Di Riccardo Mainetti.
Egli infatti vuole, una volta ottenuta “La patente” di iettatore, recarsi fuori dalle fabbriche, dalle case da giuoco e così via, e restar lì fino a che i proprietari o i gestori non escano e lo paghino per andarsene
«La patente», analisi della novella
Per gentile concessione dell’Autore.
Rosario Chiarcaro e la patente di iettatore
Il protagonista della novella intitolata “La patente” di Luigi Pirandello, novella sempre tratta da quella fonte inesauribile o quasi di delizie letterarie che è la raccolta “Novelle per un anno” poi divenuta una commedia interpretata, tra gli altri, dal grandissimo Totò, anzi i protagonisti, perché ben due sono gli “attori” principali che animano codesta novella, sono un giudice ed uno iettatore. L’uomo di legge è il giudice D’Andrea, zelante giudice che, pur di non lasciar “dormire” sulla propria scrivania una causa, così come non dormiva nemmeno lui, ritarda l’orario dei pasti e si nega, persino, la passeggiata serale per la piazza con i colleghi. L’altro “attore” della vicenda, lo iettatore appunto, altri non è che il signor Rosario Chiarchiaro. Come si incontrano i due e cos’hanno in comune? I due personaggi, s’incontrano, poi s’incontreranno anche di persona ma non precorriamo i tempi, inizialmente a causa di una causa (scusate il bisticcio di termini!). La causa che fa venire a contatto il giudice D’Andrea e lo iettatore Rosario Chiarchiaro è quella che lo iettatore, o presunto iettatore, Rosario Chiarchiaro ha intentato contro due giovani rei di aver fatto gli scongiuri una volta che hanno avuto la ventura, o la sventura vedete voi come preferite chiamarla, di imbattersi nel signor Chiarchiaro.
Il giudice D’Andrea tenta in tutti i modi di mediare tra le parti, per dirla in termini squisitamente legali, affinchè non si debba dar corso ad un processo che per lo iettatore, signor Chiarchiaro, si presenta come perso in partenza e che, se celebrato sortirà, secondo il “buon” giudice, la conseguenza di arrecare ancora più danno e rendere ancora più esposto al pubblico ludibrio il povero iettatore Rosario Chiarchiaro. E come ultima istanza per addivenire ad una soluzione il più tranquilla possibile il giudice D’Andrea convoca il presunto iettatore nel proprio ufficio. Il giorno dell’incontro Rosario Chiarchiaro si presenta davanti al giudice D’Andrea tutto parato alla maniera del più tipico iettatore da operetta. Il signor giudice fa, dapprima, un salto sulla seggiola nel vedersi davanti il signor Chiarchiaro vestito in quella tal guisa e poi esplode gridando in faccia allo iettatore: “ Ma fatemi il piacere! Che storie son queste? Vergognatevi!”
Da questo momento il giudice si trova a passare dal ruolo di persona seria ed equilibrata che tenta in tutti i modi di evitare una causa che potrebbe arrecare un grave danno d’immagine ad un povero diavolo a quella di nemico e pure acerrimo della persona che nelle sue più buone e caritatevoli intenzioni egli vuole aiutare; lo iettatore Rosario Chiarchiaro, appunto. Il signor Chiarchiaro, infatti, inizia, non senza una propria logica, per balzana che possa sembrare ad un uomo dotato di equilibrio e logica, a spiegare come egli, effettivamente, voglia, assolutamente, che il giudice D’Andrea dia corso alla causa da lui intentata ai danni dei due malcapitati giovani. E lo vuole in quanto egli desidera, anzi forse è meglio dire pretende, che la Legge gli dia la certificazione, o per meglio dire “la patente” di iettatore. Lo vuole per poter poi servirsi di questa patente, “La patente” che da il titolo alla novella di Luigi Pirandello, allo scopo di ottenerne un guadagno. Egli infatti vuole, una volta ottenuta “La patente” di iettatore, recarsi fuori dalle fabbriche, dalle case da giuoco e così via, e restar lì fino a che i proprietari o i gestori non escano e lo paghino per andarsene, riconoscendo così a loro volta, “il potere” di iettatore del signor Rosario Chiarchiaro; lo stesso potere che lui sogna di vedersi riconosciuto in termini legali.
Riccardo Mainetti
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