano creduto d’aver fatto tutto col massimo giudizio!

        IL MEDICO: Non si sono figurati neppure lontanamente tra quali atroci difficoltà si sia dibattuta questa poveretta, lasciata così sola, senz’ajuto, abbandonata­ne! mettere al mondo il bambino…

        Escono a questo punto dalla camera dì Melina il Prete e il Sagrestano, senza dir nulla. Attraversano, come prima, la scena, e via.

        MERLETTI: Ah, ecco… – si sarà comunicata…

        IL MEDICO: Io vado. Debbo ritornare qua alla villa accanto…

        MERLETTI: Dottore, e se qui ci fosse bisogno…?

        IL MEDICO: Ho lasciato l’ordine a quella brava donna che l’assiste di fare qual­che altra iniezione, se avverte che le pulsazioni vengono a mancare. Ma non c’è più nulla da fare, purtroppo! Non arriverà all’alba, vedrà! – A ogni modo, io sono qua a due passi.

        MERLETTI: Va bene. A rivederla, dottore.

        Il Medico via. – Merletti s’accosta pian piano all’uscio della camera di Me­lina e sporge il capo a spiar dentro. Si fa all’uscio la Vicina.

        LA VICINA (parlando pianissimo): S’è assopita, s’è assopita…

        MERLETTI: Ah, bene…

        LA VICINA (venendo un po’ avanti): S’è sempre lamentata d’un dolore qua… (Indica la bocca dello stomaco.) Ora riposa tranquilla; ed è una gran cosa, perché il medico ha detto che quel dolore non è dello stomaco propriamente, ma parte dal cuore –

        MERLETTI: Sì, per irradiazione –

        LA VICINA: – ecco: ha detto così! – Pare che Dio, entrando in lei, le abbia fatto la grazia di questo riposo. Non soffre più! Speriamo, ah Dio, speriamo che si salvi! Anche il bambino s’è quietato. Quanto ha succhiato… e come s’è attac­cato, ha visto? Non ne poteva più dalla fame, povera creaturina! – Ah, è un amore! un amore! – E anche quella bàlia è buona… – (Rientrando nella ca­mera:) Basta. Io sto qua a vegliare.

        Si ritira, riaccostando l’uscio. Merletti resta un po’ in piedi, cava dal ta­schino del panciotto l’orologio e lo guarda tentennando lentamente il capo, poi va a sedere davanti la tavola, cava dalla tasca della giacca un giornale; appena seduto si mette a leggere. – Poco dopo entra Tito Morena. Si ferma, titubante, presso la porta; è ansioso e sconvolto, in angosciosa apprensione.

        MERLETTI (vivamente, ma sottovoce): Ah, finalmente!

        TITO (sottovoce): E… è morta…?

        MERLETTI: No… piano!… riposa…

        TITO: Ah bene – riposa… E… e lui… è di là? (Indica la camera di Melina.)

        MERLETTI: No. Non è ancora venuto.

        TITO: Ah, bene… Perché io… perché io… (Fa per chiudere la porta.)

        MERLETTI: No, che fai? Non chiudere!

        TITO: Non lo voglio vedere! Guaj se lo vedo!

        MERLETTI: Ma non potrai mica impedirgli di venire!

        TITO: Me ne vado io, allora, prima ch’egli venga!

        MERLETTI: Ma non fate ancora storie! Lascia aperta codesta porta; perché se viene e bussa, lei di là si può svegliare; ed è bene in questo momento la­sciarla riposare tranquilla!

        TITO: Come sta? come sta?

        MERLETTI: Come vuoi che stia? Il medico ha detto che non arriverà all’alba! (Tito si copre la faccia con le mani.) Copriti la faccia! Dovete veramente vergognarvi… Per causa vostra…

        TITO (afferrandolo per il petto, convulso): Non mia! Non mia! Non dire mia, Merletti! Per causa di lui!

        MERLETTI: Piano! Piano! – Per causa di tutti e due!

        TITO: No! sua!

        MERLETTI: E lui dice tua! Dunque, di tutt’e due!

        TITO: Ma bisogna vedere chi ha ragione!

        MERLETTI: Che ragione volete più vedere, ormai, qua davanti a lei che muore? Il torto l’avete tutt’e due senza discussione!

        TITO: Sì – davanti a lei, sì –

        MERLETTI: – e dunque! – Avete da pensare a ben altro, adesso!

        TITO: Sono pronto a tutto! a tutto!

        MERLETTI: Vedervi, parlarvi…

        TITO: No! questo no! impossibile! impossibile!

        MERLETTI: Ma che impossibile!

        TITO: Se lo vedo, bada! non rispondo di me!

        MERLETTI (perdendo la pazienza): E che vorreste? che vi mettessi d’accordo io, correndo dall’uno all’altro? – Ah, no, basta, cari miei! – Io mi prendo il cap­pello e me ne vado! (Fa veramente per andare a prendere il cappello dal di­vano.)

        TITO (trattenendolo): No, Merletti…

        MERLETTI: Sì, sì – me ne vado, me ne vado! –

        TITO: – ma no, senti…

        MERLETTI: – lasciami! non mi far svegliare quella poveretta! – Carità, cari miei, finché non ne abusate!

        TITO: Ma non ci saranno più questioni…

        MERLETTI: Non posso star mica a combattere con gente come voi!

        TITO: Me lo prendo io il bambino!

        MERLETTI: Sì, prènditelo! Io vi lascio alle prese, a vedervela tra di voi!

        TITO: No! Ogni questione sarà finita…

        MERLETTI: Ma ti pare che quello te lo lascerà prendere?

        TITO: Deve! Per quello che m’ha fatto!

        MERLETTI: – Sì – seguitate a dilaniare fino all’ultimo questa poveretta!

        TITO (seguitando): …per la situazione in cui m’ha messo, e il rimorso che m’ha cagionato e che non m’ha dato più pace!

        MERLETTI: Avrà anche lui le sue ragioni da buttarti in faccia!

        TITO: No, non può averne di fronte alle mie!

        MERLETTI (seguitando): – …e io non voglio star mica qua a far da Salomone, sai? non più tra due madri, ch’era facile, perché una delle due doveva pur esser certa che il figlio era suo! Qua voi lascereste spaccare a metà il bam­bino per prendervene mezzo per uno, pur di non darla vinta all’altro! – Tu te lo prenderesti, non già per amore, ma per l’odio che senti contro di lui!

        TITO: No! No! Per il rimorso, per il rimorso che sento –

        MERLETTI: Confessi dunque il tuo torto verso di lei?

        TITO: Sì – l’ho confessato! – verso di lei, sì! – Ma la colpa è di lui, Merletti! tutta di lui! – Poteva seguitare a venire qua…

        MERLETTI (reciso): Lui solo? No, non poteva.

        TITO: Perché non poteva?

        MERLETTI: Ma lo sai bene, perché!

        TITO: Per il figlio, che poteva esser mio? – Tu non puoi negare, Merletti, che ci avevi convinti tutt’e due che sarebbe stata una pazzia tenerlo – in questa incertezza!

        MERLETTI: Sì, è vero – e con ciò?

        TITO: Aspetta! Lui era d’accordo con te, te ne ricordi? –

        MERLETTI: – sì –

        TITO: – tutto soddisfatto d’aver detto come dicevi tu, non è vero? contro di me…(Comincia a commuoversi, fino ad arrivare man mano alle lagrime.) … contro di me che invece… tu lo sai… dicevo… sì… per… per lei… per il bam­bino… e… e per la mia coscienza… (Cava il fazzoletto per soffocarvi i sin­ghiozzi.)

        MERLETTI (vedendolo piangere): La rabbia è questa! Che siete poi due bravi fi­gliuoli, pieni di cuore…

        TITO: No, lui no! Lui è cattivo!

        MERLETTI: Non è cattivo neanche lui!

        TITO: Sì, sì – vile e cattivo! – Io m’ero forzato (e Dio sa quanto m’era costato!) ad arrendermi alle vostre ragioni: tue e di lui. – Chi è venuto meno, a tradi­mento, a quanto s’era stabilito d’accordo?

        MERLETTI: Ma egli t’invitò a venire qua con lui – tu non volesti!

        TITO: No, non volli!

        MERLETTI: Era pronto a ripetere insieme con te – qua…

        TITO: Sì – dopo che s’era arreso, a tradimento, alle preghiere di lei; per darle così la prova, che ero io che non volevo, io e non lui, capisci? – Cambiarmi così le carte in mano, vigliacco! – E dopo che io, com’era prima il senti­mento mio, ammisi che lei dovesse tenersi il bambino, quando le sarebbe nato; e lasciai a lui la libertà di venire qua a trovarla come prima, pur segui­tando io a pagare la mia parte fino all’ultimo – lui, questo vigliacco – per forzarmi – non è più venuto – facendomi crescere di giorno in giorno, di mese in mese, l’orgasmo, con codesta sua passiva ostinazione a non venire! Ha voluto rovesciare su me tutto il peso! sulla mia coscienza tutta l’angoscia, tutte le pene che questa poverina ha dovuto soffrire, abbandonata qua sola!

        MERLETTI: S’era pur rassegnata –

        TITO: – sì – pur di contentarci – finanche a commettere la violenza di buttar via il figlio! Ma non era più possibile, ormai, tu lo capisci! Per commettere una simile violenza si doveva essere insieme, fin da principio, d’accordo tutt’e tre! – Mancarono loro due a quest’accordo; lui specialmente, facendo il tradimento a me, proprio a me che ero stato il primo, anzi –

        MERLETTI: – sì, sì, è vero –

        TITO: – a non volere che questa violenza si commettesse! – E non ti pare natu­rale allora, ch’io me ne sia sdegnato, sdegnato fino a non voler più venire? Ho avuto tutta la ragione, io, dopo quello che m’era stato fatto, di non venire più qua! E lui, lui – invece di riconoscere il suo torto verso me – s’è ostinato a non venire più, neanche lui! vigliacco! vigliacco! fino a far morire di crepa­cuore questa poverina, per poi darne tutto il rimorso a me – mentre è suo, sai? è suo! è suo!

        MERLETTI: Trovando per scusa quell’irrisione di volerla lasciare tranquilla…

        TITO: Lui – la trovò lui, questa scusa! Io non ne avevo bisogno: avevo la mia, ch’era giusta!

        MERLETTI: Troppa grazia, per una povera donna avvezza a così poca considera­zione da parte degli uomini…

        TITO: Già, tranquilla… – senza poi venire nemmeno a vederla, a domandarle come stesse, se avesse bisogno di qualche cosa…

        MERLETTI: Tanta considerazione per un verso, e tanta noncuranza per un altro, bella tranquillità le hanno data! Due volte, povera donna, venne da me a sup­plicare, disperata…

        TITO: Ma tu lo capisci che doveva venir lui – lui? –

        MERLETTI: Sì, e lui diceva – tu – tu.

        TITO: No, no, io no!

        MERLETTI: Il fatto è che siete stati come due cani, legati a una catena, che non avete più voluto trascinar di conserva per una stessa via –

        TITO: – non ho potuto più vedermelo accanto! –

        MERLETTI: – e neppur lui te – e allora tira e strappa la catena – tu di qua e luidi là – dispettosamente – in questa finzione di libertà che vi siete voluta dare –

        TITO: – no; io ho rifiatato! ah! d’essermi liberato, non foss’altro, dello schifo di vederlo mangiare accanto a me alla trattoria! Tu non sai come mangia male quell’uomo, con quella fame da lupo che ha sempre, così magro (deve avere il verme solitario!).

        MERLETTI: Sì – va’ là! – e lui dice di te –

        TITO: – e che può dire di me, lui? –

        MERLETTI: – ma di certe libertà a cui ti lasciavi andare –

        TITO: – io? libertà? –

        MERLETTI: – nella confidenza –

        TITO: – ah, io? e lui no, forse? –

        MERLETTI: – lascia andare! – vi siete straziati il collo abbastanza a strattarvi l’un l’altro la catena, senza poterla spezzare –

        TITO: – sì, e appunto perché non si poteva spezzare! – dovevamo pagare, pa­gare qua fino all’ultimo! –

        MERLETTI: – lo stesso sentimento – ih comune – prima d’amore – e poi così – per forza – d’odio! E tanto quest’odio v’ha accecato che non avete più ve­duto che commettevate qua un delitto, contro questa disgraziata.

        TITO: Ma lo vedi, intanto, lo vedi, lui, che fa? Non viene ancora…

        MERLETTI: Dovrebbe già esser qui…

        TITO: Avrebbe dovuto accorrere per primo! – N’ero così certo, che ho tardato apposta a venire, per non incontrarmi con lui. Hai visto? non è ancora ve­nuto!

        MERLETTI (vedendo passar Carlino, davanti la finestra aperta): No – eccolo… eccolo qua che viene…

        Tito si volta verso la finestra, poi, per non veder entrar Carlino, ci s’ap­pressa e si mette a guardar fuori. – Entra, ansioso e sbigottito, Carlino.

        CARLINO: Eccomi… eccomi… – Troppo tardi?

        MERLETTI: Eh, mi pare…

        CARLINO: Morta?

        MERLETTI: No… – piano!

        CARLINO: Ma com’è? com’è?

        MERLETTI: Come vuoi che sia!

        CARLINO (allungando uno sguardo alla finestra, dov’è Tito, e poi all’uscio ac­costato della camera di Melina): E… che… che s’aspetta? Io… io ho voluto apposta… (e fa segno con la mano verso la finestra) lasciar tempo a lui…

        MERLETTI: Ma sì, appunto, l’abbiamo supposto…

        CARLINO (subito, come in risposta alla supposizione che si sia potuta fare con­tro di lui per il suo ritardo a venire: col tono di chi afferma una cosa che non si può mettere in dubbio): Il bambino me lo prendo io!

        TITO (di scatto, venendo avanti): Tu non ti prendi niente! Me lo prendo io!

        MERLETTI (facendosi in mezzo): Ohe, ohe, signori miei…

        CARLINO: Tu? Dopo che… –

        TITO: – dopo che cosa?

        MERLETTI: Pensate che quella poverina è ancora là!

        CARLINO (a Merletti): Ha detto lui stesso che non voleva più saperne!Contemporaneamente, dalla camera di Melina giungono voci confuse. Me­lina s’è svegliata, ha udito le voci di Tito e Carlino, vuole accorrere, e la Vicina cerca d’impedirglielo.

        MERLETTI (gridando): Ecco che l’avete svegliata! Melina appare dall’uscio, ancora nell’atto di sbarazzarsi della Vicina.

        MELINA: Mi lasci! (Poi, volgendosi ai due giovani, con un grido:) Tito! – Car­lino! – Siete qua? – E lei, avvocato, che non me ne diceva nulla! (/ due gio­vani restano allibiti alla vista di lei, irriconoscibile.) Carlino… Tito…

        TITO: Melina…

        CARLINO: Melina…

        A questo punto, non è più possibile segnare l’ordine delle battute, il cui con­certo è affidato al Direttore Capocomico. – Melina, nell’ultima accensione di tutte le sue forze vitali in cui consumerà quel filo d’anima che le resta, quasi trattenuto a forza per rivedere i due giovani un’ultima volta, non potrà dar tempo agli altri di parlare; parlerà lei sola, come in un delirio, convulsa, diventando di mano in mano più pallida, ma pur sempre sorridente, quasi fe­lice; e la vivacità dei movimenti si farà in lei sempre più incerta; finché non cadrà morta di schianto, tra le braccia dei due giovani che saranno pronti a sorreggerla. – D’altro canto, però, non sarà possibile che Tito Morena e Carlino Sanni, agitati, sconvolti da tanti sentimenti e moti dell’animo – pietà, rimorso, rabbia, odio – restino muti ad ascoltare quel delirio. Non solo scatteranno in loro da questi sentimenti e moti dell’animo esclamazioni che cercheranno di frenare, di non fare udire, come:

        – Ah Dio!

        – Melina… Melina…

        – Distrutta…

        – Vile! Vile!

        – Infame assassino…

        ma, a un certo punto, allorché Melina ordinerà alla bàlia, che si sarà fatta all’uscio, di portare il canestro dove sarà il corredino preparato da lei per la sua creaturina e lo mostrerà capo per capo ai due giovani, entrambi, si­multaneamente, parleranno ciascuno per suo conto, l’uno contro l’altro; però in modo di non sopraffare con la voce, la voce di Melina. Sarà come un farnetichìo interno che verrà fuori con gli stessi versi della faccia e l’arti­gliarsi delle dita: parole tra i denti, che l’attore non baderà tanto a farle udire quanto a dirle per sé, perché le pensa; e poco importa che non rie­scano tutte intelligibili. Tito dirà:

        – Ah Dio, basta… basta… (e poi, a Melina:) Sì… bello! bello! ma basta… la­scia, cara! per carità… – Il cuore ti mangerei, assassino… Sì, di’ anche tu: Bello… – per causa tua, cane, questo strazio… (E Carlino, dal canto suo, dirà:) – Ora, ora fa anche lui «il commosso e l’intenerito»… Bruto! Prima no… (A Melina:) Sì, sì, cara… bello, tanto, sì… – Tutta la tua vita non ti ba­sterà a scontare questo delitto… (E a loro volta la Vicina e Merletti interca­leranno qua e là – opportunamente, come il Direttore Capocomico avrà concertato – le loro esclamazioni e i loro vani consigli, le apprensioni:)

        – Ma così s’ammazzerà!

        – Povera creatura…

        – Sì, vadano di là, almeno !

        – Movetevi!

        – Madonna santa!…

        – Così muore…

        – Veda di persuaderla lei…

        – Dio, guardi come s’è fatta pallida!

        Dopo questa avvertenza, ecco il delirio di Melina: breve, tutto mosso; dimo­doché il concerto di tutta la scena dovrà risultare come in una unica vibra­zione spasmodica, che duri pochi minuti.

        MELINA: Mi cercate con gli occhi; ma non ci sono più, vedete? – No, Tito, non ti spaventare… Carlino, tu dici Melina… no, non sono io qua.. Un filo d’anima, appena un filo… trattenuto per rivedervi… – Distrutta? No, Tito… – sono là, ora (indica la sua camera, dov’è il bambino) tutta l’anima mia, tutta la mia vita, il mio amore… sono là, là… – Non v’ingiuriate, no, non v’ingiu­riate… Venite, venite… (Al moto istintivo di repulsione dei due giovani, e alla spinta della Vicina e di Merletti:) No – aspettate! – No, Tito! No, Carlino! Non è vostro! non è vostro! Non dovete più pensare a questo! (A Tito:) che sia tuo… (A Carlino:) o tuo – no! è mio! mio! mio soltanto! pensate che sono io, io sola in lui… io che gli ho dato la mia vita, la mia! – lo dovete amare per questo – e non pensare e non vedere altro – me soltanto, in lui – o vedere lui, lui – senza pensare a voi – lui ch’è tanto bellino… lui che è Nini, piccolo piccolo… Nini Franco… ecco, e basta! – M’è costato tanto… Non m’avrà più… Deve aver voi, allora… È innocente! Riposa là nella sua innocenza, perché il male che ha potuto fare nascendo, non è colpa sua… È innocente, lui! E mi dovete giurare, giurare che in quest’innocenza in cui ora riposa lo lascerete sempre, pensando a me – che è soltanto mio… – e lo lascerete crescere… lui, come sarà, per sé… Nini, Nini Franco… – non tuo e non tuo… lui, per sé – Nini, Nini Franco… – il figlio di Melina… direte così «il figlio di Melina»… di Melina che vi è morta… e che v’ha lasciato lui, come cosa sua, e… sì, sì, con tutte le belle cosine che gli aveva preparate… (Vede la Bàlia sull’uscio della camera.) Bàlia… (Voltandosi ai due giovani:) – ecco, questa è la bàlia… lo affiderete a lei… (alla Bàlia:) – il canestro, il canestro… va’ bàlia, pren­dilo… (La Bàlia va e torna subito.) Ora vi farò vedere… Tutto preparato con le mie mani… Tutto fatto da me… (Mostrando i capi del corredino:) Ecco, guardate, guardate… tutti questi merlettini… nastri… e anche i ricami… li ho fatti io, io… ho imparato a farli da me… Questo, guarda, Tito… e uno per uno, sai, così, tutti i bavaglini… – questo… e quest’altro… – Ma no, non parlate tra voi… Guarda, Carlino, tutto cifrato… Sì, bello… Tutto cifrato di rosso… tutto, capo per capo… Le cuffiette, ecco, le cuffiette… quella coi fiocchi lunghi… no, quest’altra, quest’altra… – e le carnicine, le carnicine… e qua, ecco, la… la vestina lunga… tutta ricamata, del battesimo, del battesimo… col trasparente di seta rossa… rossa, perché maschio, maschio il mio Nini… rossa… – Ah Dio!

        Crolla, morta, tra le braccia di Tito e di Carlino che la sorreggono e la sol­levano per trasportarla sul letto di là. Accorrono anche la Vicina, Merletti, la Bàlia.

        CARLINO: Melina!

        TITO: Morta?

        LA VICINA: Lo dicevo io!

        MERLETTI: Di là… di là… sul letto…

        LA VICINA: Già fredda…

        Il viso, i modi di Tito e Carlino, nel trasportare il cadavere di Melina, non sono pietosi, ma feroci. Sotto lo stesso cadavere, la mano di Tito, incontran­dosi con quella di Carlino, s’è fatta artiglio e ha graffiato fino a sangue, tanto che Carlino non ha potuto trattenere un «Ahi!». Tutti a gruppo escono dalla scena per l’uscio a sinistra. Si sentono venire dalla camera voci con­fuse, che dureranno pochissimo, sempre più alte. Dalla porta a destra entre­ranno il Medico e il signor Franzoni della villa accanto: uomo sulla quaran­tina, dolente e turbato. Il Medico, dalle grida che giungono dalla camera, comprende subito ch’è avvenuta la morte di Melina.

        IL MEDICO: Ah, ecco! Sarà morta… Glielo dicevo… Aspetti, aspetti un po’ qua, signor Franzoni…

        Ma non fa a tempo a raggiungere l’uscio a sinistra, che ne vengono fuori, come due belve, Tito Morena e Carlino Sanni che si son presi alla gola e si dibattono gridando simultaneamente.

        TITO: Cane, cane, tu me la paghi! Non m’esci vivo dalle mani, assassino! Per tutto quello che m’hai fatto soffrire…

        CARLINO: Ah, vigliacco! Te la pigli con me, ora che l’hai fatta morire? Tu, tu, assassino, tu – ma son buono anch’io a strozzarti, sai… son buono anch’io…

        MERLETTI (che ha afferrata Tito ed è riuscito a strapparlo indietro): Siete pazzi, o che bestie siete? Col cadavere là… Non s’è mai vista una cosa si­mile…

        CARLINO (mostrando a Merletti la mano sanguinante): Guarda, lui… guarda… mentre la portavamo…

        TITO (lanciandosi di nuovo): La tua faccia, così, deve restarmi tra le unghie!

        MERLETTI (subito trattenendolo): Oh, bada che ci sono io, sai?

        CARLINO (lanciandosi anche lui): Credi che mi faccia paura?

        IL MEDICO (trattenendo Carlino): Per carità, per carità!

        MERLETTI: È uno scandalo inaudito!

        IL MEDICO: Davanti alla morte!

        LA VICINA (facendosi all’uscio): Vergogna! Vergogna!

        TITO: Così non finisce, sai? Così non finisce!

        CARLINO: Eh, lo so bene che non può finire così…

        TITO: Perché me lo piglio io, il bambino! me lo piglio io!

        CARLINO: Tu non ti pigli nulla! tocca a me! E a quella culla tu non ti accosti…

        TITO: Non t’arrischiare a entrare, sai!

        MERLETTI: Ma siete veramente impazziti? Avreste il coraggio d’azzuffarvi per il bambino davanti al cadavere?

        TITO: Il bambino tocca a me, Merletti! Ho voluto io, io e non lui, e tu sei te­stimonio, che lei se lo tenesse!

        CARLINO: Tu? Tu hai gridato a me che non volevi più saperne! né di lei né del bambino!

        TITO: Ma neanche tu volesti più saperne temendo che il bambino potesse re­stare solo a te! E proprio per questo, ora, il bambino me lo prendo io!

        CARLINO: Tu non te lo prendi!

        TITO: Me l’impedisci tu?

        CARLINO: Te l’impedisco io! S’è confidata a me, lei, e non a te!

        TITO: Perché tu, Giuda, le desti a credere… –

        CARLINO: – no, prima! prima! – per ben due volte! – a me e non a te!

        IL MEDICO: Signori miei, permettete?

        TITO: – ma nega, nega se puoi, che anche l’ultima volta ti dichiarò…

        CARLINO: – no, questo non lo nego!

        TITO: – e allora? – che ti vale la confidenza? T’è servita solo per tradire me, prima – vile! – e poi per abbandonare anche lei!

        IL MEDICO: Dunque lo vedete? Non è possibile, non è affatto possibile, che vi mettiate d’accordo su questo punto!

        MERLETTI: Nessuno dei due può presumere e negare all’altro il diritto sul bam­bino!

        IL MEDICO: E un figlio – l’abbiamo detto poc’anzi qua, io e l’avvocato – non può essere che di uno o di nessuno!

        CARLINO: Che vuol dire, di nessuno?

        TITO (a un tempo): Come, di nessuno?

        IL MEDICO: Di nessuno – volete lasciarmi dire un momento? – Nella disgrazia che vi ha colpiti –

        TITO: – ne ha la colpa lui, e la sconta così! –

        CARLINO: – no! la colpa è tua! volesti rompere tu la relazione! E ora avanza di­ritti…

        IL MEDICO: – vi prego, signori! – in codesta questione insolubile in cui vi dibat­tete – se volete darmi ascolto – la sorte, vedete… – una sorte che certo non può esser lieta, neppure qua per questo signore… (Indica il signor Franzoni.)

        TITO: Chi è il signore?

        IL MEDICO: Il signor Franzoni della villa accanto…

        MERLETTI: Ah, il signore che –

        IL MEDICO (a Merletti): – ha avuto la sventura, sì, come le dicevo, di dover sa­crificare il figlio per salvare la moglie… – la sorte è provvidenziale – questo signore è venuto con me –

        MERLETTI (subito): Si prenderebbe il bambino?

        CARLINO: Che?

        TITO: Il bambino?

        IL MEDICO: È pronto ad adottarselo…

        CARLINO: Ma che! Impossibile!

        TITO: Impossibile!

        MERLETTI: Aspettate! Lasciatelo dire!

        CARLINO: È impossibile!

        MERLETTI (al Franzoni): Lei se l’adotterebbe?

        IL SIGNOR FRANZONI: Ma se dicono ch’è impossibile…

        TITO: Impossibile!

        CARLINO: Impossibile!

        MERLETTI: E che vorreste farne voi allora?

        IL MEDICO: Se non vi potete mettere d’accordo!

        MERLETTI: Avete la fortuna di poter subito risolvere…

        TITO: Ma non così!

        CARLINO: Con lei che ha tanto raccomandato…

        MERLETTI: Sì – a due lupi, come voi siete, l’agnellino –

        TITO: C’è qua ora la bàlia, la casa…

        CARLINO: Ecco – si verrà a vederlo, un giorno per uno…

        MERLETTI: Ma che dite! Siete pazzi?

        IL MEDICO: Con codesto sentimento…

        TITO: Poi si vedrà! si vedrà!

        MERLETTI: Ma che si vedrà?! Se fate tanto di vederlo, di farlo crescere tra voi, di cominciare a supporre per qualche segno che possa esser tuo, o tuo, voi vi sbranerete, per la gelosia, come due belve! – al solo pensiero che l’altro verrebbe qua con lo stesso diritto a prendersi in braccio, a baciare, ad amare, il bambino che ciascuno di voi due crederà suo proprio! – Voi non dovete nemmeno vederlo! La bàlia lo avvolgerà nel suo scialle e se lo porterà via subito –

        CARLINO: – no! no! –

        TITO: – impossibile! impossibile! –

        MERLETTI: – ma che no! – subito! – nella casa del signore, qua accanto!

        IL SIGNOR FRANZONI: Io potrei dar tutte le garanzie –

        TITO: A mani estranee…

        CARLINO: Dopo quello che disse, prima di morire…

        MERLETTI: Ma non avete veduto che effetto ha ottenuto con ciò che disse prima di morire? Vi siete presi alla gola – con raccapriccio di noi tutti – col cada­vere ancora caldo – e sarà peggio domani –

        IL MEDICO: – nemici per forza, con questo bambino tra di voi –

        MERLETTI: – se dite per lei – questa fortuna di poter subito mettere in salvo dal vostro odio il suo bambino –

        IL MEDICO: – ah, se l’avesse potuto sapere! almeno sperare!

        IL SIGNOR FRANZONI: Vi posso assicurare che noi lo terremo come avremmo te­nuto il nostro stesso figlio! – E non ne avremo più altri… Il dottore lo sa… – Ha voluto rischiar di morire – sapendolo – mia moglie – da tanto che deside­rava d’avere un figlio – avrà questo – e i signori possono esser sicuri, quanto all’avvenire del bambino, perché le nostre condizioni… – son pronto, ripeto, a dar tutte le garanzie…

        MERLETTI: Voi dovete riparare d’un’altra maniera a tutto il male che faceste a questa poverina – ora che per fortuna s’è trovato il modo di salvarle il bam­bino –

        IL MEDICO: – sì, sì – ora che ogni ragione d’odio tra voi sarà così finita –

        MERLETTI: – amare ancora insieme la sua memoria –

        IL MEDICO: – tornando amici! –

        MERLETTI: – là, davanti a lei che venne qua per voi, con tutti i ricordi della vo­stra gioventù! Le ridonerete così il sorriso, di creatura dolce, quale fu sempre per voi – tanto che è morta per lo strazio d’avervi fatti nemici, senza volerlo! Ecco, bravi, così: amici, amici – e andate, andate là, a chiederle perdono – così… così abbracciati!

        Carlino, dopo aver per un po’ singultato nello stomaco, alle prime parole di Merletti, non reggendo più, va a buttarsi piangendo tra le braccia di Tito, che piange anche lui.

Tela

1929 – O di uno o di nessuno – Commedia in tre atti
Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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