Le lettere di Luigi Pirandello all’amata Antonietta

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Di Elio Di Bella

Roma, 15 Dic. ’93. Antonietta mia, sono ancora mezzo intontito dal viaggio: due giorni e una notte in treno, considera un po’! Oggi poi ho girato per trovare la casa: dunque salire e scendere scale, prima in Via Arenula, poi in Via Venti Settembre… Ora mi sento rotto e disfatto… Credo d’aver già trovato la casetta per noi.

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Le lettere di Pirandello all'amata Antonietta
1894, Luigi Pirandello con Maria Antonietta, prima a sinistra, e parenti. Immagine da Wikimedia Commons

Le lettere di Luigi Pirandello all’amata Antonietta

Da Antonietta mia, Lettere di Luigi Pirandello alla fidanzata Antonietta Portolano. 
A cura di BIAGIO ALESSI.
Edizioni Centro Culturale Pirandello – Agrigento Gennaio 1994.

da Agrigento ieri e oggi

Le lettere che vengono ristampate in occasione del centenario del matrimonio di Luigi Pirandello e Antonietta Portulano, furono spedite da Roma dallo scrittore agrigentino alla sua fidanzata. 
Conservate presso l’Archivio Stefano Pirandello, sono state pubblicate nella rivista milanese “Omnibus”, 18 e 25 ottobre 1946, con alcune amputazioni di brani.
Recentemente la rivista “Ariel”, nel numero speciale per il 50° della morte di Pirandello (Anno I, n. 3,1986, pp. 211-229) le ha ripresentate con delle novità assolute quali le lettere della mamma Caterina Ricci Gramitto e altre due lettere inedite di Luigi ad Antonietta del 21 e 23 dicembre 1893.

Sono 14 lettere che documentano un periodo importante della vita del giovane Luigi alla vigilia delle nozze. Vanno, infatti, dal 15 dicembre 1893 al 5 gennaio 1894. Nella mattinata del 27 dello stesso mese, Luigi e Antonietta si sposarono, alle 9,15 presso la Casa Comunale di Girgenti, secondo le usanze del tempo. Quindi si recarono nella Chiesa di S. Alfonso, accanto alla Lucchesiana, a due passi dalla Casa dei Portulano, in Via Duomo. Nell’armonioso tempio neo-classico tanto caro alla famiglia della sposa, alla presenza dei testimoni Eugenio Amato e Alfonso Averna, il beneficiale della Cattedrale Can. Giuseppe Bonelli li unì in matrimonio. Dopo la celebrazione i familiari e gli invitati li accompagnarono alla casetta del Chaos per il banchetto di nozze. Da quel giorno Antonietta entra veramente nella vita di Luigi Pirandello.

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Introduzione
di Liborio Triassi

Genio innamorato

Forse la prima cosa che il lettore uso allo stile delle novelle e dei romanzi, dei saggi e dei drammi, si chiede leggendo queste lettere ad Antonietta è se a scriverle possa realmente essere stato Luigi Pirandello.

Ma una lettera, e più ancora una lettera alla promessa sposa, sí sa, è un’altra cosa.

Luigi è innamorato. Questo dato rende possibile qualunque mutazione. E non è solo lo stile a cambiare ma l’uomo stesso. E Luigi è di questo fatto pienamente conscio. Antonietta è una svolta, una porta che si apre su una nuova vita, un segno che cancella passati malesseri interiori.

Se fino a quei giorni – siamo a metà dicembre del 1893 – era stata l’Arte, con la A maiuscola, “l’unico scoglio” a cui poteva aggrapparsi l’anima dello scrittore nel tumulto della sua vita interiore, ora sorge l’astro di Antonietta. E lei con la sua gioventù e la sua semplicità ridà al ventiseienne scrittore la “pace” ed uno “scopo”.

Le lettere ad Antonietta sono un documento importante perché ci danno un campione della scrittura pirandelliana non condizionato dal filtro letterario. Quello che percepiamo non è il trasporto e la passione di un personaggio romanzesco, ma i sentimenti di un uomo, un giovane innamorato, per la donna che, sì, altri hanno scelto per lui, ma che lui ha entusiasticamente accettato.

Ma che a scrivere sia un artista non può sfuggire a nessuno. Non è certo da comune innamorato passare dalle frasi d’amore alle riflessioni esistenziali come invece vediamo fare al Pirandello delle lettere. Non è cosa normale affiancare alla preoccupazione per la casa da trovare e al desiderio per un ritratto della fidanzata, osservazioni sull’Ar­te.

Chissà cosa avrà pensato la giovane Antonietta nel leggere le lettere, e specie la prima, che il suo innamorato le inviava da Roma. Chissà cosa le sarà passato per la mente nel leggere dei dubbi del suo Luigi a proposito del “labirinto” in cui si trovava, del “che cosa è il giusto? che cosa è l’ingiusto?”, del sentirsi “espulso dal fiume”. Non le sarà per caso passato per la mente, magari solo per un attimo, che forse un buon commerciante o un ragioniere, più pratico e con minor turbamenti era più adatto a questa giovane girgentana cresciuta dalle monache?

Col passare dei giorni le lettere divennero tuttavia più confidenziali e l’ autore frenò – o più semplicemente non ebbe più, preso ormai dalla passione – la tentazione di indulgere in divagazioni intellettuali.

Per noi posteri si può quasi dire che questo breve fidanzamento a distanza senza la possibilità per i due protagonisti di conoscersi da vicino e con unico mezzo di comunicazione la parola scritta, sia stato molto positivo. Fosse stato a Girgenti, Pirandello non avrebbe scritto, o perlomeno non avrebbe scritto con questo moto, spinto da una passione subitanea tutta coltivata su uno sguardo fugace da una carrozza in movimento e sul lavorio di una pur fervida immaginazione, neppure suffragata da una foto o un ritratto, meno che mai da un contatto o una conversazione.

E cento anni dopo quanta tenerezza fanno quelle “strette di mano” che Luigi indirizza alla cara Antonietta in chiusura di ogni lettera. Ma dietro l’innocente saluto si nasconde un mondo di passioni che vorrebbero esplodere e traboccare. Ma cosa sarebbe stato mai, allora, parlar di baci odi carezze? Fortuna che l’attesa fu breve e che il matrimonio venne a coronare un sogno che purtroppo con il tempo avrebbe perso i suoi connotati positivi. Ma questa è già un’altra storia.

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Le lettere

Roma, 15 Dic. ’93

Antonietta mia, sono ancora mezzo intontito dal viaggio: due giorni e una notte in treno, considera un po’! Oggi poi ho girato per trovare la casa: dunque salire e scendere scale, prima in Via Arenula, poi in Via Venti Settembre… Ora mi sento rotto e disfatto… Credo d’aver già trovato la casetta per noi. Domani andrò a visitarla di nuovo, e te la descriverò camera per camera – così tu la conoscerai prima d’entrarvi – sposa e padrona.

Non so spiegarmi quel che sento mentre ti scrivo. E neanche tu potresti intenderlo, sconoscendo in quali condizioni di spirito io mi trovassi prima di venir da te, in Sicilia. Io immaginavo la vita come un immenso labirinto circondato tutt’intorno da un mistero impenetrabile: nessuna via di esso m’ invitava ad andare per un verso anzi che per un altro: tutte le vie mi parevan brutte o inamabili. A che scopo andare? e dove andare? L’errore è in noi, nella nostra mente, e il male é nella vita, un male privo di senso – io mi dicevo.

Noi non sapremo mia nulla, noi non avremo mai dalla vita una nozione precisa, ma un sentimento soltanto, quindi mutabile e vario, triste o lieto a seconda della fortuna. Nulla di assoluto, dunque. Che cosa è il giusto? che cosa è l’ingiusto? Io non trovavo in questo labirinto una via d’uscita. Né nulla veramente potevo trovarci, perché nulla vi mettevo, né un desiderio, né un affetto qualsiasi: tutto m’era indifferente, tutto mi pareva vano e inutile – ero come uno spettatore annoiato e smanioso, a cui era di peso il rimanere, e pur non sapeva decidersi ad andarsene; ero come un espulso dal fiume, che consideri dalla riva la corrente senza più la voglia di lasciarsi oltre portare. Il mio intensissimo amore per l’Arte era l’unico scoglio a cui, in tanto naufragio, s’aggrappava disperamente l’anima mia: ma la vita moderna così agitata da tempestosa miseria ha poco men che sommerso quest’unico scoglio: sicchè tenermi stretto a lui era quasi affogare e subir gl’insulti dell’avversa marea.

Oh, in che orrenda notte, Antonietta mia, era avvolto il mio spirito! I miei sogni di gloria eran baleni a un tratto oscurati: e invano chiedevano la luce, invano il sole…

Ora il sole è per me nato! Ora il mio sole sei tu, e tu sei la mai pace e il mio scopo: ora esco dal labirinto e vedo altrimenti la vita. E questo, è proprio questo ch’io sento, mentre ti scrivo per la prima volta, qui raccolto in questa camera, che sa tutte le mie tempeste e le calme desolate.

Ho la tua immagine presente e viva innanzi agli occhi. In viaggio ho guardato a lungo, a lungo la stella che ti piace. Attendo con impazienza il tuo ritratto… Quando verrà? Al più presto ti prego…

Vorrei dirti tant’ altre cose, tant’ altre cose, che mi s’affollano alla mente, ma a domani, a domani… ora è tardi. Pensa a me, e amami… Tu mi amerai, tu devi amarmi, perché io… a domani… Baciami e salutami la Mamma, Annetta, i due Papà, Giovanni e Carmelino. Dì a Babbo mio che domattina gli scriverò a lungo. Tu abbiti una fortissima stretta di mano dal sempre tuo, tutto tuo

Luigi

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Roma, 16 Dic. ’93

Antonietta mia,

a chi, prima di partire per la Sicilia, m’ avesse detto: – «Tu, mio caro, ritor­nerai guarito» – io avrei semplicemente risposto: – «Ignori il mio male» –

E davvero questo mio male mi pareva inguaribile. M’ero sciolto completamente d’ogni legame; guardavo gli altri vivere, indagavo la vita come un complesso di vane assurdità e di contraddizioni; e dalla considerazione degli atti e dalle parole altrui, su per giù sempre gli stessi, m’era venuto un tedio pesante e una noja smaniosa. – E dopo? E dopo? mi domandavo. È tutto qui? E sarà sempre cosi? Dunque è la vita il mio male: solo la morte potrà guarirmi.

Mi pareva impossibile che io avessi potuto mettermi a fare, a pensare, a vivere come tutti gli altri uomini, dei quali per tanto tempo avevo seguito senza interesse e senza curiosità le azioni, i pensieri, la vita. Mi pareva impossibile innamorarmi, sentir la gioia d’offrirsi interamente a un’altra persona e viver quasi della sua vita.

Eppur questo m’è avvenuto, e a me par di sognare, e non so credere quasi a me stesso, al mio cuore. Io penso a Te, penso a tutto ciò che potrebbe farti piacere, ai mezzi più lieti e più gentili per renderti bella e cara la vita che condurremo insieme; penso al nostro nido, alla casa che ci accoglierà; faccio un mondo di bei progetti per l’avvenire… io, questo, io che vedevo tutto nero innanzi a me; io che, fino a un mese fa, ridevo svogliato delle sciocchezze (dicevo io) degli innamorati. Ebbene, si, la vita è fatta di queste sante sciocchezze; tristo chi non le cura e non sa dar loro importanza!

L’alba della mia nuova vita ha per sempre scacciato le nebbie che m’ ingombravano la mente. Ora mi si apre dinanzi chiaro l’avvenire. Io ho potuto finalmente congiungere queste due supreme idealità: l’Amore e l’ Arte.

E tu che pensi di me, Antonietta mia? Che ti dicono i sogni di me? Non ti mentiscano, non ti rimpiccioliscano l’amore e la tenerezza ch’io sento! Come stai in codesta nuova casa? Io già t’immagino e ti seguo col pensiero per le note stanze: tutto il giorno ti son vicino, e tu non t’ avvedi di me… oggi ancora sono andato in giro con Rocco a visitare altre case: ne ho trovata una assai bella, piena d’aria e di luce, ma un po’ troppo alta. Domani girerò ancora, e poi ti descriverò la prescelta, come ieri ti scrissi.

M’è capitato giusto ora, a sproposito, un gran da fare: dovrei consegnare fra quindici giorni all’editore Bontempelli un volume di novelle. – Le novelle io ce l’ho, ma dovrei ricopiarle e correggerle un po’ qua e là. – Basta, vedremo, nei ritagli di tempo.. .

Sei andata dal fotografo? E arrivato l’abito da Palermo? Quando mi arriveranno questi tuoi ritratti? Sono un ragazzaccio impaziente… Non me ne importa! voglio i ritratti. L’abito t’è arrivato, già te lo vedo addosso… Dio, come ti sta bene! Lascia vedere, voltati un po’, che bel colore! Com’è elegante! Che bella signorina! Su, su, via! Andiamo dal fotografo, che Luigi aspetta, poverino, solo, a Roma, lontano, senza ritratti.

Non faccio neanche oggi a tempo a scrivere la lettera a Papà. Pazienza! Domani immancabilmente gliela scriverò. Tu salutami tutti, ti prego, e non dire ahi! se i stringo più forte di jeri la mano.

Sempre tuo

Luigi

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Roma, 17 Dic. ’93

Antonietta mia

come mi sento solo qui a Roma! Mi par di trovarmi in mezzo a un gran deserto… Quel che amo, quel che spero, quel che voglio non è qui; è costà, teco, e sei Tu. Se non mi dessi tanto da fare da mattina a sera, mi morrei certo dalla noja; già mi parrebbe impossibile senza una ragione, rimanere anche un giorno lontano da Te. Tu, lo so, tu non mi vuoi vicino… ma è inutile! rassegnati ormai ad avermi sempre dinanzi agli occhi; io sto subendo la prova del fuoco, e mi par già cent’ anni di ritornare a Te, per non allontanarmi mai più. Povera Antonietta! respira ancora questi altri pochi giorni che ti rimangono di libertà, mentre io son lontano…

Ti vorrei fare arrabbiare per avere qualche lunga lettera; ma poi ne avrei pena. È meglio che tu mi scriva senza costringermi a procacciarti un’ arrabbiatura… Come dev’essere bella Antonietta arrabbiata!

Questa mattina è venuto a trovarmi l’editore signor Voghera:

– Le novelle?

– Son quasi pronte. Mi dia ancora qualche giorno di tempo…

Ma è inutile! non ci arriverò, e non so come fare. Mi ci vorrebbero almeno quindici giorni fitti fitti di lavoro, e per ora ho altro da fare.

Anche oggi ho girato lungamente. Ho visitato parecchie case in via Nazionale e in via San Nicolò da Tolentino; ma nessuna via fa per noi… Mi deciderò forse domani per quella di Via delle Finanze dirimpetto a quella che avevo preso in affitto due anni a dietro. Ma questa sarebbe molto più bella, sebbene, come ti dissi jeri, un po’ troppo alta.

Dovrebbero arrivare presto i mobili e specialmente la cassa della tappezzeria! cosi pel 5 di Gennaio potrei essere di ritorno a Girgenti. A proposito, lo zio Rocco assisterà senza dubbio alle nostre nozze; puoi annunziarlo a casa.

Non mi sono sentito mai cosi leggero e lieto di spirito! lo mi sento davvero rinascere, e il miracolo l’hai fatto Tu.

È impossibile che tu non m’intenda, Antonietta mia, e non mi segua per questa via nobilissima per cui la sorte volle mettermi: la via dell’Arte. Tu ti scalderai meco a questo fuoco purissimo, e il tuo cuore s’allargherà nella visione del mio alto ideale. Della tristezza che spesso l’Arte procura, tu mi compenserai col tuo amore, e tu sarai la fonte a cui attingerò energia e vivacità nei momenti di sconforto e d’abbandono. Ho anch’io, come vedi, la mia religione, e nessun devoto è mai stato e sarà più fedele di me e più puro.

Ora ti lascio fino a domani. Salutami tutti. Ed abbiti per questa sera, due fortissime strette di mano (una più forte dell’altra).

Sempre tuo

Luigi

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Roma, 18 Dic. ’93

Antonietta mia,

mi stupisco di me stesso sempre più, di giorno in giorno… Mi sento l’anima gonfia d’una tenerezza insolita; io ritorno fanciullo ingenuo e confidente, come se incominciassi a vivere adesso. Ho smarrito quasi del tutto la facoltà del riflettere. Provo un senso straordinariamente vasto di espansione di tutto il mio essere, e di simpatia per tutte le cose. Me l’hai comunicato tu, con la tua giovinezza, con la tua promessa, con la dolce e chiusa semplicità dei tuoi modi? Si, si, è da Te che mi viene questo bene insperato, da Te. Non ho avuto mai come adesso lucida visione della mia fantasia, del mio avvenire, dell’esistenza. L’ansia di rivederti talvolta è così acuta e pressante, che m’è quasi insostenibile – piglierei il treno e verrei, anche per un momento, per un minuto secondo, per vederti soltanto, e ripartire.

Ah, che casa ho visitato oggi, Antonietta mia, in via Sistina, che nido delizioso, che luogo d’incantesimo. Ma, ahimè, vi manca una stanza, e ho dovuto rinunziarvi! Se avessi visto! Ah come vi saremmo stati felici noi due insieme, noi due soli, con quel sole in casa e l’amore!

Non ho ancora rinunziato a quella di Via delle Finanze; ma non so decidermi a prenderla, perché mi pare che abbia un’aria di umiltà, non so, un’aria quasi negletta, che stonerebbe coi nostri mobili, e con la prima baldanza dei nostri cuori. L’altra dei Prati di Castello l’ho abbandonata del tutto, sebbene mi piacesse moltissimo, per la considerazione che essa è troppo vicina all’abitazione della tremenda Nanna, della moglie di Rocco.

Come vedi, non ho deciso ancor nulla! Bisogna andar cauti! L’ impazienza di un giorno potrebbe costarci la sofferenza d’un anno. A ogni modo, domani sarà certamente l’ultimo giorno di ricerca, domani mi deciderò a fissarne una, senza dubbio, e tu avrai la promessa descrizione, anche la pianta della casa.

Come passi le giornate tra i mie cari costà? Vorrei sapere da Te tante cose, anzi tutte le cose; per riempirmi meglio, s’è possibile, l’ anima e il cuore di Te, delle cose tue, dei tuoi pensieri, dei tuoi sentimenti, delle tue impressioni, di tutta Te! In me già vivi e imperi; ma non son mai sazio; vorrei che tu divenissi me stesso o una cosa sola con me stesso. Non so spiegarmi, ma se tu senti quel che sento io, m’intenderai certamente, e non ho bisogno d’ altre parole.

Scrivimi, e addio per questa sera. Mandami presto i ritratti, ti raccomando. Salutami tutti, e tu abbiti, tre, quattro, cento, mille strettissime fortissime di manissima del tuissimo

Luigi

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Roma, 21 Dic. ’93

Antonietta mia,

ho ricevuto la tua lettera! L’ho letta d’un fiato, poi l’ho riletta, poi l’ho letta di nuovo, non so più quante volte, e mi veniva di saltar dalla gioja! Quanto ti son grato, Antonietta mia! E quanto m’è piaciuta la tua lettera! Troppo piccina la tua mente? Zitta là! È più grande della mia! Quanto al cuore, no – ti posso concedere tutt’al più d’essere uguali – ti basti! Diverrai la più perfetta scrittrice della terra, lascia fare a me. Hai già il senso e il gusto della forma, il concetto e il numero del periodo… Senti: ora non ammetto più scuse. Pretendo che Tu mi scriva spesso – sai scrivere meglio di me. Non credere che ti faccia dei complimenti, Antonietta mia: dico la verità vera: la tua lettera è una meraviglia di semplicità e d’espressione.

Oggi son felice, bacerei dalla gioja tutto il mondo! Si, verrà la calma, e non sola la calma, verrà la felicità, verrai Tu entro l’ anima mia, che già s’espande, già risplende per accoglierti meglio, come una regina! Non potendo baciar tutto il mondo mi son contentato di baciar la tua lettera – ho fatto male? E giusto jeri il signor Cotto si lagnava del silenzio in cui tutti lo tenevano… oggi però gli è passata anche l’arrabbiatura cagionatagli da un telegramma del Babbo, giunto jer sera. Il telegramma diceva: «Scrivi subito Calogero scusandoti imperdonabile silenzio» – Quale silenzio? Che cosa dovevo io scrivere a Calogero? Non va tutto bene? Non ho scritto neppure ai miei parenti, all’infuori d’una lettera soltanto d’affari, per farmi mandare dell’altro denaro. Io non posso scrivere a nessuno, adesso: non vedo, non sento altri che Te: scriverei a Te soltanto dalla mattina alla sera. Mi pare che in ciò non sia affatto ragione da scusarmi. Non puoi immaginarti come mi sia arrabbiato jeri sera contro questo telegramma di mio padre! Voleva Calogero anche lui una lettera d’amore? Non ne ho scritto mai ad un uomo, anche volendogli del bene. E poi ho tanto da fare: Trovo appena appena il tempo di scrivere a Te. Egli non esigerà certamente ch’io tralasci di scrivere a Te, per scrivere a lui. Digli dunque che il mio silenzio è perdonabilissimo e che io non me ne scuso affatto.

Dovrebbe intendermi; se poi non vuole, che posso farci?

Basta – Torno a ringraziarti della lettera. Antonietta mia! se fossi presente mi t’inginocchierei dinanzi… Son tanto contento, tanto felice, che Tu ti trovi bene in casa della Mamma nostra.

Ora li lascio. Rocco è venuto due volte a dirmi che è già in tavola.

Debbo scappare. Addio. Salutami tutti di casa, e Tu amami, pensami, sognami sempre, come fa il tuo

Luigi

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Roma, 23 Dic. ’93

Antonietta mia!

jeri ho fatto molto tardi a impostar la lettera, e così tanto ch’essa ti perverrà insieme alla presente, lasciandoti un giorno senza mie notizie. Ma non importa; vuol dire che ne avrai due in un giorno solo, e così sarai compensata.

Non so se scrivendo a tuo padre debba dirgli che io non ho mancato mai di darti giornalmente mie notizie. Temo che egli non lo sappia, perché altrimenti non saprei davvero spiegarmi il suo desiderio d’avere una mia lettera, la quale, scrivendo io a Te giorno per giorno, sarebbe proprio un di più. Del resto egli non può ignorare che io ti scriva. E così posso dirglielo senz’altro, tanto più ch’essa è veramente l’unica ragione perché io non gli abbia scritto. Non ci pensavo nemmeno; mi pareva assurdo, dare ad altri la mia notizia, quando la avevo data a Te, incaricandoti dei saluti per tutti. Poteva bastare, tanto più che si sapeva che il mio tempo è contato, e non posso spenderlo in iscriver lettere, Tu senza obbligo di far leggere altrui le mie lettere, avrai dato le notizie che potevano interessare anche gli altri. Che si voleva di più? Io non so comprenderlo. Ma si vede che tuo Padre non l’ha pensata così, e a me duole immensamente, s’egli ha male interpretato il mio silenzio, come mancare di riguardo odi premura. Santo Dio! Ho scritto ogni giorno…

Basta, gli scriverò, e così, spero, resterà contento. Non puoi immaginare in qual mare di supposizione m’abbia gittato quel telegramma del Babbo, conoscendo il carattere ombroso di tuo Padre. Ho veduto non so più quante volte scombujarsi il suo volto, alterarsi la sua fisionomia, come ogni volta che ti pare di veder tuo Padre cambiare improvvisamente d’umore. Qual trafittura opera ora per me nei brevi giorni in cui fummo insieme costà, ogni qual volta ti leggevo nel volto quel turbamento! Sospiravo, ti ricordi ! e tu non volevi; ma sospiravo per Te, per la pena che tu mi facevi così turbata e in ansia pel cangiato umore di tuo Padre.

Chi sa che cosa t’ avrà detto ora, Antonietta mia, per questo mio silenzio! Ma tu diglielo, che in me non c’è stata affatto l’intenzione di fargli uno sgarbo non scrivendogli. Vedi, io soffro, m’angustio per Te! Ma come potevo immaginare ch’egli s’avesse a male del mio silenzio, quando non ho mancato di scrivere a chi dovevo, a Te, per cui egli come si deve soltanto interessare? Che deve importargli ch’io non scriva a lui, quando scrivo a Te – Oh, ma del resto, pensa quello che vuole, io nella mia coscienza sento di non aver mancato, e mi basta! È meglio per altro scrivergli e togliere così il malinteso.

Addio, Antonietta mia. Salutami tutti, al solito. Pensa a me e amami assai, ho bisogno di tutto il tuo amore, e sia immenso e profondo come quello che ha per Te il sempre tuo

Luigi

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Roma, 28 Dic. ’93

Antonietta mia,

vengo adesso dai grandi magazzini di mobilia del Gagiati. Dio, quante cose e cosettine avrei voluto comprare per Te! Maledetta la mia povera tasca! Basta, a ogni modo, ho comperata la mobilia del salottino, stile Luigi XVI, una delizia! Vedrai. Ho comperato pure i tappeti per la stanza da letto, per quella da pranzo e per lo studio. Qui a Roma i tappeti sono indispensabili, e costano cari. Se vedessi quello del salottino! e tutto un tappeto intero grande quanto il pavimento della stanza. Gli altri sono a teli da cucire insieme; ogni telo è dell’altezza di novanta centimetri. Quello della stanza da letto è in rosso; quello della stanza da pranzo a imitazione dei pavimenti in legno a mosaico; quello della stanza da studio è turco, come la tenda. Se vuoi, lo battezzeremo.

Non ti dico nulla dei mobili del salottino: voglio fartene una sorpresa. Né voglio dirti di un certo cantuccio della stanza da letto, dove… acqua in bocca! Vedrai.

Oggi, non so perché, sono allegro. Sono contento di me, cosa insolita! forse per le mie compere. M’e saltata in mente, rivedendo la nostra casa, l’idea di quel cantuccio, che t’ho detto, nella stanza da letto; e ciò forse è bastato per mettermi di buon umore… Si, e così. Se Tu sapessi che scena dolcissima mi s’è presentata… di sera… con un lume sul tavolinetto… io e Tu seduti accanto… non voglio dirti nulla… Se mi fai parlare, è finita… Bella cosa! Non credevo mai, tanta curiosità! Ti voglio fare una sorpresa, e nossignore! non è possibile! La signora vuol saper per forza che cos’è. Non te lo posso dire. Va bene? abbi un po’ di pazienza! Ti fai sgridare proprio per nulla… Non te lo posso dire.

Già! ora sei capacissima di sostenere che non te ne importa nulla, e che non vuoi sapere affatto di che si tratta. Benissimo! E quand’è così; io non te lo dico lo stesso. Finiamola, finiamola! Vogliamo far la pace? Si? No? Perché no? Facciamo la pace, via! Vuoi? Io voglio. Vedi, io non so stare in lite con Antonietta mia, mentre Tu… Eh, lo so! L’hai detto Tu stessa: il cuore l’hai dietro le reni… È vero! è proprio vero! non ti faccio pietà? Più ti voglio bene, e più Tu… facciamo la pace, via… Litigarci, per un nonnulla… Se proprio vuoi sapere di che si tratta, te Io dico… Volevo farti una sorpresa, ecco! Tu non vuoi; e sia fatta la tua volontà. Che almeno ti vegga sorridere! Ah, benissimo! così! così ti voglio vedere! guardami negli occhi… È fatta la pace? Sia lodato Iddio, è fatta! E allora domani ti dirò di che si tratta.

Ora sta allegra, e ricordati sempre, sempre di me, e amami, non te lo scordare! Sempre, bada! a me non fa bisogno che nessuno lo dica. Salutami tutti affettuosamente. E abbiti cento milioni di fortissime strette di mano dal tutto tuo

Luigi

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Roma, 29 Dic. ’93

Antonietta mia,

riceverai questa lettera il dì primo di Gennaio, a capo d’ anno. Le nostre due vite in esso si uniranno, formeranno una vita sola e duplice: l’ augurio dunque sarà comune, le tue gioje saranno pure le mie, e mia la tua felicità. Ridano a noi sempre candidi fatti! E possa il sorriso delle mie labbra divenir sempre il tuo sorriso! Io qui a Roma festeggerò solo e tacitamente l’entrata del nuovo anno. In casa di Rocco s’è già festeggiato prima del tempo, il dì innanzi la sua partenza per Marsala. Voi certamente mi tenete presente, e io sarò fra voi con l’anima all’ora degli auguri. Auguri a Tutti! Ne do a Te l’ incarico, Antonietta mia: rivolgiti Tu per parte mia al tuo e a mio Padre, alla Mamma, ad Annetta, a Carmelino, a Giovanni, a tutti insomma, mi raccomando. E siano calorosi! oh come a chi ama da lontano non basta scrivere! Com’è impotente la parola di fronte all’amore! Quante parole han bisogno d’uno sguardo complementare! Gli occhi solamente possono esprimere il valore e il significato di certe parole! Quanti pensieri d’amore preferiscono la vita degli occhi a quella delle labbra! La parola spesso è vecchia o sciupata dall’uso. L’amore ha disdegno di profferirla: tace la bocca, e lo sguardo parla. Hai Tu imparato a intendere il muto linguaggio? Si, certamente, perché lo insegna l’amore, e Tu ami, Tu m’ami, Antonietta mia! Mi riserbo a dirti così, tante cose, che le parole sole non saprebbero esprimerti. Gli occhi miei sanno parlare.

Oggi mi son recato alla Stazione ferroviaria per ritirare la mobilia divisa in diciotto colli. Ah se Tu vedessi che rovina, Antonietta mia! E non poter reclamare! Ci sarebbe soltanto da bastonare di santa ragione codesto spedizioniere. Io non so chi sia, è il Vajana o il De Luca? Bastonate ad entrambi, bastonate a tutti gli spedizionieri del mondo! È questo il modo d’imballare le merci? Già da Napoli m’era venuto un riservo per la insufficienza dell’ imballaggio. Ma non m’aspettavo tanto! Se vedessi! Tutti i vetri rotti, rotto il tetto degli scaffali; l’attaccapanni ridotto una pietà, sfondato nel centro e senza la bacchetta che reggeva gli ombrelli; il bel tavolino da studio, con tutti gli angoli smussati, scollati i fregi e perduti, la intarsiatura ammaccata o scomparsa! E bada, non gli ho potuto ancor veder bene; non gli ho ancora liberati dalle gabbie malfatte e dagli stracci che li ricoprono in parte… Chi sà, che vedrò dimani! Poveri mobili! M’è quasi venuto da piangere dalla rabbia!

È meglio non pensarci.

Addio, Antonietta mia. Rinnovo gli auguri. Salutami Tutti affettuosamente. E Tu abbiti una sola stretta di mano, ma che vale tutte quelle inviate jeri, per tua fortuna in iscritto.

Sempre tuo

Luigi

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Roma, 1 Gennaio 1894

Antonietta mia,

abbiamo già varcato la soglia dell’anno nuovo; ancora un po’ di anticamera, e saremo ricevuti insieme festosamente dalla famiglia dei venturi mesi, ognuno dei quali certamente si farà obbligo di regalarci nuova gioia e nuovi sorrisi.

Intanto ho passato bene questo primo giorno: ho potuto finalmente lavorare un po’, ho scritto a lungo, ho scritto di fila quattro capitoli d’una novella, che minaccia di divenir romanzo, dal titolo: Le due case.

Il soggetto m’interessa moltissimo. Poi Tu leggerai. T’assicuro, che sentivo proprio il bisogno di lavorare un po’ per l’Arte. Eran tanti giorni, tanti giorni, che non facevo più nulla.

Ho tratto profitto di questo dì di festa, in cui nessun operajo lavora, e mi sono sfogato a scrivere, a scrivere con ineffabile godimento.

Domani ci rimetteremo a badare alla casa. Il tempo stringe, e io non so come fare per provvedere a tutto entro il limite assegnato alla mia dimora qui in Roma. Ho fatto tutto il mio possibile per arrivarci; ma le molte feste e i lunghi ritardi m’han fatto perdere inutilmente tanti giorni… Prevedo che dovrò trattenermi ancora un po’ oltre il giorno cinque del presente mese, e con quanto mio dolore, Tu potrai bene immaginare. Ma come si fa? Non posso mica lasciar tutto in aria e partire. Penso al ritorno, e voglio che la casa sia pronta e in ordine per accoglierti come si deve. Ho pensato alla stanza da letto, allo studio, al salotto, alla stanza da pranzo, allo spogliatoio. Or mi resta da pensare alla stanza della foresteria, alla cucina e alla stanza della serva. Però chi sa quante cose ancora mancheranno! T’immagini Tu il tuo Luigi che deve metter su casa, senza nessun ajuto? Rocco se n’è andato, i miei amici artisti ne sanno meno di me, e poi hanno i loro affari. – Io, poveretto, mi sforzo di pensare a tutto; ma si! ho paura che presto mi convincerò d’essere una gran bestia in queste cose. Il babbo però dovrebbe mandarmi telegraficamente almeno almeno un altro migliajo di lire. Gli farò domani un telegramma. Avrebbe dovuto già rispondere alla mia lettera abbastanza esplicativa! Mi bisognerebbe un po’ di quella virtù, che spesso mi manca: la pazienza! Ma anche gli altri, cioè mio padre, dovrebbero avere un po’ più di considerazione per lo stato in cui presentemente mi trovo. Non mi si dovrebbe lasciare tanti giorni senza risposta! In un secolo da che mi trovo a Roma m’hanno scritto una sola volta. E io invece m’aspettavo che la Mamma, o Annetta per la Mamma, mi scrivesse di frequente, per consigliarmi, per rammentarmi tante cose. Non solo l’abbandono il più completo su questo punto; ma anche la mancanza d’un ponderato esame su quello che m’abbisogna, e la sollecitudine del provvedimento in considerazione del poco tempo in cui dovrei allestire questa benedetta casa.

M’accorgo d’essermi troppo a lungo sfogato, con Te, invece di parlarti di cose che ben altrimenti mi stanno a cuore. Scusami, Antonietta mia. Ma già tu sei la mia mogliettina e posso parlarti delle mie angustie. Non è così?

Per questa sera, punto. Salutami tutti. E Tu pensa a me, sempre, amami più, senza finir mai.

T’ama cosi il tuo

Luigi

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Roma, 2 Gennaio 1894

Antonietta mia,

brutto tempo, oggi! Piove; stanotte ha nevicato; il freddo però è meno intenso degli altri giorni. Non spaventarti, Antonietta mia!

Ha nevicato anche in Sicilia, a Palermo, a Monreale. E certo a Girgenti non farà meno freddo che a Roma.

Del resto, è brutto, quando il freddo penetra nell’anima, quando fa anche inverno dentro di noi, dentro il cuore. Io adesso, internamente, sono in piena primavera: sole e fiori, aurore incantevoli e sere stellate! – Dunque, niente paura! Cada pure un mese dal cielo, e urli quanto vuole il vento! Mi dispiace soltanto che m’inzàcchero i calzoni, dovendo correre di qua e di là da mane a sera per allestir la casa al più presto possibile. Mi par già un secolo, per dir poco che sia ritornato a Roma. Non so più vedermici solo! Quando scapperò? Non posso ancora precisarlo! Maledette le feste! Ma tu aspettami sicuro, che il tuo Luigi arde di ritornare a Te. Poveretto! Se vedessi come si dà da fare, senza un minuto di tregua!

Non t’ho più parlato della sorpresa che intendevo farti, d’un certo cantuccio della stanza da letto, ti ricordi? Non te n’ho parlato e basta; ma oggi non so perché, sento il bisogno di dirtelo.

Forse perché l’ho veduto or ora (dico il cantuccio) bell’e preparato, e ne son rimasto contento. Dunque senti, anzj vedi: ti fo la pianta della stanza da letto:

Il cantuccio in discorso è quello segnato col numero 1. Esso rendeva la stanza da letto un po’ asimmetrica, e io non sapevo come addobbarlo. Poi m’è venuta una bellissima idea. Nella parte segnata col numero 2 ho praticato un uscio che metteva in comunicazione lo studio con la stanza da letto: io ho fatto chiudere quest’uscio, e ho addossato alla parete il letto coi due comodini e le due poltroncine ai piedi. Ho messo nella parete numero 3 i due canterani, in quella numero 4 l’armadio a specchio; e così mi son riservato il cantuccio numero 1 per l’attuazione della bellissimi idea. Vi ho fatto alzar su un grandioso parato a padiglione d’una stoffa rosea uguale a quella delle tende, e dentro vi ho introdotto un piccolo canapè anch’esso roseo intrecciato con drappo verde come tutto il resto della tappezzeria; accanto al canape due poltroncine, e in mezzo un tavolinetto molto elegante da lavoro per la signora Antonietta Pirandello. Te l’imagini Tu codesta Signora seduta sul piccolo canapè entro questo roseo nido? E te l’imagini un certo signor Pirandello che andrà spesso a vederla e a disturbarla?

Io me l’immagino perfettamente. E ti stringo la mano fortissimamente. Sempre tuo

Luigi

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Roma, 3 Gennaio 1894

Antonietta mia,

più i giorni trascorrono e più mi s’accresce il lavoro. Oggi non ho avuto proprio un minuto di respiro. Non fa quasi più freddo, ma continua a piovere; e correre di qua e di là sotto la pioggia non è certo un bel divertimento. Per fortuna, non ho preso ancora infreddature, tranne una, molto lieve peraltro, in un occhio, dopo l’ultimo bagno allo stabilimento Bernini.

Già la nostra casa comincia ad assumere un aspetto meno caotico; l’ordine vi è ancora molto relativo; ma va nascendovi man mano un certo verso che la rende un po’ abitabile. C’è ancora molto da fare, però, Antonietta mia, e se Tu poi non troverai tutto secondo la regola, devi compatirmi! Mi compatirai, è vero? Io farò il meglio possibile; ma non me n’intendo molto… Vorrei poter pensare a tutto, perché Tu poi, al tuo arrivo, non abbia alcun disturbo; ma chi sa quante cose mi sfuggono, chi sa a quante cose non m’è dato di pensare per la mia qualità di uomo! E fossi almeno un uomo come molti ve ne sono! Non m’ intendo affatto di casa – è un affar serio! – Conto sul tuo compatimento; ci conto, e cosi avrò una preoccupazione di meno. Ma Tu non ci credere: L’unica preoccupazione mia, in fondo, è questa: Sarà contenta Antonietta? Le piacerà questo? Le piacerà quest’ altro? E cerco, mi studio, di vedere ogni cosa con gli occhi tuoi! Ah se Tu potessi mandarmi Te stessa! Ci sarebbe un solo pericolo: che non ti farei pensare affatto alla casa; ti terrei stretta per le mani, e non ti lascerei far più nulla! Vorresti venirci Tu – Ti consiglio di non venire se vuoi avere una casa a Roma.

Provi Tu quest’ansia, che ho io, di rivederci? Non ti stanchi l’attesa, Antonietta mia! Nella stanchezza è la noja e nella noja la fredda considerazione dei nostri e degli altrui sentimenti. In me l’ansia non dà campo alla stanchezza, e tanto meno poi alla noja. Come ho da fare? T’amo sempre più! Non vorrei dirtelo; ma il mio sentimento è più forte di me. Mi parlano, e non ascolto; guardo e non vedo; cammino, e non so dove vado… Il guajo è, che non posso rispondere: – «Scusatemi, per ora sono a Girgenti»

Che bestia sia venuta qui, io non lo so. Luigi, come Luigi, è sempre a Girgenti. Quello che è venuto a Roma non lo conosco: è una bestia che parla, cammina, mangia e beve e spesso si arrabbia e litiga coi mercanti e con gli operai: una buona bestia, in fondo, un po’ arruffona, è vero, ma senza malizia, bisogna dirlo!

Quando scrivo il tuo nome, vorrei tracciar lettere grandi quanto tutto il foglietto – chissà perché? Mi pare che una scrittura cosi grande ti potrebbe manifestar meglio quel che penso per Te.

Follie, me n’avvedo. Ma che vuoi farci?

Addio. Salutami tutti. Amami quanto t’ama il tuo

Luigi

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Roma, 4 Gennaio 1894

Antonietta mia,

domani, giusta il convenuto, dovrei lasciar Roma. Non è possibile, già te l’ho detto! Non ho ancora finito di comperare, figurati.

Farò dimani gli ultimi acquisti; poi, appena mi perverrà il denaro già speditomi dal Babbo, salderò i conti, e mi disporrò per partire. Lascerò incaricato Giovannino Lauricella di sorvegliare al lavoro del tappezziere e a quello dell’ebanista riparatore. Neanco io, come puoi intendere, vedrò la casa bell’e messa in ordine, pronta per accoglierci quando ritorneremo insieme. Tanto meglio! La vedremo tutti e due allo stesso tempo, e ci divideremo la sorpresa. D’ora in poi, Antonietta mia, devi rassegnarti a dividerti ogni cosa con me, così la gloria come i dolori. Tu poi diventi tutta mia, senza divisone di sorta. Se ti lascio un sol pezzettino di Te, ho paura che potresti non volerlo bene quanto lo voglio bene io, e così non te ne lascio proprio nulla! So che la signorina ha lo stesso vizietto delle mie due sorelline: quello di graffiarsi nelle arrabbiature. Io non permetto affatto simili maltrattamenti alla roba che mi appartiene. Ha capito, signorina? Il tuo collo è mio, e nessuno deve graffiarlo! Ma già, penserò io a tagliarti le unghie, come penserò io a pettinarti ogni giorno. Sebbene nessuno voglia riconoscermi questo merito, vedrai che parrucchiere sono io! Vedrai. Per compenso, ogni giorno, dopo la pettinatura, un bacio sulla nuca. Prezzo fisso! inutile lesinare.

Prima che mi passi di mente, voglio farti una domanda: Le materasse di lana son pronte? Le avete spedite? o dobbiamo dormire per terra? Credo che non sarebbe molto comodo. Fate presto, mi raccomando. Ne abbiamo già quattro del mese.

I giornali hanno già annunziato la pubblicazione delle mie novelle. Quali novelle? Non le ho ancora scritte! Ne ho in pronto due solamente. Eh sfido! se non ho neanche il tempo di baciarmi allo specchio!

Devi sapere, Antonietta mia, che ogni tanto io mi bacio allo specchio: quando dico qualche bestialità, per compensarmene, mi bacio; quando sono arrabbiato, per calmarmi, mi bacio; quando mi pare che la bestia uomo trionfi per la sua imbecillità, per congratularmene, mi bacio. E un vizio ormai inveterato, al quale vorrei rinunziare, per non appannare gli specchi, ma non posso. È più forte di me. Quando gli amici miei sono in queste stesse condizioni, gli bacio pure in fronte. E un tributo d’ammirazione.

Ma lasciamo queste sciocchezze. E già troppo tardi, e devo smettere di scrivere.

Addio, Antonietta mia. Salutami tutti, al solito. Attendimi presto. Figurati, come ardo di tornare! A rivederci presto.

Tutto tuo, sempre tuo

Luigi

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Roma, 5 Gennaio 1894

Signorina Antoniuccia,

non metto in dubbio, ch’Ella sia nipote di mio zio il professor Vincenzo tanto Ricci quanto Gramitto; ma io, per dirle la verità, non ho il bene di conoscerla, e me ne duole. Non di meno La prego di recapitare la qui unita lettera alla mia Antonietta, non che Maria.

Ella certamente la conoscerà e saprà quanto io l’ami e quanto ella mi ami. Scusi tanto del disturbo, e mi creda di lei Esimia signorina Antoniuccia devotissimo

Dott. Luigi Pirandello

Antonietta mia,

Dio, che lettera corta m’è arrivata oggi. Davvero non sai quello che devi dirmi? Davvero per scrivermi ti fai violenza? Non è possibile! Non è vero affatto, che Tu non sappia scrivere. Come mai non trovi da dirmi nulla? Chi sa quanti pensieri t’avrà fatto nascere la nostra promessa d’ amore, l’ avvicinarsi del dì, in cui le nostre due vite s’uniranno! Chi sà quanti sentimenti si saranno svegliati nel tuo cuore! e non vuoi dirmeli? Non vuoi dirmi nulla? E se non mi parli di ciò, di che puoi parlarmi? Il tuo cuore è ancora per me un’urna chiusa. Pensa, Tu, com’io sarei felice, se una sola volta almeno, qualche cosa del tuo essere interno mi si palesasse: l’espressione di un pensiero riposto, d’un segreto sentimento. Io non ho ancora intesa la tua parola, l’intimo accento. Tu mi parli di cose esteriori; non mi dici mai nulla di Te, di quel che pensi, di quel che senti. Sono io dunque come un estraneo per Te? Tu ti ripari dietro questa frase – «Non so esprimermi!» Ed io ti rispondo – «Prova! Saprai, purché lo voglia. Se il sentimento detta, la mano scrive. Non c’è bisogno di maestri».

Ma ormai non c’è più tempo. Quando questa lettera ti perverrà, io sarò per partire da Roma, se pure non ne sarò già partito. Tu non potrai più rispondermi. E sia così. Quante lettere t’ho scritte io? Tu ti conosci Tu bene, adesso? Nelle mie lettere ho scherzato sovente: l’amor nostro non ha misteri, non ha ostacoli. Dunque è amor lieto, e io sono stato allegro. Un solo lato della mia indole non ha avuto modo, durante questi giorni del nostro fidanzamento, di mostrarsi a Te.

Spesso, io son triste, e tante volte io stesso non so la ragione della mia tristezza. Mi vien essa dalla terra? mi viene dalla vita? mi viene dal cielo? o dai miei ideali inarrivabili? dalla mia meta che ad ogni passo s’allontana? dai miei sogni in lotta col tempo e con le mie vicende? Io non lo so; forse da tutte queste cose insieme e da molte altre ancora. In me son quasi due persone: Tu già ne conosci una; l’altra, neppur la conosco bene io stesso. Soglio dire, ch’io consto d’un gran me e d’un piccolo me: questi due signori sono quasi sempre in guerra tra di loro; l’uno è spesso all’altro sommamente antipatico. Il primo è taciturno e assorto continuamente in pensieri, il secondo parla facilmente, scherza e non è alieno dal ridere e dal far ridere. Quando questi ne dice qualcuna un po’ scema, quegli va allo specchio e se lo bacia. Io son perpetuamente diviso tra queste due persone. Ora impera l’una, ora l’altra. Io tengo naturalmente moltissimo di più alla prima, voglio dire al mio gran me; mi adatto e compatisco la seconda, che è in fondo un essere come tutti gli altri, coi suoi pregi comuni e coi comuni difetti.

Quale dei due amerai di più, Antonietta mia?

In questo consisterà in gran parte il segreto della nostra felicità.

Ora addio, Antonietta mia. Porgi a tutti i miei saluti. Felicita per parte mia Peppino della laurea ottenuta.

E Tu amami sempre quanto ti ama il sempre tuo

Luigi

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