Pietro Seddio: La famiglia di Luigi Pirandello – Cap. 4: Calogero Portolano

Di Pietro Seddio

In una nota della prefettura di quegli anni Portolano viene descritto così: “già barbiere e ora sensale di piazza in zolfi, è un turbolento senza idee precise; in fregola di notorietà, già professantesi repubblicano e firmatario assieme ad altri d’una circolare annunziante la costituzione dell’internazionale a Girgenti”.

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Calogero Portulano. Dal sito dedicato

La famiglia di Luigi Pirandello

Col consenso dell’autore

Capitolo 4
Calogero Portulano (1846-1909)

Personaggio particolare, padre di Antonietta, moglie di Luigi, è stato un uomo turbolento, gelosissimo, causa del dissesto psichico della figlia.

La personalità di Calogero Portolano (1846-1909) risulta molto più complessa di quel che non si creda. Reduce a vent’anni dalla terza guerra d’indipendenza combattuta nei distaccamenti garibaldini operanti in trentino, sposò poco dopo il suo rientro a Girgenti la diciassettenne Rosalia Rinaldi (nipote di un Ricci Gramitto, guarda caso parente di Caterina futura mamma di Luigi Pirandello) e in quegli stessi anni si buttò con tutto l’entusiasmo della sua giovinezza nella lotta politica. Sotto l’influsso di Antonino Riggio (1842-1901) della vicina Cattolica Eraclea, che aveva conosciuto nel 1866 durante la campagna garibaldina, si prodigò con lui all’introduzione della prima internazionale in Sicilia.

Con Riggio ed altri fu tra i fondatori nel dicembre 1870 della Sezione internazionale degli operai e del foglio “L’Eguaglianza” che già dall’inizio del 1871 cominciò a stamparsi a Girgenti malgrado gli ostacoli della polizia, che costringeva l’ufficio postale a non farne la distribuzione, finché nel 1872 si dovettero interrompere le pubblicazioni.

Sta di fatto che quel decennio, dal 1866 al 1875, fu cruciale per tutti coloro che, già feriti dallo strappo d’Aspromonte, provenendo dalle fila garibaldine e dalle molte anime della sinistra democratica, ritornavano a vedere in Mazzini e soprattutto in una rivoluzione repubblicana le speranze di un rinnovamento italiano dopo il tradimento della monarchia piemontese. Si aggiunga a ciò l’arrivo in Italia nel 1864 di un agitatore come Bakunin, che riuscì a dissodare rapidamente (e a tutto scapito del movimento mazziniano che da allora entrava in crisi) un terreno fertile di scontento, di disagio sociale, di ribellione.

Lo Stato sabaudo era riuscito soltanto a riconfermare con tasse inique, come quella sul macinato, con la leva militare, fino ad allora sconosciuta nel mezzogiorno e in gran parte d’Italia, e con la ripetizione degli antichi metodi borbonici della repressione, delle persecuzioni e della galera, quell’antico senso di estraneità e di rivolta delle popolazioni.

Da qui il ridestarsi soprattutto nelle terre meridionali liberate da Garibaldi, di un nuovo fervore insurrezionale e la diffusione inarrestabile, da Palermo a tutti i principali centri della Sicilia, della prima internazionale.

Calogero Portolano è tra i più attivi di quel movimento, e si espone oltre misura negli avvenimenti che prendono il nome dai fatti di Villa Ruffi, che furono il tentativo della prima internazionale di matrice anarchica ebakuniniana, con un coinvolgimento di esponenti mazziniani come Saffi, Fortis e Comandini, poi scagionati e prosciolti, di creare una situazione rivoluzionaria in Italia.

E in effetti Andrea Costa a Bologna e nelle Romagne, ed Errico Malatesta nelle campagne pugliesi, messisi a capo del movimento, riuscirono, in quel torrido agosto del 1874, a dare filo da torcere alle occhiute forze repressive del patrio governo.

Gravemente coinvolto risultò proprio il nostro Calogero per una lettera ritrovata nelle perquisizioni in casa di Errico Malatesta, che lo comprometteva gravemente (“qui in Sicilia – scriveva – non si vuole aspettare altro perché tutti dicono meglio morire di piombo che di fame […], a un grido del continente saremo in ballo”).

Fatto si è che il giudice istruttore di Girgenti lo rinviò per connessità di procedimento alla corte d’appello di Trani, dove si svolgeva il processo contro Malatesta. Infine, con sentenza del 18 maggio 1875, dopo nove mesi dai fatti e altrettanti di detenzione, i giudici riconosceranno il non luogo a procedere per inesistenza del reato.

In una nota della prefettura di quegli anni Portolano viene descritto così: “già barbiere e ora sensale di piazza in zolfi, è un turbolento senza idee precise; in fregola di notorietà, già professantesi repubblicano e firmatario assieme ad altri d’una circolare annunziante la costituzione dell’internazionale a Girgenti”.

Dopo il ritorno alla libertà dovette scattare qualcosa nel suo intimo che lo portò a un progressivo affievolimento della militanza politica e ad una maggiore partecipazione alle attività per cui era più tagliato, quello della mediazione commerciale, dell’attenta valutazione del profitto, della capacità di saper lucrare laddove altri non vedevano l’affare e il guadagno.

Così lentamente riuscì a emergere nel commercio e nelle attività affaristiche, accumulando, pur tra qualche oscillazione e qualche problema, da cui sempre seppe uscire con destrezza, ingenti ricchezze che investiva oculatamente in immobili e terreni pregiati.

Alla sua morte – ci informano gli storici: “il suo patrimonio immobiliare ammontava a oltre un milione di lire, al quale sommare il valore dei beni mobili ed i crediti derivanti dalla sua attività finanziaria”.

E si prosegue: “tra il 1896 e il 1908 comprò vaste estensioni di terreno, alcune in località di pregio: Bonamorone, ex feudo Limbrici, Cannaloro, San Francesco, Làbiso, Colleverde, Minardo, Sant’Anna, Meta, Petrusa, Gasena, tutte in territorio di Girgenti. Oltre fabbricati, pure in Girgenti, nella piazza del municipio, Salita Seminario, cortile Belmonte, via Nobile Orazio, via San Michele”.

Continuando nella lettura veniamo a sapere come “fiori all’occhiello di questi impieghi sono certamente il fondo di Bonamorone ed il palazzo di piazza municipio. Conseguì la proprietà della tenuta di Bonamorone aggiudicandosela all’asta pubblica, con verbale del tribunale civile di Girgenti, il 27 ottobre 1896; era estesa ettari 10 e are 78, pari a salme 3 circa della abolita misura. Quando ne venne in possesso non esisteva la casina, che egli stesso fece costruire al principio del Novecento chiamandola villa Rosalia in ricordo della defunta moglie. L’edificio a pianta quadrangolare, a due elevazioni, in stile neoclassico, è perfettamente inserito nel prestigioso scenario della valle dei templi: ora sta intatto lì, con i segni del tempo […]”.

“Se il Caos è Valsanìa, questa è Colimbetra, la villa del principe don Ippolito Laurentano de ‘I vecchi e i giovani’.

Esisteva a Girgenti “il palazzo di città [che] sorgeva tra la via Atenea, largo di S. Sebastiano (oggi piazza Sinatra) e largo S. Domenico (poi piazza del municipio, ora Pirandello). Acquistato dal Portolano poco prima di morire, il 30 luglio 1908, dall’avv. on. comm. Ippolito Onorio De Luca fu Francesco, al prezzo di lire 100.000 pagato in contanti, si componeva di un vasto edificio su tre piani, con un cortile interno; i piani bassi erano adibiti a negozio, stalle, magazzini, quelli sopraelevati a quartini di abitazione”.

Non era trascorso un anno, e il 3 maggio 1909, al colmo della sua fortuna terrena, Calogero Portolano moriva non nella sua nuova casa di città, ma nella villa Rosalia di Bonamorone, il fiore all’occhiello delle sue molte proprietà.

Maria Antonietta Portolano, la figlia, perse la madre alla nascita nel 1871, il padre Calogero Portulano, uomo estremamente geloso, si rifiutò di far visitare la moglie da un medico, preferendo una levatrice che non arrivò in tempo, lasciando che la donna in assenza di cure morisse di parto.

Sembra un paradosso, ma nell’Italia di metà/fine ‘800 succedeva anche questo.

La piccola Maria, che il padre affidò ancora neonata alle suore del convento di San Vincenzo, dimostrò sin dai primi anni l’ossessione di non essere amata. Calogero Portulano, sempre dedito al lavoro, stipulò circa vent’anni dopo un accordo con Stefano Pirandello, suo socio e padre di Luigi. Così, prima di partire per il nord lasciò, oltre al suo testamento, una dote di 70mila lire, cospicua per l’epoca, che il padre di Luigi investì nel commercio dello zolfo.

Luigi Pirandello, poco dopo il ritorno in Italia ricevette dal padre Stefano la proposta di sposare la figlia d’un suo socio in affari.

La ragazza era bella, giovane, onestissima e portava una cospicua dote. Luigi non sollevò obiezioni; andò a vederla, gli piacque e dette il suo consenso.

L’unica difficoltà era rappresentata dal padre, Calogero Portulano, affetto da una gelosia paranoica. Dopo aver patrocinato il matrimonio della figlia, Antonietta, con il giovane Pirandello, fece marcia indietro: la sola idea che quel giovanotto avrebbe tenuto fra le braccia sua figlia, dormito con lei (per giunta a Roma, lontano dalla casa paterna), gli era intollerabile. Inventò calunnie sul conto di Luigi, disse che a Roma aveva un’amante e cercò di dare la figlia in moglie a un ricco commerciante di tessuti. Ma Antonietta rifiutò e il progetto andò a monte.

Questo Calogero Portulano era un personaggio d’una gelosia folle. Abitava solo case le cui finestre fossero provviste di inferriate e controllava la figlia come un carceriere avrebbe controllato una prigioniera (Pirandello, molti anni dopo, si servì di lui come modello per disegnare la figura di Verri, nella famosa scena di Questa sera si recita a soggetto).

Nonostante le fugaci occasioni d’incontro, tra i due promessi nacque un’intensa passione, le visite avvenivano sotto la rigida sorveglianza del padre, o altrimenti in presenza di almeno tre accompagnatori.

Luigi e Antonietta dovevano evitare una conversazione a bassa voce, ed era concessa loro solo una leggera stretta di mano. Luigi le scrisse lunghe lettere passionali, a cui Antonietta non rispose mai…”.

Ormai è acclarato che a causa di questo comportamento da despota da parte di Calogero, la figlia abbia subito una pressione psicologica fortissima che adagio adagio l’ha inghiottita nell’imbuto della sofferenza psichica fino a farla precipitare definitivamente riuscendo a creare una situazione familiare insostenibile della quale non solo il marito Luigi, ma anche i tre figli ne hanno sofferto maledettamente crescendo per lunghissimi anni senza la presenza della madre  che alla fine è stata ricoverata in una casa di cura fino a quando non è deceduta, tanti anni dopo la morte del marito Luigi.

Bisogna ricordare che il Nostro era fidanzato con la cugina Lina ma quel fidanzamento era andato in fumo e da parte del padre Stefano si era riacceso il desiderio di trovare una moglie al figlio Luigi perché potesse formare una famiglia. Proprio Stefano, grazie alle sue zolfare, aveva conosciuto Portulano il quale aveva una giovane figlia Antonietta, bella e pronta da sposare. Su questo argomento i due genitori ebbero modo di affrontarsi, trovare ogni accordo (soprattutto finanziario) e decisero che i due ragazzi presto sarebbero convolati a nozze.

Luigi venne a Girgenti in attesa di poter conoscere la ragazza destinata a diventare fidanzata e poi moglie, come si conveniva a quel tempo. Ebbe modo, attraverso la sua produzione letteraria, raccontare gli eventi che in quel tempo lo coinvolsero come destinato fidanzato, ma ligio alle decisioni volute dai due padri e per lui che era stato in Germania conoscendo quel mondo giovanile, le decisioni dei due genitori certo non lo soddisfecero, ma dovette accettare. Altro non poteva fare.

Finalmente un giorno avvenni l’incontro tra le due famiglie sottoposte a tutta una serie di convenevoli preventivati per fare riuscire al meglio l’incontro anche perché c’era il timore che non si piacessero proprio i due giovani. Ma questo non accadde perché i due ragazzi si piacquero e seppur rimasero quasi silenziosi, parlarono i loro occhi, i loro sguardi.

L’espressione di Pirandello fu: “bona pi’ mugliera”. Questa così lapidaria frase possiamo affermare che sancì il contratto di nozze firmato e condiviso e nessun’altro avrebbe potuto variare le condizioni già stabilite dai padri.

Tutto era stato scritto e deciso. Ma se questo primo incontro sembrò sancire un evento immortale, non mancarono, nel prosieguo, alcune vicissitudini che spesso misero in pericolo quell’intesa perché la notoria gelosia di Calogero Portulano portò alcuni dissapori e malintesi. Tutti in città conoscevano le abitudini di questo arricchito che dominava la volontà dei parenti e della figlia in particolare succube delle decisioni paterne.

Poi la prima tragedia familiare: la morte della madre di Antonietta, ancora giovanissima, che creò una frattura indelebile nel suo già precario stato psichico. La ragazza, dopo quella morte della madre, fu mandata a studiare e vivere presso le suore di San Vincenzo che non finì mai di seguirla, controllarla tanto che la figlia nel notare quella assidua presenza provava un terribile e perenne fastidio. Guai a guardare a destra o a sinistra, sarebbe stata rimproverata aspramente. Questa parte formativa di Antonietta si può dire trascorse nel peggiore dei modi ed è accertato che provocò lacerazioni psicologiche che nel tempo sarebbero sfociate in vere e proprio dimostrazioni di pazzia.

Ci si chiederà a cosa serviva quella gelosia? A niente certo, anzi a peggiorare la situazione ed è pacifico che a subirne le nefaste conseguenze fu il genero Luigi che fu costretto a ricambiare il diniego e l’avversione per cui Antonietta si venne a trovare in mezzo a due uomini che si odiavano e che comunque arrecavano nocumento a lei più di quanto pensassero o sapessero. C’era tanto rancore che il matrimonio, ancora non celebrato, finì per essere mandato all’aria, ma non si arrivò a tanto. Fu proprio la ragazza a salvare il tutto insistendo caparbiamente, contro il padre, che avrebbe sposato Luigi del quale era innamorata a qualunque costo.

I mesi che occorsero per arrivare alla data del matrimonio trascorsero quasi sempre tumultuosi ed era sancito che gli incontri tra i due giovani si svolgessero secondo precise regole: mai da soli, ma sempre in presenza dei più stretti parenti: i genitori, il fratello, qualche sorella e mentre i presenti discutevano tra di loro i due giovani, seduti a debita distanza, non dovevano conversare inopinatamente e quindi la povera fidanzata doveva tenere sempre gli occhi bassi.

Ecco che questo benedetto Calogero Portulano fu la causa di sfacelo prima e dopo seppur poi il Nostro, diventato famoso, spesso si trovò a recarsi nei periodi estivi nella villa di proprietà del Portulano. Questa situazione perdurò fino a quando questo ingombrante personaggio passò a miglior vita, rendendo liberi, (possiamo dire: finalmente) i due giovani sposi.

Non occorre sottolineare che quella parte di vita che interessò i due giovani, anche prima del matrimonio, fu burrascosa, come già evidenziato e che provocò tutta una serie di turbamenti che alla fine coinvolsero i due protagonisti che lentamente, ma inesorabilmente, dovettero pagare uno scotto pesante e mentre Luigi riuscì a trovare una nuova dimensione, così non fu per Antonietta che venne risucchiata perdendo del tutto la ragione e quindi pagando, per tutti, quel prezzo che tradotto fu chiamato “pazzia” la quale non colpì solo la giovane donna, quanto il marito Luigi e i tre figli: Stefano, Fausto e Lietta.

Luigi Pirandello e Antonietta Portulano si sposarono presso la chiesa di Sant’Alfonso (in Agrigento) il 27 gennaio 1894, per poi allontanarsi dalla città natale e stabilirsi a Roma dove lo scrittore aveva già provveduto ad acquisire un appartamento dove iniziare a vivere la nuova vita di sposo e poi, magari, anche di genitore.

È giusto affermare che Portulano non era un familiare di Pirandello, come Marta Abba, ma per il ruolo avuto, lo si indica e dello stesso si danno notizie interessanti.

Pietro Seddio

INDICE

La famiglia di Luigi Pirandello: Nota introduttiva
Capitolo 1: Caterina Ricci Gramitto
Capitolo 2: Stefano Pirandello
Capitolo 3: Maria Stella
Capitolo 4: Calogero Portolano
Capitolo 5: Antonietta Portulano
Capitolo 6: Rosolina Pirandello
Capitolo 7: Stefano Pirandello
Capitolo 8: Fausto Pirandello
Capitolo 9: Lietta Pirandello
Capitolo 10: Il problema dell’eredità con i figli

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