1929 – Lazzaro – Mito in tre atti

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Assistiamo nel dramma a uno svolgimento che ci porta da una condizione di assoluta immobilità (mancanza completa di comunicazione, di comprensione e, in ultimo, di vita) a una situazione di evoluzione, in cui sono gettati i germi per uno sviluppo positivo. 

STESURA febbraio – aprile? 1928
PRIMA RAPPRESENTAZIONE 7 dicembre 1929 – Torino, Teatro di Torino, Compagnia Marta Abba; prima rappresentazione assoluta il 9 luglio 1929 al Royal Theater di Huddersfield nella traduzione inglese di C.K. Scott Moncrieff.

Approfondimenti nel sito:
Sezione Tematiche – Giovanni Fighera – Lazzaro – La risposta che il «pirandellismo» non contempla”
Link esterni
Circolo Culturale Albatross – Lazzaro

Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

««« Elenco delle opere in versione integrale
««« Introduzione al Teatro di Pirandello

Lazzaro
Immagine dal Web.

Premessa

        Fa parte dei tre miti che segnano la produzione finale di Pirandello. Fu composto nel ’28 e fu rappresentato per la prima volta in Italia a Torino nel dicembre del ’29; la prima assoluta era avvenuta in lingua inglese a Huddersfield nel luglio del ’29.

        Diego Spina vive un’esistenza grigia e senza slanci a causa di una fede negativa che lo tiene lontano dalle gioie della vita. La moglie Sara lo ha abbandonato appunto per questa mortificante visione, nella quale Diego Spina coinvolge anche i due figli, per unirsi a un fattore, Arcadipane, e andare a viver con lui in campagna.

        Diego Spina muore ma è riportato in vita da un’iniezione; si rende conto allora che dopo la morte c’è il nulla; non si riceve nessun compenso per le rinunce fatte durante l’esistenza.

        Inutile, dunque, la sua inerzia, non certo perdono, di fronte al tradimento della moglie; Diego Spina, il Lazzaro risuscitato, si vendica ora dell’affronto subito tanti anni prima e ferisce Arcadipane. Il figlio Lucio, invece, che era entrato in seminario psicologicamente sospinto dal padre e dalla sua triste fede, è ora in crisi religiosa e, dalla morte e «resurrezione» del padre, matura una religiosità diversa da quella oscura e livida della rinuncia, per riconoscere il Dio immanente, l’«eterno presente della vita».

        La madre Sara, questa Lady Chatterley campagnola e sanamente contadina («Io lo so che ce l’ha data Dio, anche questa carne, perché la vivessimo, qua, in salute e letizia»), ha permesso la trasformazione al positivo nell’animo di Lucio. Il mito di questo testo consiste, dunque, nel vivere senza ombre né eccessi la sacralità dell’esistenza.

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