L’innesto – Personaggi, Atto primo

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Premessa e articolo di Antonio Gramsci
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

En Español – El injerto

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L innesto - Atto I
Compagnia teatrale “Amici della Prosa”, L’innesto, 2013. Immagine dal Web.

Personaggi

Laura Banti, moglie di Giorgio Banti
Giorgio Banti
La Signora Francesca Betti, madre di Laura e di Giulietta
L’Avvocato Arturno Nelli
La Signora Nelli
Il Dottor Romeri
Il Delegato
La Zena, contadina
Filippo, vecchio giardiniere
Un Cameriere, una Cameriera,il Portiere,
due Guardie, che non parlano

Il primo atto a Roma. Il secondo e il terzo in una villa a Monteporzio. – Oggi

1919
L’innesto
Atto Primo

        Salotto elegantemente mobiliato in casa Banti. Uscio comune infondo, e late­rali a destra e a sinistra (dell’attore).

        Scena prima

        La signora Nelli, la Signora Francesca, e Giulietta.

        Al levarsi della tela la signora Nelli, in visita, attende, sfogliando in piedi presso un tavolinetto una rivista illustrata. Entrano poco dopo dall’uscio a si­nistra, anch’esse col cappello in capo, la signora Francesca e Giulietta.

        FRANCESCA (vecchia provinciale arricchita, troppo stretta in un abito troppo elegante, che contrasta con l’aria un po’ goffa e il modo di parlare. Non è sciocca, – piuttosto un po’ sguajata): Cara signora mia!

        SIGNORA NELLI (elegante, ma già sciupata, con qualche velleità di tenersi an­cora su, in un mondo che non è più per lei): Oh! la signora Francesca! Giu­lietta! (Scambio di saluti.)

        FRANCESCA: Vede? Qua anche noi, ad aspettare.

        SIGNORA NELLI: Già; ho saputo.

        FRANCESCA: Sarà un’ora. No, più, più, che dico? Saranno almeno due ore!

        GIULIETTA (molto fine, atteggiamento stanco, con qualche affettazione di superiorità): È veramente strano, creda. Sto in pensiero.

        SIGNORA NELLI: Perché? Manca forse da troppo tempo?

        GIULIETTA: Ma sì! Da questa mattina, alle sei; si figuri!

        SIGNORA NELLI: Uh! Alle sei? Laura è uscita di casa alle sei?

        FRANCESCANA Giulietta, risentita): Se dici così «alle sei», chi sa che cosa puoi far credere, Dio mio! Bisogna dire che è uscita con la co… con la cosa…

        GIULIETTA (piano, seccata, suggerendo): Con la scatola.

        FRANCESCA: Ecco, già! dei colori.

        SIGNORA NELLI: Ah, brava! Ha ripreso dunque a dipingere, Laura?

        FRANCESCA: Sissignora. Da tre giorni. Va in campagna – cioè, non so, in un bosco…

        GIULIETTA: Ma che bosco! A Villa Giulia, mammà!

        FRANCESCA: Io ho vissuto sempre a Napoli, signora mia. Di queste ville di qua, poco m’intendo.

        GIULIETTA: Già! Ma jeri e l’altro jeri, capisce? alle undici al massimo è stata di ritorno. Ora, a momenti è sera, e…

        SIGNORA NELLI: Avrà voluto forse finire il suo bozzetto.

        FRANCESCA: Ecco, benissimo! (A Giulietta:) Vedi? quello che penso io.

        SIGNORA NELLI: Ma sarà certo così! Se è uscita con la scatola dei colori, nonc’è da stare in pensiero. Si spiega.

        GIULIETTA: No, ecco, per questo non si spiegherebbe, scusi. Chi esce da tre giorni quasi all’alba, vuol dire che s’è proposto di ritrarre… non so, certi ef­fetti di prima luce che, avanzando il giorno, non si possono più avere.

        SIGNORA NELLI: Ah, è pittrice anche la Giulietta?

        GIULIETTA: No, che pittrice, per carità!

        FRANCESCA: Non dia retta; se n’intende anche lei. Ah, quella che è istruzione, signora mia, m’è piaciuta assai, a me, sempre! Non l’ho potuta avere io; ma le mie figliuole, per grazia di Dio, i meglio professori! Francese, inglese, la musica… E Laura, che ci aveva la disposizione, anche la pittura, col professor Dalbuono, che lei lo sa, rinomatissimo! Giulietta non la volle studiare, ma –

        SIGNORA NELLI (compiendo la frase): – stando accanto alla sorella –

        FRANCESCA: – ecco, già! (A Giulietta, che s’allontana, scrollando le spalle ur­tata:) Che cos’è?

        SIGNORA NELLI (fingendo di non capire la mortificazione della ragazza per la goffaggine della mamma): Via, signorina, non stia così in pensiero! Lei dice bene; ma scusi, non potrebbe essere venuto in mente a Laura di cominciare lì per lì qualche altro studio?

        GIULIETTA (freddamente, concedendo per cortesia): È probabile, sì.

        SIGNORA NELLI: Se ha ripreso a dipingere coll’antico fervore…

        GIULIETTA: No, che! Non ha più nessun fervore, Laura.

        FRANCESCA: Ma quando si prende marito, sfido! Queste sono cose, come si dice? adorni, ecco, adorni, signora mia, per le ragazze. Non le pare? Però mio genero li vuole, sa! Bisogna dire la verità! La spinge lui, mio genero.

        SIGNORA NELLI: E fa bene! Ah, certo. Fa benissimo. Sarebbe un vero peccato che Laura, dopo tante belle prove…

        GIULIETTA: Non lo fa mica per questo, mio cognato. Forse, se Laura vedesse in suo marito una certa passione per la sua arte… Ma sa che la spinge a ripren­dere la tavolozza, come la spingerebbe… che so? a qualunque altra occupa­zione…

        FRANCESCA: E ti par male? Bisogna pur darsi un’occupazione. Signora mia, quando si è cresciute, come le mie due figliuole, negli agi… Sa qual è il vero guajo qua? Che mancano i figliuoli!

        SIGNORA NELLI: Ah! per carità, signora, non li chiami! Se sapesse quanto invi­dio Laura, io! Ha sposato due anni prima di me, Laura: sono già sette anni, è vero? E io, in cinque, già tre…

        FRANCESCA: Eh! ma scusi! ma perché lei, volendola dire, si vede che ci s’è but­tata proprio a corpo perduto!

        SIGNORA NELLI (ridendo, con finto orrore): No! Che! Povera me! Sono venuti…

        FRANCESCA: Io dico uno! Uno, almeno, creda, ci vuole!

        SIGNORA NELLI: Mi sembra che vivano così bene d’accordo Laura e suo ma­rito…

        FRANCESCA: Ah, sì, per questo… (Si china verso la signora Nelli e le confida piano all’orecchio:) Troppo anzi, signora mia! troppo! troppo!

        SIGNORA NELLI (piano, restando, ma un po’ anche sorridente): Come, troppo?

        FRANCESCA: Ma sì, perché… sa com’è? nei primi tempi, quando marito e moglie, giovanili vogliono bene, se s’affaccia il pensiero d’un figliuolo, l’uomo special­mente si… si… (fa un gesto espressivo con le mani, contraendo le dita davanti al petto e tirandosi indietro col busto, come per dire: si arruffa) mi spiego? per­ché teme di non poter più avere tutta per sé la mogliettina.

        SIGNORA NELLI: Eh! lo so… Poi passa un anno, ne passano due, tre… Lo desi­dera dunque il signor Banti, il figliuolo?

        FRANCESCA: No, Laura! Lo desidera Laura! Tanto! Giorgio dice che lo desi­dera per lei.

        GIULIETTA: E naturalmente, allora, Laura, lo desidera per sé!

        FRANCESCA: Ma che dici? Perché dici così? Vuoi far credere alla signora qua, che Laura non sia contenta di suo marito?

        GIULIETTA: Ma no, mammà! Io non ho detto questo. Quando passano, non tre, ma cinque, ma sette anni!

        FRANCESCA: Tu non capisci niente! La donna, signora mia, dopo tanti anni, se non si hanno figliuoli, sa che cosa fa? Si guasta. Glielo dico io! E anche l’uomo si guasta. Si guastano tutti e due. Per forza! (Accenna a Giulietta:) Non posso parlare. Ma è proprio tutto il contrario di quello che immagina questa ragazza. Perché l’uomo perde l’idea di vedere domani nella propria moglie la madre, e… e… e… con lei mi sono spiegata, è vero?

        SIGNORA NELLI: Sì, capisco, capisco.

        FRANCESCA: Queste benedette ragazze! Chi sa come sognano la vita!

        GIULIETTA: Oh! Dio mio, mammà! Sai bene che non sogno affatto, io!

        FRANCESCA: Già, non sogna, lei! E credi che sia bello non sognare? Non le posso soffrire, signora mia, queste ragazze d’oggi, con tutta quest’aria così… così…

        SIGNORA NELLI (suggerendo con un sorriso): Fanée.

        FRANCESCA: Come ha detto?

        SIGNORA NELLI: Fanée.

        FRANCESCA: Già, così!

        GIULIETTA (con dispetto): È la moda.

        FRANCESCA: Io non so il francese, ma so che codesta moda non mi piace per nientissimo affatto.

        Scena seconda

        Dette e Cameriera.

        CAMERIERA (accorrendo in grande agitazione dall’uscio comune): Signora! Si­gnora!

        FRANCESCA: Che cosa è?

        CAMERIERA: Oh Dio! La signora Laura! Venga! venga!

        FRANCESCA: Mia figlia? (Balza in piedi.)

        SIGNORA NELLI (alzandosi anche lei): Oh Dio, che è stato?

        CAMERIERA: La portano su, ferita!

        FRANCESCA: Ferita? Come! Laura?

        GIULIETTA (con un grido, accorrendo per l’uscio infondo): Lo dicevo io!

        FRANCESCA (accorrendo anche lei): Figlia mia! Figlia!

        Scena terza

        Dette, Laura, il Delegato, il Cameriere, il Portiere, due Guardie. Laura, sostenuta dal Delegato e dal cameriere, si presenta sulla soglia, ca­scante, come disfatta, con gli abiti e i capelli in disordine. Nel pallore cada­verico, le fa sangue il labbro. Ha, lungo il collo, aspri, sanguinosi strappi. Il portiere reca in mano il cappello della signora, la scatola dei colori. Le due guardie si tengono presso l’uscio.

        FRANCESCA (che s’è lanciata per accorrere con le altre, dapprima indietreggia spaventata, all’apparizione della figlia in quello stato: poi con un grido, an­dandole incontro): Ah! Laura! Che t’hanno fatto: Laura mia!

        LAURA (buttandosi al collo della madre, in preda a un convulso crescente, di ribrezzo e di disperazione): Mamma… mamma… mamma…

        FRANCESCA: Sei ferita? Dove? Dove?

        GIULIETTA (cercando d’abbracciare anche lei la sorella): Laura! Laura mia! Che hai? che hai?

        SIGNORA NELLI: Ma come è stato? chi è stato?

        FRANCESCA: Chi t’ha ferita? Figlia! figlia mia! Dove sei ferita?

        GIULIETTA (portando una seggiola e gridando): Qua, mammà…

        FRANCESCA: Dove? dove?

        GIULIETTA: No, dico, falla sedere! Vedi? non si regge.

        FRANCESCA: Ah sì, siedi, figlia, siedi… Ma chi è stato l’assassino? Chi… (Non può seguitare a parlare, perché Laura, cascando a sedere senza staccarsi dal collo di lei, la obbliga a piegarsi.)

        GIULIETTA: Chi è stato? (Al Delegato, forte:) Lo dica lei, chi è stato?

        IL DELEGATO (con imbarazzo, guardando la signora Nelli come per farsi inten­dere): La… la signora è stata vittima d’una… di una… aggressione, ecco.

        SIGNORA NELLI (con un grido soffocato): Ah!

        GIULIETTA (inginocchiandosi e facendo per cingere con le braccia la sorella): Oh, Laura… di’, di’… come?

        LAURA (staccando le braccia dal collo della madre e respingendo per impulso istintivo, ma pur con angoscioso affetto, la sorella): No tu no, Giulietta… Va’, tu… va’… va’…

        GIULIETTA (a sedere sui ginocchi, tirandosi indietro, smarrita): Perché?

        FRANCESCA (intuendo, alzando le mani e sbarrando gli occhi): Questo?… – Ah Dio mio!… – Questo? (Alla signora Nelli, facendole cenno di condurre di là Giulietta:) Signora… (Poi, chinandosi su Laura:) Ma come? Figlia mia… (Di nuovo, alla signora Nelli:) Signora, per carità…

        SIGNORA NELLI (a Giulietta): Venga… venga, cara. Andiamo di là…

        GIULIETTA: Ma perché?

        Poi guarda il Delegato; capisce che deve andare; scoppia in singhiozzi su la spalla della signora Nelli che la conduce via per l’uscio infondo.

        LAURA (mostrando il collo alla madre): Guarda… guarda…

        FRANCESCA: Ma chi è stato? Chi?

        LAURA (non. può parlare; il convulso è giunto al colmo; tre volte, fra il tre­more spaventoso di tutto il corpo, storcendosi le mani per l’onta, per lo schifo, grida quasi a scatti): Un bruto… un bruto… un bruto… (E rompe in un pianto che pare un nitrito, balzante dalle viscere contratte.)

        FRANCESCA: Figlia mia! (Si precipita su lei, e sentendola mancare, la solleva con l’ajuto della cameriera.) Portiamola di là! (Poi, conducendola verso l’u­scio a sinistra:) Un medico, presto! Il dottor Romeri!

        IL CAMERIERE: E già avvertito, signora.

        IL PORTIERE: L’ho chiamato al telefono… Francesca, Laura, la cameriera via per l’uscio a sinistra.

        Scena quarta

        Detti, il Dottor Romeri, poi Giorgio Banfi, Arturo Nelli, la Signora Nelli.)

        IL CAMERIERE (al Delegato): L’hanno preso? (Il Delegato non risponde; apre le braccia. )

        IL PORTIERE: Ma dove è stato? (Entra dall’uscio infondo in fretta il dottor Ro­meri.)

        IL CAMERIERE: Ah, ecco qua il signor dottore!

        ROMERI: Dov’è? dov’è?

        IL CAMERIERE: Ecco, di qua, signor dottore, venga!

        Indica l’uscio a sinistra. Si odono intanto dall’interno le voci di Giorgio Banti e di Arturo Nelli che chiamano: – Dottore… Dottore… – Il dottor Ro­meri si ferma: si volta. Sopraggiungono Giorgio Banti, pallido, scontraffatto; l’avvocato Nelli, la signora Nelli.

        GIORGIO: È ferita? È ferita?

        ROMERI: Sto arrivando adesso, io.

        GIORGIO: Venga, venga! Corre per l’uscio a sinistra, seguito dal dottor Romeri.

        Scena quinta

        Detti, meno Giorgio e Romeri.

        SIGNORA NELLI (al Delegato): Ma com’è stato?

        NELLI (al cameriere, al portiere): Andate, andate di là, voi! Signor Delegato, queste guardie…

        IL DELEGATO (alle guardie): Potete ritirarvi.

        Le due guardie salutano e vanno via col cameriere e col portiere.

        Scena sesta

        Nelli, la Signora Nelli, il Delegato.

        NELLI: Un’aggressione?

        IL DELEGATO: Già. A Villa Giulia, pare.

        SIGNORA NELLI: Vi s’era recata a dipingere.

        IL DELEGATO: Io non so bene ancora. Sono stato incaricato delle prime indagini.

        SIGNORA NELLI: Vi andava da tre giorni.

        NELLI: Sempre allo stesso posto?

        SIGNORA NELLI: Pare! L’ha detto Giulietta. Ogni mattina, alle sei.

        NELLI: Ma come mai? sola?

        IL DELEGATO: Un guardiano della villa la trovò per terra –

        SIGNORA NELLI: – svenuta? –

        IL DELEGATO: – dice che non dava segni di vita. Pare che abbia sentito prima i gridi della signora.

        SIGNORA NELLI: Ma come? E non è accorso?

        IL DELEGATO: Dice ch’era troppo lontano. La villa è sempre deserta.

        NELLI: Ma che pazzia! Andar così sola!

        SIGNORA NELLI: Ecco là la scatola dei colori…

        Gli altri due si voltano e restano con lei a guardare quella scatola con quel­l’impressione che si prova davanti a un oggetto che è stato testimonio d’un dramma recente.

        IL DELEGATO: Già, e il cappello… (Pausa.) Furono trovati dal guardiano a molta distanza dal posto dove la signora giaceva.

        NELLI: Ah! Ma dunque…

        IL DELEGATO: Evidentemente la signora avrà tentato di fuggire.

        SIGNORA NELLI: Inseguita?

        IL DELEGATO: Non so! Una cosa incredibile! Fu trovata riversa tra le spine d’una siepe di rovi.

        SIGNORA NELLI (stringendosi in sé, per orrore): Ah! forse voleva saltare…

        IL DELEGATO: Forse. Ma ghermita lì…

        SIGNORA NELLI: Era tutta strappata! Il collo, la bocca… Una pietà!

        NELLI (tentennando il capo, con amara irrisione): Tra le spine…

        IL DELEGATO: Un villanzone. Pare che lo abbia visto, il guardiano.

        NELLI (con ansia): Ah sì?

        IL DELEGATO: Sissignore. Buttarsi di là dalla siepe. Un villanzone, un giovina­stro. Ma invece d’inseguirlo, come avrebbe dovuto, pensò di soccorrere la si­gnora, e…

        S’interrompe, voltandosi verso l’uscio a sinistra, donde vengono voci conci­tate.

        Scena settima

        Detti, Giorgio, il Dottor Romeri, Francesca, poi Giulietta.

        ROMERI (dall’interno). E io le dico di no! Scusi! La prego…

        FRANCESCA (dall’interno). Per carità, Giorgio! per carità!

        GIORGIO (venendo fuori dall’uscio a sinistra, sconvolto, tra i singhiozzi, ad al­tissima voce). Ma io ho pur diritto di sapere! Debbo, voglio sapere!

        ROMERI (forte anche lui). Saprà, perdio, ma a suo tempo!

        GIORGIO: No: ora! ora!

        ROMERI: Io le dico che per ora lei non solo non deve farla parlare, ma neppur farsi vedere. (Agli altri:) Lo tengano qua! (Ritorna indietro per l’uscio a sini­stra. )

        NELLI: Vieni, Giorgio… (E come Giorgio, convulso, gli appoggia il capo e le mani sul petto, rompendo in pianto:) Povero amico! povero amico mio…

        FRANCESCA (alla signora Nelli): La prego, signora, mi faccia la grazia d’ac­compagnarmi a casa la Giulietta.

        SIGNORA NELLI: Sì, signora, non dubiti. Vuole subito?

        FRANCESCA: Sì, per carità! Le dica che io resto ancora qua… finché posso… Dio mio, è già sera, e bisogna che attenda a quel poverino di mio marito… lei sa in quale stato!

        SIGNORA NELLI: Eh, lo so… Se potessi io…

        FRANCESCA: No, che! la ringrazio. Non si lascia toccare da nessuno… Ma ec­cola là, Giulietta… (Giulietta si mostra piangente all’uscio di fondo. France­sca chiamandola con la mano:) Tu andrai via con la signora. Io verrò appena mi sarà possibile.

        GIULIETTA: Ma Laura?

        FRANCESCA: Laura è di là!

        GIULIETTA: E non posso neanche vederla?

        FRANCESCA: Che vuoi vedere! Bisogna che stia tranquilla per ora. Va’, va’ da quel poverino di tuo padre… Ma non dirgli nulla, per carità!

        GIULIETTA: Ma… ma che cos’è, che cos’è?

        FRANCESCA: Non è niente! non è niente! Signora, se la porti via.

        SIGNORA NELLI: Sì. Andiamo, signorina.

        GIULIETTA (risolutamente, avvicinandosi al cognato): Giorgio, me lo dici tu che non è niente?

        GIORGIO: Io?

        GIULIETTA: Lo voglio sapere da te!

        GIORGIO: Io… che vuoi che ti dica io? Io non so… non so…

        FRANCESCA: Ma vai, santa figliuola! Mi fai stare qua… Va’, va’ con la signora! (Via per l’uscio a sinistra.)

        SIGNORA NELLI (conducendosi via Giulietta): Andiamo, cara, andiamo. Via per l’uscio infondo con Giulietta.

        Scena ottava

        Nelli, Giorgio, il Delegato.

        GIORGIO (al Delegato, investendolo): Che sa lei? Mi dica, che sa? Bisogna averlo, darlo, darlo in mano a me, subito! Perché, per un delitto come questo, se lo prendono… (A Nelli:) di’ tu… quanto?… due, tre anni di carcere, è vero? (Al Delegato:) Mentre io ho il diritto d’ucciderlo! Lo sa lei?

        IL DELEGATO: Io non so nulla, signore. Sono qua per le indagini.

        NELLI: Ma se non c’è nulla da sapere!

        GIORGIO: Come non c’è nulla da sapere?

        NELLI: Nulla, nulla da sapere! nulla da indagare! Basta così, perdio!

        GIORGIO: Come basta?

        NELLI: Ma sì! Ti dico che basta! La signora ha patito un’aggressione in una villa; il ladro…

        GIORGIO: Il ladro?

        NELLI: Ma sì, il ladro… un miserabile qualunque, non s’è potuto rintracciare: e basta: finisce tutto così! Che c’è da far chiasso ancora?

        GIORGIO: Ah no, caro mio! T’inganni!

        IL DELEGATO: Io ho avuto un ordine. Il reato è d’ordine pubblico.

        NELLI: Vuol dire che mi recherò io in pretura, o passerò dal Commissario. Lei se ne può andare: dia ascolto a me!

        GIORGIO: No! no! E io? Finisce per gli altri, così! Ma io?

        NELLI: Tu? Che vorresti fare? Ti figuri che, se pure lo prendono, te lo daranno in mano, perché tu l’uccida? Baje! E allora? L’hai detto tu stesso. Sissignori, per un delitto che tu, offeso, potresti punire con la morte e non avresti un giorno di pena, la legge non dà che due o tre anni di carcere! Vuoi questo? E lo scandalo di un dibattimento? La pubblicazione della sentenza sui giornali? Ma via! (Al Delegato:) Vada, vada, signor Delegato.

        IL DELEGATO: Io per me, tanto più che il medico ha detto di non farla parlare per ora, posso ritirarmi.

        NELLI: Sì, sì; non dubiti, passerò io dal Commissario.

        IL DELEGATO: Riverisco.

        Il Delegato s’inchina e via per l’uscio infondo.

        Scena nona

        Giorgio e Nelli.

        NELLI: È un destino, perdio! A un bisogno, questa gente manca sempre! S’o­stina poi a restarti tra i piedi dove è superflua e non serve ormai che a far più danno!

        GIORGIO: Ma che m’importa degli altri! Che vuoi che me ne importi?

        NELLI: Oggi; lo so. Ma vedrai che te ne importerà domani.

        GIORGIO: Prima di tutto, è inutile, perché ormai sanno tutti: qua, là dove l’hanno vista e raccolta… Ma quand’anche nessuno sapesse, se lo so io, non capisci che per me è finito tutto?

        NELLI: Io capisco, Giorgio, l’orrore che tu devi provare in questo momento. Ma bisogna che tu lo vinca con la compassione che deve ispirarti quella po­verina!

        GIORGIO: Tu parli a me di compassione?

        NELLI: Non vorresti averne?

        GIORGIO: Io sono il marito! Potete averla voi, la compassione, e chiunque sap­pia di questo scempio. Ma sono io, io solo, veramente in presenza dell’orrore di questo scempio, che non è stato fatto a lei sola, ma anche a me! E in nes­sun altro, più che in me – neppure in lei – può essere più vivo e più atroce, questo orrore!

        NELLI: Sì, sì, t’intendo, Giorgio, t’intendo! È crudele, sì. Ma che vorresti fare?

        GIORGIO: Non lo so… non lo so… Impazzisco… compassione, tu dici? Sai quale sarebbe la compassione vera in questo momento per me? Che mi re­cassi là, sul letto di lei e per questo stesso amore la uccidessi, innocente.

        NELLI: Ma è irragionevole, scusa!

        GIORGIO: Vuoi che ragioni?

        NELLI: Devi pur ragionare!

        GIORGIO: Lo so, lo so: tu devi dirmi così, lo so! Ma se il caso fosse capitato a te? Ragioneresti tu?

        NELLI: Ma sì, che ragionerei! Se qui non c’è colpa, scusa!

        GIORGIO: E appunto questa è per me la crudeltà! Che ci sia l’offesa più brutale, senza esserci la colpa! Per me è peggio! Peggio, sì! Ci fosse la colpa, sarebbe offeso l’onore; potrei vendicarmi! È offeso invece l’amore! E non intendi che niente è più crudele per il mio amore, che quest’obbligo che gli è fatto, di avere pietà?

        NELLI: Ma il tuo amore appunto, scusa, dovrebbe ispirare a te stesso la com­passione!

        GIORGIO: Impossibile! L’amore, no!

        NELLI: Ma sarebbe allora più crudele –

        GIORGIO (interrompendo): – più crudele, sì! –

        NELLI (seguitando): – di ciò che quella poverina ha patito! –

        GIORGIO: – sì, sì! È proprio così! Il non aver compassione sarebbe crudele per lei; ma averne, è crudele per me! E quanto più tu ragioni, e quanto più io ri­conosco che sono giuste le tue ragioni, tanto più cresce la crudeltà per me! Debbo ragionare, già! Riconoscere che non c’è colpa; che lei è stata offesa più di me, nel suo stesso corpo, e che è là che soffre della violenza, dell’onta, del ludibrio… E io che voglio? Che pretendo io? Rincarar la dose della cru­deltà su lei? lasciarla così in quest’onta? disprezzarla? –

        NELLI: – sarebbe ingeneroso! –

        GIORGIO: – sarebbe vile! –

        NELLI: – vedi? Lo riconosci! –

        GIORGIO: – vile, sì, vile! Ma se si rivela così vile l’amore quando si trova, come mi trovo io adesso, qua, al limite della sua più viva gelosia, che posso farci io? che posso farci? (Rompe in disperati singhiozzi)

        NELLI: Via, via, Giorgio… Tu ti strazii inutilmente… È il primo momento, credi…

        GIORGIO: No! È la selva! È ancora la selva! È sempre la selva originaria! Ma prima almeno c’era l’orrore sacro di quel mostruoso originario, nella natura, nel bruto… Ora, una villa coi suoi viali e le siepi e i sedili… Una signora, in cappellino, che vi sta a dipingere, seduta… Ed ecco il bruto… Ma vestito, oh! Decente. Mi par di vederlo! Chi sa se non aveva i guanti! Ma no: l’ha tutta sgraffiata! Non senti quanto è più laido? quanto è più vile? E io che devo esser generoso; mentre qua il sentimento mi rugge come una belva… Gene­roso. (Subito, troncando lo scherno:) No, no. Sento che non posso. Non posso. Ho bisogno d’andarmene. Parto. Me ne vado.

        NELLI: Ma come? ma dove? che dici! Vorresti davvero lasciarla così?

        GIORGIO: Sarei più crudele, restando.

        NELLI: Ma che vuoi fare? dove vuoi andare?

        GIORGIO: Ho bisogno di disperdere, fuggendo come un pazzo, quello che ora provo per questa ignominia!

        Scena decima

        Detti, la signora Francesca, il Dottor Romeri.

        FRANCESCA (accorrendo ansiosa, seguita dal dottor Romeri, dall’uscio a sini­stra): Giorgio… Giorgio… (Raffrenando a un tratto l’ansia alla vista della sovreccitazione del genero:) Che cos’è?… Ah, figliuolo mio… sì… povero fi­gliuolo mio… sì… sì…

        GIORGIO: Per carità, non mi s’accosti! non mi dica nulla!

        ROMERI: Signora, dia ascolto a me… Vede?

        GIORGIO: Lei comprende, dottore?

        ROMERI: Ma sì: comprendo che lei in questo momento…

        FRANCESCA: Ma se lo chiama di là! Se non fa altro che chieder di lui!

        GIORGIO (con orrore, ritraendosi): Non posso… ah, non posso, non posso, non posso.

        ROMERI: Vede? Le farebbe più male, signora: creda a me! Ha bisogno anche lui d’aspettare un po’…

        GIORGIO: Che vuole che aspetti più, io!

        ROMERI: Eh, un po’ di tempo…

        GIORGIO (con scherno): E la rassegnazione?

        FRANCESCA: Perché, la rassegnazione? Ma dunque, tu…

        NELLI: Lasci, signora! Bisogna considerare anche lui…

        FRANCESCA: Sì, figliuolo mio, io ti considero, e come! Ma l’unico rimedio a quello che soffrite –

        GIORGIO: – è la pietà! Anche lei! Ma tutti, si sa! La pietà! –

        FRANCESCA – l’uno dell’altra, sì, subito. Così l’intendo io, che sono una povera ignorante! Non la rassegnazione a un male che non c’è!

        GIORGIO: Come non c’è?

        FRANCESCA: Non c’è! non c’è! E lo deve dire il vostro amore che non c’è! Se tu ami davvero la mia figliuola! Se no, che ami tu? Che ami? Non è vero? Dica lei, signor dottore! Dica, avvocato!

        GIORGIO (prorompendo di nuovo in pianto, stringendosi in sé, con le mani premute sul volto): Io l’amavo… io l’amavo… tanto, tanto… Ma appunto per­ché l’amavo tanto. Voi non capite! Può essere per quella che amavo, la pietà! Ma non più, ora…

        FRANCESCA: Non l’ami più, ora? E perché?

        GIORGIO: Ma se volete che ne abbia pietà! Quale pietà? Quale? La vostra, la mia, possono ajutarmi? Io ho bisogno d’essere crudele! Lei crede perché non amo sua figlia? No, sa! Appunto perché l’amo!

        FRANCESCA: Non è vero! Non è vero! Tu non ami lei così!

        GIORGIO: Ma vuole che il mio amore sia come il suo? Il fatto è forse per lei quello stesso che è per me? Quello che sento io non può sentirlo lei!

        FRANCESCA: Va bene! Ma come, come vorresti essere crudele?

        GIORGIO: Come? L’ho detto come! E se lei di là sentisse quello che sento io, dovrebbe esserne contenta.

        FRANCESCA: Ma lei di là ti chiama! Che pensi di fare?

        GIORGIO: Non penso nulla! Ma bisogna che me ne vada, che me ne vada!

        FRANCESCA: E vuoi abbandonarla così?

        ROMERI: Ma sì, è meglio, signora! Lo lasci andare!

        FRANCESCA: Ma può restar sola, così di là, se sa che lui se n’è andato?

        ROMERI: Rimanga qua lei.

        NELLI: Ecco… sarebbe opportuno…

        FRANCESCA: E chi glielo dirà? Tu che hai il cuore di farlo, dovresti an’che avere il cuore di dirglielo!

        GIORGIO (risolutamente): Vuole che glielo dica io?

        ROMERI: No, per carità, signora!

        FRANCESCA: Ma dunque lei capisce che può morirne, la mia figliuola, a vedersi abbandonata così in questo momento, da colui che dovrebbe starle più vicino, se avesse un po’ di cuore?

        ROMERI: No, no, non è questo, signora!

        NELLI: Se non riesce a vincere se stesso in questo primo momento…

        GIORGIO: Per me è finita! È finita! Sento che per me è finita! Posso avere la pietà di restare. Ma come resto? Non lo capite? Per gli altri, ecco! Resto. Ma sarà peggio.

        NELLI: No, no! Vedrai, Giorgio…

        GIORGIO: Che vuoi che veda!

        NELLI: Vedrai… Non voglio dirti nulla, perché capisco che ogni parola è per te una ferita in questo momento. Senta, signora: lei ha da badare a suo marito? Vada.

        FRANCESCA: Ma come?

        NELLI: Vada; dia ascolto a me, e stia tranquilla. Giorgio rimane.

        GIORGIO: Per gli altri! per gli altri!

        NELLI: Va bene, sì, per gli altri! (Alla signora Francesca, facendole segni e oc­chiate d’intelligenza per significarle che è meglio che marito e moglie restino soli:) Ora andrà a rivestirsi, e passerà la sera con me.

        FRANCESCA: E Laura?

        ROMERI: La signora ha bisogno di esser lasciata tranquilla. Vada lei a dirle che ho obbligato io il signor Band a tenersi lontano.

        FRANCESCA: Ma sola, impazzirà!

        ROMERI: No, signora. Vedrà che riposerà col rimedio che le ho dato per cal­mare l’agitazione. Forse a quest’ora riposa. Vada, vada a vedere.

        FRANCESCA: Ecco, sì, vado, vado… Francesca via per l’uscio a sinistra.

        Scena undecima

        Detti, meno Francesca.

        ROMERI: E vado via anch’io. (Appressandosi e stringendo le mani a Giorgio:) Mi raccomando. Bisogna sempre esser più forti della sciagura che ci colpisce.

        GIORGIO: Questa è peggiore per me d’una morte. Ma se l’immagina, dottore, lei ancora viva, domani, davanti a me?

        Scena dodicesima

        Detti e Francesca.

        FRANCESCA (sopravvenendo lieta dall’uscio a sinistra, col cappello di nuovo in capo): Sì, sì, riposa, riposa veramente.

        ROMERI: Gliel’ho detto io?

        FRANCESCA: E allora vado, sì! Non posso farne a meno. Sarò qui domattina. (Si appressa a Giorgio.) Addio, Giorgio. E… non ti dico… non ti dico nulla, fi­gliuolo mio…

        GIORGIO: A rivederla.

        NELLI: Vengo anch’io con lei, signora. (A Giorgio:) Vuoi che passi a ripren­derti?

        GIORGIO: No, no… Passerò io, se mai, da te.

        NELLI: Quando vuoi. Sono a casa. A rivederci. (Alla signora Francesca e al dottore:) Andiamo, andiamo… Via con gli altri due per l’uscio infondo.

        Scena tredicesima

        Giorgio solo, poi il Cameriere, infine Laura.

        GIORGIO (rimane un pezzo assorto nella sua sciagura, esprimendo con la con­trazione del volto i sentimenti in contrasto. Poi sorge in piedi, si passa le mani sulla fronte, si volta verso l’uscio a sinistra e ripete): Non posso… non posso… (Suona il campanello elettrico e compare il cameriere.) Di’ ad Anto­nio che tenga pronta la macchina. Andremo in villa.

        IL CAMERIERE: Il signore… solo?

        GIORGIO: Solo, sì, subito. Tu preparami intanto la valigia.

Il cameriere, via. Giorgio fa per ritirarsi, quando Laura appare sull’uscio a sinistra, pallida, in una vestaglia violacea, con un velo nero al collo. Giorgio, appena la vede, leva le mani come a parare la pietà che gli ispira, e ha in gola un lamento, che è come un ruglio breve, cupo; d’esasperazione e di spa­simo. Laura lo guarda e gli s’appressa, lenta, senza dir nulla, ma esprimendo col volto il bisogno che ha di lui, di stringersi a lui; e nel suo avanzarsi, la certezza che egli non fuggirà. Giorgio, come se la vede vicina, rompe in un pianto convulso e cecamente, in quel pianto, la abbraccia. Ella non muove un braccio: ma è lì, sua. Solo alza il volto come in uno stiramento di tragica aspettazione, che egli cancelli comunque, con la morte o con l’amore, l’onta che la uccide. E come egli, preso già dall’ebbrezza della persona di lei, sem­pre singhiozzando, le cerca con la bocca le ferite nel collo ancora proteso, piega la guancia appassionatamente sul capo di lui, con gli occhi chiusi.

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1919 – L’innesto – Commedia in tre atti
Premessa e articolo di Antonio Gramsci
Personaggi, Atto Primo
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En Español – El injerto

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