Pietro Seddio: La famiglia di Luigi Pirandello – Cap. 5: Antonietta Portulano

Di Pietro Seddio

“Ho una moglie, caro Ugo, da cinque anni pazza. E la pazzia di mia moglie sono io, il che ti dimostra senz’altro che è una pazzia vera. Io, io che ho sempre vissuto per la mia famiglia, esclusivamente, e per il mio lavoro, esiliato da tutto il consorzio umano, per non dare a lei, alla sua pazzia, il minimo pretesto d’adombrarsi. Ma non è giovato a nulla, purtroppo; perché nulla può giovare!”

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La famiglia di Pirandello. Capitolo 5
Ugo Fleres: Ritratto di Maria Antonietta Portolano

La famiglia di Luigi Pirandello

Col consenso dell’autore

Capitolo 5
Antonietta Portulano (1871-1959)

Luigi Pirandello convolò a nozze il 27 gennaio 1894. Si trattava di un matrimonio d’affari, praticamente un matrimonio combinato e deciso dal padre di Pirandello, Don Stefano e dal padre di Antonietta, un suo ricco socio.

La prima parte di vita trascorsa dalla giovanissima Antonietta, è assai nota ed è stata citata nel corso dell’analisi e durante questa disamina abbiamo constatato come quella vita fosse vissuta in maniera assurda per colpa della gelosia assurda e continuata che tanto disastro ha provocato nella sua famiglia. La morte della madre è stato l’atto più nefasto compiuto dal padre autore quasi di un “omicidio” vietando alla moglie incinta una visita specialista e quindi con dannandola a morte. Poi l’infanzia, come orfana, della ragazza all’interno di un convento fino a quando, grazie ad un accordo tra Calogero Portulano e Stefano Pirandello (genitori dei due ragazzi) conosce Luigi Pirandello, che iniziava la sua professione non solo di insegnante, ma anche di scrittore, con il quale riuscirà a convolare a nozze.

I due giovani, prima di sposarsi, non hanno praticamente avuto modo di conoscersi, se non in brevi incontri di due ore avvenuti durante il mese precedente alle nozze. Incontri che non hanno mai portato avanti da soli, ma sempre con la presenza vigile della madre di Antonietta Portulano e della sorella di Luigi.

Nonostante le premesse, fu inizialmente un matrimonio felice, perché i due impararono fin da subito ad amarsi, come si intuisce dall’epistolario stesso di Pirandello.

La loro passione li portò ben presto a diventare genitori per la prima volta nel 1895 con la nascita di Stefano, seguita a distanza di pochi anni dalla nascita di Rosalia (Lietta) e di Fausto. Anche dal punto di vista economico, le cose sembravano andar piuttosto bene e infatti, grazie alla dote della moglie si trasferirono a Roma.

Nel 1903 però, le cose per il nostro Pirandello iniziarono a prendere una piega diversa. Suo padre tempo indietro acquistò una miniera di Zolfo nelle vicinanze di Girgenti e in essa investì anche una parte della dote di Antonietta Portulano.

L’investimento sembrò fruttuoso sia per il padre che per il figlio, portando a notevoli guadagni di cui poté godere anche la famiglia di Luigi. Ma un giorno, d’improvviso, la miniera si allagò e di conseguenza andarono in fumo tutti i guadagni di Don Stefano e di Luigi stesso.

Subito Don Stefano scrisse una lettera al figlio, che ancora abitava a Roma. Ma a ricevere e a leggere la lettera non fu Luigi, bensì Antonietta Portulano. Riporto un passo della biografia di Pirandello scritta magistralmente da Andrea Camilleri che racconta il momento in cui Antonietta Portulano legge la terribile lettera del suocero:

“Era la fine e don Stefano scrisse tutto al figlio. Senonché la lettera, essendo Luigi a scuola [Pirandello in quel periodo lavorava come insegnante di Lettere presso un istituto femminile], venne consegnata ad Antonietta la quale, come abitualmente faceva, riconosciuta la grafia del suocero, l’aprì e la lesse. Qualche ora appresso Luigi, tornando a casa, trovò Antonietta semiparalizzata sopra a una poltrona, gli occhi persi, distrutta. È l’inizio dichiarato di quella malattia mentale che avrà, nei primi anni, alti e bassi, ma che peggiorerà col passare del tempo”. (Andrea Camilleri, “Biografia del figlio cambiato” Ed. Rizzoli)

Fino a quel momento, la pazzia della donna rimase piuttosto latente sebbene fosse già chiaro che soffrisse di nervi e fosse d’animo fragile.

Ma probabilmente fu questo brutto ed improvviso evento che segnò l’inizio della fine di un matrimonio felice e normale. E che inevitabilmente fece scivolare Antonietta Portulano nell’abisso della malattia mentale.

Come suggerisce giustamente Andrea Camilleri, è stato questo l’evento scatenante che ha peggiorato inevitabilmente la situazione mentale di Antonietta Portulano. E, di conseguenza, la vita del nostro drammaturgo.

Prima di allora, sebbene, pare, che tra i due coniugi non ci fosse troppo dialogo, il matrimonio era sostanzialmente felice. O così lo percepiva Luigi. Una persona che si è sempre dedicato alla famiglia, lavorando assiduamente come insegnante e come autore sia prima che, a maggior ragione, dopo la disfatta economica della miniera di zolfo.

Antonietta Portulano, sebbene grazie alle amorevoli cure del marito riuscì in un primo momento a riprendersi, finì per diventare assurdamente gelosa del marito facendo diventare la vita di Pirandello un vero e proprio inferno.

Le scenate di gelosia di Antonietta, giorno dopo giorno, si fecero sempre più frequenti e violente. Antonietta Portulano era gelosa di qualsiasi donna che intrattenesse anche un semplice dialogo col marito. Non vedeva di buon occhio le sue allieve e tanto meno le attrici che incontrava a causa del suo lavoro da drammaturgo. Pirandello, dopo cinque anni, confidò questa sua triste situazione all’amico Ugo Ojetti, parlando apertamente della pazzia di Antonietta forse per la prima volta.

“Ho una moglie, caro Ugo, da cinque anni pazza. E la pazzia di mia moglie sono io, il che ti dimostra senz’altro che è una pazzia vera. Io, io che ho sempre vissuto per la mia famiglia, esclusivamente, e per il mio lavoro, esiliato da tutto il consorzio umano, per non dare a lei, alla sua pazzia, il minimo pretesto d’adombrarsi. Ma non è giovato a nulla, purtroppo; perché nulla può giovare!”

Nonostante questa consapevolezza amara, Luigi Pirandello non sembra avere la forza di prendere provvedimenti per arginare la follia della moglie. La situazione in famiglia è, infatti, sempre più insostenibile perché la situazione mentale di Antonietta anziché migliorare, peggiora inevitabilmente.

La gelosia della consorte Pirandello raggiungerà infine un punto di non ritorno e supererà il limite.

Non solo le allieve e le attrici vengono viste come rivali, ma addirittura la loro figlia Lietta viene accusata di essere l’amante del marito. Dapprima accusa la figlia di volerla avvelenare e la costringe ad assaggiare per prima i piatti preparati in casa. Poi arrivano le accuse ancor più pesanti da sopportare. Accuse di incesto tra il marito e la figlia. Accuse che per la giovane Lietta sono così dolorose da farla arrivare al punto di impugnare una pistola e uccidersi.  Suicidio sfiorato solo perché l’arma s’inceppa. Ormai Pirandello, assieme ai figli, si rende conto che non è assolutamente in grado di gestire la follia di Antonietta Portulano. E così nel gennaio del 1919 prende la dolorosa decisione di internare la moglie in una clinica psichiatrica di Roma.

Nel certificato medico del Dottor Ferruccio Montesano si legge che Antonietta Portulano era “affetta da delirio paranoide” che la rendeva “pericolosa per sé e per gli altri”.

Luigi non ebbe forse il cuore e il coraggio di portar la moglie in un istituto dove era consapevole avrebbe finito i suoi giorni. Furono i figli Stefano e Fausto ad accompagnare Antonietta in quella clinica, dove morì quarant’anni più tardi.

I primi tempi, Luigi andò spesso a far visita ad Antonietta. Ma ogni volta per lui, come si intuisce dalle sue lettere al figlio Stefano, si trattava di una esperienza assai dolorosa.

La moglie si mostrava sempre più gelosa e arrabbiata col marito e, proprio all’interno dell’istituto, si lasciò andare completamente alla sua pazzia.

Pirandello finì quindi per dedicarsi anima e corpo al proprio lavoro, alla stesura di novelle, romanzi e opere drammaturgiche.

E a viaggiare in lungo e largo per l’Italia e l’Europa. La sua famiglia felice e unita di tanti anni indietro è ormai solo un ricordo pieno di malinconia. La sua famiglia praticamente non c’era più, sebbene dall’epistolario di Pirandello si evinca che abbia sempre mantenuto continui contatti coi figli.

Alla luce di questa segnante esperienza con Antonietta Portulano, forse è più comprensibile capire il perché delle tematiche ricorrenti di Pirandello, di quanto lo scrittore siciliano fosse così ossessionato dalle mille sfaccettature dell’Io di ogni persona inserita nella società.

Come è noto, ha infatti sempre sostenuto nelle sue opere letterarie e teatrali, che ogni individuo inserito nella società assuma atteggiamenti e maschere differenti a seconda della situazione.

Una pluralità di “Io” così vasta che è praticamente impossibile per le persone essere veramente se stessi. Una Crisi dell’Io che difficilmente si può risolvere razionalmente.

Non c’è quindi da sorprendersi del fatto che tantissime opere di Pirandello erano incentrate sulla tematica della pazzia. Sia essa vera o presunta fa poca differenza. Un esempio esplicito di questo suo pensiero sono sicuramente le opere teatrali “Il Berretto a Sonagli” scritto nel 1916 e “Enrico IV” composto nel 1921 che consiglio caldamente di leggere.

Molti biografi si chiedono come mai Pirandello abbia vissuto tutti questi anni al fianco di una donna che, evidentemente, non era più la stessa che aveva sposato. Che gli sia mancato il coraggio? Che si sentisse in dovere, in quanto marito, di non abbandonarla? Forse non si era mai reso davvero conto di quanto grave fosse la situazione della moglie, o magari non poteva accettare che Antonietta fosse pazza e negava l’evidenza.

Noi non sapremo mai cosa Pirandello pensasse veramente di questa sua brutta situazione.

E d’altra parte, per quanto oggi possa essere facile giudicare cosa avrebbe o non avrebbe dovuto fare, è fuori da ogni dubbio che le situazioni per capirle davvero bisogna viverle in prima persona.

Ad ogni modo, è probabilmente anche grazie a questa sua terribile esperienza che Luigi Pirandello ci ha lasciato capolavori letterari e teatrali famosi in tutto il mondo e che ancora oggi vengono letti e interpretati in Italia e all’estero.

E senz’altro è vero che nell’arte, sia essa letteratura o teatro, si può trovare una valvola di sfogo per superare le difficoltà della vita. Per questo motivo non mi stancherò mai di occuparmi di arte, di letteratura e di teatro.

L’arte, nel senso più ampio del termine, è l’espressione più nobile delle brutture dell’essere umano e abbiamo il dovere di difenderla sempre.

Sembra doveroso continuare a soffermarsi su questo aspetto particolare che per lunghi anni ha caratterizzato la vita sia di Luigi che di Antonietta e per riflesso anche quella dei tre figli.

Infatti, quasi subito dopo la nascita del primo figlio, Fausto, la donna ebbe una prima crisi nervosa seppur non fu catalogata come grave tanto è vero che la vita coniugale trascorse regolarmente. In Antonietta, forse ereditandolo dal padre, era vivo l’interesse per gli affari e per l’impegno finanziario e questa peculiarità, di fronte a delle improvvise problematiche, contribuirono ad alterare il suo equilibrio.

Luigi, il marito, intanto aveva rinunziato alla propria parte di profitto scaturente dall’azienda paterna per la quale riceveva ogni mese un assegno da parte del padre. La rendita della moglie serviva ad integrare quell’assegno. Questa rinunzia provocò un turbamento in Antonietta mentre gli impegni che cominciavano ad assillare Luigi erano squisitamente letterari. Nel 1997 Luigi ottenne l’incarico al Magistero.

La moglie intanto continuava, a casa, ad occuparsi dei tre figli nati nei primi sei anni di matrimonio. Questa assidua presenza nei confronti dei figli che crescevano, come milioni di altri bambini, iniziò a provocare qualche turbamento, stanchezza, assoluta incomprensione per quanto atteneva l’attività letteraria del marito che ora dedicava molto più tempo agli amici scrittori che frequentava e che spesso erano a casa loro invitati a cena e poi ad accese discussioni che certo per niente coinvolgevano Antonietta.

Ma il 1903 fu l’anno che provocò il collasso improvviso psicologico che portò Antonietta a perdere completamente il controllo. Il fatto di possedere una buona dote finanziaria le davano la certezza del futuro e quindi si sentiva più protetta anche dal marito. Il fatto di possedere la “roba”, a quel tempo in Sicilia, era considerato un privilegio di pochi che potevano usufruire di una agiatezza e lei che era nata da una famiglia povera poi diventata ricca sentiva di trovarsi in una botte di ferro. Perdere qualche privilegio sarebbe stato uno sfacelo. Ma c’era il padre del marito,

Stefano, che grazie alle sue miniere contribuiva ad alimentare positivamente la dote della nuora. Gli affari andavano benissimo, le zolfare producevano lavoro e incassi e seppur lo stipendio del professore Luigi Pirandello non fosse esoso, la vita familiare, dal punto di vista finanziario, poteva considerarsi al sicuro.

Ma il terremoto era dietro l’angolo e proprio quando una delle miniere di Girgenti venne allagata e quindi chiusa, perdendo un sacco di soldi (tra cui la dote di Antonietta) si verificò il crollo totale ed irreparabile.

La crisi finanziaria colpì la famiglia del professore che dovette pure registrare che Antonietta iniziò a non ragionare e dare evidenti segni di pazzia.

Fu a questo punto che pensò di suicidarsi non vedendo via d’uscita, ma poi pensando ai tre piccoli figli desistette e cercò di salire la china, impegnandosi con l’insegnamento, anche domiciliare, e a scrivere novelle, novelle per poterle pubblicare. Fino a quando non riuscì a scrivere il primo romanzo “L’Esclusa” pubblicato nel 1893 a puntate.

Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, il primogenito Stefano fu chiamato alle armi. Antonietta accusò il marito di averlo fatto partire.

Molte notti Pirandello svegliandosi scopriva la moglie china su di lui che lo guardava con gli occhi fissi, paurosamente allucinati e una notte la vide ai piedi del letto con un coltello in mano.

Stefano, di ritorno dal fronte, capì che la sofferenza era sempre più forte. Padre e figlio pensarono di fare ricoverare la donna in una casa di cura.

“Antonietta Portulano, moglie di Luigi Pirandello, è affetta da delirio paranoide”, che la rendeva “pericolosa per sé e per gli altri”, in “primo luogo per la sua famiglia”.

Così si legge nel certificato medico redatto dal dottor Ferruccio Montesano dell’Università di Roma l’11 gennaio 1919. Così Antonietta fu ricoverata per quarant’anni. Morì nel dicembre del 1959.

Sul dramma della follia della moglie dell’autore del Fu Mattia Pascal, il silenzio è sempre stato totale.

Qualche anno fa, un medico chirurgo, Maria Pia Ladi, ha condotto una ricerca sui rapporti di Pirandello con i problemi psichiatrici avvalendosi di molti documenti inediti, tra i quali la cartella clinica della Portulano.

Ne parla anche il saggio Intorno a Pirandello, curato dal professor Rino Caputo dell’Università di Tor Vergata.

“Durante la degenza in sanatorio – scrivevano i medici – il delirio si è esteso in maniera impressionante. Sono comparse inoltre allucinazioni auditive e si è accentuato in modo evidente un grave globale deficit mentale”.

Le annotazioni periodiche sulla Portulano non sembravano mai dare adito a speranze di miglioramento, nel corso degli anni i medici parlavano infatti di allucinazioni che si alternavano a un delirio sistematizzato di persecuzione e di personalità dissociata.

Bisogna ricordare che dopo aver appreso la notizia del fallimento della miniera, Luigi Pirandello, tornando a casa, trovò la moglie semiparalizzata per cui la si dovette ricoverare in ospedale per le cure necessarie. Il Maestro le fu accanto per lungo periodo e fu quello il tempo in cui pensò e poi riuscì a completare il famoso romanzo: “Il fu Mattia Pascal”.

La gelosia di Antonietta per i successi del marito e soprattutto per la paura dei suoi tradimenti divenne una mania, e alla fine del 1903 iniziò a mostrare segni di squilibrio mentale. Ebbe attacchi di isteria e urlava di notte che Pirandello stava cercando di avvelenarla.

Un giorno, mentre era a letto, prese uno dei suoi anelli di diamante e iniziò a mangiarlo. Quando Pirandello le chiese perché, lei rispose: “Perché non voglio che tu lo dia ad un’altra donna”.

La situazione divenne insostenibile. La morte di Calogero Portulano prima (1909) e la prigionia dei figli più tardi durante la Grande Guerra aggravarono le già precarie condizioni di salute di Antonietta.

A questo punto, che farsene di quell’inetto che scrive, scrive ed è sempre in bolletta? Pensava e diceva Antonietta con disprezzo e volle tornare in Sicilia ad amministrare le sue proprietà. Partì e portò con sé i figli. Ma lì in Sicilia i rapporti di Antonietta con i suoi figli furono pessimi.

Non solo le allieve e le attrici vengono viste come rivali, ma addirittura la loro figlia Lietta viene accusata di essere l’amante del marito.

Dapprima accusa la figlia di volerla avvelenare e la costringe ad assaggiare per prima i piatti preparati in casa. Poi arrivano le accuse ancor più pesanti da sopportare. Accuse di incesto tra il marito e la figlia.

Furono queste le accuse rivolte a Luigi e alla figlia che fu costretta ad andare via di casa dopo aver tentato, anche lei di suicidarsi. Ma una zia la ospitò per un certo periodo fino a quando l’ammalata non rimase a casa. Dopo l’internamento la ragazza poté ritornare a casa.

Pirandello scrivendo alla sorella Lina che abitava a Firenze nel 1916 sottolinea:

“La sciagurata donna che m’e’ moglie, dopo aver martoriato dacché è tornata dalla Sicilia la mia povera Lietta, ora, in preda a una delle sue più terribili crisi s’è voltata con inaudita ferocia contro di lei. E la mia povera bambina, presa d’orrore, in un momento di sconforto, s’è chiusa in camera e ha tentato d’uccidersi. Per fortuna il colpo non è partito dalla rivoltella perché la capsula non è esplosa”.

A questo punto Pirandello prende in mano la situazione e decide di far internare la moglie nella clinica psichiatrica Villa Giuseppina sulla Nomentana a Roma.

“Antonietta non voleva farsi ricoverare, ma venne persuasa che per ottenere la separazione dal marito avesse bisogno di un documento che attestasse la sua integrità mentale: tale certificato poteva essere rilasciato solo da una casa di cura specializzata nelle malattie psichiatriche e nervose”.

 Venne certificato che il delirio di Antonietta Portulano si era esteso ‘in maniera impressionante con riferimento a tutto e a tutti’: la paziente soffriva di un ‘delirio sistemizzato di persecuzione’, di ‘delirio di grandezza’ e di ‘allucinazioni auditive’ che la rendevano ‘pericolosa per sé e per gli altri’. Nei primi mesi Pirandello si recò spesso a trovare la moglie uscendo dalla clinica sempre sgomento per i deliri di persecuzione della moglie rivolti contro di lui.  In più occasioni ebbe modo di affermare che forse la pazzia della moglie era da addebitare al suo comportamento di marito non idoneo e capace e quindi responsabile di tanto disastro. Confessa Pirandello in una lettera a Ojetti, Lietta si stringe al padre e così scrive al fratello Stefano:

“Papà, il nostro cuore e la nostra mente, quello che con l’esempio ci ha detto come si vive, secondo il dovere, che ha atteso un po’ di pace, un po’ di caldo, un po’ d’amore per tutti questi anni della sua vita […] avrà bisogno d’aiuto, e verranno i suoi giorni di fiacchezza, i giorni in cui avrà bisogno di tutto il nostro affetto e del poco di gioja che sapremo dargli”.

 Pirandello finì quindi per dedicarsi anima e corpo al proprio lavoro, alla stesura di novelle, romanzi e opere drammaturgiche e a viaggiare in lungo e largo per l’Italia e l’Europa. La chiusura in una casa di riposo per malati mentali della madre risultò molto sofferta da parte del figlio Stefano, che, nell’estate del 1924, affittata una villa a Monteluco di Spoleto, pensò di riprenderla in famiglia.

Pirandello nel 1933 rivide la moglie in un incontro organizzato sempre dal figlio Stefano nella villa. Erano passati quasi tre lustri dall’ultimo incontro dello scrittore con la moglie: i due non si abbracciarono, né si diedero la mano, ma rimasero a distanza, chiamandosi per nome e scrutandosi. Uno dei figli di Stefano, Andrea, raccontò quell’ultimo incontro tra il nonno e la nonna:

“Avevamo già consumato il pasto con lei; forse mio nonno aveva pranzato fuori. In casa nostra, la sala da pranzo comunicava con lo studio, senza bisogno di passare per il corridoio. Finito di mangiare, non ricordo di preciso quando e come, venne aperto l’uscio e mio padre, sorridendo emozionato, invitò la nonna e tutti noi ad attraversarlo. Lì nello studio era mio nonno, in piedi accanto alla scrivania e con la mano sulla spalliera di una sedia come fosse in attesa. Forse da un po’ rientrato a casa, aveva origliato per udire i nostri discorsi e soprattutto le parole della moglie di là dalla porta. Pareva meravigliato, ma può darsi che fingesse. “Antonietta!”. “Luigi!”. Si chiamavano per nome l’uno l’altra, turbati. I due coniugi non si sarebbero più rivisti”.

Morì il 17 dicembre 1959, 55 anni dopo, senza mai aver visto di nuovo il marito. Antonietta aveva 88 anni. È sepolta nel cimitero romano del Verano.

Pietro Seddio

INDICE

La famiglia di Luigi Pirandello: Nota introduttiva
Capitolo 1: Caterina Ricci Gramitto
Capitolo 2: Stefano Pirandello
Capitolo 3: Maria Stella
Capitolo 4: Calogero Portolano
Capitolo 5: Antonietta Portulano
Capitolo 6: Rosolina Pirandello
Capitolo 7: Stefano Pirandello
Capitolo 8: Fausto Pirandello
Capitolo 9: Lietta Pirandello
Capitolo 10: Il problema dell’eredità con i figli

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