Nota introduttiva a Suo marito

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Di Grazia Maria Griffini

«Giustino Roncella nato Boggiòlo» possiede in nuce vari motivi che Pirandello svilupperà più ampiamente in seguito, soprattutto nella sua opera teatrale, e rivela le geniali intuizioni dell’autore sulla posizione incerta e confusa della donna-genio, e pone l’accento sul rapporto uomo-donna, che studierà poi in tutte le sue sfaccettature e varianti.

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Nota introduttiva a Suo marito
Grazia Deledda

Nota introduttiva a Suo marito

Edizione di riferimento:
Luigi Pirandello, Giustino Roncella nato Boggiòlo, Introduzione di Grazia Maria Griffini, cronologia della vita di Pirandello e dei suoi tempi e bibliografia a cura di Corrado Simioni, Arnoldo Mondadori Editore – Oscar L141- 1973

da Classiciitaliani

Anche se non si vuole arrivare a definire Giustino Roncella nato Boggiòlo un autentico “romanzo a chiave”, come ha fatto un’attenta studiosa della narrativa pirandelliana (Sarah D’Alberti, in Pirandello romanziere), è indubbio che questo romanzo — uno dei meno conosciuti dell’autore siciliano — ha una sua storia del tutto particolare. Lo spunto venne dato a Pirandello dalla vita di una “giovane e illustre” scrittrice, Grazia Deledda, venuta a Roma dalla natia Sardegna, accompagnata da un marito — sotto certi aspetti — non molto dissimile da questo Giustino Boggiòlo, marito della protagonista Silvia Roncella, e lanciata nell’ambiente artistico e letterario della capitale con l’aperto favore e la protezione del senatore Ruggero Bonghi, il quale scrisse la prefazione al romanzo Anime oneste, uscito nel 1895, che rivelò la sua autrice e le aprì la strada alla fama. Le maldicenze della società romana finirono per suscitare l’indignazione della Deledda e Pirandello — che ne seppe riconoscere molto presto le notevoli doti — preferí ritirare dalla circolazione il libro, che era apparso nel 1911 con il titolo Suo marito. Si accinse, poi, a riprenderlo in mano vent’anni piú tardi per curarne un rifacimento soprattutto di natura stilistica, ma il lavoro si interruppe al quinto capitolo, cioè press’a poco a metà romanzo. Ora esso viene presentato al pubblico nella forma scelta dal figlio di Pirandello, Stefano, secondo gli intendimenti illustrati nell’«Avvertenza» che lo precede.

Giustino Roncella nato Boggiòlo possiede in nuce vari motivi che Pirandello svilupperà più ampiamente in seguito, soprattutto nella sua opera teatrale, e rivela le geniali intuizioni dell’autore sulla posizione (allora non meno di oggi) incerta e confusa della donna-genio, della donna portata alle luci della ribalta unicamente dalle proprie qualità, e pone l’accento sul rapporto uomo-donna, che studierà poi in tutte le sue sfaccettature e varianti. Non solo, ma esprime anche una precisa presa di posizione di Pirandello nei confronti dell’ambiente artistico-letterario di una grande città — Roma — con il quale da poco era venuto a contatto.
Romanzo, dunque, che può essere letto e interpretato su due piani diversi. Uno è quello del riuscito contrasto fra Roma e il solitario borgo piemontese in cui si svolge quasi tutta la seconda metà del racconto. La Roncella, autrice di genio, ma schiva e modesta, abituata a scrivere solo per se stessa, si trasferisce a Roma da Taranto su consiglio del marito, Giustino, in quanto – secondo lui – solo nella capitale Silvia potrà introdursi nell’ambiente più congeniale alla sua arte. Giustino, personaggio delineato con estrema finezza psicologica, grottesco e patetico insieme, si adopera a questo scopo con l’ingenua cocciutaggine del provinciale e, pur di far “fruttare” l’opera della moglie, finisce per diventare lo zimbello di letterati, giornalisti, dame bas bleu, e perde il posto di semplice archivista che aveva. Ecco quindi Pirandello presentarci una Roma fin de siècle – quella stessa dove lui era arrivato, carico del bagaglio culturale del proprio “noviziato letterario” – di cui facevano parte grossi nomi, come quelli di Carducci, D’Annunzio, Boito, Graf. E tuttavia la sua esperienza romana sarà ben diversa da quella, ad esempio, del giovanissimo D’Annunzio. La Roma umbertina, che aveva assorbito e fatto proprio il gusto del decadentismo non solo come moda artistica e letteraria, ma come forma di vita, suscita in Pirandello soltanto costernazione e un sottile disgusto. Non rappresenta per lui un mondo in cui inserirsi ma, se mai, un ambiente da studiare con distacco e poi — una volta riconosciutane la mancanza di autentici valori — da attaccare restandone al di fuori, da “solitario”. Ecco perché la folla dei personaggi di contorno — giornalisti, artisti, belle dame ora nel fulgore della bellezza e della potenza, ora avvizzite comparse sul viale del tramonto — non è tratteggiata con l’acume, le notazioni psicologiche, l’amorosa pietà o l’umorismo che fanno delle Novelle una galleria di stupendi quadretti, ma resta composta da un gruppo confuso di fantocci, veri e propri manichini, che si adeguano in tutto, dal linguaggio ai modi di vita, alle esigenze mondane, vacue, esteriori della “terza Roma bizantina”. Non è possibile non rilevare il distacco con i tipici personaggi del paesello della Valsusa dove Silvia Roncella, raggiunto l’apice del trionfo a Roma, si ritira in casa della suocera a trascorrere una lunga convalescenza dopo la nascita del figlio. Sembra che qui Pirandello ritrovi una sua vena particolare: la madre di Giustino, il suo “pretendente” Martino Prever, il parroco, la domestica, sono umani, autentici, come autentico è lo scenario della natura che Pirandello — al quale la Valsusa non doveva essere un paesaggio particolarmente congeniale — sa pur rendere con som­messa poesia. Nello sperduto villaggio del Piemonte, forse, l’autore siciliano ha creduto di ritrovare intatti quei valori di tradizione, quel conservatorismo, i moduli di una società molto affine a quella in cui ha vissuto la sua infanzia, sia pure con le ben note ipocrisie, la rigidezza dei costumi, il conformismo e le inevitabili limitazioni.

Ma un altro “piano di lettura’ del romanzo che, come si è detto, è di importanza notevole nell’evoluzione dell’arte pirandelliana, è l’analisi del rapporto che si viene a creare nella coppia Silvia-Giustino. Il matrimonio, il legame in genere tra uomo e donna, moglie e marito, è uno dei motivi che Pirandello riprenderà con insistenza nella sua opera teatrale (L’innestoCome tu mi vuoi, ecc.), ma già qui si svela in tutta la sua drammaticità e il suo tormento.

Perché Silvia non ha sposato Giustino per amore, ma solo per stima. Quando il marito diventa il suo abilissimo manager, Silvia lo sopporta, lo accetta (non dimentichiamo che nella prima parte del romanzo la figura di Silvia è pressoché inesistente, ed essa vi appare e scompare come un’ombra su un palcoscenico dominato completamente dalla figura di Giustino), ma quando questo vorrebbe imporsi anche al suo slancio creativo, indirizzandolo a proprio piacimento, facendo di lei una macchina, allora si ribella, e nella forma più anticonformista – diventando, cioè, l’amante di quel Maurizio Gueli che era stato il “padrino” della sua arte e le aveva aperto le porte della società romana. Ormai la stima che Silvia aveva per Giustino è caduta ed essa non si sente piú di continuare la finzione, di accettare il rapporto moglie-marito. Inutilmente il pover’uomo la chiama al capezzale del figlioletto moribondo. Sepolto il piccolo, i due si separano per sempre. Quanto a Giustino, la “sua creatura”, diventata proprio quello che lui aveva voluto e sognato, gli ha preso la mano e strappato il guinzaglio è matura e pronta a fare da sé, ad assumersi responsabilità e scelte, e a lui non resta che scomparire nell’ombra.

Pirandello qui ha toccato con magistrale sottigliezza una pro­blematica di grandissima attualità: Giustino è abituato a considerare la donna il centro della vita familiare, subordinata per tradizione all’uomo, madre amorosa, perfetta donna di casa, ma sempre in una posizione – in fondo – di inferiorità. Silvia Roncella, invece, la donna-scrittrice, la donna-genio, non piú solo “angelo del focolare”, è una creatura libera di manifestarsi, di esprimersi, non è più oggetto, ma soggetto. Non solo, ma Silvia Roncella, che pure la critica non ha mai considerato una delle figure femminili più riuscite di Pirandello romanziere, ripropone di nuovo il tema dominante di tanti lavori dell’autore siciliano, quello del “gioco degli opposti”: tra vita e forma, tra “come siamo e come vorremmo essere”, o “come siamo e come ci vedono gli altri”… e il tormento, l’incapacità di trovare una formula netta e convincente di verità intaccabile e assoluta.

Grazia Maria Griffini

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