La povertà di Pirandello (Con audio lettura)

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Di Paolo Fai

Ora pensate la grandezza rara dell’uomo Pirandello, il quale, avendo, quasi senza accorgersene, guadagnato tanto denaro, e pur senza essere come altri un vanitoso sperperatore, ha saputo non diventare ricco.

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La povertà di Pirandello

La povertà di Pirandello

 da Corriere della Sera – Forum – Leggere e scrivere

Leggi e ascolta. Voce di Giuseppe Tizza. 

Ai primi di novembre, in una bancarella di libri usati, nel mercatino delle pulci del mio paese, ho trovato una copia, rara, del 1964, V edizione, di “Introduzioni e discorsi” di Massimo Bontempelli. Rara lo è di sicuro perché, cercando su Google, risulta che quel libro non è stato mai ristampato dopo quell’anno (qualche copia si trova su Amazon o E-bay). Ottima copia, nuova, con tracce di umidità. Solo un euro, il costo.
Il primo saggio è “Pirandello o del candore”, commemorazione pronunciata da Bontempelli il 17 gennaio 1937 a Roma, nel trigesimo della scomparsa del Maestro di Girgenti. Ne avevo notizia, di quel discorso, dagli scritti di Sciascia su Pirandello, ma non l’avevo mai letto. Ora l’ho potuto leggere ed è un bel pezzo di critica letteraria.

Ma non intendo soffermarmi sul senso generale di quel discorso. Poiché siamo in clima natalizio, in quel clima la cui cifra principale, e davvero rivoluzionaria, è la povertà, è sul finale di quel discorso che intendo richiamare l’attenzione degli amici del forum, dove Bontempelli “legge” la povertà in Pirandello.
“Quel candore nudo”, dal quale ha preso vita tutta la sua visione, coincide con la aspirazione alla povertà, su cui egli ci ha dato l’ultimo saluto. Povertà, aspirazione degli spiriti più eletti e vera sintesi della loro conquista. Badate che è molto difficile saper desiderare la povertà, e poi sapere essere povero; e non crediate che io parli di povertà simbolica, di povertà spirituale.
No. C’è nella vita degli uomini una cosa orrenda, che si chiama ‘diventare ricchi’. In certe epoche questa è una vera mania, nella nostra per esempio. certa gente se lo impone come compito della vita, e poi lo proclamano quasi un vanto: “tu hai esplorato il mondo – quell’altro ha scritto dei libri – e io mi son fatto ricco”. È la suprema impudicizia, incoscienza delle più alte possibilità e fini della vita degli uomini.

Ora pensate, in mezzo a questa gente, la grandezza rara dell’uomo Pirandello, il quale, avendo, quasi senza accorgersene, guadagnato tanto denaro, e pur senza essere come altri un vanitoso sperperatore, ha saputo non diventare ricco. Questa è una delle cose che nella sua biografia più sono da ammirare, anche in questa, il suo passaggio sopra la terra è stato un ammonimento attualissimo; anche per questa, la sua vita è la via diritta verso quel transito di lui dal letto di morte fino al limitare astruso ‘nel carro dei poveri: il carro, il cavallo, il cocchiere e basta’.

Ha voluto morire nudo. ‘Maschere nude’ ha intitolato il ‘corpus’ del suo teatro. ‘La vita nuda’ una delle raccolte delle novelle. Questo che lui chiama nudità, è la raggiunta semplicità. E’ di tutti gli spiriti grandi questa mania di levarsi d’attorno il superfluo, il decorativo, l’inutile: sfarzo, cerimoniale, pennacchi. S’intende che parlo di povertà conquistata. Nudità e povertà come punto non di partenza, ma di arrivo. E arrivo dico, non ritorno. La povertà-nudità cui si giunge per una diritta sorveglianza di sé, non è quella da cui possiamo essere partiti nascendo: essa, quando è ben raggiunta, è fatta densa di tutte le prove accumulate lungo la vita attenta. E allora la povertà-nudità si chiama anche: pudore.
Povertà, nudità, pudore, ecco sotto la luce del candore, la morte da cui ci siamo mossi parlando di lui, morte non annullamento ma raggiungimento.
Tale è l’unità semplice e l’efficacia moralizzante di queste vite esemplari, intensa davvero in modo meraviglioso se anche solamente per aver parlato di lui, abbiamo un momento dimenticato le cose nostre più mediocri, ci siamo tutti insieme sentiti per un’ora più buoni, più IN ALTO.

Francescana, la scelta di Pirandello.
Torniamo, allora, alla memoria dantesca:

“Quando a colui ch’a tanto ben sortillo / piacque di trarlo suso a la mercede / ch’el meritò nel suo farsi pusillo, / a’ frati suoi, sì com’a giuste rede, / raccomandò la donna sua più cara, / e comandò che l’amassero a fede; / e del suo grembo l’anima preclara / mover si volle, tornando al suo regno, / e al suo corpo non volle altra bara” (Paradiso, XI, 109-117).

Paolo Fai
4 gennaio 2015

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