«La buon’anima», analisi della novella di Luigi Pirandello

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Di Riccardo Mainetti.

Quanto può essere ingombrante un uomo da morto? Bartolino Fiorenzo, il protagonista maschile, vivente, della novella “La Buon’anima” di Luigi Pirandello, lo sperimenta sulla propria pelle.

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La buon'anima. Analisi
Oskar Kokoschka (1886-1980) Gli amanti mediante gatto – olio su tela,1917

«La buon’anima», analisi della novella

Per gentile concessione dell’Autore.

BARTOLINO FIORENZO E IL FU COSIMO TADDEI 

Quanto può essere ingombrante un uomo da morto? Bartolino Fiorenzo, il protagonista maschile, vivente, della novella “La Buon’anima” di Luigi Pirandello, lo sperimenta sulla propria pelle.

Quando sposa in seconde nozze Lina Sarulli, ancor giovane vedova, questo peso e questo ingombro lo comincia ad avvertire da subito.

Anzi, comincia ad avvertirlo ancor prima del matrimonio quando la futura sposa gli dice che il suo nome non è Lina ma Carolina e che Lina aveva voluto, deciso, di chiamarla la buon’anima dell’ingegner Cosimo Taddei.

Per la verità di cambiar nome la futura signora Fiorenzo, già signora Taddei, non aveva voglia ma la buon’anima aveva deciso di sì; che se “invece di Carolina” l’avesse chiamata “Cara Lina” sarebbe stato “lo stesso, anzi di più”.

Quando poi, dopo il matrimonio, Bartolino Fiorenzo va ad abitare nella casa che era stata la casa della buon’anima, si ritrova a fare i conti con l’ingombrante presenza che vi aleggia. Nessun fantasma con catene e rumori sinistri, badate bene; semplicemente una presenza che si ritrova ovunque, a cominciare da un ritratto nel quale il fu Cosimo Taddei appare sorridente e nell’atto di salutare.

La meta del viaggio di nozze dei novelli sposi è Roma, città nella quale la sposina era stata anche con il precedente marito.

Casualità? La città, indubbiamente bellissima, l’aveva colpita tanto da volerci tornare? Forse! Ma per Bartolino Fiorenzo quel viaggio è un continuo confronto, un confronto impari per di più, con la buon’anima del fu ingegner Taddei.

Non solo l’albergo è lo stesso della precedente luna di miele ma la sposa arriva addirittura a chiedere che venga sostituita la camera che era stata loro assegnata con quella nella quale aveva soggiornato la volta precedente.

E persino i ristoranti nei quali i due consumano i pasti sono i medesimi e i musei che visitano e i monumenti che vanno ad ammirare.

Ma non pensate che la novella sposa lo faccia con malizia. No! Il fatto è. vedete, che il defunto ingegner Taddei l’aveva sposata, fatta diventar donna e ne aveva forgiato la mente e quindi, con il tempo, ella ha preso a parlare e a ragionare con le parole e i ragionamenti del defunto marito.

A Bartolino Fiorenzo è inibito qualsiasi gesto “originale”. Persino quando, tempo dopo, egli comincia a ribellarsi la moglie commenta quelle levate di cresta del marito con un “Oh, Dio, Bartolino, come la buon’anima!

Persino quando, in un impeto di ribellione, Bartolino Fiorenzo arriva a tradire la moglie scoprirà che il commento a mo’ di rimprovero della moglie vale anche in quel caso.

La vita a chi resta, la morte a chi tocca”, diceva la buon’anima. Che vita però con un’assenza che pesa più di una presenza!

Questa novella, pubblicata per la prima volta nel settimo numero del 1904 della rivista “La Riviera Ligure” e successivamente inclusa nella raccolta “La vita nuda” del 1910, tocca il tema sia della vita familiare che il tema della morte e dei legami che le persone mantengono con le buon’anime dei cari estinti.

Leggendola, pur facendo alcune debite distinzioni, non ho potuto fare a meno di ricordare la scena, mi pare del secondo film con protagonista il ragionier Ugo Fantozzi nel quale, la signorina Silvani avendo litigato con il geometra Calboni accetta la corte del timido e sfortunato ragioniere ripetendogli, quasi come un mantra “Perché Calboni sarà quel che sarà però…”

La novella inoltre è uscita nello stesso anno e pressappoco nello stesso periodo de “Il fu Mattia Pascal”, uscito a puntate tra il 16 aprile e il 16 giugno 1904 sulla rivista “Nuova Antologia” e sembra riecheggiare in sé, specie nel protagonista Bartolino Fiorenzo, la voglia di fuga messa in atto da Mattia Pascal. Mi è venuto, infatti, da immaginare la voglia di fuga che deve aver nutrito il povero Bartolino Fiorenzo alla fine della novella, fuga non tanto dalla moglie quanto dall’ingombrante presenza del di lei primo e defunto marito che, non a caso, tanto nel titolo quanto in questo mio commento ho chiamato “Il fu Cosimo Taddei”.

Riccardo Mainetti
24 gennaio  2023

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