Le letture del giovane Pirandello: libri, modelli, autori

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Di Monica Venturini

Viaggiatore senza bagagli, Pirandello ci lascia con quel che resta dei suoi libri il senso di una ricerca continua, senza strade certe da percorrere, né cataloghi completi da redigere: anche le sue letture confermano ciò che la sua opera esprime, la coscienza critica della modernità.

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Le letture del giovane Pirandello

Le letture del giovane Pirandello: libri, modelli, autori

In I cantieri dell’italianistica. Ricerca, didattica  e organizzazione agli inizi del XXI secolo.
Atti del XVIII congresso dell’ADI – Associazione degli Italianisti (Padova, 10-13 settembre 2014)

da Italianisti.it (pdf con note al testo)

Una costante dell’opera pirandelliana più volte messa in luce è di certo il senso di circolarità, dal momento che se è vero che Pirandello pare essere un autore che scrive e riscrive, è anche vero che vi è nella sua opera la tendenza a riusare temi, personaggi e figure per l’elaborazione di un complesso scenario d’insieme. Giovanni Macchia, in Pirandello o la stanza della tortura, parla di un vero e proprio bricolage, mentre Lucio Lugnani rintraccia nel lavoro dell’agrigentino una continua opera di decontestualizzazione e successiva ricontestualizzazione. Ciò che sorprende e richiede oggi indagini sempre più approfondite, però, è la ricostruzione della formazione del giovane Pirandello, di quel cantiere “in movimento” che accompagnò lo scrittore e lo portò ai risultati che ben si conoscono:

Nei primi decenni, quand’è un giovane dai capelli castani che pare più tedesco che siciliano, Pirandello è occupato ad aprirsi uno spazio nelle strettoie letterarie che la situazione italiana pone alla sua individualità di scrittore sghembo o “in ritardo”. […] Sta sempre sul confine fra più geografie. 

Il giovane Pirandello, infatti, diviso tra impegno accademico e passione creativa, compie un percorso formativo non lineare, segnato da letture, incontri e occasioni che rappresenteranno per lui molto più che semplici stimoli e suggestioni e lo porteranno a sperimentare nuove forme. Nella biblioteca superstite, conservata a Via Bosio a Roma, è possibile seguire alcune ‘tracce’ lasciate dall’autore, rinunciando al desiderio di completezza che, come è noto, non solo non è una caratteristica di questo ‘catalogo-non catalogo’, ma neanche della formazione ‘in viaggio’ estremamente eterogenea e composita del primo Pirandello.

Alfredo Barbina, negli anni Ottanta, recensisce parte di questo lascito nel volume La Biblioteca di Pirandello, dove commenta e cataloga i testi presenti nello studio-archivio e fornisce un primo quadro di riferimento dei libri presenti. Ciò che oggi risulta ancora mancare è una mappatura del materiale esistente che possa indicare e descrivere in modo puntuale, nonostante la dispersione a cui i testi sono andati soggetti, non solo ciò che risulta presente, ma anche e soprattutto ciò che è assente, che ci viene segnalato dallo stesso scrittore o da altri – familiari, intellettuali, amici – grazie ad interventi, lettere, interviste che, solo in tempi recenti, sono state raccolte e ordinate. L’epistolario degli anni della formazione risulta, infatti, una preziosa fonte di informazioni, dati e conferme di tale duplice percorso critico-filologico e poetico-creativo. Alle sorelle scrive, negli anni giovanili passati a studiare tra Palermo e Roma:

Tra una vecchia pagina e l’altra de’ miei libri di studio, tra un foglio di latino e l’altro di greco i vostri occhi ladri mi sorridono talmente ch’io son costretto ad alzare i miei un po’ stanchi e correre con la mente fino a voi. 

Lo studio intenso di questi anni lascerà comunque spazio alla scrittura come si trova conferma in una lettera del novembre 1886, indirizzata alle sorelle, dove egli annuncia che sta scrivendo la commedia, Uccelli dell’alto, «una cosa che è buonina» e che, in qualche modo, gli ridona slancio e nuovo entusiasmo, dopo un momento di crisi e scoraggiamento.

Luigi, attento nella scelta dei volumi da possedere, si era impegnato in questo periodo con il libraio Pedone (che diventerà editore della sua prima opera Mal giocondo) ad un versamento rateale (possibile grazie all’appoggio economico paterno) per l’acquisto mensile di volumi di suo interesse, necessari per i suoi studi. Nelle lettere, molti sono i titoli di libri che ricorrono, a conferma della natura di lettore-studioso aperto alle novità, ma anche preoccupato di poter accedere alle letture ritenute d’obbligo: dallo Zola di Germinal, alla Serao del Romanzo delle fanciulle, da Le vite dei dodici Cesari di Svetonio Tranquillo alla monumentale Storia universale.

Classici del mondo latino, maestri europei e contemporanei sono egualmente presenti a testimoniare una volta di più la natura varia e, per scelta, non sistematica di letture che diverranno un bagaglio prezioso nel tempo.

Si pensi poi agli incontri e alle amicizie che insieme alle letture nutrirono di stimoli il giovane Pirandello: come, ad esempio, l’amicizia che legò lo scrittore ad Enrico Sicardi (1866-1928), non a caso studioso di Dante e Petrarca, senza dubbio tra i suoi più cari amici giovanili, anche se meno favorito di lui. Il loro rapporto traspare dall’epistolario, nel quale spesso Pirandello cita l’amico, con il quale condivideva la passione per la letteratura e scambiava consigli e suggerimenti, anche sulle opere che ciascuno dei due stava scrivendo. Il 24 ottobre 1889 da Bonn, Pirandello scrive alla famiglia:

Bisogna proprio dire che Enrico Sicardi è nato per me sotto maligna stella. Le prime pagine del libro [Mal giocondo] corrette da me non hanno un errore di stampa; quand’io son venuto a Porto Empedocle ed ha cominciato a correggere lui le bozze di stampa, se n’è lasciato dietro a diecine a diecine!

Si trovano a Via Bosio, infatti, due articoli del Sicardi, uno dedicato a Petrarca, l’altro a Dante, che riportano segni e correzioni di Pirandello.

Tra le opere annotate da Pirandello in epoca giovanile si incontra anche il volumetto del professor Raffaele Schiattarella, docente di Filosofia scientifica presso l’università frequentata da Pirandello a Palermo, La formazione dell’universo studiata nello sviluppo storico e nei risultati sperimentali dell’astronomia moderna: si tratta di una conferenza tenutasi il 6 novembre del 1887 all’Università di Palermo. Nella parte iniziale si parla del tempo che impiega la luce delle stelle per raggiungerci: «Non c’è, non ci può essere immaginazione sì forte da raffigurarsi realmente simili distanze». Pirandello ha poi sottolineato il passaggio:

Noi vediamo il cielo siderale non com’è al momento in cui fissiamo lo sguardo sopra una qualsiasi delle sue regioni visibili, ma com’era ad una o più epoche trascorse.

Più avanti vi è un altro passaggio evidenziato:

Or tutti questi fatti non vi danno la certezza, la certezza sperimentale, la certezza più compiuta, della formazione affatto meccanica dei mondi siderali? Non vi dicono essi che questi mondi derivano per via di sviluppo successivo e graduale dalla materia nebulosa.

Al margine compare una breve nota di Pirandello: «e materia nebulosa donde proviene?». Il tema del cielo stellato nonché l’interesse per l’astronomia troveranno poi ampio spazio nelle opere – dalla novella Pallottoline! a Il fu Mattia Pascal ai Quaderni di Serafino Gubbio operatore – e nell’epistolario.

Altro testo presente a via Bosio con brevi note e segni di lettura è il volume di Darwin, Lorigine delluomo, dove alcuni passaggi del capitolo III, Parte I, sono segnati, laddove si parla del senso morale e del meccanismo della simpatia. Più avanti nel testo è sottolineato:

Il giudizio della comunità, in generale, avrà per guida qualche rozza esperienza di ciò che a lungo andare è il meglio per tutti i membri; ma questo giudizio non di rado sbaglierà per l’ignoranza e per la poca forza di ragionamento. Quindi, gli usi più strani le superstizioni più singolari, che sono al tutto opposte alla vera prosperità e felicità del genere umano, sono divenuti onnipotenti per tutto il mondo.

Al margine risulta la nota di Pirandello: «Non si può ammettere, secondo me».

Non mancano poi testi scolastici, manuali e volumi che dovevano servire allo studio e poi successivamente alla preparazione delle lezioni per i corsi da lui tenuti, e naturalmente gli autori classici della tradizione: Dante, Ariosto, Tasso, Manzoni, Leopardi.

La lezione leopardiana già evidente in alcuni lavori pubblicati in quegli anni e dedicati all’umorismo – da L’Umorismo e gli umoristi di Enrico Nencioni apparso in rivista nel 1884 a L’Umorismo di Gaetano Trezza (volumi entrambi assenti a via Bosio) a L’Umorismo di Giorgio Arcoleo, presente invece tra i volumi pirandelliani superstiti – sarà come è noto, assimilata e rielaborata dal giovane Pirandello. Quest’ultimo testo risulta sottolineato in più punti, là dove Arcoleo definisce l’umorismo: «sublime al rovescio», usando parole di Richter, e più avanti «un sentimento non un concetto». Definizioni che richiamano inevitabilmente la teoria pirandelliana messa a punto anni dopo. E nel testo dove Arcoleo cita il «riso da titano» di Rabelais, il «riso malizioso» di Beaumarchais e il «ghigno beffardo» di Voltaire, Pirandello annota nel margine: «E il nostro Pulci? E il nostro Folengo?». Più avanti, accanto alle parole di Arcoleo: «scomparisce l’autore, entra il personaggio», Pirandello esprime il suo disappunto annotando: «Che vuol dir?».

Le note di lettura si rivelano fondamentalmente di due categorie essenziali, ‘di studio’ (sottolineature, messa a fuoco di concetti espressi, rinvii di vario tipo ad altri testi o autori) oppure – e queste sono le più interessanti – ‘di commento’, spesso ironico alle affermazioni del testo.

Un discorso a parte andrebbe fatto per due testi presenti nella biblioteca di via Bosio, i quali riportano segni evidenti di un interesse specificamente linguistico da parte di Pirandello, prova che da buon filologo e da scrittore in cerca della propria personale cifra stilistica la lingua fosse tutt’altro che un aspetto secondario rispetto alla ricerca estetica. Il primo volume, la cronaca fiorentina di Dino Compagni, riporta numerose sottolineature di particolari espressioni che spiccano accanto ad altre note di studio. Viene sottolineato il passaggio: «Io, scusandomi a me medesimo sì come insufficiente, e credendo che altri scrivesse, ho restato di scrivere molt’anni» e messa in evidenza con doppia sottolineatura la frase «ho restato di scrivere molt’anni». Il secondo testo è Sul Bosforo d’Italia di Eduardo Giacomo Boner, raccolta di novelle di stampo veristico, di cui cinque marinaresche ambientate a Messina, pubblicate nel 1899 (volume con dedica) che presenta numerose sottolineature. Sono evidenziati soprattutto termini da ricollegarsi alla tradizione siciliana o toscana come, ad esempio, “occhi scerpellati” (p. 73), che tornerà nella novella La levata del sole, o “Qui una filza di scangei” (p. 93), ma anche “rinchioccito”, termine che si trova in Uno, nessuno e centomila (p. 177) o “arcoreggiare” (p. 102) che si ritrova nella novella Sole e ombra.31 Ciò dimostra in che modo lavorasse Pirandello, tramite letture e note, da riutilizzare poi continuamente nella sua attività creativa come spunti o veri e propri innesti testuali, non solo tematici ma anche linguistici. Il lavoro che si nasconde nell’officina segreta pirandelliana è dunque enorme e profondamente complesso, perché si nutre di suggestioni estremamente diverse, lasciando poche o pochissime tracce, come anche Corrado Alvaro fa notare, di quello che è stato il percorso creativo che sta dietro le quinte di ogni singola opera:

A cercare negli oggetti intorno a lui e in lui stesso un solo indizio delle audacie di cui era capace in arte, era tempo perduto, o almeno tempo per fantasticargli vicino.

A passare in rassegna i libri presenti a via Bosio ci si accorge anche delle grandi assenze: dai libri recensiti da Pirandello, specialmente negli anni della «Rassegna settimanale universale», molti dei quali mancanti, ai soli cinque titoli dannunziani e quattro pascoliani, a nomi come quelli di Nordau o Séailles o Binet completamente assenti. Mancano, inoltre, la maggioranza degli autori tedeschi tramite i quali, lo scrittore, passato per le aule universitarie di Bonn e poi spostatosi sulla scena teatrale di Berlino alla fine degli anni Venti, ha maturato la sua poetica: si pensi, ad esempio, ad un autore come Jean Paul alla base della sua tematica del doppio. Se è vero, dunque, come afferma Manlio Lo Vecchio Musti e come emerge nell’analisi delle sue carte, che «Pirandello nulla conservava di suo; né volumi, né manoscritti, né appunti, né ritagli di giornale», è altrettanto evidente che le strategie di lavoro dell’autore sono plurime e passano attraverso quelle che Alvaro definiva «scorciatoie», cioè continui rinvii, a volte veri e propri elenchi che Pirandello compilava e di cui i taccuini, in particolare, riportano fedele traccia.

Il Taccuino di Coazze, ad esempio, quadernetto di cinquantaquattro pagine, situabile tra il 1901 e il 1910, oltre al merito di attestare la sopravvivenza della scuola storica nella formazione di Pirandello e l’adesione ai dettami di Ascoli, ha il pregio di fornire un elenco intitolato Libreria dove Pirandello riporta titoli per lui evidentemente significativi: due tomi del Dénis sulla Comédie grecque (entrambi conservati presso la Biblioteca di via Bosio), il Graf degli Studi drammatici (non presente nel catalogo dei libri conservati), il Costetti del Teatro italiano dell’Ottocento e il Bartoli della Commedia dell’arte (entrambi assenti nel catalogo conservato); ai quali si devono aggiungere Voigt, Il Risorgimento dell’antichità classica, De Sanctis Leopardi (presenti nella raccolta conservata). Compaiono poi i nomi di Pitré (presenti due titoli a Via Bosio) e Capuana (quindici titoli conservati tra romanzi e saggi). Ciò dimostra innanzitutto l’importanza dei taccuini e, in seconda istanza, come delineare la mappa delle letture formative del giovane Pirandello si riveli estremamente difficile, nonostante alcuni filoni siano ben riconoscibili, dalla scuola storica, agli studi filologici, alla lezione del Carducci, ai romantici, dalle storie letterarie ai testi di storia.

Viaggiatore senza bagagli, Pirandello ci lascia con quel che resta dei suoi libri il senso di una ricerca continua, senza strade certe da percorrere, né cataloghi completi da redigere: anche le sue letture confermano ciò che la sua opera esprime, la coscienza critica della modernità.

Monica Venturini

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