Di Sandra Dugo.
Come un direttore d’orchestra Pirandello crea personaggi che vivono indipendenti dalla volontà dell’autore, svolgendo il doppio ruolo di drammaturgo e direttore teatrale, creando arte teatrale.
La Sicilia arcadica di PirandelloQuesto lavoro è estratto dal volume (pp. 215-226) Un viaggio senza fine. La fortuna critica di Luigi Pirandello in Brasile Di Sandra Dugo Roma, Aracne Editore, 2020, 284 pagine. |
Pdf con note :da University of Arkansas
ABSTRACT
Le opere di Pirandello sembrano storie sospese in uno spazio senza tempo create da uno scrittore eclettico che mal sa adattarsi all’epoca di transizione tra due secoli, contraddistinti da visioni del mondo contrastanti. Ma il nostro scrittore è soprattutto un eccellente drammaturgo e la lettura critica della brasiliana Aurora Fornoni Bernardini ha il merito di ricostruire lo sviluppo teorico della vasta produzione, evidenziando elementi comuni nella drammaturgia e nella narrativa. L’autore vivrebbe come un esiliato, sospeso tra mondi diversi, con una personalità istrionica simile a Gadda. La studiosa volge lo sguardo ad alcuni eventi storici, ma anche ai ricordi pregressi dell’adolescenza.
L’interesse va all’analisi antropologica inserita nel contesto psicoanalitico, sociale e culturale e anche nell’eredità culturale della tragedia greca classica. Pirandello non supera il contrasto storico-sociale, e sceglierà la soluzione inaspettata anche per sé stesso: il nuovo percorso metafisico de I giganti della montagna. La vivacità dei dialoghi e la sicilianità del linguaggio sono analizzati nella struttura narrativa dei testi. Lo scrittore viene a tratti psicoanalizzato negli aspetti caratteriali più complessi, evidenziando l’immedesimazione nei personaggi protagonisti, nel tentativo di raggiungere l’equilibrio tra la sua personalità e il Super-Ego. I concetti contraddittori ricorrenti nelle trame riflettono i drammi personali dell’uomo triste e deluso dalla vita, mentre diventa gradualmente narratore e drammaturgo, e forse proprio per questa ragione sembra divertirsi nell’evidenziare il contrasto tra vita e forma.
L’interpretazione di Aurora Fornoni Bernardini
Ritengo che questa rilettura critica sia importante per i pirandellisti europei e extra- europei, non tanto per i riferimenti agli eventi biografici, quanto perché analizza e comprende i testi in ogni loro parte in modo nuovo e originale. I drammi teatrali sono studiati nel complicato connubio di elementi teorici che nel loro insieme evidenziano risvolti psicoanalitici, filosofici e caratteristiche della cultura atavica siciliana in un coacervo di irresistibile interesse per una studiosa complessa come Aurora Fornoni Bernardini. La studiosa brasiliana riflette sui sentimenti dell’autore non espressi chiaramente ma percettibili, sugli episodi della vita che hanno influito nella formazione del carattere; emerge dalle trame una visione dell’esistenza ricorrente nella produzione narrativa e nella drammaturgia; le categorie vita e forma sono i cardini fissi intorno ai quali si sviluppano le storie, creando un modello definito “ginnastica psichica dell’Ego”. Nell’analisi del materiale narrativo emerge un aspetto psichico interessante che si rifletterebbe nelle storie, dove i concetti di vita e forma sono riproposti attraverso svariate trame che fanno riflettere sull’esistenza umana, sulla frammentazione dell’identità, sull’alienazione dell’individuo. L’obiettivo fondamentale di Bernardini è ricostruire lo sviluppo teorico della produzione teatrale. Nell’Introduzione alla versione portoghese dell’Enrico IV, la studiosa propone la sua esegesi, ripercorrendo buona parte delle opere, cercando di puntualizzare le fasi più importanti dello sviluppo narrativo e drammaturgico, attraverso l’analisi dei testi.
I dialoghi e il linguaggio esprimono il carattere di sicilianità senza ricorso diretto al dialetto, tranne qualche eccezione; tuttavia questa espressività manifesta una vivacità che può essere analizzata nella struttura narrativa dei testi. Diventa naturale riflettere su alcune espressioni dialettali in Liolà, che denotano la mentalità di costume, ma anche la leggenda atavica in cui è complice lo sfondo paesaggistico; la commedia pirandelliana assume contorni definiti perché è erede di antiche leggende. Il mito è il leitmotiv de I Giganti della montagna, e parafrasando Bernardini possiamo affermare che la narratività si fonde con la teatralità, come se fosse “una goethiana estensione della natura, e uno strumento di fantasia”. Nel dramma teatrale esiste una particolare epifania, come caratterizzazione visiva della natura che, aggiungerei, è un paesaggio magico di altri tempi e di altri luoghi, appartenenti a un’altra dimensione esistenziale immaginaria. Invece, nell’analisi di Bernardini il carattere di sacralizzazione poetica del testo implica momenti scenici di sconfinamento fra l’aspetto “meraviglioso” fantastico e quello realistico, simbolizzato dall’albero di olivo saraceno collocato al centro della scena. La visione prospettica pirandelliana funziona come la migliore soluzione per la teatralizzazione scenica, e allo stesso tempo esprime l’interiorità spirituale del drammaturgo, un’epifania appunto. Rappresentare la natura mitizzata, magica e irreale, è un modo per risolvere il dramma personale che termina nel tragico episodio finale dei Sei personaggi.
Una vita difficile che lascia le tracce nella complessità delle trame; pensiamo al rifiuto di rappresentare a teatro alcune opere nell’indifferenza della società provinciale. Eppure il conflitto interiore dell’uomo incontra la fantasia creatrice del drammaturgo in un sorprendente connubio in cui lo splendido paesaggio mitico sembra nascere dal dramma personale vissuto interiormente. Nell’Innesto la studiosa scrive che siamo dinanzi al conflitto tragico tra la vita che scorre cambiando e la forma che resta immutabile.
Ma l’analisi testuale fa riflettere anche sugli elementi comuni nella drammaturgia e nella narrativa, con uno sguardo attento al contesto storico. Pirandello vive il passaggio da un secolo all’altro, senza riuscire a risolvere il contrasto storico-sociale dell’epoca; altro problema di carattere ideologico diverso dalla sua condizione interiore. Le difficoltà della vita sembrano risolversi nel percorso metafisico de I giganti della montagna. Il mito dell’universo in movimento prende forma nell’anima dei protagonisti, come “il profeta dell’utopia prevede tempo e spazio del futuro”, nostalgico per quello che ha vissuto. Pensiamo a La nuova colonia in cui il mito della natura è uno sfondo paesaggistico favoloso. E comunque l’attenzione va anche alle tradizioni e alla cultura siciliana, come se Pirandello fosse esiliato nella sua isola, vivendo sospeso tra mondi diversi. Mentre il linguaggio, la vivacità dei dialoghi, e la struttura narrativa dei testi con le didascalie sono l’oggetto dell’analisi critico-filologica di Bernardini.
Sono convinta che Pirandello è stato uno dei drammaturghi più psicoanalitici e che le avventure vissute dal protagonista (L’innesto) sono il modello adatto per la ricerca dell’equilibrio tra la sua personalità e il Super- Ego.
La condizione esistenziale del protagonista nasconde alcune tracce della personalità di Pirandello e del suo Super Ego in un contrasto che non trova equilibrio. Il drammaturgo riflette i drammi personali, tentando di superare l’alternanza tra gli elementi contraddittori. L’interpretazione non si sofferma solo sull’analisi del paesaggio naturale e mitico siciliano, pertanto è inevitabile per lei riflettere anche sulle tematiche psico-analitiche che appartengono all’uomo che si fa scrittore e drammaturgo. Dunque la bella Sicilia atavica non esisterebbe senza l’incrocio palese con le tematiche psicologiche, in un ricco coacervo che rende questi testi opere d’arte della narrativa e della drammaturgia, eternizzate nel tempo. Alla complessa analisi, aggiungo che la descrizione pirandelliana è un ritratto pittorico della terra siciliana, una visione paesaggistica, cornice ideale per la narrazione delle storie, come solo un pittore saprebbe fare. Al centro del paesaggio si sviluppano storie dentro le quali i personaggi vivono nello spazio senza tempo. Nel mitico sfondo isolano, il narratore e il drammaturgo sono due aspetti dell’uomo che resta deluso dalla vita e la sua tristezza si manifesta nei personaggi.
Concetti esistenziali nella cornice narrativa della Sicilia atavica
Altre caratteristiche tematiche come il patriottismo risorgimentale rinviano alle origini familiari, ricordando che il padre era figlio di un garibaldino. Durante l’adolescenza Pirandello apprende dalla famiglia l’etica morale di comportamento e conosce gli elementi contraddittori dei valori appresi come principi positivi e negativi contrapposti, in binomi specifici, ricordandoci la divisione manicheista tra bene e male. L’energia creativa genera personaggi oppressi da mediocri individui, appartenenti alla piccola borghesia ottocentesca, preoccupata di rispettare certe convenzioni sociali. Da qui è naturale riflettere sul complesso dei preconcetti e degli ideali morali ereditati durante l’adolescenza, elementi che contraddistinguono le diverse fasi evolutive dello scrittore e del drammaturgo. Queste caratteristiche appartengono mentalità siciliana dell’epoca; i principi morali dell’onore provinciale, della purezza e dell’onestà, diventano parte integrante delle tematiche. Mentre la scoperta di una realtà sociale bigotta, perduta nelle convenzioni sociali provoca la sua indignazione, espressa attraverso la rivolta dei personaggi. Per Bernardini traspare nei testi una confessione personale dell’autore che sembra quasi un’espiazione.
Se da adolescente interiorizza i valori morali appresi, come scrittore li riversa nelle novelle; in particolare l’esperienza religiosa avrebbe dato un’impronta particolare ad alcuni racconti. Sappiamo infatti che da bambino fu introdotto in chiesa di nascosto, il curioso episodio dell’infanzia può aver contribuito alla creazione di alcune storie. In effetti, come argomenta Bernardini, questa esperienza può aver ispirato lo scrittore adulto. Gli episodi si riflettono inconsapevolmente nelle trame delle novelle; pensiamo all’estasi e al disincanto angustiante nelle novelle L’Ave Maria di Bobbio e Canta l’epistola. Qui la studiosa individua nella fede religiosa perduta “una chimera irraggiungibile,” appartenente alla visione dei dogmi che, nella novella La fede, ritroviamo in Don Angelino. Al centro della storia vi è un giovane sacerdote della parrocchia di Don Pietro, il quale stanco decide di rinunciare all’abito sacro, perché ha perso la fede e non crede più nel sacerdozio. Ma l’adolescenza di Pirandello è caratterizzata anche da un periodo ricco di esperienze che formeranno il giovane scrittore/drammaturgo. A proposito dell’antinomia tra vita e forma, la studiosa riflette sulla metonimia tilgheriana della diluizione antropica della vita reale, dove la forma potrebbe evitarne la deformazione, impedendone il dissolvimento e la disintegrazione finale del personaggio. Anche in Candelora notiamo questo contrasto nella trama; la ragazza impura si innamora dell’uomo con la deformazione fisica, una realtà che non può essere modificata, e di riflesso anche lei non può cambiare il proprio destino, pur volendo raggiungere la purezza dell’infanzia.
Ogni cosa porta con sé la pena della sua forma, la pena d’esser così e di non poter più essere altrimenti. È appunto in questo il nuovo della sua arte, nel far sentire questa pena della forma. Sa bene lui che ogni gobbo bisogna che si rassegni a portare la sua gobba. E come le forme sono i fatti. Quando un fatto è fatto, è quello, non si cangia più. Candelora, per quanto faccia, non potrà più, per esempio, ritornar pura come quando era povera. Sebbene pura, forse, non è stata mai, Candelora, neppure da bambina avrebbe potuto fare ciò che ha fatto; e goderne, dopo. (Pirandello, Luigi. Novelle. Candelora)
Di fronte alla realtà multiforme e contraddittoria Candelora capisce il giudizio altrui, e si sente sottoposta a esame, risolve il dramma con il tragico gesto del suicidio. Il contrasto tra vita e forma genera l’auto-distruzione della protagonista e l’evento finale rappresenta simbolicamente l’epilogo del dramma borghese, ma è anche il leitmotiv della morte, tema ricorrente nei personaggi che rinunciano ai propri desideri, come se la vita volesse punirli per aver lasciato prevalere l’istinto, violando le leggi morali.
Anche ne La carriola il dramma del protagonista è vivere e vedersi vivere, subire e trascinare un’esistenza vuota. Scrive Pirandello: “Chi vive, quando vive, non si vede: vive… Se uno può vedere la propria vita, è segno che non la vive più: la subisce, la trascina. Come una cosa morta, la trascina. Perché ogni forma è una morte”. Per il protagonista percepire la forma equivale all’annullamento di sé, e diventa talmente insopportabile da pronunciare le parole “nausea” e “orrore”; e fuggire dalla prigione della forma è una liberazione. Per Bernardini l’esito è sorprendente: è quasi una vendetta inventata per dare sfogo al peso insopportabile della maschera. Pensiamo allora all’epilogo finale, quando il protagonista corre dalla cagnolina per imporle di fare la carriola, credendo di non compiere nulla di male, anche se è consapevole della propria follia. Il dramma del personaggio consiste nel non riuscire a risolvere la condizione in cui è rimasto bloccato. Vivere nella forma lo costringe a fuggire e a acquisire il ruolo di protagonismo assoluto dell’eroe. L’impasse viene risolto nella consapevolezza del suo sdoppiamento nella fase di maturazione esistenziale ed artistica. La trasformazione del personaggio è considerata come l’esito più geniale della narrativa pirandelliana. L’arte della creazione narrativa è lo strumento più adatto per far parlare i soggetti dei testi teatrali. Se la drammaturgia pirandelliana scopre il senso filosofico e universale, la narrativa invece esprime i sentimenti dell’autore. Bernardini allude al processo di maturazione individuabile nel passaggio dalla narrativa alla produzione teatrale.
Come un direttore d’orchestra Pirandello crea personaggi che vivono indipendenti dalla volontà dell’autore, svolgendo il doppio ruolo di drammaturgo e direttore teatrale, creando arte teatrale. Le altre considerazioni offrono prospettive analitiche complesse, come la distinzione tra figure maschili che sono oppressi dalla “forma”, e i personaggi femminili spesso associati alla categoria “vita”.
In Vestire gli ignudi Ersilia non riesce a creare una vita diversa da quella in cui si trova bloccata e non accetta la propria condizione. I protagonisti maschili, invece, si rifugiano nel passato illusorio e mitico. Credo che Pirandello simboleggia il dissidio interiore che i soggetti vivono con sé stessi e con la realtà esterna, un conflitto terribile per entrambi, riflesso del suo pessimismo. A tale proposito, io cito la confessione in una lettera alla moglie, in cui Pirandello racconta di vedersi riflesso negli occhi degli altri e di sentirne le conseguenze: “Già che questo è quello che tu pensi di me, ed è come se dicessi: vuoi davvero essere così, e con te!”. A tale proposito Bernardini ci dice che Enrico IV resta coinvolto in una storia tragicamente vissuta, come se fosse il protagonista di una storia gotica, in cui si alternano fasi di follia e di rinsavimento. Nel monologo il giovane re è sconcertato per quello che gli altri pensano di lui: “Loro sì, tutti i giorni, ogni momento, pretendono che gli altri siano come li vogliono loro […] «Pazzo» «pazzo»! – Non dico ora che lo faccio per ischerzo! Prima, prima che battessi la testa cadendo da cavallo”.
Ebbene, alla fine, Enrico IV sfida Belcredi, mettendo in atto la propria vendetta uccidendolo, durante una fase di razionale lucidità, ma il rifugio nella follia e nell’irresponsabilità è l’unica soluzione. Quindi nell’esaltazione improvvisa lo uccide, trascinato dall’inerzia della finzione, e torna ad essere pazzo. Per Pirandello l’illusione ha un’energia attiva, perché crea una visione della realtà poco percettibile. Quindi il protagonista, condannato dalle apparenze, passa dalla follia al rinsavimento. Secondo la studiosa la fantasia creativa è rimasta influenzata dalla nascente psichiatria e cita per conferma la teoria della conoscenza di Alfred Binet (Les altérations de la personnalité 1892), in cui la soggettività dell’individuo è suddivisa in numerosi “io” che convivono nello stesso soggetto. Il riferimento all’arte cubista è affascinante, e ci si domanda se è corretto vedere il personaggio pirandelliano attraverso questa prospettiva, e si citano alcuni teorici della psicologia dell’epoca, a cui Pirandello sembra essersi ispirato.
Se l’individuo crede di avere chiara coscienza di sé, e assume come valida e sincera l’interpretazione che gli dà il suo essere interiore, non sarà improprio affermare che questo studio della coscienza – che nasconde la sua interiorità più profonda, cioè quell’essere reale che crede di conoscere o che immagina che sia pienamente cosciente – questo è uno stato in cui domina la finzione e, in ultima analisi, in questo modo, l’individuo vive la metafora di sé stesso e non uno stato reale.
Nei Quaderni di Serafino Gubbio Operatore, il protagonista vive nella metafora di se stesso, in una finta personalità, mentre si accorge che “lui è un altro, un altro che non ha nulla o ben poco da vedere con lui; e che il vero lui è quello che grida, dentro, la colpa: l’intimo essere, condannato spesso per tutta intera la vita a restarci ignoto!”. Le riflessioni di Serafino rinviano a uno dei due libri pubblicato nel 1908 in Arte e scienza, in particolare al brano citato da Bernardini in cui Pirandello riflette sul concetto metaforico dell’individuo. Mentre Serafino Gubbio è costretto a meditare sui propri dubbi attraverso il monologo, qui invece il senso di protagonismo dello scrittore assume una valenza particolarmente energica.
Può avvenire certamente, e avviene anzi non di rado, che noi siamo in fondo, sostanzialmente, diversi da quel che in buona fede ci crediamo, per quella illusione attiva e pure incosciente che non ci permette di vederci nella nostra vera e schietta realtà, ma quali vorremmo essere. Crediamo di conoscerci, e ci ignoriamo. Pensiamo, operiamo, viviamo secondo questa interpretazione fittizia di noi stessi. In tale stato, domina certamente la finzione; ma è una finzione vissuta, sincera.
Spesso i personaggi della piccola borghesia conoscono una morale consuetudinaria dell’ambiente siciliano. Paradossalmente ne I sei personaggi, ad esempio, questi vivono un tragico destino e la loro solitudine assume un senso di sacralità, per aver osato rivoltarsi contro l’autore. Tuttavia quando decidono di intraprendere la nuova vita, sono incapaci di crearla da soli. Come osservatore esterno, Pirandello sembra assistere alle scene create e infine imprime liricità al dramma teatrale.
In Trovarsi Donata Genzi è in conflitto con la realtà, recitando da attrice ruoli differenti e come in altri drammi teatrali, anche lei vive la tragicità dell’esistenza rispetto al relativismo della vita in continuo movimento. La realtà vissuta dai personaggi cambia continuamente nello scorrere incessante degli avvenimenti ed è impossibile che le situazioni si concentrino in una forma unica e specifica, ne seguirebbe (e ne segue!) la fine e la morte; queste tematiche ricordano naturalmente la filosofia di Bergson, e nella poetica pirandelliana sembra che tutto si concentri nella sintesi tra il senso di pietà e l’estetica teatrale. Bernardini fa notare che il teatro pirandelliano racconta l’aspetto tragicamente vero della vita, aggiungendo anche che è una forma d’arte che segue il ritmo della vita, come se fosse “un canto eterno” dinanzi alla precarietà dell’esistenza in continuo divenire.
Esistono alcuni elementi comuni in Enrico IV e in Il fu Mattia Pascal, perché il primo attende un’altra vita, dopo l’uccisione di Belcredi, e Mattia Pascal vuole un destino diverso, dopo il ritorno alla città natia. Per la studiosa queste coincidenze tematiche evidenziano un contesto sociale in cui l’individuo è in crisi; la sua inquietudine e insicurezza favoriranno lo sviluppo del fascismo.
Sappiamo che in Letteratura e vita nazionale Antonio Gramsci evidenzia la mancanza di una letteratura nazionale nella società provinciale costituita da piccoli gruppi borghesi, responsabili di aver annullato il mito del regionalismo narrativo. Se Pirandello non ha creato una letteratura nazionale, vero è che l’Italia cercava la propria identità, ma il suo destino era già segnato nel delirio nazionalista del fascismo. Condividendo l’analisi gramsciana, Bernardini cita Leonardo Sciascia che avrebbe giustificato l’isolamento dello scrittore rispetto alla cultura italiana, agli albori di un teatro d’avanguardia allo stato nascente. In effetti io penso a Sciascia, il quale, a differenza di Gramsci, afferma che nella dialettica filosofica la sicilianità rappresenta l’autenticità del soggetto in un’epoca difficile, in cui sembrava più importante scrivere piuttosto che vivere. Un isolamento costretto dalle circostanze piuttosto che da una scelta consapevole, a cui segue l’assenza di un contributo decisivo alla creazione di una letteratura sociale e nazionale su cui Gramsci riflette.
Enrico IV, i Sei personaggi e Trovarsi esprimono la rivincita dell’arte sulla vita e Pirandello, come uomo, realizza la propria pienezza dell’essere nei personaggi. Lo sfondo tematico è uno spazio geografico senza tempo, e possiamo immaginare una Sicilia sospesa in un tempo lontano. Lo scenario naturale diventa mitico ne I Giganti della montagna.
Bernardini va oltre, evidenziando che nel dramma incompiuto i sentimenti di odio, dolore e morte si annullano nell’allegro finale della natura e nell’illusione poetica. Cotrone simboleggia l’aspetto magico della realtà, il superamento della dura realtà della vita e degli ostacoli imposti attraverso il miracolo, questo sogno vive nella infinita dimensione spazio- temporale. Per Bernardini è una forma di surrealismo lirico che permette a Pirandello di superare la sfera razionale del paesaggio, raggiungendo la serenità del mondo ultraterreno. Perciò credo sia importante conoscere l’interpretazione della studiosa brasiliana, perché il suo contributo al pirandellismo attuale permette di comprendere l’evoluzione del pensiero pirandelliano nella sua totale complessità, cioè nell’intera produzione narrativa e teatrale, rivalutando l’ultima fase dei Giganti della montagna e della Nuova colonia, come il completamento finale della produzione pirandelliana, definendola appunto “la fase del surrealismo lirico”. Ma l’approdo finale del lavoro interpretativo di Bernardini è valutare questa fase dello sviluppo pirandelliano come l’ultimo viaggio virtuale dello scrittore/drammaturgo in un mondo fantastico dove le creature inventano un gioco, meravigliandosi di sé stesse e rimanendo stupefatte. Ritengo inoltre che l’approccio interpretativo della suddetta studiosa, frequente nel pirandellismo brasiliano contemporaneo, è attento in modo particolare all’analisi psicoanalitica, suggerendoci uno strumento di studio ancora poco sviluppato, a mio parere: l’analisi introspettiva e psichica del Pirandello uomo e scrittore drammaturgo.
Sandra Dugo
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