La paura – Audio lettura

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Legge Valter Zanardi
«Ella restò in mezzo alla stanza, con gli occhi appuntati biecamente, come in un pensiero truce, che assumesse forma d’immagine reale innanzi a lei. Poi scosse il capo ed esalò l’interna ambascia in un sospiro di stanchezza desolata.»

Prime pubblicazioni: La domenica italiana, 1 agosto 1897.

La paura
Emile Friant (1863-1932), Les Amoureux, 1888. Immagine dal Web.

La paura

Legge Valter Zanardi

Da Youtube

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             Si ritrasse dalla finestra con un atto e un’esclamazione di sorpresa; posò sul tavolinetto il lavoro a uncino che aveva in mano, e andò a chiudere, in fretta, ma cauta, l’uscio che metteva quella camera in comunicazione con le altre; poi attese mezzo nascosta dalla tenda dell’altro uscio su l’entrata.

             – Già qui? – disse piano, contenta, levando le braccia al petto erculeo di Antonio Serra, lei gracile, piccola, col volto proteso per ricever subito il solito bacio furtivo.

             Ma l’uomo si schermì, turbato.

             – Non sei solo? – domandò, ricomponendosi a un tratto, Lillina Fabris. – Dov’hai lasciato Andrea?

             – Son tornato prima, stanotte… – rispose con tono ruvido il Serra, e aggiunse, come per mitigar la prima espressione: – Con una scusa… Era vero, per altro: dovevo trovarmi qui di mattina, per affari…

             – Non m’hai detto nulla… – lo rimproverò ella dolcemente. – Potevi avvi­sarmene… Che hai?

             Il Serra la guardò quasi odiosamente negli occhi; poi, a bassa voce, ma vi­brata, proruppe:

             – Che? Temo che tuo marito sospetti di noi…

             Ella restò, come se un fulmine le fosse caduto da presso; e, con stupore pieno di spavento:

             – Andrea? Come lo sai? Ti sei tradito?

             – No, tutti e due, se mai! – s’affrettò egli a rispondere. – La sera della par­tenza…

             –Qui?

             – Sì; mentr’egli scendeva… Andrea scendeva innanzi a me, te ne ricordi? con la valigia… Tu facevi lume dalla porta, è vero? e io nel passare…

             Lillina Fabris si portò ambo le mani sul volto; poi le scosse in aria:

             – Ci ha visti?

             – M’è parso che si sia voltato, scendendo… – aggiunse egli con voce arida e cupa. – Non ti sei accorta di nulla tu?

             – lo no, di nulla! Ma dov’è? Andrea dov’è?

             Il Serra, come se non avesse udito la domanda angosciosa della piccola amante, di cui non aveva mai intuito la grandezza dell’animo e dell’amore, ri­prese cupamente:

             – Dimmi: m’ero messo a scendere, quand’egli ti chiamò?

             – E mi salutò! – esclamò ella. – Anche con la mano… Fu dunque nello svoltare dal pianerottolo giù?

             – No, prima… prima…

             – Ma se ci avesse visti…

             – Intravisti, se mai… Un attimo!

             – E t’ha lasciato venir prima? – rispose ella con crescente angoscia… – Ma sei ben sicuro che non è partito?

             – Sicurissimo! Di questo, sicurissimo… E prima delle undici non c’è altra corsa dalla città…

             Guardò l’orologio, e si rabbuiò in volto.

             – Sta per venire… E intanto noi… in questa incertezza… sospesi così in un abisso…

             – Taci, taci, per carità! – pregò ella. – Calma… Dimmi tutto… Che hai fatto? Voglio saper tutto…

             – Che vuoi che ti dica? In questo stato, le cose più insignificanti ti sembrano allusioni; ogni sguardo, un cenno…

             – Calma… calma… – ripeté ella.

             – Sì, calma: trovala!

             E il Serra si mise a passeggiare per la stanza, storcendosi le mani. Poco dopo riprese, fermandosi:

             – Qui, ti ricordi? prima di partire, discutevamo io e lui su la maledetta fac­cenda da sbrigare in città… Lui s’accalorava…

             – Sì, ebbene?

             – Appena in istrada, Andrea non parlò più: andava a capo chino; lo guardai, era turbato, le ciglia aggrottate… «S’è accorto!» pensai. E non parlavo: te­mevo che la voce mi tremasse; tremavo tutto… Ma, a un tratto, con aria sem­plice, naturale, nella fresca tranquillità della notte, per via: «Triste, è vero?», mi fa «viaggiar di sera, lasciar di sera la casa…».

             – Così?

             – Sì. Gli sembrava triste anche per chi resta… Poi, una frase… (sudai freddo!):«Licenziarsi a lume di candela su una scala…».

             – Ah questo… come lo disse? – esclamò ella colpita.

             – Con la stessa voce… – rispose il Serra – naturalmente.. Io non so; lo faceva a posta! Mi parlò dei bambini che aveva lasciati a letto, addormentati; ma non con quella amorevolezza semplice che rassicura… – e di te.

             – Di me?

             – Sì, ma mi guardava.

             – Che disse? – domandò ella tutta sospesa.

             – Che tu ami molto i suoi bambini…

             – Nient’altro?

             – In treno, ripigliò il discorso sulla lite da trattare… Mi domandò dell’avvo­cato Gorri, se lo conoscevo.

             – Zitto! – lo interruppe ella, pronta.

             Entrò la serva a domandar se era tempo d’andare pei bambini mandati quella mattina dai nonni paterni. Non doveva ritornare quel giorno il padrone? Le vetture erano già partite per la stazione.

             Lillina, indecisa, rispose alla serva che attendesse ancora un poco, e che intanto finisse d’apparecchiare di là. Rimasti novamente soli, si guardarono smarriti; e lui ripeté:

             – Sarà qui tra poco…

             Ella gli strinse forte il braccio, rabbiosamente:

             – Ma dimmi qualche cosa! Non hai saputo accertarti di nulla? È mai possibile che lui, così violento, col sospetto nell’anima, abbia saputo fingere in tal modo con te?

             – Eppure… – fece egli battendo le mani. – Che la mia diffidenza m’abbia reso insensato fino a tal segno? Più volte, vedi, attraverso le sue parole m’è parso di legger qualcosa… Un momento dopo mi dicevo rinfrancandomi: «No, è la paura!».

             – Paura, tu?

             – Io, sì! Perché egli ha ragione… – dichiarò, nella sua grossezza, il Serra con la spontaneità del più naturale convincimento. – L’ho studiato, spiato tutti i momenti: come mi guardava, come mi parlava… Sai ch’egli non è solito di parlar molto… eppure, in questi tre giorni, avessi inteso! Spesso però si chiudeva a lungo in un silenzio inquieto; ma ne usciva, ogni volta, ripigliando il discorso sul suo affare. «Era preoccupato di questo?», allora mi domandavo, «o di ben altro? Forse ora mi parla per dissimularmi il sospetto…» Una volta mi parve finanche che non avesse voluto stringermi la mano… Bada, s’accorse che gliela porgevo: si finse distratto; era un po’ strano veramente – fu il do­mani della nostra partenza. Fatti due passi, mi richiamò. «S’è pentito!» notai subito. E infatti disse: «Oh, scusa… dimenticavo di salutarti! Fa lo stesso…». Mi parlò altre volte di te, della casa; ma senz’alcuna intenzione apparente… Mi pareva tuttavia che evitasse di guardarmi in faccia… Spesso ripeteva tre, quattro volte la stessa frase, senza senso comune… come se pensasse ad altro… E mentre parlava di cose aliene, a un tratto, trovava modo d’entrar bruscamente a riparlarmi di te o dei bambini, figgendomi gli occhi negli occhi, e mi faceva qualche interrogazione… Ad arte? chi sa! sperava di sorprendermi? Rideva; ma con una gaiezza brutta nello sguardo…

             – E tu? – domandò ella pendendo dalle labbra di lui.

             – Io? sempre sull’attenti…

             Lillina Fabris scosse il capo con sdegno iroso:

             – Si sarà accorto della tua diffidenza…

             – Se sospettava di già! – fece egli, scrollando le grosse spalle.

             – Si sarà confermato nel sospetto! – rimbeccò lei. – Poi, null’altro?

             – Sì… la prima notte, all’albergo… – riprese avvilito il Serra. – Ha voluto prendere una stanza in comune, con due letti. Eravamo coricati da un pezzo… s’accorse che non dormivo, cioè… s’accorse, no: eravamo al buio! – lo sup­pose. E bada… figurati! io non mi movevo – lì di notte… nella stessa camera con lui, e col sospetto ch’egli sapesse… – figurati! tenevo gli occhi sbarrati nel buio, in attesa… chi sa! per difendermi, se mai… A un menomo atto, sarei balzato dal letto… E allora… Ma, capisci? vita per vita, meglio la sua che la mia… A un tratto, nel silenzio, sento proferire queste precise parole: «Tu non dormi».

             –E tu?

             – Nulla. Non risposi. Finsi di dormire. Poco dopo egli ripetè: «Tu non dormi». Io allora lo chiamai. «Hai parlato?» gli domandai. E lui: «Sì, volevo sapere se dormissi». Ma non è vero, non interrogava sai, dicendo: «Tu non dormi», proferiva la frase con la certezza ch’io non dormivo, ch’io non potevo dormire… capisci? O almeno, m’è parso così…

             – Null’altro? – ridomandò ella.

             – Null’altro… Non ho chiuso occhio due notti.

             – Poi, con te, sempre lo stesso?

             – Sì, lo stesso…

             Ella stette un po’ a pensare, con gli occhi appuntati nel vuoto; poi disse lentamente come a se stessa:

             – Tutte queste finzioni… lui!… Se ci avesse visti…

             – Eppure s’è voltato, scendendo… – obbiettò il Serra.

             Ella lo guardò negli occhi un tratto, come se non avesse inteso.

             – Sì, ma non si sarà accorto di nulla! Possibile?

             – Nel dubbio… – fece egli.

             – Anche nel dubbio! Non lo conosci… Dominarsi così lui, da non lasciare trapelar nulla… Che sai tu? – Nulla! Ammetti pure, che ci abbia visti, mentre tu passavi e ti chinavi verso me… Se fosse nato in lui il menomo sospetto… che mi avessi baciata… ma sarebbe risalito… oh, sì!, pensa, pensa come saremmo rimasti!… No, senti, no: non è possibile! Hai avuto paura, nient’altro! Paura, tu, Antonio!… No, no, egli non ha potuto pensar male… Non ha ra­gione di sospettar di noi: mi hai trattata sempre familiarmente innanzi a lui…

             Rallegrato internamente dall’improvvisa fiducia concepita dall’amante, il Serra volle tuttavia insistere nel dubbio angoscioso per il piacere d’essere maggiormente rassicurato da lei:

             – Sì; ma il sospetto può nascere da un momento all’altro. Allora, capisci?, mille altri fatti avvertiti appena, tenuti in nessun conto, si colorano improvvisamente; ogni accenno indeterminato diventa una prova; poi il dubbio, certezza: ecco il mio timore…

             – Bisogna esser cauti… – rispose ella.

             Deluso, il Serra provò un senso d’irritazione contro l’amante:

             – Ora? Te l’ho sempre detto! Ella lo guardò sdegnosa:

             – Mi rinfacci adesso?

             – Non rinfaccio nulla! – rispose egli vieppiù irritato. – Ma puoi negare che tante volte t’ho detto: Bada! E tu…

             – Sì… Sì… – confermò ella, come nauseata.

             – Non so che gusto ci sia – continuò egli – a lasciarsi scoprire così… per nulla… per una imprudenza da nulla… come tre sere fa… Sei stata tu…

             – Sempre io, sì…

             – Se non era per te!

             – Sì, – fece ella alzandosi con un ghigno di scherno – la paura! Sferzato, il Serra irruppe:

             – Ma ti pare che ci sia da stare allegri, tu e io? tu, specialmente!

             Si rimise a passeggiar per la stanza, fermandosi di tratto in tratto e parlando quasi tra sé:

             – La paura… Credi che non pensi anche a te? La paura… Ci fidavamo troppo, ecco! Sì, e adesso tutte le nostre imprudenze, tutte le nostre pazzie mi saltano agli occhi, vedi, e mi domando, com’ha fatto a non sospettar di nulla finora…

             Colpita dall’accusa dell’amante, ella si portò le mani al volto e confermò:

             – È vero… è vero… lo abbiamo troppo ingannato…

             Stettero un lungo tratto in silenzio; poi riaprendo il volto, ella riprese:

             – Mi rimproveri adesso? È naturale! Sì, ho ingannato un uomo che si fidava di me, più che di se stesso. Sì, e la colpa è mia, infatti.

             – Non ho voluto dir questo – diss’egli sordamente, continuando a passeggiare.

             – Ma sì, ma sì… –. riprese ella con febbre, andandogli incontro. – Lo so, e guarda, puoi anche aggiungere che con lui ero fuggita da casa mia, sì, e che lo spinsi io, quasi, a fuggire – io, perché lo amavo, sì – e poi l’ho tradito con te! È giusto che ora tu mi condanni, giustissimo! Ma io, senti, io ero fuggita con lui perché lo amavo, non per trovare qui tutta questa quiete, tutta questa agia­tezza in una nuova casa: avevo la mia; non sarei andata via con lui… Ma egli si sa, doveva scusarsi innanzi agli altri della leggerezza a cui s’era lasciato andare, egli uomo serio, posato… Eh già! la follia era commessa: rimediarvi, adesso! riparare, e subito! Come? Col darsi tutto al lavoro, col rifarmi una casa ricca, piena d’ozio… Così, ha lavorato come un facchino; non ha pensato che a lavorare, sempre; senza desiderare mai altro da me che la lode per la sua operosità, per la sua onestà… e la mia gratitudine, anche! Già, perché sarei potuta capitar peggio!… Era un uomo onesto, lui; mi avrebbe rifatta ricca, lui, come prima, più di prima… A me, questo, a me che ogni sera lo aspettavo im­paziente, felice del suo ritorno… Tornava a casa stanco, affranto, contento della sua giornata di lavoro, preoccupato già delle fatiche del domani… Ebbene, alla fine, mi sono stancata anch’io di dover quasi trascinar quest’uomo ad amarmi per forza, a rispondere per forza al mio amore. La stima, la fiducia, l’amicizia del marito pajono insulti alla natura in certi momenti… E tu te ne sei approfittato, tu che ora mi rinfacci l’amore e il tradimento, ora che il pericolo è venuto, e hai paura, lo vedo: hai paura! Ma tu che perdi? Mentre io…

             – Consigli a me la calma! – disse freddamente il Serra. – Ma se ho paura… è pure per te… pe’ tuoi figli…

             – I miei figli, tu, non nominarli! – gli gridò ella ferita, con gli occhi lampeggianti d’odio. – Innocenti! – soggiunse poi, rompendo in lacrime.

             Il Serra la guardò un pezzo, poi più urtato che turbato, disse:

             – Adesso piangi… Me ne vado…

             – Ora? ora? – singhiozzò ella. – Si sa, ora non hai più nulla da far qui…

             – Sei ingiusta! – riprese egli pigiando su le parole. – T’ho amata, come turni hai amato, lo sai! T’ho consigliato prudenza: ho fatto male? Più per te, che per me: sì, perché io, nel caso, non perderei nulla – lo hai detto tu… Su, su, Lillina… rimettiti… È inutile adesso ogni recriminazione… Egli non saprà nulla; tu lo credi, e sarà così… Anche a me ora par difficile ch’egli si sia potuto dominare fino a tal segno… Non si sarà accorto… e così… su, su… nulla è finito… Noi saremo…

             – Ah, no! – lo interruppe ella alteramente. – No! come vuoi, ormai? No, è meglio finirla…

             – Come credi… – fece il Serra semplicemente.

             – Ecco il tuo amore! – esclamò ella indignata. Il Serra le venne incontro quasi minaccioso:

             – Ma vuoi farmi impazzire?

             – No, è meglio veramente finirla… – riprese ella – e fin da ora; qualunque cosa sia per accadere. Tra noi tutto è finito. Senti, e sarebbe anche meglio, ch’egli sapesse ogni cosa… Meglio, meglio, sì! Che vita è la mia? Te la im­magini? Non ho più diritto d’amar nessuno io! Neanche i figli miei… Se mi chino per dar loro un bacio, mi par che l’ombra della mia colpa si projetti su le loro fronti immacolate! No… no… Mi terrebbe di mezzo? Lo farei io, se non lo fa lui !

             – Adesso non ragioni più… – disse egli placido e duro.

             – Davvero! – continuò Lillina. – L’ho sempre detto! È troppo… è troppo… Non mi resta più nulla, ormai…

             Poi, facendo forza a se stessa per rimettersi, soggiunse:

             – Va’, va’ adesso… ch’egli non ti trovi qui…

             – Come… debbo andare? – fece il Serra perplesso. – Lasciarti? Ero venuto a posta… Non è meglio che io…

             – No, – lo interruppe ella – qui non deve trovarti. Torna però, quand’egli verrà, da qui a poco. La maschera dobbiamo portarla ancora insieme. Torna presto, e calmo, indifferente… non così! Parlami innanzi a lui, rivolgiti spesso a me… intendi? Io ti seconderò…

             – Sì… sì…

             – Presto. Ma… se mai…

             – Se mai?

             Ella stette soprappensiero un tratto; poi, scrollando le spalle:

             – Nulla, tanto…

             – Che cosa? – domandò il Serra confuso.

             – Nulla… nulla… Ti dico: addio!

             – Ma dunque, davvero… – si provò egli a dire.

             – Va’ via! – lo interruppe subito ella sprezzante. E il Serra andò via promettendo:

             – A tra poco.

             Ella restò in mezzo alla stanza, con gli occhi appuntati biecamente, come in un pensiero truce, che assumesse forma d’immagine reale innanzi a lei. Poi scosse il capo ed esalò l’interna ambascia in un sospiro di stanchezza desolata. Si stropicciò forte la fronte, ma non riuscì a scacciare il pensiero dominante. Andò un po’, inquieta, per la stanza; si fermò innanzi a uno specchio a bilico in fondo, presso l’uscio; la propria immagine riflessa dallo specchio la distrasse, e si allontanò. Andò a sedere innanzi al tavolinetto da lavoro, e vi si piegò sopra, col volto nascosto tra le braccia; poco dopo rialzò il capo mormorando:

             – Non avrebbe risalito la scala? con una scusa… Mi avrebbe trovata lì… dietro la finestra a guardare…

             Scosse di nuovo la testa, atteggiando il volto a sprezzo e nausea, e aggiunse:

             – Se non fu la paura… Ha tanta paura! Ah, ma ora è finita… È finita… Dio, ti ringrazio! I miei bambini., i miei bambini… Povero Andrea!

La paura – Audio lettura 1 – Legge Valter Zanardi
La paura – Audio lettura 2 – Legge Gaetano Marino
La paura – Audio lettura 3 – Legge Giuseppe Tizza

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