Di Cardinale Giovanni Colombo
Per Luigi Pirandello il sacerdote ideale è colui che si immola per una grande e benefica illusione. S’immola a occhi aperti, perché egli sa che è un’illusione, e perciò in nome di essa non imporrà mai una rinuncia penosa alla vita (…).
L’illusione necessaria di Pirandello
Dalla collana “I Quaderni Colombiani” numero 38 (luglio 2009), che raccoglie gli scritti dell’arcivescovo di Milano dal 1963 al 1979 – cardinale dal 1965 – curati in proprio pro manuscripto dalla parrocchia di Santa Margherita in Caronno Pertusella (Varese)
Di fronte al prete l’arte di Luigi Pirandello assume diversi comportamenti. Un contegno di sarcasmo indignato, che si riallaccia al verismo di Verga, è quello che si incontra in alcune novelle come I fortunati, Visto che non piove, La Madonnina. Quivi i preti sono descritti come grossolani, procacciatori, gente che ha rinunciato “ufficialmente” ai piaceri della terra per averne il doppio, perché fa bottega sulle superstizioni che avviliscono il popolo.
Altre volte è un atteggiamento di ribellione contro il sacerdote, ritenuto il rappresentante di una legge morale astratta, irrigidita in schemi prefissi, disumana. È la volta di monsignor Landolina in Pensaci, Giacomino! (1917). Ecco il caso. Un vecchio professore, alquanto estroso, volendo vendicarsi del Governo taccagno che lo ha sempre mal retribuito, sposa a settant’anni una ragazzetta per costringere la pubblica amministrazione a pagare una lunghissima pensione alla vedova. Ma egli è vecchio, e poi la ragazzetta ha una relazione con un giovanotto di nome Giacomino, anzi n’è già incinta. (…) Evidentemente la situazione non poteva andare senza imbarazzi.
La gente grida allo scandalo. La sorella di Giacomino per tramite del suo confessore, monsignor Landolina, tenta di stornare il fratello dalla casa del professore e di fargli sposare una brava figliola. Giacomino avrebbe anche acconsentito, ma il professore accorre a rinfacciargli la viltà d’abbandonare, per le dicerie della gente e gli intrighi della sorella, una donna che lo ama, un bambino che è suo, e lo minaccia di fargli perdere l’impiego: “Pensaci, Giacomino! “.
E Giacomino, pensandoci, rinuncia al matrimonio progettato e ritorna alla relazione di prima, al suo bambino. Monsignor Landolina vorrebbe protestare in nome della morale cattolica, ma il professore gli grida in faccia: “Vade retro! Distruttore delle famiglie”. Vorrebbe argomentare, ma il professore gli spezza la frase sulle labbra con queste parole: “Lei neanche a Cristo crede”. Confutare la situazione cerebralmente costruita da Pirandello, prendere le ragioni di monsignor Landolina, penso che sia inutile. Il nostro scopo è soltanto di osservare che Pirandello pone in una luce arida e odiosa il sacerdote cattolico solo perché rappresentante e difensore di principi morali eterni e inflessibili.
Resterebbe da chiedere se, nel relativismo pirandelliano, c’è posto ancora per il sacerdote e quale sia la missione affidatagli. La risposta a questa domanda si può desumere dalla novella intitolata La fede dove un giovane sacerdote, a cui si è spenta la fede nel soprannaturale e deciso ormai a laicizzarsi, celebra ancora la messa, nella quale non crede più, solo per sostenere l’illusione consolatrice di una povera vecchia. Ma è in Lazzaro (1929), mito in tre atti, dove Pirandello afferma più chiaramente il suo pensiero sulla missione sacerdotale.
Lucio, seminarista dei corsi teologici, forse già in sacris, si spoglia dell’abito clericale perché, a suo giudizio, la fede vera non sarebbe quella nell’immortalità personale, ma quella nella vita universale e divina da cui usciamo e in cui saremo riassorbiti: una specie di panteismo. Il suo ritorno al secolo reca immenso dolore alla sorellina paralitica nelle gambe e specialmente al padre, che vive separato dalla moglie, la quale convive con un altro uomo. Accecato dal dispiacere, questo padre infelice viene investito da un’automobile che lo sbatte contro un muro, cadavere. Se non che il dottor Gionni, con alcune punture di adrenalina, lo restituisce alla vita. Quand’egli viene a sapere d’essere stato morto, e non ha né esperienza né ricordo alcuno della vita di là, conclude che questa non esiste.
Ma se la vita oltre la morte non esiste, crolla tutto un mondo qui in terra: il mondo di quelli che piangono, rassegnati nella speranza di essere consolati lassù; di quelli che soffrono umiliazioni e ingiustizie, nell’attesa di essere soddisfatti; di quelli che si contentano nella povertà per aver poi parte al regno dei cieli. Ed ecco la sua piccola figlia Lia, che si dispera della propria sciagura poiché è svanita la speranza del Paradiso, ove con agili alucce sarebbe stata ripagata dei piedi che quaggiù non hanno potuto camminare; ecco il povero Cico che si ribella alla condizione di miserabile questuante e pretende furiosamente la sua parte di piacere, e subito; ecco il padre stesso che si fa vendetta da sé; non potendola più sperare da Dio nella vita futura e spara contro l’uomo che gli ha sottratto la moglie. Davanti a questo sfacelo morale Lucio capisce che troppe persone hanno e avranno sempre bisogno di credere, e non c’è carità più grande che confermarli in questa loro fede, unico farmaco ai mali del mondo presente. Con decisione eroica, senza rinunciare al concetto panteistico della vita, riprende la tonaca, ritorna sacerdote, sacrifica la sua vita nei vincoli e nelle mortificazioni che la religione gli suggerisce, e per carità si dona ai poveri e agli afflitti che hanno bisogno di una fede. Fede che è una illusione, ma illusione necessaria per molti, capace anche di consolare e di operare miracoli. Infatti la sorellina Lia, per la forza di questa fede-illusione, riavrà l’uso delle gambe.
In conclusione, condensando in poche parole il pensiero pirandelliano sul sacerdozio, diremo così: per Luigi Pirandello il sacerdote ideale è colui che si immola per una grande e benefica illusione. S’immola a occhi aperti, perché egli sa che è un’illusione, e perciò in nome di essa non imporrà mai una rinuncia penosa alla vita (…). Per il suo sacrificio l’illusione acquista saldezza di realtà, e quelli che ne avranno bisogno per rivivere si sentiranno consolati.
Cardinale Giovanni Colombo
da “L’Osservatore Romano” – 2 settembre 2009
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