Premessa
Personaggi, Quadro Primo
Quadro Secondo
Quadro Terzo
Quadro Quarto
Quadro Quinto
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1934
La favola del figlio cambiato
Musica di Gian Francesco Malipiero
Quadro Terzo
Caffeuccio a terreno. Porto di mare. Finestra in fondo aperta, da cui si scorge il porto con le alberature delle navi ormeggiate e la torretta bianca con la lanterna rossa, piccole per la lontananza. Una leggera tendina azzurra un po’ unta è alla finestra e svolazza alla brezza marina. Da fuori, lontani, arrivano suoni, canti, voci. La porta è a destra, sul davanti: e, subito dopo, una scaletta che conduce a un usciuolo a vetri con tendina verde, illuminato da dietro. Sotto la scaletta, su questa parete, è un pianoforte sgangherato, su cui pesta un vecchietto capelluto e sonnolento. Una sciantosa tutta ritinta; con sottanella a ombrello di tutti i colori, canta e balla. Il banco di mescita è dirimpetto, davanti la parete sinistra, su cui è la scaffalatura con le bottiglie dei liquori. Siede al banco una femmina di rubiconda grassezza burbera e baffuta. Buttata a terra a sedere sotto la finestra, con le gambe aperte e i piedi nudi, sporchi di sabbia bagnata e rappresa, e una giovane scema e muta, cenciosa, sempre ingravidata, non sa mai da chi; ma questa volta, sì, pare che lo sappia: dal «Figlio-di-re», per cui la chiamano ormai «La Regina». Scarmigliata, ha la faccia della voluttà, pallida, e tiene gli occhi chiusi, quando li apre, imbambolati, ride stupidamente d’un riso vano: largo e senza suono, da maschera. Attorno ai tavolini seggono gli avventori, gente del porto, qualche impiegato di dogana che viene a prendere il suo caffè e a leggere il giornale; tre sgualdrinelle; e si beve, si ciarla, si giuoca a dadi, a carte.
Al levarsi della tela la sciantosa sta cantando questa bella canzone:
LA SCIANTOSA:
La mia vita è qua,
la mia vita è là,
trottola trottola,
requie non ha.
Sempre giro,
giro,
giro,
giro, giro sempre più.
Come sono?
bianca,
rossa,
verde,
nera?
sono di tutti i colori,
biancorossa,
verdenera,
giallolillarosablù.
E finito che ha di cantare e girare, come una matta si butta sulle ginocchia di un avventore che siede solo a un tavolino.
L’AVVENTORE (cacciandola, seccato):
Va’ al diavolo!
LA SCIANTOSA:
Ne vengo!
M’ha comandato lui
di venire da te
per farti compagnia.
L’AVVENTORE:
Tornaci, bella mia,
e di’ che lo ringrazio;
m’è bastato lo strazio
ella tua melodia.
UNA DELLE TRE SGUALDRINELLE (alle altre due):
L’ho detto e lo mantengo:
con due ministri, buj
come la notte, e un maggiordomo nero,
un Principe straniero,
figlio di re.
LA SECONDA:
L’hai visto tu, sbarcare?
LA PRIMA:
L’ho visto io.-
LA TERZA:
Com’era?
LA PRIMA:
Malato.
LE ALTRE DUE:
Ah sì, malato?
LA PRIMA:
Un visino di cera…
Capelli biondi…
LA SECONDA:
Inglese?
LA PRIMA:
Non so di che paese.
L’hanno mandato
alla nostra riviera…
LA SECONDA:
Per cura?
LA PRIMA:
Ha presa stanza
alla villa sul mare.
LA TERZA:
Un principe in vacanza!
LA PRIMA:
Ma temo che s’annoj!
LA SECONDA:
Cara, s’è un Principe,
non è per noi!
LA TERZA (sbadigliando):
E s’è malato poi…
Da lontano, cadenzato, arriva un coro di monelli che dànno la baja:
CORO DI MONELLI:
olé, olé,
figlio di re!
olé, olé,
figlio di re!
La sciantosa, fatto il giro col piattello, si ripresenta all’avventore:
LA SCIANTOSA:
Da’ la mancia.
L’AVVENTORE (con una manata):
Va’ via!
Intanto la padrona del caffeuccio, udendo il coro dei monelli che s’approssima, scende dal banco e va a urtare col piede «La Regina» che dorme per terra.
LA PADRONA:
Su, pancia,
su,
su,
fuori di qua!
LA PRIMA DELLE SGUALDRINELLE:
E lasciala stare,
che male ti fa?
LA PADRONA:
Non la voglio qua da me,
sei contenta?
LA SECONDA:
Sempre col ventre pieno,
vergogna!
LA TERZA:
Ma un po’ di carità,
se non per lei per il suo stato almeno!
L’AVVENTORE:
Ne fa uno e s’addormenta;
prima di fare l’altro se lo sogna.
LA PADRONA:
Su, su, ti dico! su,
sacco d’umanità!
Tirata sù, «La Regina» si guarda in giro, sbattendo gli occhi, e mostra a tutti il suo largo e vano riso da scema. Gli avventorì la burlano:
GLI AVVENTORI:
– Chi è stato, di’? chi è stato?
– Chi te l’ha fatto il guajo?
– Certo un soldato!
– O un marinajo!
– Nemmeno lei lo sa!
LA PADRONA:
No, chi è stato,
questa volta lo sa bene!
eccolo qua,
che viene.
Il coro dei monelli è già davanti la porta.
CORO DI MONELLI:
Olé’ olé,
figlio di re!
Olé, olé,
figlio di re!
Tutti nel caffeuccio scoppiano in una lunga strepitosa risata, come, zampettando sulle gambe sbieche stirate e tutto in preda a una continua convulsione di nervi, che non gli lascia fermo un momento alcun membro, appare sulla soglia «Figlio-di-re» con una corona di cartone dorato di traverso sul capo e un mantelletto sulle spalle: mostro allegro, esultante, che stenta a parlare.
FIGLIO-DI-RE:
Agghivato pe mmaghe è un ghan legno,
pfum-pfum,
pfum-pfum,
pfum-pfum
bandieghe,
catene,
pennacchio di fumo,
pfum-pfum,
pfum-pfum
pottaghmi co quetta coghona
e quetta gheghina a mmio ghegno,
tira a sé «La Regina»
sedeghe su xxrhono!
Ogni verso è accolto dagli avventori con risate e applausi, a cui rispondono da fuori le grida dei monelli. Entrano intanto, a frotte, alcuni marinaretti stranieri, agitando i berretti e gridando:
MARINARETTI:
Trinchevàine! Trinchevàine!
Mit Froilàine! Mit Froilàine!
Le sgualdrinelle si lanciano nelle loro braccia, e «Figlio di re» li addita agli avventori, beato e festante:
FIGLIO-DI-RE:
Ecco! Ecco!
UN AVVENTORE:
Chi sono? Chi sono?
FIGLIO-DI-RE:
Maghinaghi de mmio ghegno!
Maghinaghi de mmio ghegno!
facendosi loro innanzi e indicando la corona che porta in capo:
Maghinaghi de mmio ghegno,
salutate il voxxrho ghe!
I marinaj ridono con gli avventori, mentre la sciantosa fa subito attaccare al vecchietto la nuova canzone per i nuovi venuti:
LA SCIANTOSA:
Marinaretti che terra toccate,
sempre trovate le belle figliole…
Ma la padrona non ne può più, manda a gambe all’aria il vecchietto e dà un urtone alle spalle alla sciantosa, poi sifa in mezzo, gridando:
LA PADRONA:
Basta!
Basta!
Basta!
Basta!
Non do spettacoli
in casa mia!
ricacciando «La Regina»
E tu intanto, via,
via col tuo re!
FIGLIO-DI-RE (rivoltandosi feroce):
Ghispetta la coghona!
L’AVVENTORE (interponendosi):
Via, padrona,
siate buona,
e tutti gli altri del caffé ripetono:
buona,
buona,
e l’Avventore riprende:
Via, padrona,
e ancora gli altri:
buona,
buona.
e di nuovo l’Avventore:
Lasciateci onorare
la nuova dinastia;
ma diteci chi è
questo novello re!
Entra all’improvviso, fosca come una bufera, Vanna Scoma. Tutti si scostano, facendo silenzio.
VANNA SCOMA:
Chi è? La follia
d’una ignorante. La cerco. Dov’è?
Non voglio che si dia
di quanto è avvenuto,
di quanto potrebbe avvenire,
la colpa a me!
LA PADRONA:
Non siete andata ogni notte a vedere
il suo figliuolo alla reggia?
VANNA SCOMA:
Per quietarla!
LA PADRONA:
No, per frodarla!
«Come cresce? com’è?»
«Cresce bene, col re, ch’è un piacere,
come ci gioca, come lo vezzeggia.»
E questo sciagurato,
intanto eccolo qua,
cresciuto
come un bruto, zimbello
d’ogni monello.
IL CORO DEI MONELLI (davanti alla porta):
Olé, olé,
figlio di re!
olé, olé,
figlio di re!
LA PADRONA:
Eccoli, li sentite?
VANNA SCOMA:
Perché voi non capite!
Fu sapiente carità la mia.
LA PADRONA:
Pretesto di scrocco,
ecco quello che fu.
L’AVVENTORE:
Brava, padrona,
pretesto di scrocco!
VANNA SCOMA (prima all’una, poi all’altro):
Sciocca! Sciocca! – Sciocco
anche tu!
Feci dipendere il bene di quello
dal bene di questo,
e voi dite pretesto
di scrocco,
la carità mia!
Non è colpa mia
se poi questo è cresciuto
com’un allocco
o com’un bruto!
LA PADRONA:
E se ognuno lo burla
con quella corona?
Se dietro gli s’urla
ch’è figlio di re?
VANNA SCOMA:
Doveva la Madre
sapere
tacere.
LA SCIANTOSA (che guarda dalla porta):
Eccola!
vien di corsa!
LA PADRONA:
Anche lei qua da me?
LA SCIANTOSA:
Oh Dio, pare morsa
dalla tarantola! Fa
con le braccia così – così – così…
agita in aria le braccia.
LA PADRONA (urlando):
Via tutti! Via tutti!
Fuori di qui!
Non voglio scandali,
non voglio ambasce
nel mio caffè!
Entra, seguita da alcune donne del popolo, la Madre delirante.
LA MADRE:
È arrivato! è arrivato
il figlio mio, malato,
il figlio mio che in fasce
mi fu cambiato!
È arrivato! è arrivato!
L’AVVENTORE:
Il figlio vostro? E questo
allora che cos’è?
non basta che ve l’abbiano
incoronato re?
LA MADRE:
No, non è questo, no!
questo mi fu lasciato!
Pallido, come un morto,
questa mattina all’alba,
nel porto,
il figlio mio,
il figlio mio,
guardate,
eccoli i marinaj,
me l’han portato loro,
questa mattina all’alba,
sopra una nave tutt’argento e oro!
È il figlio mio, non è
un Principe straniero!
Dicono c’ha bisogno
di sole. Non è vero.
Ha bisogno di me,
della sua mamma,
e non lo sa!
Qualcuno in sogno
gli ha certo parlato,
ed è venuto qua
malato.
Andate a dirglielo, voi marinaj
andate a dirglielo ch’io sono qua,
io, la sua mamma
che lo guarirà!
Poi, rivolgendosi al mostro incoronato:
E tu, a casa! a casa!
FIGLIO-DI-RE (rivoltandosi, comico e brutale):
No!
Io sono il ghe!
E questa la gheghina!
Tutti di nuovo scoppiano a ridere.
L’AVVENTORE:
Vero, verissimo,
Signori, ormai
nessun di noi
lo potrà più negare.
E dunque a voi,
Maestà,
a voi, Regina,
devotamente,
ognun di noi
s’inchina!
Inchino grottesco di tutti, tranne della Madre e di Vanna Scoma, e «Figlio-dire» e «La Regina» a braccetto escono. Mentre il buffo corteo sfila:
VANNA SCOMA (dice alla Madre):
Non attentarti a dire
al Principe arrivato
quello che hai detto qua:
Bada – è malato –
te lo farò morire.
1934 – La favola del figlio cambiato – Favola in tre atti in cinque quadri
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