La nuova colonia – Atto terzo

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Premessa
Personaggi, Prologo
Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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La nuova colonia – Atto III
Associazione Culturale SpazioTeatro, La nuova Colonia, 2008

1928
La nuova colonia
Atto Terzo

        La stessa scena dell’atto precedente; ma rallegrata dai preparativi d’una grande festa. Sulla prominenza rocciosa, la via che discende alla spiaggia è tutta parata di pedi e festoni e lampioncini colorati.

        A destra, sul davanti, è stata rizzata una specie di baracca; un gran telajo quadrato di tela gialla di vela, col sole nascente dipinto in mezzo, sospeso a baldacchino su una tavola coperta da un rozzo tappeto violaceo, d’albagio. Sulla tavola, i doni per le spose: scialli di casimirra con lunghe frange e sciarpe di velo e lustrini; grandi fazzoletti di seta dai vivaci colori, collane di corallo e cerchioni d’oro.

        Nuda, e più squallida che mai, rannicchiata sotto la roccia, la casa mezzo di­roccata de La Spera, con la porta verde accostata.

        Al levarsi della tela, la scena è vuota; ma si sentono dalla spiaggia sotto­stante salire gridi e risate di donne inseguite per chiasso: sono Nela e La Dia, Marella e Siclora; e i giovani che fanno il chiasso con loro, Papia e il Riccio, Osso-di-Seppia, Burrania e Filaccione. La porta verde della casa de La Spera, poco dopo, è aperta dall’interno con cautela e ne esce Dorò. La Spera rimane a parlargli dalla soglia.

        LA SPERA: No, vai, vai, Dorò; e dammi ascolto, non venire più qua.

        DORÒ: Dici per mio padre?

        LA SPERA: Dico per tutti; anche per tuo padre.

        DORÒ: Senti, senti come gridano? Pajono impazzite tutte quante!

        LA SPERA (con intenzione; ma dolente): Anche Mita?

        DORÒ (subito): No, Mita no. (Poi, infoscandosi:) Anche lei però bisogna che si levi dalla testa…

        LA SPERA (con ansia): Dorò, sai qualche cosa?

        DORÒ (subito): No, niente.

        LA SPERA: E perché dici allora…?

        DORÒ: Che cosa? No…

        LA SPERA (dopo una breve pausa, lentamente, guardandolo negli occhi): Una cosa che tu pensi, e che io mi aspetto.

        DORÒ (turbato, e volendo nascondere il turbamento): No, no… E che adesso qua, non senti? Ti pajono grida, risate giuste? Nessuno più bada a nulla, nessuno più lavora… E certe cose che prima non si sarebbero nemmeno affac­ciate alla mente, ora qua pajono lecite. Tutto par lecito!

        LA SPERA: Dici questo anche per tua sorella?

        DORÒ: Per mia sorella ci sono io e c’è mio padre.

        LA SPERA: Tuo padre non può più riparare, Dorò. Gli hanno preso tutti la mano. – Me soltanto non ha voluto guardare in faccia, nemmeno di sfuggita… E anche lei, tua sorella…

        DORÒ: Ma, sai? certi pregiudizii…

        LA SPERA: So, So. – Non importa. – Va’, Dorò. È bene che non ti si veda qua da me. Va’.

        DORÒ: Per male che possa venirne a me, o a te?

        LA SPERA: A te, a te, Dorò. Che male vuoi che possa più venire a me, ormai; e poi da te?

        DORÒ: E a me, che male?

        LA SPERA: Sono come la pecora rognosa, a cui più nessuno si deve accostare. Ma all’occorrenza saprò difendermi. Tutto per tutto. Non temere. – Va’, senti? vengono su…

        DORÒ (avviandosi): Vado; ma sii sicura sempre di me…

        Via per la destra. La Spera rientra in casa e riaccosta la porta. Vengono su dalla spiaggia inseguendosi, gridando e ridendo, La Dia e Osso-di-Seppia, Marella tra Papìa e il Riccio, Sidora e Burrania, Nela e Filaccione. (Le bat­tute dei varii gruppi vanno dette simultaneamente, di modo che, anche se le parole andranno perdute – e non sarà un grave danno, perché dalle mosse e dai gestì si potranno facilmente indovinare, – ne risulti un effetto vivacis­simo.)

        LA DIA: No, no, ora basta, finiamola!

        OSSO-DI-SEPPIA: Che basta! Ora viene il bello!

        LA DIA: Basta, ti dico! Giù le mani! (E fa per scappar di nuovo.)

        OSSO-DI-SEPPIA (acchiappandola per la veste): No, non mi scappi! non mi scappi !

        LA DIA: Lasciami, mi strappi la veste!

        OSSO-DI-SEPPIA: E tu dammi un bacio!

        LA DIA: No!

        OSSO-DI-SEPPIA (afferrandola): Me lo piglio!

        LA DIA (divincolandosi): Chiamo Quanterba, bada, chiamo Quanterba!

        OSSO-DI-SEPPIA: Ora lo chiami? Prima vieni a stuzzicarmi!

        LA DIA: Io?

        OSSO-DI-SEPPIA: Tu, tu, sì, con le tue amiche!

        LA DIA: S’è scherzato! Ora basta! (Osso-di-Seppia la bacia.) Ah! Brutto! Puh! Puzzi di pipa! (Lo spinge indietro.) Vattene!

        OSSO-DI-SEPPIA: Un altro! un altro!

        LA DIA (respingendolo): Vattene, o grido! Vattene, vattene! Lo chiamo davvero, sai!

        PAPÍA: No, come l’hai dato a lui, devi darlo a me!

        MARELLA: Sì, corna! Me l’ha dato lui, non gliel’ho dato mica io!

        PAPÍA: E allor aspetta che te lo do anch’io!

        IL RICCIO (respingendo Papìa con una mano sul petto): No, stai in là, se lei non vuole!

        PAPÍA: Oh, tu! Dici sul serio?

        IL RICCIO: Dico sul serio! Levati!

        MARELLA (mettendosi di mezzo): Non litigate, via! Facciamo così! Uno a te! (Bacia Papìa su una guancia.) Uno a te! (Bacia il Riccio.)

        IL RICCIO: Benissimo! A me, due!

        PAPÍA: E allora io voglio l’altro! voglio l’altro!

        MARELLA: Eccotelo! (Lo ribacia.) Oh! – Sembrate affamati!

        IL RICCIO: Siamo, siamo affamati!

        MARELLA: Non s’è mai vista una cosa simile! (Notando la baracca:) Uh, guar­date!

        PAPÍA: Si farà qui la festa!

        MARELLA (accorrendo alla tavola): E qua ci sono i doni per le spose!

        SIDORA (con un virgulto in mano): Non è vero! Eravamo scese tutt’e quattro –

        BURRANIA: – per noi! per noi! –

        SIDORA: – ma che per voi! –

        BURRANIA: – sì, sì, perché sapevate che alla spiaggia c’eravamo noi!

        SIDORA: Ma se non c’eravamo neppure accorte prima, che c’eravate voi?

        BURRANIA: Bugiarda!

        SIDORA: Dormivate! Stesi sulla rena come bestie morte!

        BURRANIA: E voi con la punta del piede siete venute a risuscitarci!

        SIDORA: Che piede? lo con questo! (E gli batte infaceta il virgulto.)

        BURRANIA: Assassina! (Fa per prenderla e Sidora scappa.)

        SIDORA: Non mi pigli! Non mi pigli!

        BURRANIA: M’hai fatto male davvero!

        SIDORA: Te lo meriti!

        BURRANIA: Eh sì, perché non ho saputo farti nulla!

        SIDORA: Giù le mani! Oh guarda, i regali, i regali! (E viene a finire anche lei attorno alla tavola. )

        NELA: No, oh Dio… ajuto! (Sta per cadere.)

        FILACCIONE (sorreggendola): Ch’è stato?

        NELA: Un altro po’ cado!

        FILACCIONE: Non sei mai caduta?

        NELA: Imbecille!

        FILACCIONE: Eh via, con Trentuno!

        NELA: Oh sì, proprio con lui! E perché allora mi sposerebbe?

        FILACCIONE: Appunto! Oh bella! E tu, perché, allora?

        NELA: Ma va’, muso di cane! (E gli allunga una manata sul petto, e poi si volta per scappare, ma non può.) Oh Dio, ho preso una storta!

        FILACCIONE: Vieni, ti reggo io.

        NELA: No, grazie; vado da me.

        FILACCIONE: Zoppa alle nozze, che scandalo!

        NELA: A ogni modo, stai pur certo, che non sarebbe mai stato con te!

        FILACCIONE: Chi disprezza compera!

        NELA: Oh, te neanche per un soldo rognoso!

        MARELLA: Guarda che scialli! (Ne prende uno dalla tavola, e se lo mette sulle spalle. )

        SIDORA: E guarda che collane! (Ne prende una, e se la mette al collo.)

        FILACCIONE (a Nela): Sapessi come sarei buono io!

        NELA: Sì, come la lampreda che di primavera passa nell’acqua dolce!

        LA DIA (accorrendo a levar lo scialle dalle spalle di Marella): O oh! Levatelo che non è tuo! E riposalo lì!

        MARELLA (levandosi lo scialle): O che son tutti tuoi?

        LA DIA: Tuoi non sono di certo!

        MARELLA (andando a posar lo scialle): Puh, volevo provare come mi stava…

        NELA (indicando Sidora): E guarda quella lì con la collana!

        SIDORA: Questa è mia! Questa è mia, e non me la leva nessuno!

        LA DIA: Proprio codesta? Come lo sai?

        SIDORA: So che una di certo sarà mia!

        BURRANIA: Gliela regalo io!

        SIDORA: Sì, lui! Vagabondo! non hai da far le spese a un grillo tu!

        Sopravvengono da destra Padron Nodo, Fillicò e tre vecchi marina] della ciurma.

        FILLICÒ (indicando a Padron Nodo le ragazze e i giovinastri): Eccoli là! Ve­dete? Vedete?

        UNO DEI MARINAJ (a Nela): Vai subito via! Via, svergognata, o per Cristo… (Le si fa sopra minaccioso.)

        UN ALTRO (contemporaneamente a Sidora): A casa! Corri subito a casa, o t’ac­coppo!

        UN TERZO (contemporaneamente, a Marella, cercando di cacciarla via a calci): Via, faccia senza rossore! Via! E ringrazia Dio che non t’ammazzo come una cagnaccia di strada!

        PAPÍA (trattenendolo): Eh via, vecchio stolido!

        IL RICCIO (contemporaneamente, trattenendolo anche lui): Si sta scherzando!

        FILACCIONE (nello stesso tempo, trattenendo il primo): Andate al diavolo! Qua siamo fuori del mondo!

        BURRANIA (al secondo, a un tempo con gli altri): Bum! Accoppo! Chi accop­pate?

        FILLICÒ (a Padron Nodo): Vi pare che si possa andare avanti così?

        IL PRIMO DEI MARINAJ: Non c’è più rispetto, né obbedienza! Le ragazze, ridendo e strillando, scappano via per la destra.

        VOCI DELLA FOLLA: Basta! Basta! Vi ordino di finirla!

        OSSO-DI-SEPPIA: Ma che finirla, padron Nocio, scusate! Non si faceva nulla di male!

        IL RICCIO: E proprio oggi, poi, che è festa grande!

        PAPÍA: Noi siamo qua per l’ordine, sotto il vostro comando; voi lo sapete!

        IL PRIMO DEI MARINAJ: Sì, per l’ordine, dice!

       IL SECONDO: Quest’è bordello!

        IL TERZO: Le nostre figliuole…

        PADRON NOCIO: Basta! Zitti! Ordino a tutti di tacere! – (Ai cinque:) Voi fatevi in là!

        Papìa, Burrania, il Riccio, Osso-di-Seppia e Filaccione si ritraggono e si mettono a sedere sulla prominenza rocciosa.

        FILLICÒ: C’è bisogno assoluto d’un riparo! Assoluto, assoluto, padron Nocio!

        IL PRIMO DEI MARINAJ: Ah, io per me l’ho già bell’e trovato, il riparo. A costo di rimetterci il posto!

        IL SECONDO: Eh sì, anch’io! anch’io!

        IL TERZO: Ce n’andiamo via tutti! Ce ne torniamo a terra subito subito!

        IL PRIMO: Non possiamo lasciare le nostre figliuole compromettersi così!

        IL SECONDO: Qua non c’è più né Dio, né legge!

        IL TERZO: Si sono tutte scatenate!

        PADRON NOCIO: Ma si sta già pensando a portar riparo, si sta già pensando!

        IL TERZO: Sì, e come?

        IL PRIMO: Che veste avete voi per celebrare qua stasera questi matrimonii?

        PADRON NOCIO: Ma no, che matrimonii! Si farà per finta!

        IL TERZO: Per finta?

        IL SECONDO: Come, per finta?

        IL PRIMO: E chi le terrà più, quando si vedranno, davanti a tutti, maritate? Voi scherzate!

        PADRON NOCIO: Ma nessuno ha mai parlato di veri e proprii matrimonii!

        FILLICÒ: Bisognerà aprir loro gli occhi, e bene, su questo punto!

        PADRON NOCIO: D’una semplice scritta s’è sempre parlato! Una scritta davanti a me, e basta! Tanto per dar loro, così, uno sfogo, e basta! E con la promessa di tutti che, domani, finita la festa, si ritornerà tranquilli e assennati al lavoro.

        IL PRIMO: Sì, al lavoro! Assennati! Nessuno ritornerà più al lavoro, qua, non vi fidate!

        IL SECONDO: Dicono che qua s’è fuori d’ogni regola e d’ogni legge!

        IL PRIMO: Fuori del mondo, dicono! E così è davvero! Mi par d’essere all’in­ferno!

        FILLICÒ: L’unica ve l’ho detto quale sarebbe, padron Nocio, se volete rimetter l’ordine davvero!

        IL PRIMO (piano perché non sentano i cinque appallatati lassù): Ridare il co­mando a chi solo è capace di tenerlo!

        IL SECONDO: Currao! Currao!

        IL TERZO: Parla piano!

        PADRON NOCIO (accennando verso destra): Andiamo di là!

        FILLICÒ: L’autorità, egli dovrebbe averla da voi, capite? Comandare qua legit­timamente a nome vostro, di voi che siete il padrone, diventando… E così parlando tra loro, escono per la destra.

        PAPÍA: Marche dicevano?

        IL RICCIO: È lui! quel cane di Fillicò, che trama…

        Dalla spiaggia, a questo punto, sale Crocco; vede i cinque lassù intenti a se­guire con gli occhi quelli che s’allontanano, ed esclama:

        CROCCO: Ah! Siete qua? Finalmente! Vi sto cercando da un’ora. – Ma che avete?

        PAPÍA: Guarda, guarda là!

        CROCCO: Che cosa?

        FILACCIONE: Quei vecchi imbecilli!

        BURRANIA: Se ne sono andati confabulando tra loro…

        CROCCO: Bisogna finirla, non ve l’ho detto? finirla!

        IL RICCIO: Noi siamo pronti.

        CROCCO: Pronti, sì! Dove siete stati? Vi trovo appollajati qua…

        FILACCIONE: Stiamo aspettando…

        OSSO-DI-SEPPIA: C’è ancora tempo alla festa! Non hai detto, quando s’accende­ranno i lampioncini?

        CROCCO (scendendo con gli altri dalla prominenza): Eh già! Come se non ci fosse prima da concertare –

        BURRANIA: – hai detto che ci avresti pensato tu! –

        CROCCO: Ma dobbiamo pur metterci d’accordo!

        FILACCIONE: Non siamo già d’accordo?

        CROCCO: Dico, sul come far nascere la lite!

        PAPÍA: Ma lì per lì, che vuoi concertare!

        CROCCO: Sciocco! Ti par facile? Il pretesto bisogna che figuri preso da loro e non da noi –

        FILACCIONE: – il pretesto d’attaccar lite? –

        CROCCO: – appunto! – come per un’intesa loro, capisci? e a fine di sopprimere il vecchio. Poi (che è, che non è) scampando il padre per la difesa nostra, ci andrà di mezzo il figlio. Io dovrò trovarmi accanto al vecchio; non posso farne a meno. Chi s’incarica allora di far la festa a Dorò?

        OSSO-DI-SEPPIA (interrompendo, con cenni furtivi, alla casa de La Spera): Sss! Bada, c’è lì…

        CROCCO: Ah, già, La Spera! (Resta un momento perplesso; poi, di scatto:) Per­dio, se ha inteso, la sgozzo! (E s’avvia per aprir la porta.)

        PAPÍA (cercando di trattenerlo): No, che fai?

        CROCCO (risoluto): Lasciatemi fare! (Apre la porta.) Ohi gentildonna! Vieni fuori ! La Spera si presenta sulla soglia.

        LA SPERA: Tu? Che vuoi ancora da me?

        CROCCO: Legittima curiosità. Sapere qua con gli amici, se tra le coppie che questa sera verranno a fare la scritta davanti a padron Nocio sotto quel bal­dacchino, non figurerà anche quella di te e Currao.

        FILACCIONE: Eh, ne sarebbe tempo, mi pare!

        Gli altri ridono.

        LA SPERA (lo guarda come una che abbia già preso il suo partito): Ti pare? – Io, la scritta? – Scusate: non mi avete fatto ridiventare quella di prima? – E allora…

        PAPÍA: Allora che?

        LA SPERA: Eh! Una come me non si sposa. Le si sputa in faccia; voi lo sapete.

        CROCCO: Noi, sì, in faccia; possiamo averne il diritto, ora: ma lui…

        LA SPERA: Lui, no? – E perché voi sì, e lui no? – Oh bella! Avrà pur la bocca anche lui per sputarmi! E la scritta sotto quel baldacchino, allora, – più furbo di voi tutti – verrà a farla con un’altra, se mai, e non con me.

        CROCCO: Ah, ti sei dunque accorta…?

        LA SPERA: Di che?

        CROCCO: Che fa la ruota attorno a Mita?

        LA SPERA (più che mai impronta, apposta): Sì, per toglierla a te.

        CROCCO (che non s’aspetta né quell’aria né quella risposta): A me?

        LA SPERA: E darti così la risposta.

        CROCCO: Che risposta?

        LA SPERA: E come? non ricordi che tu, prima, volevi togliermi a lui?

        CROCCO: Ah per questo?

        LA SPERA: Non è forse vero?

        CROCCO: No, cara, perché lui, ora, seguita ad averti –

        LA SPERA (sfidando tutto per tutto): – Puh! come può avermi chiunque, ora­mai…

        PAPÍA: Ah sì?

        OSSO-DI-SEPPIA: Chiunque?

        IL RICCIO: Hai ripreso…?

        FILACCIONE: Ti si può venire a trovare?

        LA SPERA: Piano! Piano! Che meraviglia? Non avete voluto proprio questo, get­tandomi a terra?

        CROCCO: Sì, ridurti al prezzo che vali: quattro soldi. Era ben questa la nostra rabbia prima: che tu non dovessi servire a tutti, ma a lui solo; e ch’egli se ne facesse forte per comandare su noi.

        LA SPERA: Già. Ma ora, vedi? con me, non si comanda più. Si comanda con Mita, ora. E dunque: tu m’hai disprezzata? per non dartela vinta, ecco che s’è messo a disprezzarmi anche lui; che vuoi farci? (Lo guarda e scoppia a ri­dergli in faccia, da pazza o da sgualdrina.)

        PAPÍA: Ma tu lo scusi o l’accusi?

        LA SPERA: Io? Né lo scuso né l’accuso. Dico quello che fa.

        CROCCO: Ah dunque s’è messo a disprezzarti perché t’ho disprezzata io?

        LA SPERA: Puoi negare che hai voluto abbatterlo col disprezzo gettato su me?

        CROCCO: Ma lui è vile se ti disprezza, ora che non gli servi più; e tanto più vile se lo fa, come tu dici, per non farsi abbattere da me.

        LA SPERA (torna a guardarlo, si fa avanti quasi con l’aria di quella di prima, poi gli dice lentamente, pigiando su tutte le parole): Dovresti ricordarti che quando questi, che ora ti sono amici, si misero a dileggiare te, gridandoti in faccia e sghignazzando con gli altri: «Eccola là! Prèndila! Non ci vuol nulla! Allunga la mano!» – (ricordi?) – io sola, allora, io sola ti difesi contro tutti.

        CROCCO: Ebbene? Vorresti difendere lui adesso con ciò che ho fatto io appena sbarcato? Ti pare che sia stato un vile anch’io a dileggiare te? No, cara! Per­ché anche tu allora devi ricordare che, dopo avermi difeso, rimasti soli, mi respingesti!

        LA SPERA: Ero di lui: dovevo respingerti. (Lo fissa stranamente; poi, come sof­focando un livore che la divora dentro, ripiglia:) – Vedi, il male, il vero male è questo, ora, per te – (per te e per me) – che Mita non è tua.

        CROCCO: Che intendi dire?

        LA SPERA: Che intendo dire? Che lui se la può prendere.

        PAPÍA: E come? abbandonando te e il figlio?

        LA SPERA (guardandoli a sfida): Gliel’ho detto io stessa d’abbandonarmi.

        TUTTI (stupiti): Tu?

        LA SPERA: Per vedere che cosa avrebbe fatto.

        FILACCIONE: E che ha fatto?

        OSSO-DI-SEPPIA: Al figlio tiene! Ci ha sempre tenuto!

        LA SPERA: Ma tiene di più a comandare. E vedrete che, pur di raggiungere lo scopo, abbandonerà anche il figlio!

        BURRANIA: Vuol rifarsi, sì! sì! È così chiaro!

        LA SPERA: A qualunque costo! Non vuol altro.

        CROCCO: Ma dunque…? Tu sei con noi?

        LA SPERA: Con voi? Sono qua, sfuggita da tutti…

        CROCCO: Se hai capito questo, devi essere con noi!

        LA SPERA: Con voi sì, se mi dite che volete fare…

        CROCCO (guardandola fisso): Tu non lo sai?

        LA SPERA: Io no. Che cosa?

        CROCCO (c.s.): Non hai udito nulla?

        LA SPERA: Nulla. Di che?

        CROCCO (voltandola, furbescamente): Di quello… sì, diciamo, che vuol far lui…?

        LA SPERA: Currao?

        CROCCO: Non sai proprio nulla?

        LA SPERA: Nulla, no! Che vuol fare?

        FILACCIONE (che ha capito la voltata di Crocco): Ah già, sì. Bene bene. Eh, lei deve certo saperne qualche cosa!

        LA SPERA: Ma no, proprio nulla, v’assicuro.

        PAPÍA: Del complotto…

        LA SPERA: Complotto? Chi? Lui?

        PAPÍA: Lui, lui. Coi pochi che sono rimasti dalla sua.

        LA SPERA: Complotto? e perché? contro chi?

        OSSO-DI-SEPPIA: Oh bella, per arrivare dove vuole! Non vuol Mita soltanto, lui! Vuol altro!

        FILACCIONE: Per fortuna, ci siamo qua noi…

        CROCCO (entrando in sospetto): Basta, basta. Non sa nulla, avete inteso? E non sappiamo nulla neanche noi. Ma comunque, puoi star sicura che non la spun­terà – te lo dice Crocco! –

        BURRANIA: No! anzi…

        CROCCO: Basta!

        BURRANIA: Ma se è con noi…

        CROCCO: Basta, perdio! Volevamo soltanto sapere se fosse a conoscenza di qualche cosa; non sa nulla: basta. Anche noi, del resto… sì, avevamo così in aria sentito dire…  Ma non ci voglio credere neanch’io!  Sarebbe troppo sciocco…

        LA SPERA: Ecco – e non è! E poi, complotto, con chi? Tobba non è capace di complottare; e Fillicò nemmeno… E ormai son così certi che padron Nocio vorrà fidarsi soltanto di loro! Tobba n’è tanto contento…

        CROCCO: Te l’ha detto?

        LA SPERA: Sì, perché non capisce lui, nel dirmelo, il male che mi fa! Non può, non vuol credere, lui –

        CROCCO: – che Currao t’abbandonerà?

        LA SPERA: Non sa quello ch’io so. Non c’è mica bisogno che si dicano certe cose.

        CROCCO: Ti senti già abbandonata?

        LA SPERA: Sì.

        CROCCO: Vuol dire che egli si sente già sicuro d’averla vinta!

        LA SPERA: Dio non vorrà! Dio non vorrà!

        CROCCO: Non lo vogliamo noi, e non deve volerlo nessuno! – (Poi, volgendosi ai compagni, come per un’idea che gli sorga all’improvviso:) Aspettate! – (Si rivolge a La Spera:) Di’, non potresti farla tu la denunzia?

        LA SPERA: Io, denunzia? A chi?

        CROCCO: A padron Nocio.

        LA SPERA: E che denunzia?

        CROCCO: Di questo complotto. È certo, sai! T’ho detto prima di no, perché per un momento ho diffidato di te. Egli vuol Mita, sì, ma per arrivare a impadro­nirsi di tutto, capisci? – Sa però che c’è un ostacolo. Ostacolo forte: prima per Mita, e poi per diventare lui solo padrone di tutto: Dorò.

        LA SPERA: Dorò?

        PAPÍA: Sì, Dorò che ti vuol bene e che certo s’opporrà per te alle sue nozze con la sorella. Capisci?

        BURRANIA: Lo vogliono levar di mezzo!

        LA SPERA: Dorò? Chi vuol levarlo di mezzo? – No!

        BURRANIA: Loro, questa sera stessa, durante la festa.

        CROCCO: Fingeranno una lite e, nel parapiglia, uno è incaricato…

        LA SPERA: No! No!

        BURRANIA (come colpito da un’idea): Ma se fa lei la denunzia… – aspettate…

        FILACCIONE: Ma già, sì – aspettate! – a lei conviene invece che questo accada!

        LA SPERA: No! Che dici! Levar di mezzo Dorò? Mai! Mai! Bisogna salvarlo, salvarlo! A ogni costo, salvarlo!

        CROCCO: Ma sì, appunto, con la tua denunzia!

        BURRANIA: Non gioverà a nulla! Non sarà creduta! Parrà una denunzia interes­sata…

        CROCCO: Sciocco, e che importa che non sia in prima creduta? Lasciami dire! Ciò che a noi importa sopra tutto è che la denunzia intanto ci sia, e da parte di una che è in grado di sapere del complotto meglio di noi. Lasciate che non la credano! Quando poi il fatto accadrà…

        LA SPERA: Ma no, il fatto no, non deve, non deve accadere!

        CROCCO: Se non ti vorranno credere, accadrà per forza!

        LA SPERA: No! Deve stare a voi non farlo accadere!

        CROCCO: Noi faremo di tutto… Ma lo lascerà accader lui; se mai, padron Nocio, non credendoti. E poi riconoscerà che tu…

        LA SPERA: No, no, quel povero ragazzo, no! Perché volete che la pianga un in­nocente?

        CROCCO: Noi? Non lo vogliamo mica noi!

        LA SPERA: No, no… non è possibile… non è possibile…

        CROCCO: Tu avrai tentato comunque di salvarlo, se fai la denunzia. E lo salve­rai, lo salverai, se sarai creduta. E salverai anche te e tuo figlio, sciocca, im­pedendo ch’egli si prenda Mita e t’abbandoni. Sarà messo al bando dall’isola, e tu potrai seguirlo.

        PAPÍA: Ecco: sta a te!

        BURRANIA: Benissimo!

        IL RICCIO: Noi t’abbiamo avvisata!

        BURRANIA (agli amici): Così è tutto a posto.

        CROCCO: Una denunzia solenne, nel pieno della festa, davanti a tutti!

        PAPÍA: E noi, a una voce, saremo con te, a confermare!

        OSSO-DI-SEPPIA: Sì sì, magnifico! magnifico!

        Quattro marinaj, a questo punto, entrano da destra e s’avviano sulla promi­nenza rocciosa, incaricati d’accendere i lampioncini colorati per la festa imminente.

        CROCCO (a La Spera): Così, siamo intesi? (La Spera, assorta e sgomenta, non risponde.) Rispondi!

        LA SPERA: Sì, sì…, bisogna salvare… bisogna salvare Dorò… E anche il mio bambino, il mio bambino…

        CROCCO: E allora, noi andiamo. A tra poco. Ferma, eh? Dipende da te.

        PAPÍA (avviandosi con gli altri): Oh guarda, cominciano ad accendere i lam­pioncini!

        IL RICCIO (a uno dei marina]): Il corteo verrà sii dalla spiaggia?

        PRIMO MARINAJO: Sì, da questa parte.

        Crocco, Burrania, Filaccione e Osso-di-Seppia saranno usciti prima per la destra. Ora Papìa e il Riccio li seguono. La Spera resta come impietrita su un sasso.

        SECONDO MARINAJO: Sono già tutti alla spiaggia.

        TERZO MARINAJO: Vedessi come si son parate le spose!

        QUARTO MARINAJO: Come se dovessero sposare per davvero! Sarà una bella car­nevalata fuor di stagione!

        Entra Tobba dalla destra, costernato. Vede i quattro marina] che accendono i lampioncini anche attorno alla tavola col baldacchino, e si ferma un po’, contrariato. Guarda La Spera là immobile; e viene avanti per mettersi a se­dere su un altro sasso.

        PRIMO MARINAJO: Buona sera, Tobba. Tu sederai qua sotto il baldacchino ac­canto a padron Nocio, no?

        SECONDO MARINAIO: Eh, vorrei vedere! padron Nocio, in nome della legge; e lui, della chiesa. Tutto in regola e con tutti i sagramenti!

        TERZO MARINAJO: Non si fa mica per ischerzo qua!

        QUARTO MARINAJO: Scherzo? Vedrai come crescerà subito nell’isola la popola­zione dei nati in libertà!

        PRIMO MARINAJO: Ma, dopo tutto, è naturale! Qua la legge e la chiesa basta che ci siano così per burla. Non è vero, Tobba?

        LA SPERA (levandosi): Ci fosse almeno Dio solo per davvero! – Ma c’è! c’è! – E lo vedrete che c’è – Siete venuti voi a farle diventare una burla la legge e la fede! Eh, ma non voi soltanto veramente… (E guarda Tobba.)

        PRIMO MARINAJO: Che dici?

        SECONDO MARINAJO: Che hai?

        TERZO MARINAJO: Con chi te la pigli?

        QUARTO MARINAJO: Ancora non ti passa?

        TOBBA: Io no, sai! né lui! Se tu ci ajuti…

        LA SPERA: Io?

        TOBBA: Sì, tu. Sta a te soltanto.

        LA SPERA: Ah! Anche tu, «sta a te soltanto»? Da una parte e dall’altra, sta a me. Ma che cosa?

        TOBBA: Salvare tutto, sì. Ora ti dirò. (Fa cenno alla presenza dei marinaj.)

        LA SPERA: Io, salvare? E che posso io? Ah dunque, è già deciso? La sposerà?

        TOBBA: Ora, ora ti dirò; aspetta…

        LA SPERA: Ma sì! Ma sì! Io glielo lascio! – Io? M’ha già bell’e lasciata lui! – Ma ho compreso tutto, fin dal primo momento; e gliel’ho detto io stessa. – Tu che dicevi di no… – Se è così che si deve salvar tutto, vai, vai pure a dir­glielo! Salvi, salvi tutto così!

        TOBBA: Non è questo, Spera.

        LA SPERA: Non è questo? E che altro, allora?

        TOBBA: Altro, se Dio te ne darà la forza. Ora ti dirò.

        LA SPERA: Non basta questo?

        TOBBA: Non basta.

        LA SPERA: Andarmene, dici? Mi vogliono mandar via?

        PRIMO MARINAJO: Ecco fatta la luminaria!

        SECONDO MARINAJO: Bella, eh? E ci saranno anche le torce a vento!

        TERZO MARINAJO: Su, su, andiamo incontro al corteo!

        QUARTO MARINAJO: A momenti, come s’alza la luna, s’avvierà. / quattro marìnaj risalgono la prominenza e scendono di là alla spiaggia.

        TOBBA (alzandosi, risoluto): Vuoi bene a tuo figlio?

        LA SPERA: Mio figlio? Che dici?

        TOBBA: Ho domandato male. Lo so che gli vuoi bene. Volevo dire, se vuoi il suo bene, più del tuo.

        LA SPERA: Certo, più del mio.

        TOBBA: A qualunque costo?

        LA SPERA: A qualunque costo, certo…

        TOBBA: Anche a costo dello stesso bene che tu gli vuoi?

        LA SPERA: Che discorso mi fai? Come c’entra mio figlio, il mio bene, il suo bene…? (Balenandole il sospetto che vogliano levarle il figlio:) O che forse lui…?

        TOBBA: No no, lui no!

        LA SPERA: Mi vuol levare il figlio?

        TOBBA: No, se tu non vuoi…

        LA SPERA: Voglio? Che dici! Posso volere…?

        TOBBA: Salveresti tutto!

        LA SPERA: Sei pazzo? – Ah mi vuol levare il figlio? Mi vuol levare il figlio?

        TOBBA: Ma no che non te lo vuol levare! Dice anzi che non è possibile…

        LA SPERA: Eh sfido che non è possibile! Non è possibile!

        TOBBA: No, dico, salvare tutto…

        LA SPERA: Ma come vorreste salvare tutto? così? – Spiegati! – Levando a me il figlio?

        TOBBA: Se potesse sposare Mita…

        LA SPERA: E perché non la sposa? La sposi!

        TOBBA: Perché il figlio non lo vuol perdere!

        LA SPERA: Ah, non lo vuol perdere! Il figlio, no? Allora, niente! Il figlio è mio – mio, e sta con me.

        TOBBA: E anche suo, però.

        LA SPERA: E chi glielo nega? Io non voglio mica levarglielo! Stia qua; l’avrà con me! O quante cose vorrebbe? Questo, quella, e il comando, la gloria, e che altro?

        TOBBA: Nulla! Nulla! Ricusa tutto, se non ha il figlio.

        LA SPERA: Ah, l’ha posto dunque per patto?

        TOBBA: Per patto, sì.

        LA SPERA: Ch’io gli dia il figlio? È pazzo! È pazzo!

        TOBBA: Considerando se non sia meglio, per il bambino stesso, restare col padre anziché con te.

        LA SPERA: Chi, io? dovrei considerarlo io, questo? il bene di mio figlio, con lui che lo vuole per prendersi quella?

        TOBBA: Se senza il figlio non se la prende, è segno, mi pare, che gli vuole bene davvero; e questo deve affidarti.

        LA SPERA: Ma che dici? con quella? Mi parli del bene di mio figlio, con quella che gliene darà altri e gl’insegnerà allora a disprezzare il suo, avuto con me? Ma se gli volesse bene davvero, comprenderebbe che mio figlio deve stare con la sua mamma, perché il bene, il vero bene, glielo potrò dare io! io! – Egli mi vuole buttar via, ecco quello che vuole! E mi butti via, e s’impadro­nisca di tutto; ma non osi porre di questi patti! Non sono patti che si possano porre, questi! – Ma come? contrattate sul mio sangue? sulla mia carne? Ma che siete? jene, siete? E tu, tu vieni a propormelo, proprio tu? tu, a parlarmi del bene di mio figlio senza più me? – Ma dunque mi volete proprio ributtare alla perdizione con un po’ di danaro, è vero? rimbarcarmi? e là, senza più il figlio, a battere di nuovo il marciapiede, alla calata del porto? Questo volete fare di me, dopo che m’ero qua rifatta nuova, Dio, alla tua presenza, alla luce del tuo sole, piena d’amore per tutti, io sola! – Ah Dio, se vuole far questo, se ha potuto pensare di levare il figlio a me, dev’esser vero! dev’esser vero! vero, anche se ancora non l’ha pensato, e l’ha invece pensato altri per lui dia­bolicamente; e lo denunzio! ora lo denunzio! Anche perché così soltanto posso salvare Dorò!

        Si sente il rumore del corteo che s’approssima, venendo su dalla spiaggia, tra suoni di cembali e le fiamme fumose delle torce a vento. Eccoli, vengono! vengono! Lo denunzio! Vado a prendere il mio bambino! Vado a prendere il mio bambino!

        Corre alla casa, ne prende il bambino, lo nasconde sotto il «manto», e riesce. Il corteo s’approssima sempre più. Tobba è rimasto angosciato e perplesso. Appena vede riuscire La Spera, così disperatamente risoluta, le s’appressa, risoluto anche lui.

        TOBBA: Chi denunzii?

        LA SPERA: Lui!

        TOBBA: E di che?

        LA SPERA: Ora sentirai.

        TOBBA: Sei pazza? Che vuoi denunziare?

        LA SPERA: Il complotto! Il complotto!

        TOBBA: Che complotto?

        LA SPERA: Che volete uccidere Dorò!

        TOBBA: Ma no, che dici? Sei pazza? Chi vuol uccidere Dorò?

        LA SPERA: Lui, lui che mi vuol levare il figlio!

        TOBBA, Ma non è vero! Tu farnetichi!

        LA SPERA: Salverò, salverò anche lui, sentirai, se sarò creduta!

        TOBBA: Ma chi ti potrà credere?

        LA SPERA: Se nessuno mi vorrà credere, s’aprirà la terra! s’aprirà la terra! – Ec­coli! Eccoli!

        Il corteo viene sii, goffamente pomposo, dalla spiaggia, tra torce accese e suono di cembali e fisarmoniche, bandiere di barche e lanterne e pennoni. Lo aprono Padron Nodo, Mita, Currao, Fillicò e Dorò. Sono dietro i finti sposi: Quanterba e La Dia, Nela e Trentuno, Marella e Bacchi-Bacchi. Seguono tutti gli altri alla rinfusa, mezzo avvinazzati, con le facce sguajatamente at­teggiate della delusione d’un divertimento che nessuno riesce a prendersi, almeno così vivo come si riprometteva. Dapprima, al grido de La Spera, si fermeranno tutti, ammassati, sulla prominenza rocciosa; poi cominceranno a scenderne.

        LA SPERA: Aspettate! Aspettate! – Fermi tutti costì! –

        VOCI DELLA FOLLA: – Chi è? Chi è? – Perché? – Chi grida? – Avanti! avanti!

        LA SPERA: No, fermi! fermi! E fate silenzio! Dite che cessino i suoni, e state a sentire quello che vi dirò!

        VOCI DELLA FOLLA (di quelli che stanno indietro): – Che cos’è? – Che avviene? – Sii, su, proseguiamo! – Perché non si va avanti? – Musica! Musica! (di quelli che sono avanti:) –Silenzio! Silenzio! – E la Spera! – Stiamo a sentire! – Fate silenzio! – Smetti, tu con quel cèmbalo!

        LA SPERA: Dorò! Dorò, vieni qua! Vieni qua da me, Dorò.

        DORÒ: Io?

        LA SPERA: Sì, sì, qua da me! Vieni, vieni!

        PADRON NOCIO (trattenendolo): No! Perché da lei?

        LA SPERA: Non lo trattenete! Lasciatelo venire! E per il suo bene!

        Dorò si libera dalla mano del padre che lo trattiene e accorre a La Spera.

        VOCI DELLA FOLLA: – Ma perché? – Non spingete, perdio! – Perché ha chiamato Dorò? – Che gli vuol fare? – Piano! Piano! – Vogliamo la festa! – Lasciate sentire! – Avanti, avanti gli sposi! – Viva gli sposi! – Ma che avviene in­somma? – È La Spera! È La Spera! – State a sentire!

        LA SPERA (a Dorò): Stai qua con me, Dorò. (Poi volgendosi a tutti.) Io vi dico che s’è complottato per uccidere questo ragazzo!

        VOCI DELLA FOLLA: – Uccidere? – Chi vuole ucciderlo?

        PADRON NOCIO: Mio figlio? Chi vuole uccidere mio figlio?

        TOBBA: Ma no, non è vero! Non è vero!

        CROCCO, PAPÍA, BURRANIA: È vero! È vero! È vero!

        CURRAO (saltando addosso a Crocco e trascinandolo giù): Lo dici tu ch’è vero?

        LA SPERA (facendosi incontro e tirando indietro, dalle mani di Currao, Crocco): No, lo dico io ch’è vero! Lo dico io! (A Dorò:) Ti vogliono uccidere, Dorò! (A Padron Nodo e a tutti:) Lo vogliono uccidere, perché sanno che non con­sentirà mai – (a Dorò) non consentirai mai tu, è vero Dorò? – mai, che tua sorella sposi lui (indica Currao che le sta di contro) lui che per prenderla mi vuol levare il figlio, levare il figlio a me!

        CURRAO: Ah, tu dici a me, dunque? che voglio ucciderlo io, Dorò?

        TOBBA: Non è vero! Non è vero!

        CROCCO E I SUOI COMPAGNI. Sì ch’è vero! È vero! – Lui, lui, sì! – Per levarlo di mezzo! – E impadronirsi di tutto! – E restare padrone lui solo! – Credetelo! Credetelo!

        CURRAO: Nessuno può crederlo!

        TOBBA: E non lo crede lei stessa!

        CURRAO (a Padron Nodo): Non potete crederlo voi, che siete testimonio…

        PADRON NOCIO: No, no, io non lo credo, non lo credo!

        LA SPERA: Qua, qua con me, Dorò!

        CURRAO (a Crocco e ai compagni di lui): E allora siete voi!

        CROCCO: Noi?

        CURRAO: Sì, voi! voi! Gliel’avete messo voi nella testa, quest’infamia, vigliac­chi!

        CROCCO E I SUOI COMPAGNI: – Ma che noi! È stata lei! – Lei, lei! – Ch’è in grado di saperlo meglio di tutti! – Il complotto, sì! E l’ha svelato a noi! – Come a tutti qua! – L’avete udita! Credetela! Credetela!

        CURRAO (a La Spera): Tu non lo credi! Tu non puoi crederlo!

        LA SPERA: Sì, sì, lo credo! Io credo, se è vero che tu vuoi levarmi il figlio, come m’ha detto Tobba! (A Tobba:) Questo è vero, quest’è vero, me l’hai detto tu !

        TOBBA: No, se tu potevi darglielo, t’ho detto!

        CURRAO: Ma ch’io volevo uccidere Dorò, chi te l’ha detto? Te l’hanno detto loro! (Indica Crocco e i compagni:) Confessalo! Te l’hanno detto loro?

        CROCCO E I SUOI COMPAGNI (un po’ a La Spera un po’ agli altri): – Noi? Te l’ab­biamo detto noi? – Parla! parla! – Non sei stata tu? – Sì, a dirci che voleva fare la denunzia! – E che anzi volevi riprendere il tuo mestiere! – Ma già! Sì, sì; ci ha invitato tutti ad andarla a visitare!

        LA SPERA: Oh vili, oh vili! Tutti vili! – Sì, è vero, me l’hanno detto loro, per spingermi a denunziarti!

        CROCCO (inveendo): Ah mala femmina!

        PAPÍA: Mentisce!

        BURRANIA: Da quella sgualdrina che è!

        CURRAO (riparandola): Nessuno la tocchi!

        LA SPERA: Ciò che volevano far loro doveva apparire come pensato e fatto da te!

        PADRON NOCIO (ai marinai): Agguantate quell’assassino e quegli altri cinque là! /marina) afferrano Crocco e i suoi compagni che si divincolano gridando.

        VOCI DELLA FOLLA: Teneteli! Teneteli! – Assassini! – Legateli! – Buttiamoli a mare!

        CURRAO: Aspettate! Aspettate! (A La Spera:) E tu perché allora mi hai denun­ziato?

        LA SPERA: Per salvare Dorò! (A Padron Nodo:) Per salvare vostro figlio! Ora voi non consentirete più che sia levato il figlio a me!

        CURRAO: Ah, no! ora il figlio tu me lo darai! (E fa per strapparglielo dalle braccia.)

        LA SPERA (ribellandosi): No! No!

        CURRAO (c.s.): Ora te lo levo davvero!

        LA SPERA (c.s.): No, no! Bada a te!

        CURRAO: Dammelo! Dammelo!

        LA SPERA (sfuggendogli su per la prominenza rocciosa): No, no! Il figlio è mio! Il figlio è mio!

        CURRAO (inseguendola): Tu me lo darai! Me lo darai! – (La raggiunge.)

        VOCI DELLA FOLLA: – È indegna di tenerlo! – Se vuol rimettersi a fare la sgual­drina! – Al padre! al padre!

        CURRAO: Dallo qua a me! Dallo qua a me!

        LA SPERA: No, no! Se tu me lo levi, trema la terra! trema la terra!

        CURRAO: Te lo strappo dalle braccia!

        LA SPERA: Trema la terra! La terra! La terra!

        E la terra veramente, come se il tremore del frenetico, disperato abbraccio della Madre si propagasse a lei, si mette a tremare. Il grido di terrore dalla folla con l’esclamazione «La terra! La terra!» è ingojato spaventosamente dal mare in cui l’isola sprofonda. Solo il punto più alto della prominenza rocciosa, dove La Spera s’è rifugiata col bambino, emerge come uno scoglio.

        LA SPERA: Ah Dio, io qua, sola, con te figlio, sulle acque!

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1928 – La nuova colonia – Mito con Prologo e tre atti
Premessa
Personaggi, Prologo
Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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