Di Pietro Seddio.
Pubblicata inizialmente sulla rivista “La riviera ligure” nell’aprile 1902, lo stesso anno della pubblicazione del romanzo “Il turno”, con il titolo “Le nonne”, la novella è stata in seguito pubblicata il 5 agosto 1923 sul Corriere della Sera con il titolo «Il figlio cambiato», titolo definitivo che manterrà anche quando entrerà a far parte dell’ottava raccolta di “Novelle per un anno”, intitolata «Dal naso al cielo», pubblicata nel 1925 presso la Bemporad di Firenze.

La favola del figlio cambiato di Luigi Pirandello.
Analisi critica
INDICE
Nota introduttiva
La Novella
L’opera lirica
Il Maestro Gian Francesco Malipiero
Da La favola del figlio cambiato di Luigi Pirandello – Analisi critica
La novella
La favola del figlio cambiato è una composizione favolistica scritta da Luigi Pirandello dall’estate del 1930 a quella del 1932. Ripresa dalla novella ‘’Il figlio cambiato” (1902) la favola fu rappresentata per la prima volta con la musica di Gian Francesco Malipiero nel gennaio del 1934 a Braunschweig.

Trama
Nel ricordo delle favole ascoltate da bambino Pirandello rintraccia motivi di grande umanità mescolata ad antiche superstizioni contadine.
Le Streghe durante la notte volano a cambiare i figli. Ad una madre sostituiscono il sano e paffuto figlioletto con uno malaticcio e deforme. La madre disperata corre da Vanna Scoma, una fattucchiera del paese per sapere come riprendersi il figlio.
La maga ha saputo che il figlio trafugato è stato portato al palazzo di un re e potrà essere allevato e cresciuto tra il lusso e gli agi se lei si prenderà cura con affetto del bimbo deforme.
Nonostante abbia un trattamento regale però il figlio cambiato si sente infelice e malato nell’anima; decide quindi di tornare al paese dove vive la madre.
Finalmente sentirà la gioia di vivere e rimarrà con la madre ritrovata.
Analisi della novella
Essa, una mattina scopre che il proprio bambino, bello e biondo come Gesù Bambino, così come lo si può ammirare nei dipinti ritraenti la natività, in braccio alla Vergine Maria, è scomparso, preso, appunto, dalle “Donne”, le quali, in cambio, un cambio ben misero a dire il vero, le hanno lasciato un bimbetto tanto brutto che la povera madre si rifiuta, sulle prime, di toccarlo e persino di guardarlo.
Un’antica leggenda narra la storia delle “Donne”. Costoro sono delle streghe le quali, nottetempo, si divertono a giocare dei tiri alle madri con figli piccoli. Alle volte, semplicemente, si limitano a prendere i bambini dalla culla depositandoli poi sul pavimento o su di una sedia.
Nei casi in cui le “Donne” decidono, però, di calcare la mano, per così dire, prendono il bambino in questione e se lo portano via, sostituendolo con un altro. È questo ciò che accade alla signora Sara Longo, protagonista della novella Il figlio cambiato di Pirandello.
Essa, una mattina scopre che il proprio bambino, bello e biondo come Gesù Bambino, così come lo si può ammirare nei dipinti ritraenti la natività, in braccio alla Vergine Maria, è scomparso, preso, appunto, dalle “Donne”, le quali, in cambio, un cambio ben misero a dire il vero, le hanno lasciato un bimbetto tanto brutto che la povera madre si rifiuta, sulle prime, di toccarlo e persino di guardarlo.
L’avversione della signora Sara Longo nei confronti del bimbo cambiato raggiunge un punto tale di rifiuto che a occuparsi di nutrire la povera creaturina devono pensare alcune donne del paese.
Secondo la voce narrante della novella tutta quella storia delle “Donne” è totalmente campata in aria. Secondo lui il figlio piccolo della signora Sara Longo dev’essere morto durante la notte a causa di un attacco, “un insulto” per dirla con le parole usate da Pirandello, di paralisi infantile.
Vista e considerata la situazione e la certezza incrollabile della sventurata madre (e non solo) circa il fatto che di un dispetto delle “Donne” deve trattarsi, il narratore rinuncia al tentativo di metter bocca nella questione. Anche perché rimarrebbe aperto l’interrogativo riguardante il bimbo nuovo: come è stato che è giunto a casa della signora Sara Longo nottetempo?
La signora Sara Longo finisce con il decidersi a ricorrere ai servigi di Vanna Scoma, Zia Vanna com’era conosciuta in paese, donna che in paese si diceva essere in oscuri e misteriosi commerci con le “Donne”, allo scopo di chiederle un consiglio circa il da farsi.
Zia Vanna conferma alla povera che, sì, il cambio del bambino è stata opera delle “Donne”, che sta bene e che, per poter star certa che continui a star bene, lei avrebbe dovuto prendersi amorevolmente cura del bambino nuovo che le era stato lasciato.
Qualche tempo dopo il marito della signora Sara Longo torna a casa con la propria goletta da Tunisi.
Trovati la moglie “smagrita e quasi insensata” e il figlio “pelle e ossa”, pur sospettando, come già il narratore in precedenza, che il proprio figlio fosse morto e che quella creaturina altri non fosse che un trovatello che la moglie era andata a prendere all’ospizio, allo scopo di sostituire il figlio morto, accetta, senza ulteriori investigazioni, la spiegazione della moglie che lei e il bambino erano stati malati e quelle erano le conseguenze della malattia patita.
Alla nuova partenza del marito “marinajo, oggi qua domani là”, la signora Sara Longo malata vi cade per davvero e in seguito scopre di essere nuovamente incinta. Mentre il marito si trova nuovamente in navigazione scrive una lettera alla moglie dicendole che i suoi compagni gli avevano raccontato la storia delle “Donne, una storia nota a tutti (meno che a lui).
In seguito alla nascita del secondo figlio, bello e paffuto com’era stato il primo, la signora Sara Longo, comincia a rivolgere al “figlio delle Donne”, come il bambino cambiato aveva cominciato ad essere chiamato dalle donne del paese, di tanto in tanto, qualche fugace occhiata pietosa, occhiata puntualmente seguita dall’immancabile esclamazione: “Che croce!”
Ogni tanto alla signora Sara Longo capitava ancora di versare qualche lacrima al pensiero di figliolo scambiato; figlio del quale aveva preso a ricevere buone nuove da Vanna Scoma, la quale ora arrivava, pur se i suoi servigi non fossero più richiesti, di sua sponte, nella speranza di riuscire a scroccare qualcosa.
Pubblicata inizialmente sulla rivista “La riviera ligure” nell’aprile 1902, lo stesso anno della pubblicazione del romanzo “Il turno”, con il titolo “Le nonne”, la novella è stata in seguito pubblicata il 5 agosto 1923 sul Corriere della Sera con il titolo Il figlio cambiato, titolo definitivo che manterrà anche quando entrerà a far parte dell’ottava raccolta di “Novelle per un anno”, intitolata Dal naso al cielo, pubblicata nel 1925 presso la Bemporad di Firenze.
Il tema del figlio cambiato era tutt’altro che estraneo a Luigi Pirandello, il quale si sentiva egli stesso vittima di un tale scambio, prova ne è il fatto che quando Andrea Camilleri scrisse la propria biografia di Luigi Pirandello scelse di intitolarla, proprio Biografia del figlio cambiato.
Il figlio cambiato in origine non aveva questo titolo. La novella, infatti, era intitolata Le Donne o forse Le Nonne, due termini che facevano riferimento alle streghe. Secondo una leggenda popolare siciliana che lo scrittore aveva ascoltato spesso nell’infanzia, quando a un bambino accadeva qualcosa di tragico o insolito, c’entravano sicuramente loro. Malauguratamente, nella seconda metà dell’Ottocento la mortalità infantile era ancora elevata. Per non parlare delle malattie invalidanti e degli incidenti che potevano colpire i più piccoli.
Così la saggezza popolare aveva cercato di configurare le tragedie in una costruzione di sen-so, ipotizzando che fossero forze malefiche a operare contro i bambini.
E chi sarebbe stato tanto perfido da colpire un innocente, se non una strega mandata dal Demonio?
Pietro Seddio
La favola del figlio cambiato di Luigi Pirandello.
Analisi critica
INDICE
Nota introduttiva
La Novella
L’opera lirica
Il Maestro Gian Francesco Malipiero
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