L’uomo, la bestia e la virtù – Atto terzo

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L’uomo, la bestia e la virtù – Atto III
Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

En Español – El hombre, la bestia y la virtud

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L uomo la bestia e la virtù - Atto III
Marco Messeri, Geppy Gleijeses, Marianella Bargilli, L’uomo, la bestia e la virtù. 2015. Immagine dal Web.

1919
L’uomo, la bestia e la virtù
Atto Terzo

        La stessa stanza dell’atto precedente. È l’alba del giorno appresso. Sul da­vanzale della finestra, nella veranda in fondo, nessun vaso di fiori. Sono an­cora per terra la tovaglia e la suppellettile da tavola rovesciate dal Capitano Perella..

        Scena prima

        Grazia, poi il Marinajo. Al levarsi della tela, Grazia, tutta scarduffata, con l’occorrente per la pulizia, è curva a raccogliere i cocci del vasellame rotto e i piatti, i bicchieri rimasti sani, che poserà a mano a mano sulla tavola. Rad­drizzandosi di tratto in tratto, si stirerà, contraendo il volto, per significare che ha tutta la persona indolenzita, segnatamente le reni; protenderà allora una mano a pugno chiuso in direzione dell’uscio della camera del Capitano e borbotterà qualche inintelligibile imprecazione.

        GRAZIA: Guardate qua… guardate qua che rovina! piatti… bicchieri… È tutto in­sozzato! Povera tovaglia! Neanche una stalla sarebbe per lui! Il porcile… il porcile, per lui! Ah, manco male… una bottiglia è sana… (Raddrizzandosi) Ahi, ahi, ahi! Non mi reggo più su le reni… Sfasciate… ahi, ahi, ahi… spez­zate… (Suono di campanello alla porta.) Chi sarà?… (Avviandosi per aprire) Ahi, ahi, ahi… (Gesto verso la porta del Capitano, un borbottamento, ed esce per la comune. Poco dopo rientrerà in scena col Marinajo.)

        GRAZIA: Ma se vi dico che la signora non m’ha lasciato nulla per voi!

        MARINAJO: E allora il Comandante non riparte oggi?

        GRAZIA: Che ne so io, se riparte o non riparte?

        MARINAJO: Ma sì, che deve ripartire oggi! E la roba, la signora, deve averla preparata jersera.

        GRAZIA: Jersera, sì! Aveva proprio testa da pensare a preparar la roba, jersera.

        MARINAJO: Gran putiferio?

        GRAZIA: Il diavolo a quattro!

        MARINAJO: Uh, e ha rovesciato tutto, al solito?

        GRAZIA: Questo solo? Cose… cose dell’altro mondo! cose vi dico, che non si sono mai né viste né sentite!

        MARINAJO: Ah si? Che ha fatto? che ha fatto?

        GRAZIA: Che ha fatto!? Ha fatto che…

        MARINAJO: Dite, dite…

        GRAZIA (facendo gli occhiacci): Non lo so!

        MARINAJO: Maltratti alla signora, mi figuro! sgarbi al ragazzo! Se l’è presa anche con voi?

        GRAZIA (lo guarda; sta per dire chi sa che cosa; ma taglia corto): Lasciatemi, lasciatemi fare qua…

        MARINAJO: Anche con voi? Eh! a chi i confetti e a chi i dispetti! Da una parte le piglia e dall’altra le dà!

        GRAZIA: Che dà? che piglia?

        MARINAJO: Le piglia! le piglia! (Fa cenno di busse con la mano.) Ah, se le pi­glia! Da quell’altra – a Napoli. – Qua fa il lupo; con quell’altra, invece, è più mansueto d’un agnellino!

        GRAZIA: Ma che agnellino! (Piano, con gli occhiacci:) Un majalone è! ecco quello che è!

        MARINAJO: Sì, va bene; ma quella lì lo sa far stare a dovere. Lo so io! Fin da quando ero imbarcato al suo servizio. Ci sono andato poche volte io, in casa di quella signora! Tutti i giorni, fin tanto che si stava a Napoli. E ho assistito a certe scene! Ma al contrario, le faceva lei a lui! Un donnone, se vedeste! Due quintali! E brutta, oh! Certi occhiacci… Ma chi sa come gli sembrerà bella, a lui! Una rovina, poi! Un figlio all’anno! Glien’avrà fatti altri cinque, sei… da allora!

        GRAZIA: Com’è? giovane?

        MARINAJO: Giovane, giovane… Dev’essere ancora giovane, sotto la trentina…

        GRAZIA: Ah! E non gli basta?

        MARINAJO: A chi? a lei?

        GRAZIA: Dico a lui! dico a lui!

        MARINAJO: Ah… perché ha qui anche la moglie, volete dire?

        GRAZIA: Che moglie e moglie! Non la guarda nemmeno la moglie!

        MARINAJO: E allora? Ohe! Ne sapreste forse qualche cosa anche voi?

        GRAZIA: Lasciatemi sbrigare qua, v’ho detto!

        MARINAJO (ride): Ah! ah! ah! ah! Sarebbe da ridere…

        GRAZIA: Insomma, ve n’andate?

        MARINAJO: Sì, vado, vado. Ritornerò più tardi… Ma avvertitela la signora, che son venuto per la roba… che la prepari… A rivederci, eh?

        GRAZIA: A rivederci.

        Il marinajo esce per la comune. Grazia ritorna a cercar tra le pieghe della tovaglia per terra qualche piatto o bicchiere rimasto sano e, trovandone qualcuno e levandosi per posarlo sulla tavola, rifa il gesto per esprimere l’indolenzimento delle reni. Si sente poco dopo – grottescamente di nuovo esagerato – il rumore del paletto tratto dall’uscio della camera del Capitano.

        Scena seconda

        Detta e il Capitano Perella..

        GRAZIA: Eccolo qua, che esce dalla gabbia, la belva!

        Il Capitano vien fuori, tutto ammaccato dal sonno, con gli occhi pesti e un umore più che mai bestiale.

        PERELLA (scorgendo Grazia per terra): Ah… tu, costì? Con chi parlavi?

        GRAZIA: Col marinajo, parlavo…

        PERELLA: È andato via?

        GRAZIA: È andato via.

        PERELLA: E che era venuto a fare, a quest’ora?

        GRAZIA: Era venuto per la roba da portare a bordo. (Pausa.)

        PERELLA: E tu non sai augurare il buon giorno al tuo padrone?

        GRAZIA: Già! Per giunta! Eccolo qua, il mio buon giorno! (Indica i cocci per terra.)

        PERELLA: Lo fai adesso, codesto servizio? Che hai fatto tutto jersera?

        GRAZIA (gli lancia una lunga occhiataccia, poi torna al suo servizio senza ri­spondere).

        PERELLA: Rispondi! (Le viene innanzi, minaccioso.)

        GRAZIA (si leva, lo guarda di nuovo, poi dice): Lo domanda a me, che ho fatto?

        (Breve pausa.) Lei strappa; lei rompe; lei (sottolineando in modo ambiguo) obbliga la gente a servizi, a cui non è tenuta…

        PERELLA: Io voglio subito il caffè!

        GRAZIA: Ancora non è pronto.

        PERELLA (facendosele sopra con la mano levata): Ah, così mi rispondi?

        GRAZIA (sfuggendo): Non mi s’accosti! non mi tocchi o grido, sa!

        PERELLA: Vai subito a preparare il caffè! Non sai che voglio trovarlo pronto, appena mi alzo dal letto?

        GRAZIA: Potevo difatti immaginare, che proprio questa mattina lei si dovesse levare all’alba… dopo che…

        PERELLA: Insomma! La finisci di rispondere? Vai subito per il caffè!

        GRAZIA: Vado… Vado… (Via, per l’uscio a sinistra.)

        Scena terza

        Il Capitano Perella, solo, poi il signor Paolino e Grazia..

        PERELLA (tentennando il capo): Ma guarda un po’ !

        Con la faccia più che mai aggrondata e disgustata, gli occhi cupi e truci, sta un po’ a pensare; poi sbuffa; poi si brancica gli abiti addosso, smaniosa­mente, e accompagna l’atto con una specie di rugghio bestiale nella gola; scrolla il capo e va un po’ per la stanza. Ha caldo! ha caldo! si sente soffo­care! Va alla veranda, s’affaccia alla finestra infondo, guarda il mare e trae un ampio respiro; poi finge di guardare in giù nella strada e di scorgervi il signor Paolino, fa un atto di sorpresa e si china a parlare.

        PERELLA: Oh – buon giorno, professore! E come, fuori a quest’ora? da queste parti? (Tendendo l’orecchio:) Che?… – Già, già… – anch’io… Un po’ d’aria… Questo venticello… sì. Delizioso. – Vuol venir su? Venga, venga… – Le offro una tazza di caffè… – Sì, bravo, venga!

        Rimane ancora un po’ sulla veranda, poi viene incontro al signor Paolino, che entra per la comune con una faccia da morto ansiosa, gli occhi lividi, lampeggianti di follia, come se, non avendo trovato il segno sulla veranda, avesse deciso di commettere un delitto.

        PERELLA: Ih, che sveltezza! È salito di corsa?

        PAOLINO: Sì. Mi dica. Ha visto che tornavo dallo Scalo?

        PERELLA: L’ho vista col naso in su, che guardava qua, da me.

        PAOLINO: Sì. Ma ero di ritorno. Sono arrivato fino allo Scalo. Nel passare da­vanti la sua casa, la prima volta, andando, c’era giù un crocchio di gente che gridava. – Dica un po’: che sia caduto, per caso, dalla finestra là, della ve­randa, qualche vaso di fiori?

        PERELLA (stordito): Vaso di fiori? Giù nella strada?

        PAOLINO: Sì – da quella finestra!

        PERELLA: Ma no… Ch’io sappia…

        PAOLINO: No?

        PERELLA: Io non so di vasi… – Ma perché?

        PAOLINO: Perché mi parve di vedere giù, sotto la finestra, tra quel crocchio di gente che gridava, un mucchio… non so… di cocci per terra; e ho immaginato che gridasse per questo.

        PERELLA: Io non ho inteso nulla.

        PAOLINO: Non c’era proprio nessun vaso là, quando lei si è affacciato?

        PERELLA: Nessuno… Eccoli là, i vasi (indica il portafiori) tutti e cinque.

        PAOLINO: Sono stati sempre cinque?

        PERELLA: Cinque, sì. Non vede? non c’è posto, qua, per altri vasi.

        PAOLINO (quasi tra sé, addolorato, friggendo): E allora… allora… niente…

        PERELLA (squadrandolo): E come? Oh bella! Pare che lei sia dolente che non sia caduto davvero nessun vaso.

        PAOLINO (subito, riprendendosi): No; io? che! – E che… che m’ero figurato che… che dovesse esserci, quel vaso… ecco!

        PERELLA: Perché la gente gridava sotto?

        PAOLINO: Già… Sa com’è, quando uno s’immagina una cosa? L’ho creduto proprio come una realtà, passando e sentendo gridar quella gente. – «C’era un vaso – mi son detto – alla finestra là del capitano, e sarà caduto…»

        PERELLA: Ma no! che vaso! È curioso che io di là non ho sentito affatto gridare giù in istrada.

        PAOLINO: Non ne parliamo più! – Ma scusi, lei… (E s’interrompe come se gli notasse in faccia qualche segno impressionante.)

        PERELLA (turbato, non comprendendo): Io… che cosa?

        PAOLINO: Sì, dico… lei… (E s’interrompe di nuovo per spiarlo più intensa­mente nella faccia ammaccata.)

        PERELLA: Che cosa? – Oh sa che lei ha un curioso modo di guardarmi?

        PAOLINO: No, niente… Perché… perché la vedo… sì, la vedo…

        PERELLA: Come mi vede?

        PAOLINO: Niente… no… Vedo che… che si è levato per tempo, ecco…

        PERELLA: Già, ma anche lei, mi pare, – molto prima di me, se è già fuori di casa a quest’ora, ed è arrivato fin allo Scalo.

        PAOLINO: Sì… mi… mi… mi son difatti levato anch’io per tempo…

        PERELLA (lo guarda e scoppia a ridere): Ah! ah! ah! ah! Ma com’è strano lei questa mattina!

        PAOLINO: Sono un po’ nervoso…

        PERELLA: E s’è fatta una passeggiatina al fresco? – Fa bene, fa bene… igienico, igienico passeggiare di buon mattino!

        PAOLINO: Igienico, già! (Tra sé, appena il Capitano sì volta:) (Io l’uccido! Pa­rola d’onore, io l’uccido!)

        PERELLA: Non c’è di meglio, quando uno è nervoso… Fuori, all’aperto, svapo­rano tutte le ubbie.

        PAOLINO: Difatti, sì… Non… non ho dormito bene, questa notte e…

        PERELLA: Ah! Neanche lei? – Non me ne parli!

        PAOLINO (contento, ansioso): Non… ha dormito bene, dunque, neanche lei?

        PERELLA (con rabbia): Non ho dormito affatto, io!

        PAOLINO (con ansia crescente): Ah… – e…?

        PERELLA: Che cosa?

        PAOLINO: Sì, dico… vedo… – guardavo or ora, difatti, che lei è molto sbattuto… un po’… sì… un po’ pesto, ecco.

        PERELLA (c.s.): Se non ho chiuso occhio, le dico! Una nottataccia d’inferno! Il caldo, forse… io non so!

        PAOLINO: Caldo, già… ha fatto un gran caldo, un gran caldo, questa notte…

        PERELLA: Da impazzire!

        PAOLINO: E si sarà… si sarà alzato di letto, forse?

        PERELLA (lo guarda, poi): Anche, sì…

        PAOLINO: Eh, me lo immagino! Quando… quando il letto comincia a scottare… Col caldo… lì (indica la sua camera) le… le sarà parsa un forno, quella sua camera, suppongo!

        PERELLA: Un forno! un forno, proprio!

        PAOLINO: E ne sarà uscito, no? m’immagino…

        PERELLA (torbido, dopo averla guardato un po’): Sì… difatti… ne sono uscito un po’… perché… – perché a un certo punto, mi pareva proprio di soffocare… (Vedendo entrare Grazia con un vassojo, su cui è una tazza di caffè:) Ah, ma ecco qua il caffè… Brava, Grazia… – Ma come! ne porti una tazza sola? – E per il signore?

        GRAZIA (aggrondata, sgarbatissima): E che ne so io, se debbo portargli o non debbo portargli il caffè, se nessuno me lo ordina?

        PERELLA: Non rispondere così, ti ho detto! C’è bisogno che ti si ordini? Ma guarda un po’ che confidenza osa prendersi!

        GRAZIA (facendo gli occhiacci e masticando): Confidenza… confidenza… Sono io che mi piglio, ora, la confidenza; è vero?

        PERELLA: È impudente questa donna! Bada che ti caccio via su due piedi, sai?

        GRAZIA: Mi caccia? Chi caccia? Badi lei piuttosto, che io posso mettermi a gri­dare, e se mi metto a gridare quello che lei ha fatto…

        PAOLINO (quasi tra sé, basito, all’orribile sospetto che gli balena, guardando ora il Capitano, ora la serva): Oh Dio… Oh Dio… – possibile?

        PERELLA: Professore, ma la sente?

        PAOLINO: Sento, vedo… sì…

        PERELLA (a Grazia, per troncare, sulle furie): Vai a prendere subito un’altra tazza di caffè! (A Paolino:) Ecco, lei prenda questa professore… (Gli offre la tazza.)

        PAOLINO: No… grazie, no!… (A Grazia): Non… non v’incomodate…

        PERELLA: Ma che incomodarsi! – Prenda!

        PAOLINO: Grazie, le dico! no! proprio non ne desidero. – Mi… mi farebbe male…

        PERELLA: Ma che male! (A Grazia:) Vai a prendere l’altra tazza!

        PAOLINO: Sono eccitato, capitano, per carità! Sono eccitato… – eccitato; ner­voso!

        GRAZIA: Insomma – sì? – no?

        PERELLA: Vai al diavolo! (Grazia, sulle furie, se ne va, e allora, gridandole dietro fino all’uscio:) E smetti codeste arie, sai? – Se no, te le faccio smettere io!

        PAOLINO: Sfido: scusi; se si dà… se si dà troppa confidenza a una serva…

        PERELLA: Non si dovrebbero tenere troppo in casa, le serve, ecco!

        PAOLINO: Ma mi faccia il piacere! No! quando si sanno tenere al loro posto… che non abbiano a prendere arie da padrone…

        PERELLA (stupito dall’aria indignata che assume il signor Paolino): Ohe, che dice, professore?

        PAOLINO (frenandosi a stento): Dico che… che… sono… sono meravigliato, ecco… sono veramente… non so come dire… – stupito…

        PERELLA: Dell’arroganza di questa donna?

        PAOLINO: Già! E che lei…

        PERELLA: Che io?

        PAOLINO: Che lei… sì, la possa sopportare! Mi… mi pare incredibile, che vuole che le dica! Inverosimile, ecco: inverosimile, arrivare… Dio mio… arrivare fino a questo punto! – Possibile?

        PERELLA (lo guarda, torbido, poi, abbassando gli occhi) Già… è… è enorme!

        PAOLINO: È enorme! (Pausa.)

        PERELLA (quasi umile): Ma non glie l’ho detto il perché? – da troppo tempo per casa! (Arrabbiandosi:) La colpa è di mia moglie!

        PAOLINO (scattando e subito frenandosi): Ah, sì? anche? ne ha colpa sua mo­glie?

        PERELLA: Sissignore, sissignore! Che me la tiene ancora tra i piedi! perché ha visto nascere Nono! perché sa gli usi di casa! per il diavolo che se li porti via tutti quanti!

        PAOLINO (friggendo): Ma scusi, e lei per questo…?

        PERELLA: Che, per questo? Oh, insomma, sa che lei, professore, mi assume certe arie che io non tollero?

        PAOLINO: No, è che… scusi, mi… mi pare troppo, ecco, che per questo lei debba pigliarsela con la sua signora.

        PERELLA: Me la piglio con tutti, io! Perché è una disperazione questa maledetta casa per me! – Vi soffoco, vi soffoco! Maledico sempre il momento che vi rimetto i piedi! Neanche dormire quieto vi posso! Sarà stato anche il caldo… Una smania… E quando io non dormo, sa? quando non riesco a prender sonno, – … arrabbio, arrabbio…

        PAOLINO: Già… ma che colpa, scusi… che… che colpa ci hanno gli altri, scusi?

        PERELLA: Di che?

        PAOLINO: Eh… se dice che s’arrabbia… Con chi si arrabbia? con chi se la piglia, se fa caldo?

        PERELLA: Con me, me la piglio! me la piglio col tempo! e me la piglio anche con tutti, sissignori! Perché io voglio aria! aria! io sono abituato al mare!

        (Poi, calmandosi:) E la terra, caro professore, specialmente d’estate, la terra non la posso soffrire – la casa… le pareti… gli impicci… le donne…

        PAOLINO: Anche… anche le donne?

        PERELLA: Prima di tutto le donne! Del resto, le donne, con me… – Sa? Si viag­gia… si sta tanto tempo lontani… – Non dico ora, che sono vecchio… Ma quando ero giovanotto… Le donne… Ci ho avuto però sempre questo di buono, io – che quando voglio, voglio… ma quando non voglio, non voglio.

        (Ride orgogliosamente.) Il padrone sono restato sempre io!

        PAOLINO: Ah, sempre? (Tra sé:) (L’uccido! l’uccido!)

        PERELLA: Sempre che ho voluto, s’intende! – Lei no, eh? Lei forse si lascia prendere facilmente?

        PAOLINO: Lasci star me, la prego!

        PERELLA (ride forte): Ah! ah! ah! ah! – Un sorrisetto… una mossetta…

        PAOLINO (friggendo): La prego, capitano. La prego…

        PERELLA (con altra risata): Eh! eh! eh! – Me lo figuro… me lo figuro come deve essere con lei… – Un’aria umile… vergognosetta… – Dica, dica la verità, eh?

        PAOLINO: Per carità, smetta, capitano… sono veramente nervoso…

        PERELLA (ride ancora): Pieno… pieno di scrupoli ideali deve esser lei in amore… – Dica la verità!

        PAOLINO (scattando): Ebbene! vuole che le dica la verità? E allora le dico che io, se avessi moglie…

        PERELLA (scoppia a ridere di nuovo più forte): Ah! ah! ah! ah!

        PAOLINO (perdendo ogni freno): Non rida, per Dio! Non rida!

        PERELLA: Ma perché si adira così? Ah! ah! ah! ah! Come c’entrano adesso le mogli, scusi? Noi stiamo parlando delle donne…

        PAOLINO: E che non sono donne, le mogli? Che cosa sono?

        PERELLA: Ma saranno anche donne… qualche volta… sì…

        PAOLINO: Ah… qualche volta, sì! Lo… lo ammette dunque, che qualche volta il marito deve pur considerarla come donna, la moglie!

        PERELLA: Certo, sì! certo! Ma non abbia paura che ci pensa lei, la moglie, a farsi considerar come donna da altri, se suo marito se ne dimentica!

        PAOLINO: Un marito saggio, dunque, non se ne dovrebbe mai dimenticare!

        PERELLA: Ma sì! Ci penserà lui, a questo! Lei, intanto, non ne ha, caro profes­sore; e io le auguro per il suo bene di non averne mai!

        PAOLINO (irritatissimo, cercando il pretesto per litigare): Ma questo è in con­traddizione con ciò che lei ha detto or ora di me!

        PERELLA: Che cosa ho detto?

        PAOLINO: Che io sono pieno di scrupoli… non so quali…

        PERELLA (stordito): Ah, lei desidera allora di prender moglie?

        PAOLINO: No! Non dico questo! Dico che lei s’inganna sul conto mio!

        PERELLA: M’inganno?

        PAOLINO: Sissignore! E commette anche la più crudele delle ingiustizie!

        PERELLA: Verso chi? Verso lei? Verso le mogli?

        PAOLINO: Verso le mogli, sissignore!

        PERELLA: Lei le difende?

        PAOLINO: Le difendo, sissignore!

        PERELLA: Ah! ah! ah! ah! – Le difende… – Sa perché le difende lei? Perché non ne ha! E si serve – ci scommetto – di quelle degli altri… – Ecco perché le di­fende!

        PAOLINO: Io? Io? Lei dice questo a me? osa dire questo a me? Lei?

        PERELLA (richiamandolo costernato): Professore! (E lo richiamerà così altre volte durante la battuta seguente, sempre più costernato.)

        PAOLINO: Lei m’insulta! Sono un uomo onesto, io! Sono un uomo di coscienza, io! Sono un uomo, per sua regola, che si può anche trovare, sì – senza volerlo, – in una situazione disperata. Sì!, ma non è vero, non è vero che vorrei ser­virmi delle mogli degli altri! Perché se fosse così, non le avrei detto, come le ho detto or ora, che un marito non dovrebbe mai trascurare la moglie! E le aggiungo ora, che un marito che trascura la moglie, per me, commette un de­litto! e non uno solo! più delitti! Sì, perché non solamente costringe la moglie – che può anche essere una santa donna – a venir meno ai suoi doveri verso se stessa, verso la sua onestà, ma anche perché può costringere un uomo, un altro uomo, ad essere infelice per tutta la vita! Sì! sì! legato a soffrire di tutto il martirio di quella povera donna! E chi sa! chi sa! Ridotto all’estremo limite della sua sofferenza, anche la libertà, la libertà può perdere, quest’uomo! glielo dico io! glielo dico io, signor capitano!

        Il signor Paolino dirà tutto questo con foga man mano crescente, facendosi quasi sopra al Capitano, che lo ascolta sbalordito. Pare, a un certo punto, che il signor Paolino debba da un momento all’altro, trarre un’arma dalla tasca e uccidere il Capitano. Si schiude allora l’uscio a destra e compare la signora Perella, atterrita, disfatta, con tutta la truccatura andata a male sulla faccia squallida. Non ha forza né di muoversi né di parlare.

        Scena quarta

        La signora Perella e detti..

        SIGNORA PERELLA: Oh Dio… che cos’è? che cos’è?

        PERELLA: E chi ne capisce nulla? Il professore qua è montato su tutte le furie, discutendo delle mogli e dei mariti…

        PAOLINO: Ma perché io dicevo…

        SIGNORA PERELLA: Calma! Calma! Per carità… Non dica… non dica più nulla, professore… Guardi, piuttosto… – mi ajuti… (S’avvicina al portafiori e fa per prendere un vaso):… m’ajuti, la prego…

        PAOLINO (raggiante): Ah… sì? (Prende il vaso.) Questo vaso? Vuole, vuole che lo porti alla veranda?

        SIGNORA PERELLA: Sì… ma lo dia a me, questo… lo porto io… – Ne… ne prenda un altro lei… Se non se n’ha a male…

        PAOLINO (restando e facendosi brutto): Un altro? A male, io? Ma che dice? Fé… felicissimo!

        SIGNORA PERELLA: E allora… la prego… (Va a collocare il vaso sul davanzale della finestra sulla veranda.)

        PAOLINO: Ecco… ecco… (Eseguisce.) Lo mettiamo qua? (Lo posa accanto al primo.) Così?

        SIGNORA PERELLA: Sì, grazie…

        E seguita per suo conto a prendere e a portare al davanzale il terzo e il quarto vaso mentre Paolino, pieno di sdegno e di sarcasmo, si precipita ad abbracciare il Capitano che guarda sbalordito.

        PAOLINO: Ah! Mi scusi, mi scusi tanto, caro capitano, mi scusi!

        PERELLA: E di che?

        PAOLINO: Ma di tutte le bestialità che poc’anzi mi sono scappate di bocca! Ero così nervoso! Ma è stato uno sfogo, che mi ha tanto giovato! M’è passato tutto… Sono contento ora… tanto contento… Mi scusi e grazie, grazie, signor capitano! Con tutto il cuore! Guardi, là… che azzurro… che bella giornata s’è fatta! e quei… (con stupore che è quasi terrore) uh! cinque, cinque vasi là!

        SIGNORA PERELLA (che ha il quinto vaso tra le mani, che contiene il giglio, mo­strandolo, vergognosa, con gli occhi bassi): Ridanno la vita…

        PAOLINO (subito): A una casa, già! Grazie, grazie, capitano! Scusi! – Sono ve­ramente una bestia!

        PERELLA (scrollando il capo, sentenzioso): Eh, caro professore, bisogna essere uomini! (E si tocca più volte il petto col dito.)

        PAOLINO: A lei è facile, capitano – con una signora come la sua: la Virtù in persona!

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