L’uomo del Caos – Capitolo 2: Una infanzia particolare

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Di Pietro Seddio

Nelle fredde serate d’inverno, tappati in casa, illuminata dalle lumierine ad olio, o durante le notti afose d’estate il piccolo Luigi ebbe modo di immagazzinare tutte le sensazioni che lo pervadevano minuto per minuto e catalogarle con fredda lucidità, tanto da ricordarle, minuziosamente, durante la sua lunga attività letteraria.

Pirandello. L’uomo del Caos

Per gentile concessione dell’ Autore

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Indice Tematiche

Pirandello. Autobiografia immaginaria. Capitolo 1
Luigi Pirandello da bambino con sua madre, Caterina Ricci Gramitto, e le sorelle Lina e Anna
“Già: è cosa che si fa tutti i giorni.
Lo fanno gli altri, è vero; non lo facciamo noi.
Non dovrebbe far più impressione, ormai.
Morire. Chi sa com’è morire.
Da poterlo dire agli altri, com’è.
Non lo sapremo mai.”
Luigi Pirandello, Saggi. Foglietti, p. 1231

Pirandello. L’uomo del Caos
Capitolo 2
Una infanzia particolare

Il turista che visita la tomba di Pirandello non può non rimanere affascinato dal meraviglioso panorama che circonda, antistante, la casa natale (Caos), il pino, luoghi tanto cari al Maestro, mai dimenticati. Ne sono prova le prime opere, di contenuto prettamente siciliano. Portava con sé i ricordi della prima peregrina infanzia che lo aveva visto, con tutta la sua famiglia, protagonista di avvenimenti che erano riusciti a costruire nel suo cuore sentimenti complessi, che poi sono stati trasferiti nei personaggi di quelle opere, nella loro tematica, più elaborate.

“La Sicilia dell’infanzia di Pirandello era anche la Sicilia dell’omertà e della complementare allusività semantica. Solo superficialmente Pirandello sembra fuori da queste siciliane abitudini, che, infatti, non si affacciano esplicitamente quasi mai nelle sue pagine. Di fatto, invece, in una profonda latebra, avviene la trasposizione: quel senso di reticenza, di segretezza, di allusività, di esplosività che è l’aspetto che si esteriorizza di quell’animo, diviene il segreto stesso, la frequenza fedele dello stile di Pirandello prosatore e soprattutto drammaturgo: allusivo, spezzato, ammiccante, tortuoso e improvvisamente esplosivo”. [1]

[1] Gaspare Giudice, Pirandello, Ed. Utet, pag. 87

Subì, quindi, il fascino della Sicilia, di Girgenti in particolare, ed ebbe proprio a dire che non poteva nascere in un posto diverso da quello. Anche se l’evoluzione, inevitabilmente, ha cambiato il volto di quel luogo una volta remoto ed affascinante non si può negare che tuttora rispecchi l’emozione provata dallo stesso ogni qual volta si recava al Caos e con piacere vi soggiornava.

Era la terra dei suoi (sua madre è sepolta nel cimitero di Porto Empedocle, un paese poco distante da Agrigento e quasi confinante con Contrada Caos); quella stessa terra che lo aveva visto nascere e dove aveva subìto l’influenza del mare africano, mosso da un vento di scirocco che portava con sé la cultura greco orientale colpendo l’immaginazione del giovane Luigi intento a guardare la campagna selvaggia, ed il mare azzurro che si perdeva all’orizzonte.

Poeticamente aveva scritto:

“Una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d’olivi saraceni affacciata agli orli di un altipiano d’argille azzurre sul mare africano.

Si sa le lucciole come sono. La notte, il suo nero, pare lo faccia per esse che, volando non si sa dove, ora qua ora là, vi aprono un momento del loro languido sprazzo verde. Qualcuna ogni tanto cade e si vede allora sì e no quel suo verde sospiro di luce in terra che pare perdutamente lontano.

Così io caddi quella notte di giugno, che tant’altre lucciole gialle baluginavano su un colle dov’era una città la quale in quell’anno pativa una grande moria. Per uno spavento che s’era preso a causa di questa grande moria, mia madre mi metteva al mondo prima del tempo previsto, in quella solitaria campagna lontana dove s’era rifugiata.

Un mio zio andava con lanternino in mano per quella campagna in cerca d’una contadina che aiutasse mia madre a mettermi al mondo. Ma già mia madre s’era aiutata da sé ed io ero nato prima che quel mio zio ritornasse con la contadina.

Raccattata dalla campagna, la mia nascita fu segnata nei registri della piccola città sul colle. Io penso…che sarà cosa certa per altri che dovevo nascere là e non altrove e che non potevo nascere dopo né prima”. [2]

[2] Luigi Pirandello, Cit. in Corriere della Sera, Dieci anni e un secolo, pag. 15

La peste che colpì la popolazione nell’agosto del 1868. In cui morirono all’incirca 53.000 persone, costrinse la famiglia di Stefano e Caterina Pirandello (genitori di Luigi, sposatisi nel 1863), a trasferirsi in campagna, lontano da Agrigento, in località “Cavusu” (oggi: Caos). Egli stesso si definiva figlio del Caos. [3]

[3] … e il colera portato dagli stessi soldati, si diffuse rapidamente man mano che le truppe percorrevano le campagne e i paesi in cerca dei rivoltosi e di renitenti. La morte colpì fittamente e la situazione non era meno triste che altrove a Girgenti e a Porto Empedocle. Mentre si avvicinava il giorno della venuta di Luigi, in Sicilia – proprio dall’ottobre 1866 all’agosto 1867 – morirono 53.000 persone. Tutti cercavano di abbandonare i luoghi abitati. Se i ricchi fuggirono, chi a Roma, chi a Marsiglia, qualcuno a Londra e a Costantinopoli, gli altri, chi poteva, si rifugiava in campagna. Fra questi saranno i Pirandello.

(Cit. in Gaspare Giudice, Op. Cit., pag. 13)

Ed ecco di seguito, la trascrizione dell’atto di nascita al foglio 218 bis, che sancisce la nascita del piccolo Luigi Pirandello. Anche in questo caso le traversie sembrano già perseguitare l’inconsapevole infante perché allorquando infieriva il colera Pirandello cominciò il suo involontario soggiorno sulla terra, ed il bambino fu battezzato nella Casina del Caos, distante da Girgenti.

Ma il battesimo non venne trascritto sicché, al momento del matrimonio, per accertare che era stato battezzato, si dovette ricorrere alle prove testimoniali e come detto fu anche indispensabile una particolare autorizzazione per via della consanguineità con Antonietta perché i due potessero convolare a giuste nozze.

Fu necessario un decreto vescovile, per scrivere nel registro dei battezzati che Pirandello era uno di loro. Ecco il decreto del vescovo del tempo, monsignor Blandini. L’atto di battesimo così come venne trascritto nel volume dei battezzati, 1865/1868, foglio 218 bis.

“Nos Cajetanus Blandini ecc. Re.mo Can. Pietro Fasulo thesaurario huius Sancte E. Cathedralis salutem. Dai documenti presentati e dalla disposizione di testimoni degni di fede risulta che a 28 giugno 1867 nacque Luigi Pirandello dai coniugi Stefano e Caterina Ricci Gramitto nella casina della Villa del Chaos e che fu battezzato nel giorno 30 di detto mese ed anno nella data casina dal Rev. Padre Giuseppe Librici, da Raffadali, dei Minori Osservanti, curato di Porto Empedocle e che i padrini furono D. Innocenzo e donna Rosalia Ricci Gramitto fratello e sorella. Stante l’anzidetto la incarichiamo a notare nel libro dei battesimi del 1867 di questa Chiesa Cattedrale quello amministrato al detto Luigi Pirandello con le predette circostanze. 

Datum Agrigenti die 27 Dembris 1893. Vicarius Generalis Cantor Chiarelli; Canonicus G. Gaglio, Cancellarius.”  [4]

[4] Cit. in Luigi Pirandello, Lions Club, Op.Cit., 37

Nelle fredde serate d’inverno, tappati in casa, illuminata dalle lumierine ad olio, o durante le notti afose d’estate il piccolo Luigi ebbe modo di immagazzinare tutte le sensazioni che lo pervadevano minuto per minuto e catalogarle con fredda lucidità, tanto da ricordarle, minuziosamente, durante la sua lunga attività letteraria.

Forse attirato da questa atmosfera surreale il piccolo comincia ad avere una prima idea della morte, dell’assoluto infinito, del mondo sommerso e sconosciuto. E chissà che le ombre proiettate nel rozzo pavimento o sulle pareti non lo abbiano sollecitato a fissare le “ombre” che, in un secondo tempo, sarebbe state compagne di percorso.

Fu anche preso dalle condizioni sociali in cui si viveva a quel tempo e certamente venne a conoscenza delle situazioni, alcune pericolose, in cui più d’una volta venne a trovarsi il padre, quando imperversava il fenomeno del banditismo nelle campagne agrigentine e in tutta la Sicilia.

(Basti leggere l’atto unico L’altro figlio, in cui si parla di Cola Camizzi, famigerato bandito dell’agrigentino che più d’una volta si scontrò con Stefano Pirandello, il padre di Luigi, per via della zolfara assai contesa e che doveva essere in seguito causa di dissesti finanziari per la famiglia Pirandello e quella di Portulano). [5]

[5] Stefano, padre di Pirandello, era un vero personaggio. Nato a Palermo, diciottesimo di una stragrande famiglia, ventitré furono i suoi fratelli vivi e morti, dovette farsi da sé. Quando era morto, giovane di quarantasei anni, nel calore del 1837, il padre Andrea, figlio di liguri di Pra, emigrati in Sicilia a metà del ‘700, egli era bambino di due anni appena. Il fratello maggiore, Felice, si era impadronito, con volontà salda e prontezza di mano degno di tempi machiavellici, del maggiorasco già abolito dalla legge dell’asse ereditario.
Per sistemare le cose legali in modo a lui favorevole, non comunicò la morte del padre ai fratelli che erano, per il colera, fuori Palermo, a Santa Flavia, e ne tenne per tre giorni in casa la salma. Stefano ebbe un temperamento avventuroso: era generoso e duro e sprezzante, secondo il caso. Quando nel ’60 Garibaldi giunse a Palermo, egli fu un venticinquenne picciotto, capace di bei gesti. Si batté per tre giorni conto i Borbonici al ponte dello Ammiraglio e al campanile dell’Origlione, convento del quale era badessa la sorella Francesca. Poi si arruolò nel corpo dei carabinieri genovesi, e si batté a Milazzo, a Reggio e al Volturno. Dopo tutte queste peripezie fece ritorno a casa, e da Felice fu inviato a Girgenti a sorvegliare delle zolfare prese in affitto. Nel 1863 sposò Caterina Ricci Gramitto.
Nel ’67 ebbe un alterco vivace e violento con l’allora bandito Cola Camizzi, terrore e capo della mafia di Girgenti. Tra i due si accese un violento alterco e non mancarono i colpi di fucile tanto che Stefano rimase seriamente ferito, mentre Cola Camizzi, grazie all’intervento di un inserviente che in pratica salvò la vita al Pirandello, fu colpito a morte. Quando Stefano fece ritorno a casa in quello stato pietoso, pieno di sangue, la moglie Caterina, per lo spavento, anche perché si pensava che al marito dovessero amputargli il braccio per la brutta ferita d’arma da fuoco riportata, perse il latte che si tramutò in acqua per cui il piccolo Luigi dovette essere allattato con altro latte diverso da quello della madre. Il vecchio Stefano morì a Roma nel 1927.

Quindi un ragazzo non solo contemplativo, ma riflessivo che sapeva posare l’occhio, vivido ed inquieto, su quanto lo circondava e soprattutto osservava acutamente ciò che gli stava attorno.

Subì certamente l’emozione del passaggio dal lume ad olio all’avvento della luce elettrica e con questa la scoperta di avvenimenti che solleticarono la sua fantasia.

Rimase indelebile, però, il ricordo di quella campagna aspra e selvaggia e di quel mare africano. Come rimase indelebile il ricordo del carattere duro del padre Stefano. Per la madre invece ebbe una sorta di venerazione e tanto doloro provò quando la stessa, ormai anziana, lo lasciò definitivamente.

Commovente il suo incontro spirituale con lei allorquando scrive la bellissima novella Colloquio con i personaggi, dove è possibile riscontrare tutta l’umanità di Luigi e la disperazione per quella perdita irreparabile, tra l’altro avvenuta in un particolare momento non felice della sua sempre tormentata vita. Per certi versi, anche lui somigliava al padre. Il ricordo di Luigi, ormai adulto, che passeggia con abiti prevalentemente di coloro scuro, sempre serio in viso, ancora è vivo e sembra incutere rispetto e timore, come a quei tempi.

Un carattere forte e duro che Pirandello si portò dentro per tutta la vita, temprato ancor di più dal turbinio degli avvenimenti che lo ebbero come protagonista.

L’avvento della luce elettrica e quindi il ribaltamento di alcune usanze e la scoperta di eventi diversi, non solo ha un valore prettamente sensitivo, ma si riallaccia ad una precisa concezione del mondo da lui incarnata che, come uomo dell’Ottocento non comprese a fondo i problemi evolutivi del Novecento che lo vide, tra l’altro, per quasi quindici anni, protagonista principale indiscusso anche se molto contestato.

Rileggendo un suo pensiero: Tante cose nel buio vedevo io con quei lumi là, che loro forse non vedono più con la lampadina elettrica, ora; ma in compenso, ecco, con questa lampadina qua altre cose se ne vedono…, si ha l’esatta dimensione d’uno stato d’animo assai tipico di Pirandello. Per non dire, poi, che tutta la sua struttura psico-spirituale risentirà delle delusioni affettive (specialmente con il padre) nella prima infanzia.

Diremo che la composizione del suo pensiero parte effettivamente da queste prime cocenti delusioni. Gli è mancato l’affetto paterno e lui ha scavato nel suo cuore un solco profondo di delusione, di inappetenza spirituale.

Delusione ed inappetenza spirituale saranno la migliore linfa per le sue opere. Così si radica il pensiero costante della morte, della obbligatorietà dell’uomo a vivere una vita diversa da quella che avverte interiormente. Certamente visse in un ambiente non suo, anche se grazie allo stesso ebbe modo di maturare e di strutturarsi psicologicamente.

Vittima, lui stesso, in prima persona, del contrasto tra vita assoluta ed obbligata; tra desiderio di avere e non avere. Radici profonde che vengono alimentate dalla vivida intelligenza e spiritualità che formano l’uomo del domani, che dovrà far vivere tanti personaggi ai quali infondere non solo la sua tematica, ma la sua stessa spiritualità.

Profondo è il suo pensiero quando affronta il tema della vita, dell’esistenza e non manca occasione per esternarlo seppur convinto che saranno in tanti a non comprenderlo.

“In certi momenti di silenzio interiore, in cui l’anima nostra si spoglia di tutte le finzioni abituali, e gli occhi nostri diventano più acuti e più penetranti, noi vediamo noi stessi nella vita, e in se stessa la vita, quasi in una nudità arida, inquietante; ci sentiamo assaltare da una strana impressione, come se, in un baleno, ci si chiarisse una realtà diversa da quella che normalmente percepiamo, una realtà vivente oltre la vista umana, fuori dalle forme dell’umana ragione.

Lucidissimamente allora la compagine dell’esistenza quotidiana, quasi sospesa nel vuoto di quel nostro silenzio interiore, ci appare priva di senso, priva di scopo; e quella realtà diversa ci appare orrida nella sua crudezza impassibile e misteriosa, poiché tutte le nostre fittizie relazioni consuete di sentimenti e d’immagini si sono scisse e disgregate in essa.

Il vuoto interno si allarga, varca i limiti del nostro corpo, diventa vuoto intorno a noi, un vuoto strano, come un arresto del tempo e della vita, come se il nostro silenzio interiore si sprofondasse negli abissi del mistero. Con uno sforzo supremo cerchiamo allora di riacquistar la coscienza normale delle cose, di riallacciar con esse le consuete relazioni, di riconnetter le idee, di risentirci vivi come per l’innanzi, al modo solito.”  [6]

[6] Luigi Pirandello, L’Umorismo, parte seconda

Bisogna anche porre in evidenza il particolare momento storico in cui egli visse la sua infanzia. L’Italia, allora, era pervasa in lungo e in largo da moti rivoluzionari per opera di elementi sovversivi. In Sicilia, poi, era in atto una pesante persecuzione da parte della polizia contro i cospiratori e chiunque destasse sospetto.

La Sicilia, tra l’altro, iniziava a pagare un forte tributo sociale per il completo sfascio sociale in cui venne a trovarsi e fu invasa da orde banditesche che diedero vita ad una serie di eventi delittuosi, alcuni gravissimi, ed è proprio in questo periodo che il fenomeno del banditismo si consolida e sono in tanti a temere per la propria vita, per i propri feudi che diventano mire appetitose di quanti fino a quel momento avevano patito la fame ed ogni sorta di sopruso.

Non di meno interessato al fenomeno era Stefano Pirandello per via di quelle zolfare che gestiva a Porto Empedocle e quindi, come visto, non fu immune da rappresaglie o da scontri violenti. Era questa l’atmosfera che si respirava in Sicilia in quel preciso momento storico.

Anni oscuri, difficili, dove gli intrighi politici, speculativi (allora come oggi!) spesso sfocianti in delitti, creavano certamente una situazione di paura, diffidenza, odio ed anche omertà. Una infanzia non tranquilla non certo per volontà di Pirandello, ma per tutti quegli eventi che precipitarono allorquando (somma delle sventure!) il padre fu dichiarato fallito e dovette andare a vivere a Palermo. [7]

[7] Abitò con la famiglia in via Porta di Castro, nel centro popolare della città, dietro le mura di Palazzo Reale. Da via Porta di Castro in via Borgo di fronte alla chiesa di Santa Lucia. In questo periodo Luigi scopre la tresca amorosa tra suo padre ed una donna; sarà il motivo del profondo contrasto che per lunghi anni dividerà i due. Pirandello non dimenticherà mai quella offesa nei confronti della madre. Fatto singolare è che il giovane scoprì la tresca presso il monastero di San Vincenzo, la cui badessa, che permetteva quegli incontri, era una zia.
Mentre il padre vistosi scoperto si nascose, la donna ricevette, dal piccolo Luigi inferocito, uno sputo in faccia. Solo dopo la morte della madre (1915) Pirandello acconsentirà che il padre, ormai vecchio e ammalato, abitasse con lui a Roma dove rimarrà fino alla morte.
Dopo circa i sette anni trascorsi a Palermo, ritornò ad abitare a Porto Empedocle, in campagna, alle “Due Riviere”, presso Monte Rossello. Pirandello, rimasto solo a Palermo, andò ad abitare in via Maestro d’Acqua, assieme ad un compagno di studi di S. Agata Militello, un certo Carmelo Faraci. Dopo un certo tempo il giovane Luigi andò ad abitare in via Bontà, presso una propria zia.
Tornerà a Porto Empedocle dopo aver ultimato il liceo.

Vi rimarrà circa sette anni Luigi, dai tredici ai venti. Il primo contatto con realtà diverse; la grande città si apriva all’animo, alla sensibilità del giovane che fece le sue prime esperienze dirette; ebbe i primi contatti umani e culturali. A Palermo frequentò fino al liceo. Ritornò subito dopo in Agrigento con continui spostamenti per via dello zolfo che si accumulava sulle banchine per essere dirottato verso altri lidi. Una delle case abitate da Pirandello, in Agrigento, si trovava in Via San Pietro al numero 19, contigua all’edificio delle Scuole Normali e poi rasa al suolo durante il bombardamento del ’43.

Questi contatti violenti che sembravano turbare l’animo del giovane Luigi, costituiranno poi materia di maturazione che verrà consacrata nelle sue opere. Da queste prime esperienze con i zolfatari, con gli uomini del mare, con i galeotti chiusi a Porto Empedocle nella Torre Carlo V, verranno creati gli stessi personaggi che popoleranno il suo romanzo I vecchi e i giovani. Un magazzino la sua mente: tutto veniva accuratamente selezionato, catalogato per poi essere ripreso al momento opportuno.

Sono questi fatti, a volte marginali, che riescono a dare una visione completa della personalità che si va maturando. Si tenga presente che il giovane Pirandello studente non eccelleva per profitto; possiamo definirlo uno studente che raggiungeva la sufficienza. Intanto il preponderante richiamo alla poesia lo aveva già preso e da qualche anno si era messo a scrivere versi, raccolti in quaderni, che davano una prima testimonianza della sua creatività.

Sono questi primi anni che formano il suo carattere, la forma mentis dalla quale non riuscirà più ad evadere, anzi: cercherà sempre di ritornare con il pensiero e i dialoghi dei personaggi nei luoghi che lo videro fanciullo, giovanotto, studente liceale.

Rubiamo un periodo del libro di Gaspare Giudice:

“In realtà, a parte il gioco ingenuo di queste poesie, Pirandello, lasciando pressoché definitivamente Girgenti, se ne portava dentro una immagine troppo radicata perché potesse svanire. Racconti e romanzi e opere di teatro saranno ritessuti nel ritorno della memoria a Girgenti; il paese dell’infanzia sarà talvolta puro pretesto, ma, più spesso, sarà necessario stimolo narrativo: ricerca genuina (anche se non proustiana!) del tempo perduto”. [8]

[8] Gaspare Giudice, Pirandello, Op. Cit., pag. 49

Ampiamente lo dimostrano quasi tutte le novelle: Il viaggio, L’esclusa, Donna Mimma, Il fumo, Ciaula scopre la luna, Lontano, ecc., per non parlare di opere teatrali come Il berretto a sonagli (‘A birritta cu ‘i ciancianeddi), Liolà, Pensaci Giacomino!, La Sagra del Signore della Nave, L’altro figlio, La giara (‘A giarra), ecc., e per il romanzo, come già accennato I vecchi e i giovani.

Esperienze dirette, vissute, che ne fortificavano (positivamente e negativamente, è vero) il suo animo che andava sempre in cerca di affetto, di rispondere ai molteplici perché che si affacciavano nella sua mente la quale cominciava ad essere invasa da un processo evolutivo (etico-socio-spirituale) che lo obbligava a quella ricerca che spesso lo avrebbe portato (o sembrava portarlo) lontano dalla realtà più marcata, cioè spicciola, coerente con quanto lo circondava.

Il desiderio di sapere, di conoscere, creerà una seconda anima in Pirandello; anche una seconda coscienza non piena di contraddizioni, ma è innegabile che da queste contraddizioni spesso si raggiungono vette intense di lirismo tragico di cui sono piene le sue opere e non solo le maggiori, ma l’intera produzione.

Diciamo che la tragedia dei personaggi pirandelliani inizia nel momento in cui il giovane Luigi tocca con mani proprie la cocente realtà d’una situazione familiare, sociale, economica non propriamente ideale. Ed è anche la sua convinzione che lo porterà ad essere inviso ai preti dei quali spesso ne aveva dato descrizioni assai singolari quanto denigratori. [9]

[9] Così la descrizione di due preti: Monsignor Partanna (Tonache di Montelusa): uno scheletro intabarrato…alto, curvo su la sua triste magrezza, proteso il collo, le tumide e livide labbra di fuori, nello sforzo di tener ritta la faccia incartapecorita, con gli occhialacci neri sull’adunco naso…
Per Monsignor Landolina: era un prete lungo e magro, quasi diafano, come se la gran luce di quella bianca ariosa cameretta in cui viveva lo avesse non solo scolorito ma anche rarefatto, e gli avesse reso le mani d’una gracilità tremula quasi trasparente e sugli occhi chiari ovati le palpebre più esili d’un velo di cipolla.
Tremula e scolorita aveva anche la voce e vani i sorrisi su le lunghe labbra bianche, tra le quali spesso filava qualche grumetto di biascia.

La prima catarsi avvenne nel suo animo; nella consapevolezza del suo io ribelle e poco disposto ad adeguarsi a situazioni di compromesso. La ribellione spirituale che alimentò il suo intimo gli provocò lacerazioni profonde che scavarono solchi cavi ed irreversibili facilmente riscontrabili nel carattere forte dei suoi personaggi; nella loro insoddisfazione; nel non trovare giusta collocazione in una società compressa e tendenzialmente cattiva impegnata a reprimere gli animi e le aspirazioni. In definitiva in una società che annulla la personalità di ciascun individuo.

Questa situazione interiore lo spinse a scrivere (1893) all’allora fidanzata:

Io immaginavo la vita come un immenso labirinto circondato tutt’intorno da un mistero impenetrabile: nessuna via di esso m’invitava ad andare per un verso anziché per un altro: tutte le vie mi parevan brutte o inaccessibili. A che scopo andare? e dove andare? L’errore è in noi, nella nostra mente, e la mente è nella nostra vita, un male privo di sensi, io mi dicevo…

Avrà rivisto i “carusi” curvi sotto il peso dello zolfo, le panchine assolate, i galeotti costretti al lavoro ed avrà visto i visi degli speculatori, degli strozzini che vivevano sulla pelle degli altri e avrà provato ribellione, avrà inveito contro quelle amare realtà.

Per sua bocca, più avanti negli anni, parleranno i suoi personaggi che ancora sfidano il tempo e le realtà evolutive che non offuscheranno mai la genuinità tagliente e graffiante di quei dialoghi.

E’ il dato più qualificante da cui partire, per non dire che questa prima fase della vita di Pirandello è piena di episodi (il suo primo fidanzamento più contro volontà che per libera scelta; il contatto con i suoi paesani gravidi di mille problemi; le strade strette e tortuose della sua Girgenti.

Poi la malattia della sorella minore che si credette pazza ma che poi guarì perfettamente, ecc.) che ne hanno arricchito il tessuto spirituale consentendogli, forse, una maturità anzitempo.

Quasi divenne “uomo” molto tempo prima D’altro canto ne sono testimonianza le sue prime raccolte di poesie e i suoi primi racconti, nonché la predisposizione per il teatro, anche se come è noto, lo scrittore arriverà a quell’arte (durante il periodo di maggiore maturità e fecondità artistica) quasi per caso, essendosi dedicato alle novelle e ai romanzi.

Anzi proprio il teatro, a suo dire, non lo interessava per niente. Ed infatti spesso viene riportato un brano della lettera che nel dicembre del 1890 scrisse:

Io, se Dio m’assiste, non scriverò mai né commedie, né drammi. Il teatro non l’opera d’arte, ben inteso il teatro è per me, quel che è la vignetta rispetto al libro che essa vuole illustrare, o quel che è ogni traduzione di fronte all’originale: una riproduzione che per forza, o guasta o diminuisce.

Per fortuna i fatti lo hanno poi, favorevolmente almeno per una volta smentito. Nella logica della sua esistenza giovanile s’incunea la realtà socioculturale della sua gente per la quale sente un richiamo preponderante. Si crea l’alter ego, assai riscontrabile, poi nel corso della sua produzione letteraria. Il bisogno di trasferire le passioni dell’uomo della strada per farle proprie e poi ribaltarle sul palcoscenico, diventa il suo modo di vivere, di credere negli eventi, di constatare con mano propria le emozioni e le intensità provocandogli inevitabilmente anche traumi negativi. Cogliendo magistralmente il senso della tematica pirandelliana, Giovanni Macchia nel suo interessantissimo libro Pirandello o la stanza della tortura in tal modo scrive:

“La società siciliana fu per Pirandello un condensato entro specchi deformanti, della società umana: un luogo di prove, di esperimenti, di visioni. In quello specchio curvo, ove le immagini apparivano lancinate in un’espressione non di rado grottesca, e in cui s’operava implicitamente la critica e il superamento del verismo, si rifletteva l’arretratezza di una società, vincolata ai pregiudizi e alle superstizioni, al ‘parere’ più che all’ ‘essere’ dilaniata dalla ‘roba’, chiusa nell’ordine sacro della famiglia”. [10]

[10] Giovanni Macchia, Pirandello o la stanza della tortura, Ed. Mondadori 1981, pag. 67

Possiamo allora stabilire con certezza che il rapporto tra Pirandello e la società di quel tempo fu improntata sulla contrapposizione ideologica quanto spirituale anche perché il Maestro cominciava ad avere bene chiare le idee che frullavano nel suo cervello e che erano diventate materia del suo scrivere.

Un rapporto conflittuale seppur improntato, almeno da parte dello scrittore, sulla correttezza perché se non era attaccato direttamente lo stesso non attaccava mai, anche per quella sua così presente riservatezza che lo portavano a vivere del suo non chiedendo mai niente agli altri. C’è da sottolineare che Pirandello, a proposito dello specchio, utilizza questo oggetto alcune volte a pretesto per far si che i suoi personaggi possano specchiarvisi; basta ricordare il famoso monologo di Lamberto Laudisi nell’opera Così è (se vi pare), [11] che tanto successo ha avuto e continua ad avere.

[11] “Oh, eccoti qua! Eh caro! – Chi è il pazzo di noi due? Eh, lo so: io dico: “tu”, e tu col dito indichi me. – Và là, che così a tu per tu, ci conosciamo bene noi due! – Il guajo è che, come ti vedo io, non ti vedono gli altri! E allora, caro mio, che diventi tu? Dico per me, qua di fronte a te, mi vedo e mi tocco – tu, – per come ti vedono gli altri – che diventi? – Un fantasma, caro, un fantasma! – Eppure, vedi questi pazzi? Senza badare al fantasma che portano con sé, in sé stessi, vanno correndo, pieni di curiosità, dietro il fantasma altrui! E credono che sia una cosa diversa.

Luigi Pirandello, Così è (se vi pare), Atto secondo

E’ per evidenziare ancor più l’insieme dei concetti fin qui esposti, è opportuno citare un pensiero del critico prof. Leone De Castris, autorevole studioso di Pirandello, che in tal modo si è espresso:

“Il primum della ideologia e, in genere, della posizione critica di Pirandello, è indubbiamente da cercarsi nella tragica consapevolezza di una frattura storica, di una lacerazione della società. L’offesa insanabile della sua coscienza è nella visione lucidissima di un’età mediocre e fallimentare, di una civiltà in rovina, che travolge nel fango del conformismo e del tradimento, e improvvisamente svuota e corrompe i più alti ideale. La crisi dell’ideale, la sua impossibile riduzione realistica, si manifesta nella sua coscienza come crisi di una società ce quegli ideali ha travolti e traditi; e da un realistico spettacolo di decomposizione, da uno sminuzzamento storico della ‘forme borghesi’, si va enucleando quel frantumasi dell’uomo ch’è veramente il centro organico dell’universo tragico pirandelliano. La ‘persona’ romantica, proprio attraverso questo processo di perdita dei valori e di demistificazione delle maschere che ai valori si sono sostituiti, comparirà in Pirandello tutto il suo integrale cammino di disgregazione”. [12]

[12] Leone de Castris, Storia di Pirandello, Ed. Laterza 1975, pag. 11

C’è allora una partenza obbligatoria che non deve essere sottaciuta se vogliamo dare maggiore corpo alla formazione spirituale, con conseguente evoluzione della sua personalità, che ha radici profonde e salde e che vanno ricercate proprio nel periodo della sua fanciullezza; delle sue prime esperienze; del primo contatto con la realtà e fin da allora subì l’influenza degli avvenimenti che lo hanno tenuto schiavo, spesso facendogli rasentare il nichilismo.

Il suo pessimismo (l’insieme di esperienze, di cultura filosofica, di crisi spirituale, di contrasti evidenti e opportunamente mascherati, ecc.) si crea razionalmente, attraverso una scrupolosa ed attenta analisi dei fenomeni dei quali egli stesso n’è protagonista.

Gli è mancato l’affetto durante il periodo d’infanzia; cercherà nella famiglia quello che non aveva ricevuto; inesorabilmente gli avvenimenti (il teatro, il successo, l’errare da una città all’altra) lo porteranno sempre più lontano da quegli effetti verso cui si sente attratto. Anche in questa contraddizione tra il desiderare e l’avere, viene a radicarsi quel senso di sgomento e di morte nei confronti della vita che diventerà un tema centrale dell’intera sua opera e non solo di scrittore, ma di uomo semplice, chiuso tra le mura della sua casa, con gli amici i conoscenti… e i suoi personaggi.

Il senso della morte risulterà, in ultima analisi, come l’epicentro delle sue crisi spirituali e perché no?, della sua ascesa al successo.

“La parte giovanile e quindi preponderante del diario poetico di Pirandello scrive Nella Zoia riflette momenti profondi e acuti della sua vita spirituale di quando ancora cerca accordi e soluzioni con l’universo, momenti in qualche modo precedenti a quelli illuminati della sua opera maggiore; la quale si concentra piuttosto sulle conseguenze e delusioni, desolanti, della sua presa di contatto col mondo. Qui si può cogliere alle radici la ragione personale, singolare, in una parola, lirica di quella che è la visione della vita di Pirandello”. [13]

[13] Nella Zoia, Pirandello, Ed. Morcelliana 1948, pag. 7

C’è concordanza di idee quando si fa specifico riferimento al periodo giovanile del Maestro, proprio perché da questo si dipaneranno tutte le componenti oggetto di approfondimenti e spesso, contrastanti, giudizi sulla sua complessa opera di scrittore.

Ritroviamo Pirandello già iscritto all’Università di Palermo nella facoltà di legge e lettere. Portandosi dietro il primo bagaglio di esperienze assunte a Girgenti, la città di Palermo gli offre la possibilità di maturare ancor più e soprattutto gli serve per scoprire (è una indicazione importante anche per gli studiosi del Maestro) le prime tendenze politiche; tendenze sulle quali non tutti chiaramente intendono trovarsi d’accordo.

A Palermo, (come detto in nota) in quel periodo, andrà a vivere con la sua famiglia in Via Porta di Castro, poi in Via Borgo S. Lucia, sul Molo. Rimasto solo andrà in pensione, in una camera ammobiliata in Via Maestri d’Acqua, successivamente nella pensioncina di zia Sara, vedova Gonzales, in Via Bontà.

La testimonianza di uomini che gli furono vicini in quel tempo, hanno scritto e dichiarato che Pirandello, come tanti giovani universitari del tempo, mostrò simpatia per l’organizzazione politica che come movimento era solito chiamarsi Movimento dei Fasci Siciliani. [14]

[14] La crisi politica del Romanticismo si rivela proprio nel passaggio dallo “ideale di libertà” allo “ideale di società. Nel momento in cui quell’ideale, che pur aveva vinta la battaglia dell’indipendenza da ogni forma di assolutismo, doveva misurarsi in concreto nella formazione di una società rinnovata, il liberalismo si rivelava incapace della nuova funzione. Per questa prospettiva, e per le implicanze di ordine culturale ed artistico che la sollecitano ci sia consentito rimandare al nostro saggio Decadentismo e romanzo europeo: un problema da risolvere. (Cit. in Leone de Castris, Op. Cit., pag. 12)

Anche se l’impegno politico non lo assorbiva completamente, non bisogna non fare riferimento a questa sua “simpatia” per i riflessi che ne deriveranno quando, importante e famoso, dovrà operare scelte più precise destando polemiche e vespai in quanto ormai era il Pirandello nazionale. Contatti ed incontri con gli esponenti di quel movimento che a Palermo trovava terreno assai fertile tra i giovani radicali delle facoltà di medicina e legge. Come tutti gli uomini che avvertono le contraddizioni del tempo in cui vivono, il Maestro non poté uscirne indenne da queste contraddizioni politiche per le quali, più d’una volta, fu posto sotto accusa, ed ancora oggi crediamo che il nodo politico non sia del tutto sciolto o chiarito in virtù delle contrapposizioni non solo del tempo di Pirandello, ma del nostro in particolare. Non fu certamente un politico, anche se nel romanzo I vecchi e i giovani, cerca di portare avanti un discorso politico.

In effetti per questa sua non precisa partecipazione alla vita politica, nel romanzo vengono poste in essere contraddizioni così evidenziate da autorevoli critici e saggisti che a questo particolare aspetto hanno dedicato studi approfonditi. [15]

[15] Pirandello, in realtà, non ha nessuna “parola d’ordine” che il fascismo movimento o regime possa far propria. Diciamo, per ora, che il suo incontro con il fascismo fu tanto più rilevante e “necessario” in quanto non provocato da programmi definiti, da impegni nei confronti del futuro. Il fascismo, sembrò a Pirandello, faceva qualcosa di concreto ‘contro’ le illusione del sistema liberale e dallo spappolato programma socialista; si proponeva come una azione, un gesto spontaneo, una “cosa” contro lo smodato volo di “parole” democratiche o rivoluzionarie. E’ vero che il fascismo si presentava come una rivoluzione ma è altrettanto vero che non lo fu affatto (Mussolini ne ebbe piena consapevolezza) e Pirandello lo capì di primo acchito e per questo lo accettò….
Il fatto è che Pirandello fu fascista e non poté essere fascista proprio per la coincidenza della sua visione a-ideologica con la non-ideologia del fascismo. E’ verissimo quello che qualcuno dei miei recensori ha sbrigativamente scritto: ossia che Pirandello, in fondo, non sapeva cosa fosse il fascismo; ma proprio di qui bisogna cominciare per capire il vero fascismo di Pirandello: se il fascismo s’impose e si espanse, se purtroppo non è ancor morto, lo si deve anche e soprattutto alla sua capacità di sottrarsi a ogni precisa definizione ideologica.

Cit. in Gian Franco Venè, Pirandello fascista, Ed. Mondadori 1991, pag. 8 e segg.

Analizzando il romanzo, Leonardo Sciascia, ha così voluto sintetizzare l’opera: “Il romanzo ‘I vecchi e i giovani’, senza senso della storia romanzo storico, è da guardare come l’opera più autobiografica di Pirandello”. [16]

[16] Leonardo Sciascia, Pirandello e la Sicilia, Ed. Sciascia 1961, pag. 59

A tal proposito vogliamo riportare alcuni brani dell’interessante volume di Carlo Lo Presti, nel quale l’autore felicemente traccia una panoramica socio storica della Sicilia di quel tempo.

Questo per comprendere meglio l’evoluzione spirituale (in essa racchiuse tutte le altre forme anche espressive) del Maestro in stretta connessione con il passaggio della prima infanzia a quella della gioventù e più particolarmente della gioventù universitaria.

“Un interesse particolare e urgente induceva i siciliani a dimostrare in questo periodo post-garibaldino, da una parte le difficoltà economiche nelle quali si dibattevano le popolazioni dell’isola; dall’altra il presunto grande apporto di ricchezza reale e potenziale di questa all’unificazione della grande famiglia siciliana”. [17]

[17] Carlo Lo Presti, Sicilia Teatro, Ed. Centauri 1969, pag. 57

Questo evento non poté non colpire Pirandello, se si pensa che durante il periodo universitario, le simpatie per certe idee politiche, l’accostarsi a certi scrittori quali Mario Rapisardi, ne sono testimonianza fedele. D’altro canto egli viveva il suo tempo, seppur nel suo subconscio cominciavano a temprarsi gli strati intellettuali che in seguito esploderanno.

Continua ancora il Lo Presti: “Con i primi moti si hanno movimenti e agitazioni: tra il 1860 e il 1890 veniva fuori in Sicilia un vasto movimento animato da precisi ideali sociali ed economici e sempre più rispondenti alle istanze storiche e sociali del tempo; le reazioni, gli impennamenti anarchici si devono alle esplosioni psicologiche di persecuzioni poliziesche, al costume inveterato, alle rigide e spesso inique tradizioni patriarcali e paesane”. [18] Ibidem pag. 69

Possiamo affermare che a causa di questi contrasti si identifica il povero vessato ed umiliato. Storicamente viene a contrapporsi un fenomeno di rispetto verso taluni potenti che prende il nome di “onorata società” (poi mafia), anche se questo stesso si consoliderà proiettandosi in avanti con le note conseguenze.

Ma quando nacque, ebbe come traguardo lo scopo di poter contrastare i vessatori (più potenti dei potenti piccoli borghesi e soprattutto protetti) che spadroneggiavano riducendo, spesso, il cittadino, a livelli inaccettabili.

“Avviene in questo periodo storico un fatto determinante scrive ancora Lo Presti due ideali si dipartono da una unica radice. Nella Sicilia Occidentale l’iniziativa del Colajanni, nella parte Orientale affiora un orientamento di ispirazione filosofica e letteraria positivistica e sostanziato da filantropismo evangelico”. [19] Ibidem pag. 60

Non si dimentichi, ancora, che il pensiero di Mario Rapisardi divenne il simbolo al quale i giovani universitari siciliani si sono sempre ispirati.

“Mario Rapisardi […] rappresentava agli occhi del popolo siciliano la vivente incarnazione del mito del Risorgimento, e più precisamente del mito garibaldino inteso come eversione e palingenesi, come profanazione di valori ‘religiosi’ che però, nell’atto stesso della profanazione, si ricostituivano in forme apparentemente nuove di ‘religione’”. [20]

[20] Leonardo Sciascia, Op. Cit., pag. 128

Comunque, nonostante queste premesse, questi accostamenti alla vita politica del tempo, Pirandello, non prese nella maturità mai parte attiva. La sua esuberanza, la sua intelligenza, il fare parte del movimento studentesco universitario, lo avvicinarono ai movimenti politici e più specificatamente al Movimento dei Fasci Siciliani, ma senza quella assidua partecipazione. Era semplicemente un simpatizzante. E’ un primo contatto diretto che non gli fa assumere una coscienza politica, ma gli consente di trasferire tale esperienza nel suo campo già citato. Proprio in questa non definita coscienza politica, Pirandello rivela le sue contraddizioni di storico e politico.

“Ma l’animo politico di Pirandello scrive Giudice come si vedrà, sarà diversamente complicato. Il caso contraddittorio del suo temperamento permetterà un sovrapporsi cronologico di esperienze e convinzioni, fra le quali sarà presente anche questa radicaleggiante, assorbita nell’ambiente palermitano. Dato il suo gusto all’estremismo astratto, l’atteggiamento tra giacobino e socialista dei giovani colleghi universitari dovette attrarlo. Né si può pensare che alla sua intelligenza, comunque curiosa, potessero passare inosservati questi fermenti”. [21]

[21] Gaspare Giudice, Op. Cit., pag. 83

Ma Pirandello non soggiorna a lungo a Palermo. Perché?

Abbiamo fatto cenno al suo fidanzamento con Linuccia, cugina del suo amico di studi Carlo Faraci. Proprio per quest’amore non sbocciato, almeno da parte del Maestro, ed avendo paura di imboccare una strada cieca e tortuosa, decide di lasciare Palermo per trasferirsi a Roma.

Una decisione maturata che scattava all’improvviso. Voleva solo studiare e non pensare ad altro. A Roma abiterà, nella pensione dello zio Rocco Ricci Gramitto in Via del Corso 456, poi in una stanza in Via delle Colonnette, nel quartiere di Ripetta, ora abbattuta. Emerge chiaramente che la vita intima affettiva di Pirandello lasciava pochissimi spazi. Una ragione in più che sarà causa di angosce, di false interpretazioni, momenti terribili.

In ogni caso l’animo e la sua sensibilità seppur non certo invitavano al colloquio sentimentale più aperto, nutrivano quegli elementi umani e sensoriali propri di ogni uomo. Non amava con il cuore, forse; ma era anche lui dotato di sentimenti.

Non era prodigo, anzi parco a tal proposito; questa mancata, evidente, realtà sentimentale lo perseguiterà per anni interi. [22]

[22] Il fondo intellettuale del dramma di Pirandello è in una contraddizione insanabile, che segna indubbiamente la qualità filosofica del suo tormento e insieme la impossibilità filosofica di un approdo: un’esigenza spirituale e finalistica in un impianto meccanicistico e positivo La frattura della dialettica idealistica ne è l’occasione, e la polemica nostalgia di quella dialettica la condizione morale. Pirandello vive la crisi positivistica nella sua costitutiva premessa scettica, ma, lungi dallo appagarsene, vi giustappone un’ansia di conoscenza assoluta, evidentemente destinata a non ottenere risposta. Il suo paradossale tormento è nel cercare il “vero” nell’ambito del “certo”: ma, schiavo del fenomeno, quel vero idealistico gli si frantuma in un relativismo senza consolazione. Egli è uno spiritualista caduto in terreno positivo: gli resta il reale senza ideale, o, di questo, lo schema e l’esigenza, non la sostanza e la fede costruttiva. Applica una lente idealistica della realtà che, posta come dato assoluto, ripugna alla sintesi razionale: e la realtà gli si scopre quindi come molteplicità infinita, giustapposizione eterna di fenomeni; e la storia come divenire fotogrammatico e inconcludente, e anzi frattura tra passato e presente, tra essere e divenire.

In lui ed è per questa la condizione fondamentale del sentimento e dell’arte sua i conflitti e la crisi dei grandi sistemi dell’Ottocento non si presentano nella dimensione polemica e costruttiva delle ideologie filosofiche, contemporanee, che porrà nuovi argini alla ricerca speculativa, alla ricerca delle “verità”, accentuando il momento operativo; ma si presentano proprio come fallimento e crollo di insostituibili valori, come tragica presa di coscienza di una frattura storica e ideale, che spontaneamente assume dimensioni “esistenziali”.

Sicché, mentre le filosofie che nascono dalla crisi, in quanto filosofiche, non sanno prenderne coscienza senza negarla, senza ridurla in definitiva a momento di quella ricorrente vicenda di crolli e di superamenti che è la storia del pensiero, per Pirandello la coscienza di quella dilacerazione della storia, proprio per “incapacità” speculativa diventa coscienza di un momento irreversibile, crisi definitiva della condizione dell’uomo. Egli vive fino alle ultime conseguenze, nella solitudine della sua coscienza, tutta la vicenda della cultura europea dopo il crollo delle ultime metafisiche della ragione: e appunto perché non risarcito da psudo soluzioni filosofiche, resta inchiodato a un dramma insolubile, a una sconfitta razionale e a una pena umana ch’è la condizione di fondo della sua arte.

Cit. in Leone de Castris, Op. cit., pag. 10 e segg..

Altre prove, ben più dure, subirà nel corso della sua irripetibile vita.

Fatto è che a causa di un amore contrastante (desiderio di sentimento e necessità di esperienze reali) lascia la Sicilia per recarsi a Roma.

Un altro capitolo si apriva, ma con quali effettive prospettive?

Pietro Seddio

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