La giara – Riassunto ed analisi della novella di Pirandello

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Di Lidia Fera

Ecco un mondo che crolla un insieme di tante cose, sicurezza, beni materiali e troppo senso di superiorità; anche qui una maschera che cade, l’arroganza con i lavoranti e con un artigiano di comprovata capacità all’improvviso tutto decade e rimane lui, don Lollò, solo difronte all’incomprensibile.

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la giara. riassunto e analisi
Immagine dal Web

«La giara» – Riassunto ed analisi
della novella di Pirandello

Per gentile concessione dell’Autrice.

La Giara è il titolo di una delle novelle di Pirandello, questo lavoro viene composto nel 1906 e pubblicato sul Corriere della Sera nel 1909. Successivamente, nell’anno 1916, dalla novella viene tratta una commedia in un atto unico e nel 1917 lo scritto dell’autore siciliano viene pubblicato nella raccolta: “Novelle per un anno”.

Nella campagna siciliana, tra contadini, ulivi e un quanto mai litigioso proprietario terriero don Lollò, si svolge l’originale vicenda di una delle novelle di Pirandello: la Giara. Uno scritto breve e incisivo che delinea meticolosamente i personaggi, l’ambiente e la mentalità che ne caratterizzano il contenuto.

Il tutto ha inizio nel palmento di una casa di campagna all’interno del quale viene posta in sicurezza una grande giara, tanto grande da contenere una persona, serviva per conservare l’olio che sarebbe stato prodotto dalle olive della raccolta in corso. L’oggetto in questione viene ritrovato rotto e nessuno ha una spiegazione valida per giustificare tale disgrazia e spreco di denaro al proprietario, che sentendosi continuamene preda di ruberie da parte di tutti coloro che lo circondavano sprecava i suoi averi pagando continue consulenze, riguardo le più svariate vicende che non avevano motivo di essere, all’avvocato che interpellava per qualunque cosa gli accadesse.

Per porre rimedio a questa grave sventura abbattutasi sul patrimonio di don Lollò bisognava che quest’ultimo si affidasse alle mani di un artigiano, un conciabrocche tale Zi’ Dima Licasi, il quale vantava la scoperta di un mastice prodigioso. Ma la diffidenza del personaggio non gli permette di accettare come veritiera questa novità ed insiste per un altro metodo da lui ritenuto infallibile, i punti di fil di ferro, anzi pretende l’utilizzo di entrambi i metodi per essere certo di non sprecare il proprio tempo e denaro. L’artigiano anche se offeso per il mancato riconoscimento del suo metodo innovativo esegue gli ordini.

Il conciabrocche inizia a lavorare dall’interno della giara, prima spalmando il mastice sulla parte staccata, poi sull’altra e facendo passare i pezzi di fil di ferro dai buchi vicini praticati su entrambe, a lavoro ultimato si rende conto che le dimensioni del collo della giara non gli consentono di uscire e si ritrova chiuso dentro senza poterne in alcun modo uscire. Mentre il simbolo della prosperità viene intaccato, con tutti i protagonisti che assistono alla scena, emerge la comicità nella tragedia personale del proprietario poiché per eseguire un suo ordine l’artigiano si trova impossibilitato a risolvere l’accaduto e lo stesso don Lollò non riesce a trovare alcuna via d’uscita se non ricorrere all’avvocato e quest’ultimo gli fa notare che potrebbe essere accusato di sequestro di persona, ma gli propone una soluzione.

A questo punto don Lollò fa ritorno al proprio terreno, luogo del misfatto, riproponendo al prigioniero la soluzione del suo legale, cioè stimare la giara sanata per poterla rompere e liberarlo ma a pagarla dovrà essere l’artigiano. La scena comica comincia a farsi sempre più marcata quando Zì Dima Licasi fa notare che con il fil di ferro l’oggetto riparato vale molto meno del prezzo originario e che non ha alcuna intenzione di ripagare la giara al proprietario perché lo facesse uscire, anzi dichiara: “qua dentro ci faccio i vermi”.

Ecco un mondo che crolla un insieme di tante cose, sicurezza, beni materiali e troppo senso di superiorità; anche qui una maschera che cade, l’arroganza con i lavoranti e con un artigiano di comprovata capacità all’improvviso tutto decade e rimane lui, don Lollò, solo difronte all’incomprensibile. Nulla di ciò che possiede lo può aiutare, la sua maschera non lo protegge. Esasperato, si lascia prendere dall’ira ceca e mentre i contadini e Zi Dima Licasi festeggiano con il compenso di quest’ultimo per il lavoro svolto, spinge la giara facendola ruzzolare e l’oggetto inevitabilmente si rompe senza nessuna possibilità di recupero.

I contadini che assistono alla scena si rendono effettivamente conto della comicità e degli inutili sforzi di don Lollò per non farsi fregare, il tutto finisce con la perdita della giara per sua stessa mano. Costoro assistono impotenti, non riuscendo a far ragionare il proprietario completamente perso nel suo delirio e di fronte al pietoso spettacolo non possono trattenere una sana risata. La cecità mentale di colui il quale crede fermamente nella propria realtà talvolta sfocia nel vano, nell’effimero tentativo di porre rimedio dove rimedio non c’è pur di avere la meglio su tutto e su tutti, don Lollò perde la sua giara la distrugge egli stesso, dopo avere pagato anche per servizi inutili. Della sua assurda disperazione invece ridono i veri disperati che da lui e dalle sue volontà dipendono: i lavoratori, coloro i quali nulla altro possono se non ridere e compatire quel modo di essere di colui che comanda.

Lidia Fera
Ricevuto via mail il 20 agosto 2024

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