Premessa
Personaggi, Quadro Primo
Quadro Secondo
Quadro Terzo
Quadro Quarto
Quadro Quinto
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1934
La favola del figlio cambiato
Musica di Gian Francesco Malipiero
Quadro Quinto
Lato opposto del giardino, verso l’entrata della villa. Sul davanti è il viale che porta al cancello. In fondo è una proda in pendio, con una fontanella e un sedile di marmo.
La proda è cinta da un’alta siepe, in cui si vede uno sforo.
Appare in esso, tra qualche foglia pendula, il viso della Madre, che spia. Il giovane Principe è seduto sul sedile, assorto. Poco dopo, si alza, smanioso.
IL PRINCIPE:
Insoddisfazione! Non trovo
più requie in alcun posto,
e più pace non ho!
Sento vicino,
accosto,
il mio destino, e non so
come ghermirlo!
Voltandosi, scorge quel volto che lo spia dallo sforo della siepe.
Che fai tu li?
chi sei?
perché mi guardi così?
LA MADRE:
Non posso dirlo.
IL PRINCIPE:
Piangi, con occhi
che ti ridono; è strano;
perché?
LA MADRE:
Non posso dirlo.
IL PRINCIPE:
Nemmeno chi sei?
LA MADRE:
Una donna di qui,
che aveva un tempo un figlio…
IL PRINCIPE:
E io gli somiglio?
LA MADRE:
Sì.
IL PRINCIPE:
Sento che con gli occhi,
guardandomi, mi tocchi
come con la mano.
LA MADRE:
Invidio tua madre
ch’ebbe questa fortuna.
IL PRINCIPE:
Mia madre? Mia madre morì:
– una bara – una cuna.
LA MADRE:
Morì? Tua madre?
IL PRINCIPE:
Sì,
come nacqui. Piansi, e lei lì muta.
Non l’ho conosciuta.
Ah, non fummo felici
né lei di morire,
né di nascere, io.
LA MADRE:
Oh Dio, oh Dio,
ma allora perché
l’hanno fatto?
IL PRINCIPE:
Che dici?
Di che
ti dài pena?
Una regina, da tanto
scomparsa dalla scena
del mondo… E questo tuo pianto
per me… Che vuol dire?
LA MADRE:
Ma se …
ma se non lo fecero
per darla a un’altra
la gioja d’averti…
perché?
IL PRINCIPE:
Tu farnetichi…
LA MADRE:
Almeno questo conforto
per me, qua meschina,
saperti…
IL PRINCIPE:
Oh bella! Tu mescoli
la tua storia e la mia…
LA MADRE:
È crudele! È crudele!
IL PRINCIPE:
T’è morto
il figlio?
LA MADRE:
No! non sia mai!
Ma sento che non hai
avuto mamma! Ed a me,
qua fiele, fiele
nel seno,
il latte mi si fece!
Credevo che invece
tu almeno
al seno di quella…
d’una regina…
la vita bella…
ricchezze…
la reggia…
IL PRINCIPE:
È il sole! Sì, colpa del sole
dev’essere, io penso.
Qua tutti si vaneggia.
Donna, non colgo senso
nelle tue parole.
Tuo figlio non è più con te?
Dov’è?
LA MADRE:
Mi fu rapito
in fasce, e portato, mi dissero,
in una casa di re.
IL PRINCIPE:
Ah, e forse – ho capito –
tu credi che possa esser io?
A questo punto, dalla fontana dietro alla quale si teneva nascosto, scatta addosso al Principe con un pugnale brandito «Figlio-di-re».
FIGLIO-DI-RE:
No! Io,
io sono il Ghe!
E tu, l’usuxxpatoghe!
Sta per colpirlo alla nuca; ma al grido della Madre, nel vederlo apparire, il Principe, voltandosi, può schermire il colpo e attanagliare i polsi del mostro.
IL PRINCIPE (ghermendolo):
Oh! Guarda! Tu… buffo!
Mentre la Madre, sempre gridando, accorre per entrare dal cancello nella villa, da dietro la fontana sopravvengono, gridando anch’essi, i due Ministri e il Maggiordomo col Podestà del luogo, che ha recato, col corriere diplomatico, l’annunzio della morte del re.
I MINISTRI, IL MAGGIORDOMO E IL PODESTÁ (accorrendo):
– Che cos’è?
– Che cos’è?
– Maestà!
– Maestà!
– Un attentato anche qua?
IL PRINCIPE:
No, niente, un tuffo
di sangue alla testa: passato!
Ecco: guardatelo!
incoronato!
è l’attentato
d’un re!
PRIMO MINISTRO:
Questo mostro
chi è?
IL PODESTÁ:
Lo zimbello del nostro
paese; vi dirò
IL MAGGIORDOMO:
Io lo so,
gli s’è lasciato credere…
IL PODESTÁ:
Ecco, una favola
che da tant’anni qua
gira tra il popolo…
FIGLIO-DI-RE:
Sono
ghe! Sono ghe
Entra la Madre, affannata dalla corsa, e si butta in ginocchio.
LA MADRE:
Perdono!
Perdono! Non sono
colpevole!
IL PODESTÁ (saltandole addosso):
Via! Via! Levatevi!
Non siete colpevole?
Le donne ciarliere…
IL PRINCIPE (trattenendolo):
Aspettate! Che favola?
Io voglio sapere.
PRIMO MINISTRO (supplichevole):
Maestà! Maestà!
SECONDO MINISTRO:
Non c’è tempo: si sta
per partire!
MAGGIORDOMO:
È arrivato l’annunzio di morte…
IL PRINCIPE:
… del Re?
E resta a lungo, compunto e pensieroso, nel silenzio di tutti, mentre a poco a poco il viale sottostante si va riempiendo di gente del popolo, in massima parte donne, ansiose e sgomente, entrate appresso alla Madre. Il Principe, dopo aver compianto il padre in quel silenzio, si volta ai Ministri e dice:
L’annunzio
allora, anche per me
d’andare a morire
LA MADRE (con un grido, dalle viscere):
No, figlio! No, figlio!
UNA DONNA DEL POPOLO:
Tu bello
resti qua con tua madre!
LE ALTRE:
È tua madre! È tua madre!
LA DONNA (indicando il mostro):
Ed è quello
il figlio del re!
LE ALTRE:
Quello! Quello!
LA DONNA:
E andrà quello! Tu resta
qua!
LE ALTRE:
Resta! Resta! Resta!
LA MADRE:
Qua, figlio, con me!
IL PRINCIPE (esilarato):
La favola è questa?
PRIMO MINISTRO (supplichevole):
Maestà… Maestà…
LA MADRE:
Non è favola!
È verità!
LE DONNE DEL POPOLO:
Verità! Verità!
LA MADRE:
Sono tua madre.
LE DONNE:
È tua madre! È tua madre!
IL PODESTÁ (investendole):
Via di qua! Via di qua! Via di qua!
PRIMO MINISTRO:
E voi Maestà
non date ascolto!
bisogna partire!
SECONDO:
Partire!
LE DONNE (rifacendosi avanti, a più voci)
– Le fosti cambiato!
– Cambiato con quello!
– Rubato!
– Rubato
di notte!
– Portato
lontano! Tu bello!
– E quello brutto
lasciato!
– Qua tutto
il paese lo sa!
PRIMO MINISTRO:
Non date ascolto, Maestà!
SECONDO:
Non date ascolto!
IL PODESTÁ (a gran voce):
È una favola!
LE DONNE (con voce più grande):
Verità! Verità!
LA MADRE (semplice e piana):
Figlio, è la verità.
Non devi andare a morire.
Mi fosti rapito;
mi sei ritornato.
Ora sei malato,
e ti debbo guarire.
IL PRINCIPE:
Ho rischiato,
signori Ministri,
di morire anche qua.
Non vi pare che possa bastare?
PRIMO MINISTRO:
Ma Vostra Maestà
SECONDO:
… vorrà dare
importanza a una burla?
IL PRINCIPE:
Una burla?
la voce del popolo ch’urla
– non avete sentito? –
che è quello il figlio del re?
LE DONNE:
Quello! Quello! Quello!
IL PRINCIPE (rivolgendosi a «Figlio-di-re»):
Altezza reale, alla gogna
qua da tant’anni esposto,
fate conto che a costo
del vostro misfatto
m’abbiate qua morto.
Ecco, io piglio
il vostro posto!
E, da umile figlio
di questa povera donna,
vi chiedo perdono del torto
che v’è stato fatto.
Signori Ministri,
non mi guardate con occhi sinistri:
Eccovi il Re!
TUTTI (tranne i Ministri, il Maggiordomo e il Podestà):
Viva il Re! Viva il Re!
Olé, Olé!
Olé, Olé!
Viva il Re! Viva il Re!
I MINISTRI, IL MAGGIORDOMO, IL PODESTÁ:
Eresia! Eresia!
Cacciateli via!
Chiudete il cancello!
Eresia! Eresia!
IL PRINCIPE:
Credete a me,
non importa che sia
questa o quella persona:
importa la corona!
Cangiate questa di carta e vetraglia
in una d’oro e di gemme di vaglia,
il mantelletto in un manto
e il re da burla diventa sul serio,
a cui voi v’inchinate.
Non c’è bisogno d’altro, soltanto
che lo crediate.
PRIMO MINISTRO:
Ma come vuole, Vostra Maestà,
che possiamo…
IL PRINCIPE:
Che cosa? Credere?
Si può sempre! Si può tutto!
MAGGIORDOMO:
Ma questo, no, perché sappiamo
che non è vero!
IL PRINCIPE:
Ma niente è vero,
e vero può essere tutto;
basta crederlo per un momento,
e poi non più, e poi di nuovo,
e poi sempre, o per sempre mai più.
La verità la sa Dio solo.
Quella degli uomini è a patto
che tale la credano, quale
la sentono. Oggi così,
domani altrimenti. Credete,
credete che questa
vi può convenire assai più della mia.
Io, ora, la so,
la mia verità.
Ero piccolo qua,
con questa madre, nato a questo sole;
povero, ma che importa?
con quest’amore di madre
e questo cielo e questo mare
e la salute e la gioja
di vivere la mia,
la «mia» vera vita per me!
Davanti a questo mare, a questo cielo
vedo anche le case
sollevarsi a un respiro di sollievo!
e ogni casa, per umile che sia,
diventa una reggia del sole!
Veder tutto ai miei piedi?
Preferisco sentire
qualcosa sopra di me!
Pigliatevi, portatevi
lontano il vostro re!
Ora bisogna ch’io trovi
nel calore carnale
di quest’amore di madre,
nell’odore di questa tua veste,
madre,
LA MADRE:
sì, figlio, sì;
IL PRINCIPE:
e della tua casa,
LA MADRE:
sì, figlio,
IL PRINCIPE:
nel sapore dei cibi
che mi darai a mangiare
LA MADRE:
sì, sì;
IL PRINCIPE:
il sentimento perduto
della tua naturale umiltà.
Vado a tuffar le mani
in quella fontana!
Voglio che la vita
si rifaccia in me nuova
come un’erba d’aprile!
Via la nebbia amara, e quel fumo,
quel fumo forato da lampade,
architetture di ferro,
forni, carbone, città
affaccendate da cure
cieche e meschine,
formicaj! formicaj!
Ho perduto l’amore che avevo
della mia sconsolata tristezza!
Ora son pieno di quest’ebbrezza
di sole d’azzurro di verde di mare!
Signori Ministri,
il vostro re l’avete.
Lo porge loro.
Al popolo:
Eccolo! Fategli onore!
Morto il Re, viva il Re!
TUTTI:
Viva il Re! Viva il Re!
Il Principe, mentre tutti gridano e ridono, butta le braccia al collo della madre.
LA MADRE:
Figlio mio! Figlio mio!
Fine
1934 – La favola del figlio cambiato – Favola in tre atti in cinque quadri
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