Lazzaro – Atto Terzo

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Premessa
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Atto Terzo

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Lazzaro - Atto III

1929
Lazzaro>
Atto Terzo

        La stessa scena del secondo atto, pochi momenti dopo.

        Al levarsi della tela si rivedrà il quadro finale dell’atto precedente, e cioè gli stessi personaggi nella stessa posizione e nello stesso atteggiamento. Man­cano soltanto Diego Spina e Lucio. Poco dopo, Lucio scenderà dalla scala a destra e tutti si volteranno a guardarlo, ansiosi.

        LUCIO: S’è chiuso dentro.

        LIA: L’hai chiamato?

        LUCIO: Ho tentato di farmi aprire.

        MONSIGNORE: Non ha voluto?

        LUCIO: No.

        DEODATA: Non t’ha nemmeno risposto?

        LUCIO: Alla mia insistenza, ha gridato: «Vattene!». Pausa.

        GIONNI (in apprensione): Vada su, vada su, tenti lei, Monsignore!

        LUCIO: No, Monsignore. Dal tono con cui m’ha imposto d’andarmene, è certo che in questo momento respingerebbe anche lei. Non vada. (Pausa.)

        MONSIGNORE: È terribile. Pausa.

        LUCIO: Forse è bene che misuri da solo quest’abisso della sua fede. E Dio al­lora risorgerà in lui.

        MONSIGNORE (urtato, severo): Dio? Quale Dio vuoi che risorga più in lui?

        LUCIO (semplice): Quello che è in tutti noi, Monsignore, per cui siamo in piedi.

        MONSIGNORE (voce da pulpito, ma sincera): In piedi? Ma come, in piedi? Non vedi? Coi ginocchi che tremano dal terrore? E quella tua sorellina là – guar­dala! – non è in piedi. Fai mancare a tutti la terra, apri l’abisso e dici in piedi? Guarda là quella donna! (Indica Deodata.) Guarda quel vecchio! (In­dica Cico.)

        CICO (tutt’un fremito): Lasci star me, lasci star me, Monsignore! Basta col suo Dio! (Si strappa dal capo il berrettino rosso e lo scaglia a terra.) Ho il mio diavolo, io, che d’ora in poi non me lo gabba più nessuno! (Raccatta da terra il berrettino e se lo ricalca in testa.) Basta! – E non dica vecchio! Vecchio, un corno! (Voltandosi di stacco a Deodata:) Deodata, mi vuoi? Ti sposo io! (Corre ad abbracciarla.) Ti sposo io, ti sposo io, Deodata!

        DEODATA (divincolandosi, mentre il notajo Marra ride a crepapelle, e ride anche, ma d’un altro riso, quasi involontario, Lia): Levati, lasciami, pazzo!

        CICO (senza lasciarla, frenetico): Ti sposo qua, ora stesso, senza né legge né sagramenti, come i cani! E vedrai che godere non è peccare!

        MONSIGNORE (imponendosi, mentre il donni, accorso, respinge Cico con una manata sul petto): Basta, Cico!

        DEODATA (c.s.): Ma sarai tu cane! Lasciami!

        GIONNI: Lasciala!

        CICO (rivoltandosi contro il Gionni): Chi vi c’immischia, voi?

        GIONNI: Non siamo bestie; siamo uomini!

        MONSIGNORE (al notajo Marra, che seguita a ridere): E voi smettete di ridere, notajo! – Non impazziamo! Intanto Lucio si sarà coperto il volto con la mano.

        GIONNI (al notaio): Pensate che di sii vi può sentire! E siete stato proprio voi…

        MARRA: Senza volerlo, scusate! Ignorando che non ne sapesse nulla…

        GIONNI (a Monsignore): E io ch’ero corso qua a prevenire il figlio! Ma potevo mai supporre che proprio oggi, venendo per la prima volta – (immaginavo per parlare con lui)(indica Lucio) – dovesse portare il notajo?

        MARRA: Eh, volendo stendere l’atto di donazione del podere…

        GIONNI: Bravo! A saperlo! Ho creduto, ripeto, che venisse per persuadere il fi­glio a non dargli il dolore di quest’abiura…

        MARRA: No, no: intendo dire che per forza sarebbe venuto a sapere. Deve fir­mar l’atto. E come potevo farglielo firmare, se figura morto allo Stato Civile? Credevo che lo sapesse; e allora, ridendo, gli domando: «Oh, a proposito, vi siete fatto cancellare dal registro dei morti?». Vedo Monsignore farmi subito un atto, e lui sbiancarsi in viso e aggrottare le ciglia…

        GIONNI (a Monsignore): Ma lei non tentò? –

        MONSIGNORE: – tentai; ma lui (indica il Notajo) senza capire –

        MARRA: – dica senza poter supporre! –

        MONSIGNORE: – si mise a parlare del vostro miracolo…

        MARRA: – Ma tutta questa impressione, poi, dico la verità… – Sì, capisco, ve­nirlo a sapere così di colpo… – Ma, dopo tutto, se fosse capitato a me… Morto, sia pure… – mezz’ora (quant’è stato?) tre quarti d’ora… Però, se ora mi tocco e posso dire: «sono vivo…».

        MONSIGNORE (ergendosi, severo): Vi pare che possa bastare? Vivo? (Staccando le sillabe:) Ma come, vivo?

        MARRA: Eri, vivo… non lo vorrà negare! importa come?

        MONSIGNORE: Importa sopra ogni cosa!

        MARRA: Lo sa qua il dottore, come; e lo sappiamo tutti.

        MONSIGNORE: Ma non siamo qua per vivere soltanto, noi! E l’altra cosa che dobbiamo far tutti – morire – è tal cosa che – voi l’avete veduto – non sa­perne nulla, non poterne dir nulla, importa questo: sentire subito come spenta la vita, e restare annientati. (Pausa.)

        DEODATA (nel silenzio): La disperazione. (Pausa.)

        CICO (nel silenzio): La sua anima, appena uscita dal corpo, doveva comparire davanti alla Giustizia Divina. Non è comparsa. Che vuol dire? Non c’è giustizia divina. Non c’è nulla di là. (Pausa.) Addio chiesa, Monsignore! Addio fede!

        Pausa.

        LIA (nel silenzio, con una vocina chiara, in cui quasi sorride per troppo tre­more l’angoscia d’una disperata necessità): Bisogna che Dio ci sia anche di là.

        LUCIO (come trasfigurato in un impeto di commozione divina): Sì, Lia, c’è! So­rellina mia, c’è – sì – ora sento che c’è – ci dev’essere, ci dev’essere! – Sì, Monsignore: ridare le ali a cui sono mancati i piedi per camminare sulla terra! – C’è! C’è! – Ora intendo e sento veramente la parola di Cristo: CARITÀ! Perché gli uomini non possono star tutti e sempre in piedi, Dio stesso vuole in terra la sua Casa, che prometta la vera vita di là; la sua Santa Casa, dove gli stanchi e i miseri e i deboli si possano inginocchiare, e tutti i dolori e tutte le superbie inginocchiare! Ecco, Monsignore, così, (s’inginocchia) davanti a Lei, ora che mi sento degno di nuovo di rindossar l’abito per il divino sacrifi­cio di Cristo e per la fede degli altri!

        MONSIGNORE (chinandosi e posandogli le mani sul capo): Figlio mio benedetto, ecco che Dio dalla mente ti ridiscende nel.cuore!

        DEODATA (giojosa e stupita): Rindossa l’abito?

        CICO (quasi feroce): Ma il fatto? ma il fatto?

        MONSIGNORE (ancora curvo su Lucio): Che fatto?

        CICO: Di lui sii, che ritornato in vita, non sa nulla di là?

        MONSIGNORE: E chi t’ha detto che Dio conceda di sapere a chi ritorna di là? Tu devi credere e non sapere!

        LUCIO (rialzandosi): In Dio non si muore!

        S’avvia, raggiante, alla scala a destra per andar sii a rindossare il suo abito sacerdotale. Sara che ha ascoltato tutto, nascosta, a questo punto apre la porta a sinistra e si mostra tutta tremante di commozione. Chiama il dottor donni.

        SARA: Dottore, dottore… Tutti si voltano stupiti.

        GIONNI (avvicinandosi): Ah, lei, signora? Era di là?

        SARA: Sì. Come lui aveva voluto.

        GIONNI: Lucio?

        SARA: Sì. Perché gli dessi forza… ma l’ha trovata, l’ha trovata in sé lui stesso, la forza di compiere il sacrifizio –

        GIONNI: – per la salvazione del padre. Forse ora su, come lo vedrà rivestito –

        SARA: – sì, sì: tremo tutta, mi vede… Ora non ha più bisogno di me, e io mene posso andare. Gli dica che lo benedico per quello che fa. Nessuno più di me può sapere che cosa sia. M’ha parlato della vita: come la sente! come la sente! come la vivrebbe! – Ci rinunzia. Va a rimorire nel suo abito.

        GIONNI: Ha detto egli stesso che in Dio non si muore.

        SARA: Sì. E così è vero, ecco, così è vero che anche in terra ci sono i santi.

        MONSIGNORE: Per riaccendere nel bujo della morte il divino lume della Fede, che è carità per tutti quelli a cui fu negato ogni bene nella vita.

        DEODATA: Avrebbe potuto mantenerlo acceso in sé questo lume, senz’aspettare di veder la morte e la disperazione di suo padre e di noi tutti.

        MONSIGNORE: E voi non avreste allora veduto questo richiamo di Dio in lui e la necessità della Fede.

        CICO (irritatissimo): Ma non dite altre parole, non dite altre parole! A me basta soltanto quello che Lei ha detto poco fa; che Dio può non concedere di sa­pere a chi ritorna di là: ecco, questo. (E subito, sotto sotto, come se vera­mente in lui parlasse un altro:) Benché potrebbe concederlo e farci sapere, visto che c’è uno ch’è ritornato!

        MONSIGNORE: Finirebbe la vita…

        CICO: Perché finirebbe?

        MONSIGNORE: Perché la vita è a patto che tu la viva appunto senza sapere, solo credendo. Guaj a chi crede di sapere! Dio solo sa tutto e l’uomo davanti a Lui deve chinare la fronte e piegare i ginocchi.

        Si ode a questo punto dall’alto, ma rintronante nel fondo della scena a sini­stra, il fragore d’una fucilata. – Restano tutti allibiti. – La prima impressione è che Diego Spina si sia ucciso. Tutti si voltano a guardare in su, verso la scala.

        DEODATA: Oh Dio, ch’è stato?

        CICO: S’è ucciso! s’è ucciso!

        LIA: No, papà, papà! Correte! Correte!

        MONSIGNORE: C’è su Lucio! Possibile?

        GIONNI (trattenendo Cico): Ma no, il colpo è rintronato di qua! (Accenna in fondo a sinistra.)

        E dal fondo a sinistra appare difatti Arcadipane, tutto stravolto, ferito alla testa di striscio, con le mani insanguinate sulla tempia manca. – Sara, ap­pena lo vede, dà un grido e corre a lui, atterrita. Parlano tutti simultanea­mente.

        SARA: Ah! Tu? Chi è stato? Che t’hanno fatto?

        MONSIGNORE: È stato lui?

        ARCADIPANE: M’ha tirato. Dalla finestra. Non è niente! Non è niente! Qua, di striscio.

        GIONNI: Fate vedere! Fate vedere!

        MARRA: È impazzito? Dopo tant’anni?

        LIA: Che è stato? Che è stato?

        DEODATA: Tuo padre! Gli ha sparato dalla finestra!

        CICO: Ha voluto ucciderlo!

        SARA (al Gionni che osserva la ferita): Che cos’è, che cos’è, dottore?

        GIONNI: Niente, proprio niente, per fortuna! Appena una scalfittura! Ma vien giù dalla scala a precipizio Diego Spina, come un pazzo, ancora armato di fucile, con Lucio rivestito dell’abito talare, che cerca di trattenerlo. Scattano gridi simultanei d’orrore, di terrore, di richiamo, di supplicazione.

        – Ah Dio, eccolo! – No! No!

        – Papà! Papà!

        – Dio di misericordia!

        – Trattienilo, Lucio! Trattienilo!

        Ed è in tutti quella perplessità tra il coraggio e la paura, se lanciarsi a di­sarmarlo o schermirsi dalla mira; mentre Diego Spina cerca col fucile im­bracciato Arcadipane, gridando a Lucio da cui s’è svincolato:

        DIEGO: Lasciami! (E agli altri:) Fate largo! largo! Prima l’uccido; poi m’arre­sterete!

        SARA (lasciando Arcadipane e facendoglisi incontro): Chi uccidi? Perché vor­resti ucciderlo?

        LUCIO (accorrendo a ripararla): No, mamma!

        E contemporaneamente Arcadipane, divincolandosi tra quelli che cercano di trattenerlo e ripararlo:

        ARCADIPANE: No, che fai, Sara? Lasciatemi!

        Ma alla sfida di Sara, Cico ha spiccato un salto e s’è buttato sul fucile spia­nato; l’ha fatto abbassare e ha afferrato alla vita Diego Spina, che tenta li­berarsene, dibattendosi. Seguitano a parlar tutti simultaneamente.

        CICO: Fermo! Siete pazzo?

        DIEGO: Ah cane! Levati! (A Sara:) No, non te! Via tu! Lui! Lui!

        SARA: Ma ucciderai me prima!

        MONSIGNORE: Bravo, Cico! Tienilo, tienilo forte!

        GIONNI (accorrendo): Per carità, signor Spina!

        MARRA: (c.s.): Dite sul serio, dopo tant’anni?

        DEODATA: Qua c’è sua figlia! c’è sua figlia!

        LIA: Papà! Papà mio!

        DIEGO (seguitando, rivolto a Sara poi agli altri, la sua battuta): Non deve più vivere! Non deve più vivere! Lasciatemi!

        SARA (c.s.): Ma sì, lasciatelo! Sono qua io! Lascialo, Cico! Voglio vedere che vuol fare!

        ARCADIPANE: Non lo cimentare, Sara!

        SARA: Aspetta tu là!

        LUCIO: Mamma!

        SARA (a Lucio): E tu levati! Lasciatelo parlare con me! (A Diego:) Che vuoi fare?

        DIEGO: Non lo so! Non lo so! Posso far tutto!

        SARA: Tu non puoi far nulla!

        DIEGO: Tutto! Tutto!

        SARA: Perché non ti credi più tenuto da Dio –

        CICO: Vi teniamo noi!

        SARA: – diventi bestia e uccidi? ma neanche le bestie uccidono così!

        DIEGO: Non ho più ragione, più ragione di nulla! Posso far tutto! (A Cico che non lo lascia, cedendo l’arma, con uno scatto di tremenda esasperazione:) Prenditi il fucile, lasciami! (Cico lo lascia, tenendosi il fucile.) Ecco, sono di­sarmato: arrestatemi! È là ferito. Ho voluto ucciderlo, sì; appena l’ho visto dalla finestra, qua sulla terra, sulla terra –

        SARA: – aspettava me, per andarcene –

        DIEGO: – no! dico sulla terra, dove sono caduto da tutta quella menzogna lassù… La terra… le cose… tu che ci sei rimasta con lui… Ah ma ora no, sai? ora no! ora no…

        E di nuovo si lancia, per prenderla; ma è subito di nuovo trattenuto; come di là Arcadipane che a sua volta si lancia; e di nuovo tutti parlano simultanea­mente. cico (di qua, attorno a Diego Spina con Monsignore e il Marra): Ancora? Ah non vi lascio più!

        MONSIGNORE: Non vi basta quello che avete fatto?

        MARRA: Quest’è pazzia!

        DIEGO: Né io né lui! Non posso più tollerarlo! Né io né lui! Sì, sì, sono pazzo!

        ARCADIPANE (tra Sara, Lucio e Deodata che lo trattengono): Guaj a voi se v’at­tentate a toccarla! Ah vorreste ora riprendervela?

        SARA: No, tu no! Tu sta’ qua! Basto io! basto io!

        LUCIO: Lasciatelo dire! Consideratelo!

        DEODATA: Non è più lui! Non è più lui!

        DIEGO (seguitando, rivolto a quelli che trattengono Arcadipane): Ma sì, lascia­telo! M’uccida, m’uccida, è meglio! Ne ha il diritto: io ho voluto uccidere lui! Tutti i delitti, e anche questo! Tanto, non si paga nulla, se tutto si paga qui! La carcere? È tutta carcere, carcere senza scampo! Di là non c’è nulla! Lo so io! (Di scatto, al Gionni:) Dottore, vi siete divertito a pungermi il cuore, come un coniglio?

        GIONNI: Ma è stata la vostra figliuola – guardatela!

        LIA (straziata): Papà, papà mio!

        DIEGO (buttandosi sulla sediolo di Lia): Figlia mia, figlia mia, perché l’hai fatto? per farmi vedere questo scempio, questo scempio che ho fatto di te? (Rialzandosi e rivoltandosi al Dottore:) Ma voi che lo sapevate, tutto que­st’orrore che mi sarei trovato davanti, riaprendo gli occhi, come vi siete prestato? Perché io sono stato morto – voi lo sapete – l’avete visto tutti, – morto, – morto, – l’avete visto anche voi, Monsignore!, – morto, – e un altro medico – non lui – un altro medico ha accertato la mia morte e steso l’atto di morte – e poi lui m’ha rimesso in vita, come un coniglio – e io non ho saputo nulla, e non so nulla, non so nulla, Monsignore! Fallimento, fallimento, se era bottega! Lo posso gridare a tutti: fallimento: io che lo so! O se è fede sincera come la mia, perdetela! perdetela!

        MONSIGNORE: Ma vostro figlio – guardate – l’ha riacquistata!

        DEODATA: Ha rindossato l’abito, guardi, ha rindossato l’abito!

        MONSIGNORE: Di nuovo nella luce di Dio!

        DIEGO (a Lucio, restando): Tu?

        LUCIO: Sì, padre.

        SARA: Per te!

        MONSIGNORE: Per tutti!

        DEODATA: Sì, per tutti noi, per tutti noi, per questa sua sorellina!

        DIEGO: Ma come? ora? ora ch’io so…?

        CICO: No, no: voi non sapete nulla! Dio può non concedere di sapere a chi ri­torna di là! Non è prova la vostra! non è prova!

        DIEGO: Come non è prova? Morto, l’anima mia, l’anima mia, dov’è stata, nel tempo che sono stato morto?

        LUCIO (semplice e dolce): In Dio, padre. La tua anima è Dio, padre; e tu dici tua: è Dio, vedi? e che puoi tu sapere della morte, se Dio ora, per un suo mi­racolo –

        DIEGO: – un suo miracolo? – ma se è stato lui! (Indica il dottor donni.)

        LUCIO: – non lui! credi che tutti i morti possano risuscitare per opera d’un me­dico? Riconosce lui stesso eh’è stato un miracolo!

        DIEGO: Sì: della sua scienza!

        LUCIO: Se l’anima nostra è Dio in noi, che vuoi che sia la scienza e un suo mi­racolo, se non un miracolo di Lui quand’Egli voglia che si compia? e che puoi tu sapere della morte, se in Dio non si muore, ed Egli ora è di nuovo in te, come ancora in tutti noi, qua, eterno, nel nostro momento che solo in Lui non ha fine?

        DIEGO: Tu, ora mi parli così? tu? tu, per cui io…?

        LUCIO: Sì; perché tu risorga dalla tua morte, padre. Vedi? tu avevi chiuso gli occhi alla vita, credendo di dover vedere l’altra di là. Questo è stato il tuo ca­stigo. Dio t’ha accecato per quella, e ti fa ora riaprire gli occhi per questa che è Sua, perché tu la viva – e la lasci vivere agli altri – lavorando e soffrendo e godendo come tutti.

        DIEGO: Io? E tua sorella? E tu? Ho voluto… ho voluto uccidere… e tutto il male che ho fatto…

        LUCIO: Me l’assumo io, padre, e lo riscatto! Se ora questo tuo male io l’accetto, e lo sento, lo sento come un bene, come un bene per me, questo è Dio, vedi? questo è Dio, Dio che ti vede coi tuoi stessi occhi, e vede quello che fai, quello che hai fatto, e quello che ora devi fare.

        DIEGO: Che debbo fare? che debbo fare?

        LUCIO: Vivere, padre: in Dio, nelle opere che farai. Alzati e cammina, cam­mina nella vita. E lascia, lascia a quest’uomo (indica Arcadipane) la sua donna; lascia a questa madre la sua figlia. Ma tu non devi aspettare, Lia, sento, sento che tu non devi aspettare, sorellina mia, ch’io ritorni a far can­tare per te l’organo in chiesa, in gloria dei cieli. (Si rivolge alla madre:) Mamma, mamma, chiama la tua figlia!

        SARA (trasfigurata, come per riflesso, dalla divina esaltazione del figlio: ten­dendo le braccia a Lia): Figlia! Figlia mia!

        LIA (sorgendo ed richiamo della madre dalla sua sediola e accorrendo a lei sulle gombine ancora incerte): Mamma! Mamma! Lucio è come in una luce divina.

        CICO: Ecco il miracolo! il miracolo! (E cade in ginocchio.) Cammina… cam­mina…

        Anche gli altri, sbcdorditi di gioja, accennano con le labbra la parola: Miracolo.

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