La favola del figlio cambiato – Quadro secondo

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La favola del figlio cambiato - Quadro II
Compagnia Gli Stravaganti, La favola del figlio cambiato, 2012. Immagine dal Web.

1934
La favola del figlio cambiato
Musica di Gian Francesco Malipiero
Quadro
Secondo

        Appare l’interno dell’abitazione di Vanna Scoma.

        È Vanna Scoma una vecchia fattucchiera, che ha fama d’essere in misteriosi commercii con le «Donne».

        Vive in una casupola quasi in campagna.

        Non si vedrà dell’interno altro che un rustico camino in fondo, con una grande cappa; a destra, la sola porta, d’un verde chiaro, mezz’aperta; a sinistra, una sola cassapanca, lunga e stretta come una bara, su cui è buttato, non disteso, un pezzo di stoffa rossa. Tutto il resto è nero.

        Vanna Scoma è seduta davanti al camino. Immobile, con le mani posate sulle gambe, non par vera.

        Avrà sul volto dapprima una maschera, Per dar questa impressione di fantoccio, lì posato sulla seggiola, con le sue vesti e le sue grosse scarpe.

        Entrano dalla porta mezz’aperta nella notte la Madre e le due donne che l’accompagnano.

        LA MADRE (è tutta scarmigliata; è corsa nella notte, sempre gridando; ora sorretta dalle due vicine, con la testa che le ciondola dalla stanchezza, quasi senza più voce per l’affanno della corsa e il troppo gridare, ripete, entrando, come un’eco del suo grido disperato):

        Figlio mio …

        Figlio mio …

        Le due donne la scrollano per farla tacere, quasi irose:

        L’UNA:

                            Zitta!

        L’ALTRA:

                            Basta,

        ora!

        L’UNA:

        Basta!

        LA MADRE:

        Perché? Dove m’avete

        portata? Voglio il figlio mio…

        L’ALTRA (prendendosi con la mano sinistra l’avambraccio destro levato e mostrandoglielo):

        Qua, ecco

        il figlio vostro!

        L’UNA:

                             Fate

        perdere la pazienza!

        L’ALTRA:

        Vanna Scoma è la sola

        che possa dirvi dov’è.

        LA MADRE:

        E svegliatela, dunque, svegliatela,

        che possa dirmi dov’è!

        L’UNA:

        Svegliarla? Siete matta?

        L’ALTRA:

        Bisogna aspettare che si svegli da sé!

        L’UNA:

        Che rinvenga; perché,

        pare lì, ma non c’è.

        L’ALTRA:

        Sediamo, sediamo

        qua sulla cassapanca.

        L’UNA:

        La porta, sempre aperta,

        di giorno e di notte.

        L’ALTRA:

        E la notte è così,

        come un fantoccio

        posato lì sulla seggiola:

        le vesti, le scarpe,

        le mani sulle gambe.

        L’UNA:

        Se la toccate è di gelo.

        L’ALTRA:

        Ma chi

        s’attenta a toccarla?

        L’UNA:

        Il suo spirito

        è via con le Donne.

        L’ALTRA:

                            Ogni notte

        se la vengono a chiamare

        Entrano dalla porta mezz’aperta due contadini con gli scialli sulle spalle.

        L’UNA:

        Ecco qui

        questi due.

        PRIMO CONTADINO:

        Contadini.

        SECONDO CONTADINO:

        Suoi vicini.

        L’UNA:

        Ogni notte per nome

        la sentono chiamare.

        L’ALTRA:

        È vero?

        PRIMO CONTADINO:

        È vero, sì.

        L’ALTRA:

        E come? come?

        SECONDO CONTADINO (imitando una voce misteriosa, lontana):

        Vanna Scoma …

        Vanna Scorna …

        PRIMO CONTADINO:

        Se la portano con loro,

        chi sa dove, a far che cosa…

        SECONDO CONTADINO:

        Solo il corpo resta lì.

        PRIMO CONTADINO:

        Ma se le mettete

        sul capo codesto

        panno rosso –

        SECONDO CONTADINO:

        – alza le mani

        subito, per levarselo, e si sveglia.

        L’UNA:

        Proviamo?

        L’ALTRA:

                            Proviamo.

        L’una prende quel pezzo di stoffa rossa, lo stende, porgendone i due capi all’altra, e tutt’e due cautamente vanno a deporlo sul capo della fattucchiera. Questa leva subito le mani e, insieme col panno rosso, strappandosi la maschera (che vi resterà dentro nascosta), scopre la faccia viva, gridando:

        VANNA SCOMA:

                            Chi è?

        PRIMO CONTADINO:

        Amici!

        SECONDO CONTADINO:

        Amici, Vanna Scoma!

        L’UNA:

        Amiche!

        Siamo venute, perché… –

        Vanna Scoma alza la mano a un gesto che para.

        PRIMO CONTADINO (subito):

                 Zitte!

        SECONDO CONTADINO:

        Fa segno!

        VANNA SCOMA:

                            Lo so, perché.

        L’ALTRA:

        – a questa poveretta…

        indica la Madre.

        VANNA SCOMA:

                            Vi dico che lo so!

        L’UNA (col tono di chi non può tenersi dal dire una cosa, tanto le pare crudele):

        – hanno cambiato il figlio!

        LA MADRE:

        Il figlio mio! Il figlio mio!

        L’ALTRA:

                            –  le Donne!

        VANNA SCOMA (irritandosi, come se non voglia saperlo):

        Le Donne … le Donne …

        V’empite la bocca: Le donne!

        Chi ve l’ha detto? Nessuno

        può saperlo. Io so questo soltanto:

        che tuo figlio

        l’ho veduto.

        LA MADRE (subito levandosi):

        L’avete veduto?

        VANNA SCOMA:

        Veduto.

        LA MADRE:

                            Dov’è?

        Dove me l’hanno portato?

        Vanna Scoma para le mani a impedire ogni domanda.

        Corro anche in capo al mondo…

        PRIMO CONTADINO:

        Zitta!

        SECONDO CONTADINO:

                            Forse ve lo dice!

        Attendono protesi. Vanna Scoma abbassa le mani, tace.

        L’UNA:

                            Dove?

        L’ALTRA:

        Dove?

        PRIMO CONTADINO:

                                                Non può dirlo.

        LA MADRE:

        Perché non potete?

        se lo sapete…

        PRIMO CONTADINO:

                            Lo sa,

        ma non può.

        LA MADRE:

        Vanna Scoma, vi do

        tutto quello che ho!

        Ditemi dove l’avete veduto!

        Vanna Scoma, che ha abbassato le mani, ne rialza una.

        SECONDO CONTADINO:

        Vuol parlare!

        VANNA SCOMA:

                            Ti dico

        che tuo figlio – dov’è –

        sta bene.

        LA MADRE:

                            Bene?

        senza di me?

        il figlio mio, senza di me?

        e come volete che possa star bene

        senza di me?

        L’UNA:

                            Se ve lo dice lei …

        LA MADRE:

        Ma io? ma io? Che dite!

        Voglio correre subito a prenderlo!

        Se l’avete veduto,

        dovete pure saperlo, dov’è,

        dove me l’hanno portato.

        Ditemelo, Vanna Scoma!

        Morrò, se non lo so!

        se non me lo dite, morrò!

        VANNA SCOMA:

        Più fai così,

        e più tuo figlio, là dove si trova,

        s’agita e smania e soffre.

        LA MADRE:

        Ma come volete che faccia?

        VANNA SCOMA:

        State tranquilla.

        LA MADRE:

                            Tranquilla?

        Sì, morta;

        come volete che stia

        tranquilla? No, no,

        voglio sapere dov’è,

        voglio sapere dov’è!

        VANNA SCOMA:

        In una casa di re.

        LA MADRE:

        In una casa di re?

        mio figlio?

        in una casa di re?

        L’UNA:

        Se ve lo dice lei …

        L’ALTRA:

                            … che l’ha veduto …

        VANNA SCOMA:

        In una casa di re.

        PRIMO CONTADINO:

        La sentite?

        SECONDO CONTADINO:

                            L’ha ripetuto!

        LA MADRE:

        Ma lo dice per burla!

        me lo dice

        per farmi stare tranquilla!

        PRIMO CONTADINO:

        No, ve l’ha detto – guardatela! –

        ve l’ha detto perché è vero,

        guardatela!

        Tutti la guardano. Vanna Scoma rimane impassibile.

        L’UNA:

        Vanna Scoma!

        Vanna Scoma!

        Vanna Scoma rimane impassibile.

        SECONDO:

                            Non risponde.

        Quando ha detto una cosa

        vuol essere creduta.

        PRIMO:

        E dopo tutto perché

        non dovrebbe esser vero?

        L’UNA:

        Vostro figlio era bello –

        L’ALTRA:

        – come un figlio di re!

        L’UNA:

        È parso loro peccato –

        VANNA SCOMA:

        – che crescesse con te.

        PRIMO:

        La sentite?

        SECONDO:

        Dunque, è vero!

        LA MADRE:

        Che crescesse con me,

        il figlio mio, peccato?

        PRIMO CONTADINO:

        Non diciamo peccato,

        diciamo che è segno

        che l’hanno stimato

        degno –

        SECONDO CONTADINO:

                            – ecco, degno

        d’una sorte migliore!

        L’UNA:

        Carni fine,

        da indossare

        camicine

        delicate.

        L’ALTRA:

        E manine

        da toccare

        cose belle,

        cose rare.

        LA MADRE:

        Il figlio mio …

        Il figlio mio …

        PRIMO:

                            Piangete?

        SECONDO:

        Siate contenta, felice, superba,

        che sia diventato

        un figlio di re!

        L’UNA:

        Avrà quello che vorrà!

        LA MADRE:

        Ma la mamma sua vera…

        L’ALTRA:

        Piccolino, non lo sa

        che v’ha lasciata…

        LA MADRE:

        Ma già mi conosceva!

        L’UNA:

        E domani, aprirà

        gli occhi

        LA MADRE:

                            – e non mi vedrà,

        mi cercherà

        L’ALTRA:

                            – si troverà davanti

        una regina – che volete di più?

        L’UNA:

        Una regina! E chi sa

        che cose grandi vedrà –

        LA MADRE (assorta):

        Crescerà senza sapere

        più nulla del suo stato…

        PRIMO CONTADINO:

        Ah, sì, bello stato –

        SECONDO CONTADINO:

        – da rimpiangere davvero…

        LA MADRE:

        … né dov’è nato,

        né chi era

        la mamma sua vera…

        riscotendosi

        No, no, il figlio mio

        io voglio il figlio mio,

        povero come me,

        ma con me, ma con me!

        L’ALTRA:

        E questo è tutto il bene

        che gli volete?

        LA MADRE:

                            Per il figlio mio

        il mio cuore di mamma

        val più d’ogni regno

        e più d’ogni splendore!

        L’UNA:

        Più d’una casa di re?

        LA MADRE:

        Casa di re… casa di re…

        Che re? di che regno?

        VANNA SCOMA:

        Non stare a cercare.

        LA MADRE:

        Si può ben fare il conto dei re,

        non ce n’è tanti poi sulla terra…

        PRIMO CONTADINO:

        Il re d’Inghilterra…

        SECONDO CONTADINO:

        Il re di Francia…

        VANNA SCOMA:

        Sì, Francia… La Francia

        non ha più re.

        L’UNA:

        Non ha più re?

        L’ALTRA:

        S’è detto sempre il regno di Francia.

        VANNA SCOMA:

        E ora la Francia

        non ha più re.

        PRIMO CONTADINO (alla madre):

        Vorreste andare per mare e per terra

        in cerca di regni?

        SECONDO CONTADINO:

        Vi figurate che vi lascino entrare

        in una reggia guardata –

        PRIMO CONTADINO:

        – voi tutta stracciata,

        più strapazzata

        d’una scopa di forno –

        SECONDO CONTADINO:

        – le scarpe rotte…

        L’UNA:

        I guardiani…

        L’ALTRA:

        Linguaggi d’altro suono

        VANNA SCOMA:

        E c’è regni in cui sono

        sei mesi di giorno

        e sei mesi di notte.

        L’UNA:

        Lontani, lontani

        L’ALTRA:

        Inutile andarlo a cercare!

        PRIMO CONTADINO:

        Non lo potrebbe mai ritrovare…

        LA MADRE:

        Ma allora… ma allora mio figlio non debbo

        rivederlo mai più?

        VANNA SCOMA:

        Ti posso dir questo soltanto: se tu

        vuoi che tuo figlio stia bene,

        dipende da te.

        Non vale che sia in una casa di re.

        Tratta bene quest’altro che t’è

        toccato in cambio. E t’avverto,

        che certo

        quanta più cura tu qua

        avrai di quest’altro,

        e tanto meglio tuo figlio

        starà di là.

        Bujo. La scena sparisce.

1934 – La favola del figlio cambiato – Favola in tre atti in cinque quadri
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