Premessa
Personaggi, Quadro Primo
Quadro Secondo
Quadro Terzo
Quadro Quarto
Quadro Quinto
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Personaggi La madre |
1934
La favola del figlio cambiato
Musica di Gian Francesco Malipiero
Quadro Primo
Si apre il sipario. Si vede una gran tenda nera, di là dalla quale è la vita, che la Madre, cieca nel suo dolore, non può più vedere. La tenda si potrà aprire nel mezzo e facilmente tirare quando occorrerà, ai luoghi indicati, per mostrare le scene e parti di esse, già preparate dietro, ciascuna con le luci particolari. Ora, sul fondo nero di questa grande tenda, lei sola, la Madre, che vi sta davanti, Piccola e sperduta, sarà illuminata dall’alto, da un lume quasi spettrale.
Dopo un momento di pausa, la Madre, senza muoversi, si metterà a parlare con sconsolata umiltà.
LA MADRE:
Se volete ascoltare
questa favola nuova,
credete a questa mia veste
di povera donna;
ma credete di più
a questo mio pianto di madre
per una sciagura,
per una sciagura –
scoppiano dall’interno, a coro,
risate diverse, ma tutte d’incredulità.
La Madre, con strazio, si porta premendo le mani alla faccia;
poi dice:
Ne ridono tutti così:
la gente istruita
che pure lo vede
che piango, e non se ne commuove;
ne prova anzi fastidio, e:
«Stupida! Stupida!»
mi grida in faccia, perché
non crede che possa esser vero
che il figlio mio,
la creatura mia…
Ma voi dovete credere a me;
vi porto le testimonianze;
son tutte povere donne,
povere madri come me,
del mio vicinato,
che ci conosciamo tutte e sappiamo
ch’è vero –
Le tira in catena da dietro la tenda; son tutte un po’ sbigottite e scontrose: popolane d’aspetto vario, segnate dai patimenti e dalla miseria: alcune in capelli, lisciate troppo o tutte arruffate, altre con fazzoletti in capo di vivaci colori e con scialli: due o tre con in braccio un fagotto che finge un bambino, la testa di cera.
Ecco, venite, venite,
non abbiate paura,
dite davanti a tutti se non è vero
che ci sono «le Donne» –
IL CORO DELLE MADRI (sentendo proferire «le Donne», si agita, come se un vento orribile, da cui non sappiano come ripararsi, le investa all’improvviso, si torcono, gridano a lamento):
Oòòh … Oòòh …
LA MADRE:
Ecco, vedete?
non le possono sentire
nemmeno nominare.
IL CORO DELLE MADRI (Quelle che hanno un bambino, riparandolo subito sotto lo scialle, le altre seguitando ad agitarsi):
Nooo … Nooo
LA MADRE:
Tant’è vero che ci sono,
ci sono –
Scoppiano di nuovo dall’interno risate e dalla tenda vien fuori
L’UOMO SAPUTO:
buffo, panciuto, con bombetta in capo,
mazzetta in mano,
farsetto risicato,
calzoni a tubo e corti,
da lasciargli scoperte le caviglie;
si muove a modo d’un burattino
e domanda in un inchino:
E chi sono?
Dite «Donne»… Le DOOONNE… Le DOOONNE… E voi che siete?
:
– Madri!
– creature di Dio –
– per quanto indegne
per i peccati nostri –
– e quelle «le Donne» –
– che fanno a noi madri
i malefizii –
– e sono
figlie dell’inferno –
– streghe del vento –
– streghe della notte –
– bestemmiando –
– ululando –
– sghignazzando –
– o gemendo, gemendo
con voci lunghe a lamento –
– le notti d’inverno,
le notti senza luna –
– si chiamano dai tetti –
– il vento le tira,
s’aggrappano ai camini –
rovesciano i camini
scoperchiano i tetti –
e tirano le tegole!
L’UOMO SAPUTO:
Tà tà tà – la tarantella –
chi me la suona che voglio ballare?
Ma ci vuol tanto a pensare alle gatte?
CORO:
Che gatte! Che gatte!
L’UOMO SAPUTO:
Sui tetti! Sui tetti!
Quando sono in fregola
fregola di febbrajo,
che le fa spasimare.
CORO:
con scherno – Già… già… già…
L’UOMO SAPUTO:
Cinque gatti per una gatta,
cinque, pronti, tutti attorno
che si struggono agguattati
di sentirla così spasimare;
ma appena uno si muove,
utti gli altri gli saltano addosso,
s’azzuffano, si graffiano, si mordono,
scappano, si rincorrono…
CORO:
Già… già… già…
UNA (scoprendo alla vicina il bambino riparato sotto lo scialle):
E sono allora le gatte che fanno sul capo ai bambini di questi scherzi? Guardate!
LA VICINA DELL’ALTRO LATO:
Guardate!
L’UOMO SAPUTO:
Che debbo guardare?
QUELLA:
Qua, questo codino –
LA DONNA NEL MEZZO (premendo al seno la testa del bambino):
No, figlio mio d’oro!
QUELLA:
– di capelli accatricchiati:
lo vedete?
Guaj se il pettine
lo tocca,
o la forbice
lo taglia:
il bambino
ne morrebbe.
UN’ALTRA:
E sapete come si chiama
questa treccina?
la treccina delle Donne.
LA QUARTA:
Entrano di notte nelle case
per la gola dei camini,
come un fumo nero.
Una povera madre, che sa?
dorme, stanca della giornata;
e quelle, chinate nel bujo,
allungano le dita sottili
e intreccian nel sonno al bambino
la loro treccina;
o gli passano appena
sulle palpebre chiuse
la punta gelata gelata
di quelle dita; e il bambino
che non sa nulla, al mattino,
apre gli occhi:
li ha storti!
LA QUINTA:
Li ha storti!
LA QUARTA:
Li ha storti!
E quella povera mamma
si mette a gridare:
«Oh, figlio mio! oh, figlio mio!
che t’hanno fatto nel sonno,
che t’hanno fatto –».
L’UOMO SAPUTO:
– le Gatte?
CORO (infuriato dalla domanda derisoria):
Le Donne! Le Donne! Le Donne!
E, aizzate dalle risate che scoppiano di nuovo, più alte, dall’interno, si mettono a tempestar di pugni l’Uomo saputo.
– Vecchio imbecille!
– Vecchio scimunito!
– Forza!
– Addosso!
– Miscredente!
– Malcreato!
– Prendi!
– Prendi!
– Impara a credere!
– Stupido!
– Stupido!
– Le nostre lagrime
lo fanno ridere!
– Ci crederai,
quando sarai
a ribollire nel pecione ardente!
L’UOMO SAPUTO (che si sarà buttato a terra):
Là! Là! Là!
M’arrendo! M’arrendo! M’arrendo!
E, per difendersi così da terra, dimenando le braccia, comincia a far svolazzare tutte le sottane.
Aria! Aria! Aria!
Gonfia la bocca e soffia, turandosi con due dita le nari:
fhhhhhhhhhh
a di rinchiuso la vostra onestà!
Il Coro si scompiglia, riparandosi, gridando sghignazzando.
UNA:
Giù le mani, vecchiaccio scostumato!
UN’ALTRA:
L’onestà che troppo odora,
tastati sulla fronte,
senti che corna t’ha fatto spuntare!
L’UOMO SAPUTO (ancora seduto a terra, si tasta prima sulla fronte, poi si odora le dita, e dice):
Ma corna profumate!
Le donne ridono, lo tirano sù, lo cacciano via, spingendolo, tra risa e schiamazzi, e vanno via con lui.
CORO:
Va’ via! Va’ via! Va’ via! Va’ via!
LA MADRE (Aspetta che lo schiamazzo cessi nell’interno; poi, tentennando il capo):
Piangono, e poi tutto,
lagrime, lutto,
finisce in risa e ciarle.
Dio ci dà le pene,
e Dio la forza
di sopportarle.
Giovialità:
bella virtù, chi l’ha,
tutto gli va bene.
M’hanno lasciata qua sola.
Quello che le Donne
hanno fatto a me,
nessuno lo può credere.
Cosa, cosa che non c’è la parola
per dirla; cosa che una madre non può,
senza impazzire,
sopportare.
Ma non m’hanno levato la ragione.
La mia, non è più vita;
sono come insordita,
insordita
dalla disperazione;
ma non sono impazzita.
Vedendo rientrare due di quelle sue vicine:
Ah, voi due almeno
siete ritornate.
Dite com’era il figlio mio,
il figlio mio che mi fu cambiato.
Cambiato,
cambiato dalle Donne:
in fasce cambiato,
una notte, mentre dormivo,
sento un vagito, mi sveglio,
tasto al bujo, sul letto, al mio fianco:
non c’è;
da dove m’arriva quel pianto?
da sé,
n fasce, non poteva
muoversi il mio bambino;
non è vero? non è vero?
L’UNA:
Vero! Vero!
L’ALTRA:
Bambino di sei mesi,
come poteva?
LA MADRE:
Quando lo presi –
buttato – là – sotto il letto…
Dall’interno
UNA VOCE:
Caduto! Caduto!
LA MADRE:
Eh! lo so!
Così dicono: caduto.
L’UNA:
Ma come, caduto? Può dirlo
chi non lo vide
là sotto il letto,
come fu trovato.
LA MADRE:
Ecco, ecco. Ditelo voi
come fu trovato! Voi che accorreste
le prime alle mie grida:
come fu trovato?
L’ALTRA:
Voltato.
L’UNA:
Voltato, coi piedini verso la testata.
L’ALTRA:
Le fasce intatte,
avvolte strette
attorno le gambette.
L’UNA:
Ed annodate con la cordellina.
L’ALTRA:
Perfette.
L’UNA:
Dunque, preso,
preso con le mani, d’accanto
alla madre, e messo per dispetto,
là sotto al letto.
L’ALTRA:
Ma fosse stato dispetto soltanto!
LA MADRE:
Quando lo presi …
L’UNA:
Che pianto!
L’ALTRA:
Era un altro!
Scoppiano, ancora una volta, più alte che mai, le risa dall’interno. Le due donne si voltano e gridano:
Non era più quello! – Non era più quello!
Lo possiamo giurare!
Questo grido sarà in mezzo alle risa.
LA MADRE:
aspetterà che quelle risa cessino. E allora dirà:
Nessuno vuol capire
che se seguito a dire
che il figlio mio mi fu cambiato,
anche a costo d’udire
sempre queste risa, e di vedere
compatita così la mia sventura –
Dio mio, se io ragiono,
se non sono impazzita,
se queste donne e le altre non sono
impazzite come me,
è segno che deve esser vero
e che devo, devo esser creduta!
Anche Dio non si vede e si crede!
E chi ora ride
certo non vide
il mio bambino com’era.
Ditelo voi che lo sapete:
com’era? com’era?
L’UNA:
Ah, bello! bello! Biondo
come l’oro.
L’ALTRA:
Come un Gesù
bambino, di cera.
L’UNA:
Ecco, sì, proprio il Bambinello
Gesù, che si vede
la notte di Natale,
sopra l’altare,
dormire nel cestello
di seta celeste,
con la manina
sotto la guancia.
L’ALTRA:
Così!
L’UNA:
Così!
LA MADRE:
E quello che presi da terra,
di sotto al letto, com’era?
L’UNA:
Ah! brutto! brutto!
L’ALTRA:
E tutto nero!
L’UNA:
Povera creatura!
Come un sole, quello,
bello in carne, tutto vivo;
e questo invece
patito patito,
un capino straziato
d’uccellino malato,
che faceva ribrezzo
a vedere e a toccare.
LA MADRE:
Non lo potei vedere,
non lo potei toccare,
lo porsi a loro e mi misi a gridare,
a gridare, a gridare,
come una pazza a gridare,
scappando nel vento,
scappando nella notte.
Si fa bujo d’un tratto. Nel bujo si sente gridare con voce che s’allontana:
Figlio mio!
Figlio mio!
1934 – La favola del figlio cambiato – Favola in tre atti in cinque quadri
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