Prima pubblicazione: Amori senza amore, Roma, stabilimento Bontempelli editore, 1894. «Egli vedeva quasi in ogni oggetto il consiglio, il gusto, la previdenza di lei. Ella aveva consigliato quella disposizione alla mobilia del salotto; ella aveva suggerito la compera di questo e di quell’oggetto, utilissimi ed eleganti. S’era messa al posto della sposa lontana e aveva reclamato per lei tutti quei comodi, a cui un uomo, per quanto innamorato, non avrebbe potuto pensare.» |
Novella dalla Raccolta “Appendice” (1938)
Approfondimenti nel sito:
Sezione Teatro – L’amica delle mogli – 1926/1927
L’amica delle mogli – Audio lettura 1 – Legge Gaetano Marino
L’amica delle mogli – Audio lettura 2 – Legge Giuseppe Tizza
L’amica delle mogli – Audio lettura 3 – Legge Valter Zanardi
5. L’amica delle mogli – 1894
I. Pareva ad alcuni amici, e tra questi a Paolo Baldìa, che la signorina Pia Tolosani fosse un po’ affetta di quella vaga malinconia che suol derivare dalla troppa lettura, quando si sia preso l’abito d’adattar le pagine spesso bianche della propria vita sulla falsariga di quelle stampate in qualche romanzo; ma ciò senza molto scapito della propria spontaneità, stimava Giorgio Dàula, altro amico. Del resto, quella malinconia era compatibilissima, e poteva anche parere più che sincera in una signorina previdente, già sui ventisei anni, la quale sappia di non aver dote, e veda i propri genitori ormai avanzati in età. Così finalmente la scusava Filippo Venzi, avvocato.
Nessuno dei giovanotti che frequentavano il salotto dei Tolosani s’era mai spinto a fare un po’ di corte alla Pia, ritenuto dalla confidente amicizia del padre e dalla bontà taciturna della madre, o dal soverchio rispetto ch’ella imponeva, chiusa nel compito che pareva si fosse prefisso, di tagliar corto in lei a qualunque atto o frase, che avesse lontanamente aria di civetteria. Eppure questo ritegno s’adornava della più leggiadra disinvoltura, della più squisita cortesia sposata a una cert’aria di confidenza benevola, che toglieva subito d’impaccio ogni nuovo venuto; eppure vedevan tutti in lei la mogliettina saggia e intelligente, ed ella stessa pareva mettesse soltanto tutto il suo studio, anzi tutta se stessa, nel dimostrare che la sarebbe stata veramente, ove qualcuno alla fine si fosse deciso, però senza pretender da lei alcuna spinta, non uno sguardo, non un sorriso, non una parola in anticipazione.
Ammiravan tutti la lindura di quella casa curata in ogni minuzia dalle mani candide di lei; notavan tutti la semplicità e il buon gusto che vi regnavano; ma nessuno sapeva decidersi, quasi sentendo che lì dentro si stava già abbastanza bene così, ammirando e conversando amichevolmente, senz’altro desiderare.
Pia Tolosani, per altro, non mostrava preferenze per nessuno. «Ella forse sposerebbe me, come chiunque altro dei frequentatori», pensava ognuno. E bastava anzi, che qualcuno tentasse di farsi un po’ avanti nelle sue grazie, perché ella se ne allontanasse con misurata freddezza, come se non avesse voluto dar campo alla più innocua diceria.
Era così sfuggito al sospirato giogo di lei Filippo Venzi, adesso ammogliato, e prima del Venzi altri due aspiranti in segreto. Era poi venuta la volta di Paolo Baldìa.
– E innamorati! Sei sciocco davvero! – aveva detto a quest’ultimo Giorgio Dàula, suo intimo amico e amico di vecchia data dei Tolosani.
– Caro, mi secca! – gli aveva risposto il Baldìa, sempre annoiato. – Ho fatto due volte pessima prova.
– Tenta una terza, che diamine!
– Di chi vuoi che m’innamori?
– Oh bella! Di Pia Tolosani.
Così, per condiscendenza, il Baldìa ci s’era quasi messo. Se n’era accorta Pia Tolosani? Giorgio Dàula sosteneva di sì, sosteneva anzi, che per nessun altro, nemmeno pel Venzi, ella s’era tradita tanto, quanto adesso per lui.
– Ma che tradirsi! È impassibile! – esclamava il Baldìa.
– Baje! Vedrai. Per altro, questa impassibilità è per te affidamento, se devi sposarla.
Scusa, perché non la sposi tu?
– Perché io non posso, lo sai! Così lo potessi come lo puoi tu…
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II. Tutt’a un tratto il Baldìa era partito da Roma pel suo paese natale. Quella sparizione era stata commentata in tutti i modi in casa Tolosani. Dopo circa un mese ritornò.
– Ebbene? – gli domandò il Dàula incontrandolo, per caso, in gran faccende.
– Ho seguito la tua prescrizione. Sposo!
– Dici sul serio? Pia Tolosani?
– Ma che Pia Tolosani! Una di laggiù, del mio paese…
– Ah, birbone! La tenevi in pectore?
– No, no – rispose ridendo il Baldìa. – Una storia molto semplice. Mio padre mi fa una proposta: «Hai il cuore a spasso?». Rispondo: «L’ho a spasso!». Veramente l’avevo così e così… Basta. Non accetto e non rifiuto; dico: «Lasciatemela vedere; bisogna prima di tutto che non mi faccia antipatia». Non me n’ha fatta. Buona ragazza, buona dote… insomma ho accettato, ed eccomi qua! Oh di’, debbo andare stasera dai Tolosani? Oggi è giovedì, se non mi sbaglio.
– Certamente… – rispose il Dàula. – Anzi, per convenienza, dovresti annunziare…
– Sì, sì… ma io… Non so, mi trovo in una posizione… Non ho mai detto nulla alla signorina Pia, capisco; tra me e lei non è avvenuto mai nulla, e tuttavia… Tu intendi, è una mia impressione…
– Bisogna vincerla! Faresti peggio non andando…
– Avrei una scusa: ho tanto da fare! Edifico il nido…
– Sposi presto?
– Eh sì! Le cose lunghe diventano serpi… Presto, fra tre mesi! Ho già la casa in via Venti Settembre. La vedrai! Oh, ma sto per perderci la testa… Figurati! metterla su di tutto punto…
– Vieni stasera?
– Verrò, non dubitare.
E la sera difatti andò in casa Tolosani.
Il salotto era più del solito affollato. Parve al Baldìa che tutta quella gente fosse venuta a posta per impacciarlo maggiormente. «Come si fa», si diceva, «ad annunziare un matrimonio?» Avrebbe già potuto farlo due volte, rispondendo alle domande che gli erano state rivolte intorno al suo viaggio e alla sua assenza; invece aveva dato delle risposte vaghe, arrossendo. Sul tardi alla fine si decise, cogliendo l’occasione delle gran faccende, che uno degli intervenuti protestava d’avere in quei giorni.
– Ne ho di più io, mio caro! – fece il Baldìa.
– Lei? – disse ridendo la signora Venzi. – Ma se lei non fa mai nulla!
– Come, nulla! Metto su casa, signora Venzi.
– Prende moglie?
– Prendo moglie… pur troppo!
Fu una sorpresa generale. Le domande fioccarono, e Giorgio Dàula aiutò un poco il Baldìa a rispondere a tutti.
– Ce la farà conoscere, non è vero? – gli domandò a un certo punto la signorina Pia.
– Senza dubbio! – s’affrettò Paolo a rispondere. – Sarà per me una fortuna!
– È bionda?
– Bruna.
– Ha qualche ritratto di lei?
– Non ancora, signorina… Mi dispiace.
Si parlò della casa prescelta, delle compere fatte e da fare, e il Baldìa si mostrò avvilito, nell’imbarazzo, per l’angustia del tempo e le difficoltà dell’arredo. Allora, la signorina Pia, da se stessa, si offrì di venirgli in ajuto con la madre, specialmente per la scelta delle stoffe da tappezzeria.
– Non son cose per lei. Lasci fare a noi. Lo faremo con piacere. Ed egli accettò, ringraziando.
Appena usciti dalla casa, il Dàula gli disse:
– Ora ti sei messo in buone mani. Vedrai come ti tòrrai subito d’imbarazzo. Compra pure tutto ciò che sceglie la signorina Pia: farai sempre buona compera! Ha fatto così anche Filippo Venzi, e se ne loda ancora. Ella ha il gusto e il tatto che ci vuole, e anche l’esperienza, poverina! Questa è già la terza volta che si presta… Pensa per gli altri, poiché nessuno vuol pensare a lei! Che bel nido saprebbe ella edificarsi! Gli uomini sono ingiusti, mio caro. Se io fossi in condizione da prender moglie, non andrei mica a scegliermela tanto lontano…
Il Baldìa non rispose. Accompagnò a casa il Dàula, poi passeggiò fino a tarda notte per le vie deserte di Roma, fantasticando.
Giusto lei, giusto lei doveva aiutarlo a metter la casa, che sarebbe servita per un’altra! E s’era offerta lei, così, con l’aria più semplice e naturale del mondo… Dunque, non le era importato proprio nulla, che lui… E lui che aveva creduto… che aveva arrossito…
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III. – Spicciati, suvvia, mamma! Son già le dieci – disse Pia, che già dava l’ultimo colpo di pettine ai capelli, esaminando l’acconciatura nella specchiera a tre lastre sul cassettone.
– Piano piano, figlia – rispose placidamente la signora Giovanna. – Le botteghe non scappano mica dal Corso! A che ora verrà a prenderci il Baldìa?
– Tra breve. Ha detto circa alle dieci. Cioè, gliel’abbiamo detto noi.
– Eh, ma se tu soffri tanto…
– No, è passato. Gli occhi, piuttosto; guarda: son molto rossi?
– Un po’ rossi. Son anche gonfi.
– Mi riduce ogni volta così, questo mal di capo! Ecco, suonano alla porta. Sarà lui!
Era invece la signora Anna Venzi con gl’immancabili due bambini e la serva. Quelle due creaturine pallide e trascurate eran cagione a Pia di costante afflizione. Ella non aveva ancora potuto indurre la madre ad acconciar quei bimbi con maggior gaiezza e disinvoltura, e n’era quasi disperata. Quelle brachette lunghe, quei capelli lisciati, stirati, quelle gambette troppo calzate la facevan davvero soffrire. Anna, che pur seguiva servilissimamente ogni consiglio di Pia, era rimasta nell’esercizio della maternità zotica e ostinata. Invano Pia s’era rivolta al marito di lei: Filippo chiudeva gli occhi o scrollava malinconicamente le spalle:
– Sì, lo vedo; ma se sua madre… Io ho da pensare ad altro, signorina! Anna veniva per assistere alle compere del Baldìa, spinta da curiosità non
scevra forse d’invidia. Alla curiosità e all’invidia s’univa fors’anche una punta di gelosia non ancor ben definita, presentendo ella quasi, che Pia avrebbe avuto in avvenire più comunione d’intendimenti con la nuova sposa, anziché con lei.
Da tant’anni a Roma, ella non aveva saputo contrarre alcuna amicizia, eccetto questa coi Tolosani, ai quali era stata presentata dal marito pochi giorni dopo il suo arrivo alla Capitale. Anna era allora molto sciocca, senza veruna pratica della vita, né modi, né garbo. Incomprensibile veramente come Filippo Venzi, giovine colto e intelligente, avvocato dei più cospicui del foro romano, avesse potuto sceglierla e tòrla in moglie. Non era neppur bella, santo Dio! Gli amici s’eran confidata la loro delusione; ma nessuno mai intuì, tranne forse Filippo stesso, quel che aveva provato in vederla Pia Tolosani. «Come! Per quella lì?» Le aveva fatto tuttavia la più festosa accoglienza, e con l’andar del tempo aveva assunto quasi un’aria di protezione per lei di fronte al marito. Perché il Venzi, poco dopo il matrimonio, s’era profondamente immalinconito, e in verità, nessuno degli amici stimava gliene mancasse il di che. Pia Tolosani cominciò anche a far da maestra ad Anna, e in breve la sua compagnia divenne per questa addirittura indispensabile. Ella le sceglieva la stoffa degli abiti, ella le indicava la sarta e la modista, ella le aveva insegnato a pettinarsi in men goffa maniera, ella a curar la casa e ad arricchirla man mano di tutte quelle minuterie leggiadre che sanno trovar le donne per comporsi il nido. Metteva in tutto ciò il più vivo impegno. Ed era andata anche più in là.
Anna scioccamente le narrava, volta per volta, tutto ciò che le avveniva col marito, i più lievi dissapori, i malintesi. E allora Pia s’era anche prestata a comporre con molto tatto le prime liti, così, senza mai comparire, spuntando a parte la stizza d’entrambi, dando ad Anna savi consigli e ammonimenti di prudenza, di pazienza…
– Tu non sai prendere pel suo verso tuo marito! Dovresti far così e così… – le diceva. – Non lo conosci ancora a bastanza. Eh sì, mia cara! Vedi? Egli, a mio avviso, avrebbe bisogno di questo e di quest’altro…
A lui poi faceva scherzosamente la voce grossa, impediva ch’egli si lamentasse o si scusasse:
– Zitto lì! Venzi, ha torto, confessi che ha torto! Povera Anna! È tanto buona… Si sa, un po’ inesperta ancora… E lei, bel tomo, se n’approfitta! Sì, sì; ma già, tutti così voi brutti uomini!
Adesso Anna, dopo tant’anni di quella scuola e di residenza a Roma, era, anche per confessione dei disillusi amici, molto migliorata, è vero; ma lasciava tuttavia non poco a desiderare, specialmente al marito.
– Non ancora vestita? – diss’ella entrando a Pia.
– Ah, sei tu? Brava! Siedi. Hai con te i piccini? Dio mio! E come faremo a condurli con noi?
– No, rimarranno qui – rispose Anna. – La Titti strillava; ho dovuto portarmela per forza. Non sei ancora vestita?
– Vedi che la mamma non si decide? Oggi la mamma fa i capricci. Io ho poi un mal di capo…
– Rimandiamo l’uscita a domani… – propose la signora Giovanna.
– Oh Dio, Anna! – riprese Pia per cangiar subito discorso. – Tirati un po’ su quei capelli! Su, su! Come ti sei pettinata oggi?
– La Titti strillava… – ripetè Anna. – Aggiustameli tu, ti prego. Quando la Titti fa così, io non la posso soffrire, io.
La signora Giovanna uscì dalla camera, e Anna e Pia rimasero a conversar tra loro.
– Dunque il Baldìa s’ammoglia, così, all’improvviso… – cominciò Anna, seguendo con gli occhi Pia che si vestiva.
– Già! È curioso: di tratto in tratto, qualcuno sparisce, e poi torna con la moglie.
– Debbo dirtelo? – riprese Anna. – Io quasi avrei giurato che Baldìa pensava a te; sì, così almeno mi era parso…
– Ma nemmen per idea! – esclamò forte Pia, arrossendo fin nel bianco degli occhi.
– Te lo giuro – continuò Anna con lo stesso tono di voce. – Io così credevo. E anzi dicevo tra me: Quando si decide? A te non importa nulla, lo so… Ma io…
Entrò la serva ad annunziare che il signor Baldìa attendeva nel salotto.
– Va’ tu – disse Pia ad Anna. – Noi siamo già quasi pronte.
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IV. Paolo Baldìa attendeva nel salotto, con viva ansia, Pia. Già si rimproverava d’esser venuto forse un po’ troppo presto. Egli voleva spiare più attentamente nelle parole, nell’atteggiamento di lei, se era arte oppur no l’indifferenza ostentata la sera precedente. Ma forse tra breve, alla vista di Pia, gli sarebbe mancata la lucidezza di spirito necessaria a quell’esame.
Provava fra quelle pareti, ov’egli, fino a poco tempo addietro, aveva per un momento custodito un proposito di innamoramento, ov’egli s’era forse lasciata sfuggire qualche parola lontanamente allusiva, qualche sguardo un po’ espressivo; un senso smanioso di disagio. Frattanto in piedi guardava davvicino i ben noti oggetti appesi e disposti con bell’arte qua e là. L’imagine della promessa sposa, tanto dissimile in tutto da Pia, era in quel momento lontanissima dalla sua mente. Nondimeno egli s’era fermamente proposto d’amarla con sincerità, d’aver per lei le premure più esperte, d’esserle a un tempo maestro e marito: ella, insomma, sarebbe stata, nel gran vuoto fino allora sentito, lo scopo, l’occupazione unica della sua vita. Ma, pel momento, era molto lontana. Lo richiamò a lei Anna Venzi, entrando.
– Verrò anch’io, Baldìa. Anch’io voglio fare qualche cosa per la sua… guarda! non ci ha detto ancora come si chiama…
– Si chiama Elena – rispose il Baldìa.
– Sarà carina… certo…
– Così… – fece Paolo, alzando le spalle.
– Anche a me la farà conoscere, non è vero?
– Certo, signora; con piacere…
Comparve finalmente Pia, acconciata (parve a Paolo) con maggior cura del solito.
– Scusi, Baldìa! L’abbiamo fatto aspettare un po’… Possiamo andare! La mamma è pronta… Cioè, no; aspetti! ha con lei la nota?
– Eccola qui, signorina.
– Benissimo! Possiamo andare. Non ha comprato ancora nulla, è vero?
– Nulla, proprio nulla.
– E allora non sarà possibile comprar tutto in un sol giorno. Basta, vedremo. Non abbia fretta, e lasci fare a noi.
Per via cominciò l’interrogatorio sulla sposina. Paolo, per darsi un contegno, rispondeva superficialmente, affettando indifferenza per l’atto che stava per compiere.
– Ma sa che lei è un bel tipo! – esclamò a un certo punto Pia, come indispettita.
– Perché, signorina? – rispose Paolo, sorridendo. – È la pura verità: io ancora non-la-co-no-sco. Ride? L’avrò veduta laggiù, sì e no, dodici volte. Ma via! avremo tempo per conoscerci… So che è una buona ragazza: mi basta, per ora. Lei vuol saperne i gusti; io non li so…
– E se poi non rimane contenta di noi?
– Non dubiti! Faccia lei; rimarrà contenta.
– Di’ la verità – riprese Pia, rivolgendosi ad Anna. – Tu sei rimasta contenta?
– Io, lo sai, contentissima, io – rispose Anna.
– Ma tuo marito, almeno, non era così antipatico come il Baldìa; scusi, sa! Che vuol dir quest’aria di noncuranza? Si vergogni! Sa che tra breve sarà marito?
– Non son funebre a bastanza? – fece comicamente Paolo.
– Avesse visto Venzi al suo posto! Poveretto, faceva pietà! Sempre sotto l’incubo d’essersi dimenticato di qualche cosa.. E poi, corri di qua, scappa di là; e noi, io e la mamma, dietro: dalla casa, a questo, a quel negozio… Ah, v’assicuro, non se ne poteva più! Ma si rideva… Abbiamo lavorato.
Entrarono in un gran magazzino di stoffe sul Corso Vittorio Emanuele. Due addetti alla vendita si misero subito garbatissimamente a loro disposizione. Anna Venzi guardava con grande stupore delle brutte imitazioni d’arazzi antichi pendenti dalla ringhiera del palco che correva in giro, in alto, l’ampia sala ripiena di stoffe. La signora Giovanna osservava davvicino e tastava delle mostre disposte qua e là sapientemente. Ella non voleva affatto immischiarsi nelle compere del Baldìa.
– Che qualità? Bisogna che me lo dica… – fece a questo Pia.
– Ma io non so… che vuole che ne sappia? – rispose Paolo, stringendosi nelle spalle.
– Mi dica almeno, su per giù, quanto vorrebbe spendere…
– Quanto vuol lei… Mi rimetto a lei completamente. Faccia come… – Si trattenne a tempo; stava per aggiungere: «Come se fosse cosa sua».
– Mamma, Anna! – chiamò Pia per non tradirsi, avendo compreso l’interruzione. – Col Baldìa è inutile parlare. Venite. Per la camera da letto un bizantino, è vero? stoffa alta… qualità fina… Forse un po’ troppo cara, no?
– Non badi al prezzo! – disse Paolo.
– Risparmierebbe sulla quantità: il bizantino è molto alto.
Il negozio durò a lungo: si disputò sul colore ( – Io adoro il giallo! – protestava Anna Venzi), sulla qualità, sulla quantità, sul prezzo… Il giovine di negozio, perspicacissimo, aveva già capito! eh sì! si rivolgeva a Pia solamente:
– No, guardi, signorina; scusi! Faccia vedere al signore…
Paolo, tolto da più d’un mese ai suoi libri, costretto a dare importanza a tante cose, alle quali gli pareva non avrebbe potuto mai darne; s’era già stancato, e guardava sulla via, pensando. – A un certo punto, nel volgersi, vide nella sala le tre donne rider tra loro nascostamente alle spalle del giovine di negozio, che s’era allontanato per riporre nello scaffale una stoffa. Anna specialmente aveva gli occhi pieni di lacrime, e a un tratto la risata le esplose sotto il fazzoletto. Paolo s’appressò, e Anna stava per dirgli la cagione del loro riso, quando Pia la trattenne per un braccio.
– No, Anna! te lo proibisco!
– Ebbene, che male c’è? – fece Anna.
– Nulla, lo so! – rispose Pia; e rivolgendosi a Paolo: – Vuol ridere? Stia qui. Quello sciocco m’ha preso per la sposa!
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V. Paolo Baldìa si riposava un po’ nella sua nuova casa, ormai in relativo assetto, sdrajato sul seggiolone a divano nel suo studio, ov’egli si prometteva d’iniziar tra breve una nuova vita di pensiero e di studi. Attendeva i Tolosani, Filippo Venzi e la moglie, che sarebbero venuti tra poco a visitar la casa. Pensò a un tratto di riesaminarla attentamente, una stanza dopo l’altra, per indovinar l’effetto che avrebbe fatto ai visitatori. Ancora otto o dieci giorni, e il nido sarebbe stato pronto ad accoglierlo con la sposa.
Guardando le tende, i tappeti, la mobilia, godeva nel sentir destarsi in lui il premuroso senso della proprietà. Ma pure, durante quell’esame per la casa, una figura si sovrapponeva costantemente a quella della promessa sposa: Pia Tolosani. Egli vedeva quasi in ogni oggetto il consiglio, il gusto, la previdenza di lei. Ella aveva consigliato quella disposizione alla mobilia del salotto; ella aveva suggerito la compera di questo e di quell’oggetto, utilissimi ed eleganti. S’era messa al posto della sposa lontana e aveva reclamato per lei tutti quei comodi, a cui un uomo, per quanto innamorato, non avrebbe potuto pensare. «Se non avessi avuto lei!…», si diceva Paolo. Ed egli stesso aveva comperato degli oggetti per avere la lode di Pia, prima che quella della sposa; sapendo anzi, in precedenza, che tanti e tanti di quegli oggetti non sarebbero stati compresi e forse mai usati da Elena, ignara e abituata a vivere molto semplicemente. Li aveva dunque comprati per Pia, come se per lei avesse messo casa…
I visitatori finalmente arrivarono. Filippo Venzi non aveva ancora veduto nulla, né della casa né delle compere; Pia e la moglie se lo tolsero subito in mezzo per fargli le opportune spiegazioni. Paolo condusse la signora Giovanna un po’ stanca nel salotto, la fece sedere e spalancò le imposte del largo balcone con la ringhiera di marmo prospiciente sulla via Venti Settembre.
– Ah, è delizioso! – esclamò la Tolosani. – Ella vada pure, Baldìa. Io mi riposo un po’, e poi girerò col mio comodo.
– Grandi progressi! – fece Pia, vedendolo. – Già quasi tutto in ordine! Guardi, Venzi, guardi quelle due mensolette, lì, come sono carine! Ci vogliono due bei vasi d’erba spiovente! Ama i fiori, Baldìa, la sua sposa?
– Credo di sì…
– E allora, subito due vasi da fiori!
– Li comprerò, non dubiti. Ebbene, Venzi che te ne pare della casa?
– Mi piace moltissimo! – rispose Filippo. – Moltissimo! – ripetè volgendosi a Pia.
Anna guardò il marito, poi il Baldìa, e si dispensò dal ripetere le stesse parole. Dalla stanza da pranzo passarono alla camera da letto.
– Lo volevo dire io! – esclamò Pia. – Se li è dimenticati! Dov’è la piletta per l’acqua santa, l’inginocchiatoio?
– Anche l’inginocchiatoio? – osservò il Venzi sorridendo.
– Certo! La sposa del Baldìa è molto divota, è vero, Baldìa? Credete che sieno tutti scomunicati come voi?
– Ed ella prega la sera prima d’andare a letto? – le domandò il Venzi argutamente.
– Se avessi l’inginocchiatoio, pregherei.
Paolo e il Venzi si misero a ridere. Paolo non aveva mai veduto Pia Tolosani così vivace, civettuola quasi.
Decisamente, o ella non s’era affatto accorta di quel primo, tenuissimo tentativo d’innamoramento, o non le era importato proprio nulla ch’egli ne avesse smesso il pensiero. Nell’un caso o nell’altro, quella gaiezza quasi scoppiettante lo stizziva sordamente e quasi lo tentava. E mentre al cospetto di lei il ricordo della promessa sposa impallidiva, svaniva, ella, invece, pareva non si curasse che di questa, non parlava che di questa, come se avesse voluto proteggerla e difendere dall’oblio; e attribuiva a lei lontana i suoi pensieri più squisiti, i suoi più delicati sentimenti; cosicché la sua superiorità di fronte all’altra saltava continuamente agli occhi di Paolo.
In aperto contrasto con la gaiezza di Pia era l’umor cupo di Filippo, al quale ella senza tregua lanciava frizzi e rimproveri scherzevoli. La sua vocetta pareva armata di spilli, pareva desse tra i risolini pinzi sottili. Il Venzi sorrideva amaramente o rispondeva con brevi frasi pungenti.
Già da un pezzo Paolo s’era abituato a non veder più in Filippo lo spensierato amico d’una volta; tuttavia quel giorno, nella nuova casa, contento del lavoro finito, la cupezza dell’amico l’oppresse maggiormente.
– Che hai? – gli domandò.
– Nulla, pensieri! – rispose Filippo, al solito.
– Venzi vuol rifabbricare il mondo! – esclamò Pia canzonandolo.
– Sì, rifabbricarlo senza donne.
– Non ci riesce! Diglielo, Anna! Che fareste voi uomini senza noi donne? Lo dica lei, Baldìa!
– Nulla! Verissimo, per me. Ne sia prova questa casa.
Filippo scosse il capo, e s’allontanò per riesaminare la casa da solo. Ecco, ecco, come Pia Tolosani gli avrebbe messo la sua, s’egli tant’anni addietro avesse potuto aprire ai gusti di lei una borsa come quella del Baldìa! Com’ella doveva esser contenta d’aver potuto dare quel saggio del suo buon gusto, della sua saviezza, della sua previdenza!…
Nella sala da pranzo s’incontrò con la signora Giovanna, che osservava pian piano, minutamente, ogni cosa.
– Ben messa… non c’è che dire… Tutto di gusto! – E internamente, pensando alla figlia, si diceva con rammarico: «Come sa far tutto!…».
Fra lei, il Venzi e il Baldìa, in quella casa, Anna pareva che stesse come un piedistallo, su cui Pia Tolosani sorgeva elettissima.
– Qui, ormai, non ci manca che la sposa! – disse Pia. – Sedete! Proviamo il pianoforte.
E sonò con molto sentimento una squisita composizione del Grieg.
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VI. Circa tre mesi dopo le nozze, Paolo Baldìa tornò da un lungo viaggio, a Roma, con la novella sposa. Durante il viaggio Elena s’era un po’ ammalata e, appena giunta a Roma, dovè per parecchi giorni guardare il letto.
Pia Tolosani si moriva dalla curiosità di conoscerla, e, sott’altro punto di vista, anche Anna Venzi, la quale già pregustava l’intimo piacere di mostrare alla novellina la sua grande esperienza e le maniere cittadine (apprese da Pia). Nessuno degli amici aveva ancora veduto Elena; soltanto Filippo Venzi s’era incontrato di sfuggita col Baldìa.
– Ah, l’ha veduto? – gli domandò Pia con ansia mal repressa. – Ebbene, ebbene, ci dica…
Il Venzi la guardò a lungo, fissamente, senza rispondere; poi sentenziò:
– Eh, la curiosità va punita…
– Noioso! – esclamò Pia, voltandogli le spalle.
– Come dicevo, l’ho veduto – riprese il Venzi. – Signorina Pia, stava bene, stava benone!
– Me ne congratulo! – fece Pia stizzita.
– Era un po’ afflitto, veramente.
– S’intende, poveretto! – esclamò Pia, rivolgendosi al Dàula. – E dica, Venzi, è ancora a letto la moglie?
– No, s’è levata.
– Ah, la vedremo presto, allora!
L’attesa però fu lunga. Il Baldìa avrebbe valuto presentar la moglie ben preparata ad affrontare e ad appagare la curiosità degli amici, specialmente di Pia Tolosani. Ma Elena, d’indole chiusa e un po’ caparbia, asciutta nelle risposte, non si lasciò smuovere affatto dal suo modo di vedere e di pensare, né volle conceder nulla ai desideri del marito, quantunque espressi col massimo garbo e col massimo tatto. Non poté neanche ottenere ch’ella indossasse la veste da lui preferita, e che si levasse dal collo un certo nastro che, a suo giudizio, non le stava bene.
– Altrimenti, non vado – aveva tagliato corto Elena.
Paolo chiuse gli occhi e sospirò per le nari. Pazienza! S’era imbattuto purtroppo in un caratterino difficile, che voleva esser preso pel suo verso, con fermezza e delicatamente nello stesso tempo; se no, guerra intestina! Ma Paolo si teneva savio abbastanza. La sposina gli dava da fare? Tanto meglio! Ecco finalmente una buona occupazione! E a poco a poco, ne aveva fiducia, le avrebbe dato quella forma, ch’egli vagheggiava. Per adesso, pazienza!
Animato da questo sentimento, egli presentò Elena a Pia Tolosani, quasi domandandole velatamente, scherzosamente, senz’offendere per nulla la suscettibilità della moglie, cooperazione di senno e di tatto.
Pia intuì subito, vedendo Elena, con chi aveva da fare. Esteriormente, in verità non le piacque gran fatto; non così però il contegno rigido e chiuso, la subitanea accensione del volto quando Elena si faceva a esprimere qualche pensiero contraddittorio, le negazioni recise date al marito che la guardava timorosamente.
– No, no! impossibile, impossibile! Lui faccia quello che vuole. – Così negava Elena. «Lui» era il marito, qualcosa, per Elena, di molto diverso da lei.
Pia guardava il Baldìa e sorrideva benignamente. Paolo guardava la moglie, e sorrideva un po’ imbarazzato.
– Mi piace; quel tipino, mi piace! – dichiarò il giovedì sera agli amici Pia Tolosani.
Anna Venzi guardava Pia con occhi sbalestrati, e s’agitava sulla seggiola smaniosamente.
– Ah, è venuta finalmente! E di’, com’è? com’è? Ti piace, hai detto? Ti piace?
A quattr’occhi Pia confidò ad Anna che in quanto alla figura, no; Elena non le era piaciuta…
– Veste maluccio… Non sa pettinarsi… Sgarbatuccia, poi! specialmente col marito… Ma quasi quasi, guarda! ci ho gusto, che sia così! È un po’ presuntuoso il Baldìa, non ti pare?
– Presuntuoso, io l’ho sempre detto! – dichiarò Anna.
In quel convegno Filippo Venzi si mostrò molto più cupo del solito.
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VII. La simpatia di Pia Tolosani per Elena Baldìa crebbe in poco tempo, con dispetto e dolore d’Anna Venzi. Elena invece, chiusa sempre in se stessa, non si curava molto di Pia; accettava da lei qualche consiglio, le faceva di tanto in tanto qualche lieve sacrifizio della sua ostinata volontà, ma solo quando il consiglio di Pia le pareva non s’accordasse apertamente con qualche desiderio manifestatole prima dal marito. Che se poi questi si mostrava troppo soddisfatto della concessione ottenuta, la ritirava subito, e Pia se ne dispiaceva vivamente.
– Vede? – diceva ella al Baldìa. – Lei mi guasta tutto…
– Pazienza! – esclamava ancora una volta Paolo chiudendo gli occhi e sospirando per le nari. E usciva di casa per timore di perderla, finalmente. Com’era buona frattanto quella Pia Tolosani! Se Elena almeno avesse potuto sentir per lei amicizia! Ella le avrebbe aperto il cuore e la mente! Tra loro donne si sarebbero certo intese molto meglio! E poi la signorina Pia era così prudente, così giudiziosa! aveva così belle maniere!… «A poco a poco, chi sa!» si diceva Paolo.
Dove si recava? Abituato a non uscir mai di casa in certe ore del giorno, si sentiva quasi smarrito per le vie di Roma. Andava un po’ a zonzo; poi, per sottrarsi alla noia, finiva col recarsi allo studio di Filippo Venzi. Lì, se non altro, trovava da leggere, mentre Filippo lavorava.
– Ah, sei tu? Bravo! Prenditi un libro e lasciami lavorare – gli diceva questi. E Paolo obbediva. Di tratto in tratto levava gli occhi dal libro e osservava a lungo l’amico intento a scrivere con la fronte contratta e il capo chino. Come gli s’eran diradati e brizzolati in poco tempo i capelli! Che aria di stanchezza in quel faccione bronzeo e negli occhi profondamenti cerchiati! Filippo, scrivendo, piegava or da un lato or dall’altro la grossa testa sulle spalle erculee. «Irriconoscibile!», si diceva mentalmente Paolo. In quegli ultimi giorni poi il Venzi era diventato mordacissimo, aggressivo finanche, e in fondo ai suoi ghigni, alle sue parole era un’inesplicabile amarezza, quasi biliosa. Possibile, che l’avvilimento per la scempiaggine e la volgarità della moglie l’avesse ridotto in quello stato? No, no; ci doveva esser sotto qualche altra cagione! Quale? Certe volte a Paolo era parso finanche, che Filippo l’avesse con lui… «Perché con me? Che gli ho fatto io?» Eppure, eppure…
Un giorno il Venzi si mise a parlargli dei Tolosani, del padre, della madre e specialmente di Pia, dapprima con tal sottile ironia, poi con aria così apertamente e stranamente beffarda, che Paolo rimase stordito a guardarlo. Come! Lui, il più intimo amico, ne parlava così? Paolo si sentì quasi in obbligo di rispondere, di difendere la famiglia amica, ed encomiò Pia, rivoltandosi alle beffe.
– Sì, sì… aspetta, caro! aspetta! – gli disse, infoscandosi e pur seguitando a ridere, Filippo. – Aspetta, e te ne accorgerai!
Balenò a Paolo un sospetto; ma lo scacciò subito, accusandosi di permalosità. Tuttavia questo sospetto aveva gittata un’improvvisa luce sullo strano cambiamento di Filippo in quegli ultimi tempi, e sotto questa luce odiosa, perdurante, il pensiero del Baldìa frugò e vide man mano il sospetto concretarsi in mostruosa realtà. Filippo stesso, di giorno in giorno gliene dava prove vieppiù irrefragabili. L’ultima fu la più dolorosa per Paolo: il Venzi s’allontanò da lui; giunse finanche a fingere di non accorgersi di lui, per non salutarlo. Non mancava oramai a Paolo che un’aperta confessione, e volle procacciarsela, volle a ogni costo venir con lui a una franca spiegazione. Gliene nacque l’idea vedendo in un pomeriggio, mentr’egli si ritirava a casa, il Venzi passare in fretta per via Venti Settembre. Gli andò incontro risolutamente e lo scosse per le braccia:
– Insomma, posso sapere che hai con me? che t’ho fatto?
– Ti preme molto di saperlo? – gli rispose Filippo, impallidendo.
– Mi preme, si sa! – incalzò Paolo – per ispiegarmi questo tuo modo d’agire. Mi preme per la nostra antica amicizia!
– Dolcissima parola!… – sghignò Filippo. – Dunque non te ne sei accorto? Vuol dire che il serpe non si è ancor bene scaldato…
– Di che serpe parli?
– Ma sai, di quel famoso della favola raccolto un giorno di neve dal pietoso contadino…
Paolo trascinò a viva forza Filippo in casa sua. Lì, nello studiolo chiuso a chiave, quasi al buio, s’ebbe la confessione. Dapprima il Venzi si rifiutò, trincerandosi dietro la consueta dicacità quasi brutale.
– Son geloso di te! – scattò su finalmente a dirgli. – Vuoi intenderla?
– Di me?
– Sì, sì. Non ti sei ancora innamorato?
– Di chi? Sei pazzo?
– Di Pia Tolosani!
– Sei pazzo? – ripetè Paolo sbalordito.
– Pazzo, sì pazzo! Ma intendimi, compatiscimi, Paolo! – riprese Filippo in un altro tono di voce, quasi piangente. E gli parlò a lungo del suo primo amore per Pia Tolosani, rimasto ignorato, poi del suo matrimonio e delle delusioni seguite, del vuoto intorno a lui, della tremenda noia agitata da mille continue smanie, le quali man mano s’erano definite, concretate nel nuovo disperato amore per Pia Tolosani.
– Ogni giorno che passa, la moglie va giù, sempre più giù… Ed ella invece in alto, sempre più in alto! Ella è l’intatta e l’intangibile! Rimane, capisci, agli occhi nostri come l’ideale, che tu, sciocco, ed io, ci siamo lasciato sfuggire! E ciò appunto ella vuol dimostrarci, prendendosi tanta cura delle nostre mogli! E questa è la sua vendetta! Liberati da lei, da’ ascolto a me! Liberati da lei! O da qui a un anno, anche tu te ne innamorerai, senza fallo… già lo vedo… come me, guarda! come me…
Paolo compianse internamente l’amico, senza trovare una parola da dirgli. S’udirono in quella pel corridoio le voci di Elena e Pia Tolosani, che rientravano insieme da una passeggiata.
Filippo scattò in piedi.
– Lasciami andare! Che non la veda… che non la veda…
Paolo l’accompagnò fino alla porta, e quando si richiuse molto turbato nel suo studiolo, udì nettamente attraverso la parete, la voce di Pia, che nella stanza attigua diceva alla moglie:
– No, no, mia cara! Spesso il torto è tutto tuo, tu già ne convieni… Sei un po’ troppo dura con lui! E non bisogna esser così…
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