La vita che ti diedi – Atto terzo

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Premessa
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La vita che ti diedi - Atto III
Patrizia Milani, La vita che ti diedi, 2015. Immagine dal Web.

1923
La vita che ti diedi
Atto Terzo

               La stessa scena, la mattina dopo, nelle prime ore.

       Poco dopo levata la tela, apparirà sulla soglia dell’uscio in fondo Giovanni che darà passo alla signora Francesca Noretti arrivata or ora dalla stazione in un’ansia angosciosa e spaventata.

       GIOVANNI. Entri, entri, signora.

       FRANCESCA. Ma possibile che dorma?

       GIOVANNI. Sarà ancora stanca del viaggio. Sono appena le sette, del resto.

       FRANCESCA. E dove dorme? Non lo sapete?

       GIOVANNI. Jeri Elisabetta le preparava la stanza al piano di sopra.

       FRANCESCA. Non potete condurmi da lei?

       GIOVANNI. Io su non salgo, signora. Ma ho fatto avvertire Elisabetta. E la padrona è già levata. L’ho vista quando ha aperto la finestra all’alba.

       FRANCESCA. Ma possibile che ancora non lo sappia? – È arrivata jeri sera?

       GIOVANNI. Sissignora, jersera. La padrona è andata a prenderla alla stazione.

       FRANCESCA. E voi l’avete vista arrivare? – Piangeva?

       GIOVANNI. Nossignora: non m’è parso.

       FRANCESCA. Che non gliel’abbiano ancora detto? – Se può dormire… –

       GIOVANNI. Probabile, signora, perché – guardi queste piante: le ho portate io qua jeri… – È come se non fosse morto per la padrona. – Non s’è mica vestita di nero.

       FRANCESCA. E per questo non ne ha fatto sapere niente a nessuno? – È morto da undici giorni?

       GIOVANNI. Come stamattina.

       FRANCESCA. E l’ho saputo ora alla stazione, arrivando – come ho domandato di lui – dove stava –

       GIOVANNI. Ecco la padrona. (Entrerà di fretta Donn’Anna. E Giovanni uscirà.)

       DONN’ANNA. Piano, piano per carità! – Lei è la mamma?

       FRANCESCA. Può immaginarsi in quale stato, signora! – Ho viaggiato come una disperata – Dov’è? dov’è? – Ancora non lo sa?

       DONN’ANNA. Piano, piano – non lo sa!

       FRANCESCA. Mi conduca da lei! La sveglierò io! glielo dirò io!

       DONN’ANNA. No, signora, per carità!

       FRANCESCA. Ma come? lei, – non avvertire nessuno, nemmeno me, della sciagura, per non farle commettere questa pazzia!

       DONN’ANNA. Non l’ha commessa per lui – no! – creda.

       FRANCESCA. Come non l’ha commessa per lui?

       DONN’ANNA. No, no. Le dirò –

       FRANCESCA. Io voglio vederla subito!

       DONN’ANNA. Ma giacché sa, ormai, non abbia più timore, né tutta quest’ansia, signora.

       FRANCESCA. – come vuole che non l’abbia? io…

       DONN’ANNA. – si calmi – mi lasci dire. –

       FRANCESCA. – l’avrò finché non me la sarò riportata via! – Mi sono precipitata appena letto il biglietto che mi lasciò, là, per raccomandarmi i bambini. Ha due figli – lo sa lei? Ah Dio, come non sono morta, non lo so!

       DONN’ANNA. Piano – venga con me, la prego: – ella dorme di là!

       FRANCESCA. Ah, di là? Io vado subito. (Farà per lanciarsi verso l’uscio a destra.)

       DONN’ANNA (parandosi di fronte a lei). No, signora! Lei non sa il male che le farebbe! (Dirà con tal tono questo ammonimento, che l’altra madre ne resterà, per un istante, sgomenta e come smarrita.)

       FRANCESCA. Perché?

       DONN’ANNA (subito, recisa). Perché non sa quello che io so! Il caso è molto più grave di quanto lei s’immagina!

       FRANCESCA. Più grave? (La guarderà spaventata.)

       DONN’ANNA. Sì! Me l’ha confessato lei stessa, arrivando!

       FRANCESCA. – Che – che con lui?

       FRANCESCA (balbettando, allibita). – che vuol dire?

       DONN’ANNA. – se vive ora in lei, come l’amore d’un uomo può vivere, diventar vita in una donna – quando la fa madre – ha capito?

       FRANCESCA (raccapricciando). Suo figlio? – Oh Dio! e come? – ma dunque – per questo? –

       DONN’ANNA. È arrivata in tale stato di disperazione, che non m’è stato ancora possibile«dirglielo». Le ho detto che era partito – per lei, per prudenza – per non comprometterla – e già è bastato questo, perché si vedesse, si sentisse morta –

       FRANCESCA. – lei? –

       DONN’ANNA. – lei, sì certo – nel cuore di lui! – Com’è possibile, le domando io ora, farglielo morire?

       FRANCESCA. Ma prima, prima ch’ella si compromettesse venendo qua, lei avrebbe dovuto annunziare a me che era morto!

       DONN’ANNA. Signora, ringrazi il cielo che non ho questo rimorso! Credevo d’averlo; di dovermelo fare; ma ho potuto vedere che fui invece ispirata da Dio nel mandare alla sua figliuola la lettera lasciata da lui, terminata da me.

       FRANCESCA (inorridita). Ma come, dopo? – dopo che era morto? –

       DONN’ANNA. Per lei non è «dopo»! – È stata una fortuna, le dico! Ispirazione di Dio! – Senza che ne sapessimo nulla né io né lei, nell’animo in cui si trovava là – se lui le fosse mancato – si sarebbe uccisa – creda!

       FRANCESCA. Ma lei, Dio mio, lei vuole tenere ancora la mia figliuola

       legata a un cadavere?

       DONN’ANNA. Che cadavere! La morte per lei è là, presso l’uomo a cui lei l’ha legata: quello, è un cadavere! – Io ho cominciato invece fin da jersera, mi sono provata fin da jersera a farle intendere –

       FRANCESCA. – che ha gli altri suoi figli – là –

       DONN’ANNA. – ma questo lo sa! Me n’ha parlato lei stessa con tanto

       strazio! Cose – m’ha detto – che fanno rabbrividire –

       FRANCESCA. – dei figli?

       DONN’ANNA. – sì: che se l’è fatti suoi, dopo – dopo che le erano nati – estranei! – Se li è potuti far suoi con l’amore di mio figlio intende? Hanno avuto bisogno dell’amore di lui, anche quelli, perché diventassero vita per lei. – Eppure, ha visto? ha potuto lasciarli per venirsene qua.

       FRANCESCA. Ma se ora saprà che lui, qua, non c’è più –

       DONN’ANNA. E invece dev’esserci, se lei se la vuole riportare là al suo martirio – dev’esserci! E lei deve farle intendere, come mi sono provata io, in qual modo egli dev’essere vivo per lei d’ora in poi solo nel cuore – senza cercarlo più fuori – con la vita che lei gli darà. – Questo. – Ma prima prometterle che lo vedrà… – Ha capito?

       FRANCESCA (sbalordita). Che lo vedrà?

       DONN’ANNA. Non qua! – «Qua» le diremo «lui non ritornerà, se non saprà che tu sei partita. Lo vedrai tra poco; perché egli ritornerà a te, là». – Ecco, le dica così e forse riuscirà a riportarsela. – Pensi che è lì che Io aspetta – ha voluto dormire nel suo letto – forse lo sogna – appena si sveglierà, lo penserà vivo e che starà per ritornare.

       FRANCESCA (che sarà stata a mirarla, atterrita, col ribrezzo più vivo, che a poco a poco si sarà sciolto in un’infinita pietà). Oh Dio, signora, ma questa… questa è una follia…

       (Si aprirà a questo punto l’uscio a destra e apparirà Lucia, la quale, scorgendo la madre in quell’atteggiamento, dopo la prima sorpresa si turberà, guardando l’altra madre e intuendo in un baleno la sciagura.)

       LUCIA. Oh, mamma, tu? (Farà per accorrere a lei, ma si fermerà, guardando prima l’una e poi l’altra): Che cos’è?

       FRANCESCA (tremando, senza alcuna ansia, con tono che ajuterà la figlia a intendere). Figlia mia… figlia mia…

       LUCIA (c. s.) Ma com’è? – Che dicevate?

       DONN’ANNA (per riparare). Niente. Vedi? è venuta – è venuta a cercare di te –

       LUCIA. Non è vero! Com’è che tu, mamma, non mi dici nulla? – Che cos’è?… (Gridando):Ditemelo!

       FRANCESCA (accorrendo a lei per abbracciarla). Figlia mia!

       LUCIA. È morto? è morto? (Respingendo l’abbraccio della madre, per volgersi a Donn’Anna.) No! – Morto? – E come? lei – No! Non è possibile! Oh Dio, (con le mani tra i capelli): il sogno che ho fatto! (Smarrendosi e guardandosi attorno): Morto? – Ditemelo! Ditemelo!

       FRANCESCA. Sono già tanti giorni, figlia –

       LUCIA. Tanti giorni? (A Donn’Anna): – che è morto? – E lei – come? – perché non me l’ha detto? Com’è morto? come?– Ah Dio, là dove ho dormito? E mi ha fatto dormire là?(Donn’Anna è intenta, come un’immagine sepolcrale.) – L’ho voluto io; ma lei… – come? – «I fiori» – «è partito» – «queste sono le sue stanze» – «non so dov’è» – E io l’ho sognato, che non poteva più ritornare, tanto lontano se n’era andato; – lo vedevo, così lontano, con un viso da morto – il suo viso! il suo viso! – Ah Dio! ah Dio! – (E romperà in pianto, perdutamente.) Per non farmi più pensare che se non l’avevo trovato qua ad aspettarmi, come doveva – eh sì, questo soltanto doveva essere accaduto, che fosse morto! E non l’ho compreso, perché lei –(si rizzerà dal pianto, lo stupore vincendo ora il dolore): – ma come ha fatto? com’ha potuto fare? – per me? – ed egli è morto anche a lei – è incredibile! – me n’ha parlato come se fosse vivo!

       DONN’ANNA (guardando lontano). Lo vedo –

       LUCIA (stordita). – che è morto? – e non le è morto qua sotto gli occhi?–

       DONN’ANNA. – no: ora –

       LUCIA. – come, ora? –

       DONN’ANNA. – ora lo vedo morire.

       LUCIA. Come? Che dice? (Donn’Anna si coprirà il volto con le mani. E allora ella griderà):Io lo sapevo, lo sapevo che sarebbe morto! Non avevo voluto crederci! Me lo disse lui stesso, quando partì, che sarebbe venuto qua a morire!

       DONN’ANNA (scoprendo il volto). E io non lo vidi.

       LUCIA. Lo vidi io! Moriva, moriva, da anni; gli s’erano spenti gli occhi; era già come morto quando partì! Così pallido lo vidi, così pallido, così misero lo vidi, che lo compresi subito che sarebbe morto!

       DONN’ANNA. Misero, sì – gli occhi spenti, sì – e diventato così – cangiato, cangiato così – ora lo vedo – per te, sì, figlia! (Attirandola a sé, come per una spaventoso brivido, che di schianto la spetrerà): Oh figlia! – qua su la tua carne – ora sì – me lo vedo morire – ne sento il freddo ora qua, qua al caldo di queste tue lagrime! – Tu me lo fai vedere, come s’era ridotto ora! Non lo vedevo! Non avevo potuto piangerlo, perché non lo vedevo! – Ora lo vedo! ora lo vedo!

       LUCIA (che si sarà a poco a poco sciolta da lei, e rattratta, come raccapricciata, presso la madre). Oh Dio, che dice? che dice?

       DONN’ANNA (sola). Figlio mio! – le tue carni! – te ne sei andato così – misero, misero! E io… io t’imbalsamavo – vivo! – vivo t’imbalsamavo – come non eri più, come non potevi più essere – con quei tuoi capelli e quegli occhi che avevi perduti, che non ti potevano più ridere! E perché non ti potevano più ridere, non te li ho riconosciuti! – E come, allora? Fuori della tua vita ti volevo far vivere? fuori della vita che t’aveva consumato – povera, povera carne mia che non ho vista più! che non vedrò più! – Dove sei? (Si volgerà a cercare intorno): – dove sei?

       LUCIA (accorrendo). Qua, mamma!

       DONN’ANNA (restando un attimo). – Tu? (Poi con un grido): – Ah, sì! (L’abbraccerà freneticamente): – Non te lo portar via! Non te n’andare! non te n’andare!

       LUCIA. No, non me n’andrò! non me n’andrò, mamma! non me n’andrò!

       FRANCESCA. Come non te n’andrai? Che dici? Tu te ne verrai via, subito, con me!

       DONN’ANNA. No! Me la lasci, signora! è mia! è mia! me la lasci! me la lasci!

       FRANCESCA. Ma lei è pazza, signora!

       DONN’ANNA. Pensi che è troppo, è troppo quello che m’ha fatto! (E subito, carezzevole a Lucia): – No, no – sai? – non te ne fo colpa! – Sono la tua madre!

       FRANCESCA. Ma vuole che lasci me per lei? E i suoi figli? (A Lucia): – Hai i tuoi bambini! Li vuoi abbandonare, per restare qua con nessuno?

       DONN’ANNA (insorgendo). Ma ne avrà un altro qua, che non potrà dare là a chi non appartiene!

       FRANCESCA (violenta). Signora, ma si fa coscienza lei di quello che dice?

       LUCIA. E tu, di quello che io farei? ti fai coscienza?

       DONN’ANNA (subito abbattendosi). No, no: tua madre ha ragione, figlia! Ha capito che io lo dico per me – per me non per quello! – Divento misera, misera anch’io! – Ma è perché muojo anch’io, ora, vedi? – Sì, appena ti nascerà questo che ti porti via lontano; appena gliela darai tu, di nuovo, la vita – là – fuori di te! – Vedi? Vedi? Sarai tu la madre allora; non più io! Non tornerà più nessuno a me qua! È finita! Lo riavrai tu, là, mio figlio – piccolo com’era – mio – con quei suoi capelli d’oro e quegli occhi ridenti – com’era – sarà tuo; non più mio! Tu, tu la madre, non più io! E io ora, muojo, muojo veramente qua. Oh Dio! oh Dio! (E piangerà, piangerà come non avrà mai pianto, tra l’accorato sbigottimento dell’altra madre e della figlia. A poco a poco si ripiglierà dal pianto, ma diventando man mano quasi opaca, quasi spenta infine): Ma sì, ma sì… – Basta, basta. Se è per me, no! no! non voglio piangere! Basta! (Lunghissima pausa. Poi alzandosi, verrà a Lucia e carezzandola): Vai, vai, figlia, – vai nella tua vita – a consumare anche te – povera carne macerata anche tu. – La morte è ben questa. – E ormai basta. – Non ci pensiamo più. – Ecco; pensiamo – pensiamo, qua, ora, a tua madre piuttosto – che sarà stanca.

       FRANCESCA. No, no – io voglio subito, subito ripartire!

       DONN’ANNA. Eh, subito non potrà, signora. Si deve aspettare. Passa tardi di qua il treno di Pisa. Avrà, avrà tutto il tempo di riposarsi. – E tu, figliuola mia –

       LUCIA. No, no – io non partirò – non partirò – rimarrò qua con lei, io!

       FRANCESCA. Tu partirai! Te lo dice lei stessa!

       DONN’ANNA. Qua non c’è più nulla per te.

       FRANCESCA. E i tuoi bambini t’aspettano! E bisogna far presto!

       LUCIA. Ma là, io non torno! non torno, sai! – Non è più possibile per me! – Non posso! Non posso e non voglio! Come vuoi che faccia più, ormai?

       DONN’ANNA. E io, qua? – È ben questa la morte, figlia – Cose da fare, si voglia o non si voglia – e cose da dire… – Ora, un orario da consultare – poi, la vettura per la stazione – viaggiare… – Siamo i poveri morti affaccendati. – Martoriarsi – consolarsi – quietarsi. – È ben questa la morte.

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