L’esclusa – Parte II – Capitolo 8 (con Audio)

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L’esclusa – Parte II – Capitolo 8
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Leggi e ascolta. Voce di Edoardo Camponeschi

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VIII.

            – Venga, due passi… Il mal di capo le svanirà. Vede che giornata? Due passi…

            – Ha fatto male a venire…

            – Perché?

            – Avrei voluto avvisarla… Ma dove?

            – Perché? – insistette l’Alvignani.

            Era turbatissimo anche lui. Non s’aspettava di ritrovare Marta in tanto rigoglio di bellezza e così confusa e tremante davanti a lui. Non sapeva come spiegarsi la facilità con cui ella pareva si lasciasse condurre; e n’era quasi sgomento; temeva d’ingannarsi, si sforzava di dubitare e temeva di credere; temeva che un gesto, una parola, un sorriso imprudente non dovessero in un attimo rompere l’incanto.

            Marta andava a capo chino, col volto in fiamme. Non avendo saputo, né quasi creduto possibile separarsi da lui su la soglia del Collegio, ed essendosi piegata all’invito di fare due passi insieme, si era messa ad andare in sù, dove il Corso diveniva man mano più solitario. Non si sarebbe certamente avviata con lui verso la città, incontro alla gente.

            Usciva dal Collegio due ore prima del solito; né il marito dunque poteva essere di già alle poste, né Matteo Falcone l’avrebbe veduta. Pure tremava; le pareva che tutti dovessero accorgersi dell’imprudenza, anzi della temerità di lui e dell’estrema agitazione con cui lei lo seguiva, come trascinata veramente, come cieca. E non penetrava il senso delle parole ch’egli le diceva con voce tremante, ma le udiva. Erano parole ardenti e affollate, che le cagionavano a un tempo vergogna e sgomento, misti a un piacere indefinibile. Le diceva che da lontano aveva sempre pensato a lei…

            E lei ripetè involontariamente, con aria incredula:

            – Sempre…

            – Sì, sempre!

            Che diceva adesso? Che non gli aveva risposto? Quando? A qual lettera? Fece per alzare gli occhi a guardarlo, ma subito riabbassò il capo. Sì, era vero: non gli aveva risposto. Ma come avrebbe potuto rispondergli, allora?

            Pensieri sconnessi le guizzavano intanto nel cervello; le due bambine a cui soleva dare in quel giorno la lezione particolare; l’ultima minaccia del marito nella lettera d’Anna Veronica; il mostruoso amore e la gelosia di Matteo Falcone… Ma nessuno di quei pensieri riusciva a riflettersi su la sua coscienza sconvolta, tra l’angoscia incalzante dei palpiti.

            Sentiva ch’era di quell’uomo elegante, ardito, che le camminava a fianco, ch’era venuto a prendersela improvvisamente; e lo seguiva, come se avesse davvero un diritto naturale su lei, e lei il dovere di seguirlo.

            Émpiti di sangue le balzavano alla testa; poi un subito spossamento le aggravava le membra. Aveva perduto affatto la coscienza di sé, d’ogni cosa; e andava innanzi senza volontà, né speranza di potere più sciogliersi da quell’uomo che la avviluppava con la parola commossa.

            Anche lui era preso e vinto dall’irresistibile fascino amoroso, e parlava, parlava senza saper bene ciò che dicesse, ma sentendo che ogni parola, il suono, l’espressione di essa erano in perfetta armonia, e avevano virtù spontanea d’infallibile persuasione. Né anche egli pensava più; non sapeva che una cosa sola: che era vicino a lei, che non l’avrebbe lasciata più.

            L’aria s’era come infiammata intorno ai loro corpi, s’era fatta avvolgente, e vietava ogni percezione della vita circostante; gli occhi non iscorgevano più alcun oggetto, gli orecchi non accoglievano più alcun suono.

            Egli era arrivato a darle del tu, come già nell’ultima lettera, in quella scoperta dal marito; ed ella questa volta lo aveva accolto quasi senza notarlo.

            Da un pezzo lo stradone era divenuto solitario; la luce del sole metteva sul giallo della polvere come un fervore d’innumerevoli scintille che accecavano, e per cui pareva fervesse sotto i loro piedi anche la terra. Il cielo era d’un azzurro intenso, immacolato.

            A un tratto si fermarono. Si fermò lui per primo. Marta si guardò attorno, smarrita. Dove erano? Da quanto tempo camminavano?

            – Non eri mai arrivata fin quassù?

            – No… mai… – rispose timidamente, continuando a guardare come se uscisse da un sogno.

            – Di qua… – le disse l’Alvignani, prendendole senza alcuna pressione il polso e accennando una via traversa, alla sua sinistra.

            – Dove? – chiese lei, forzandosi a guardarlo e ritirando un po’ il braccio ch’egli non lasciava.

            – Di qua, vieni… – insistette lui, attirandola dolcemente, con un lieve, tremulo sorriso su le labbra aride, pallido in volto.

            – Ma no… io adesso… – tentò lei di schermirsi, più che mai impacciata e sgomenta, notando il fremito della mano, il sorriso nervoso, il pallore del volto e l’espressione aggressiva degli occhi di lui, intorbidati e rimpiccoliti.

            – Un momento solo… di qua… Vedi, non c’è nessuno…

            – Ma dove? No…

            – Perché no? Vedrai la chiostra dei monti… Morreale lassù… poi le campagne tutte fiorite… e da questa parte il mare, Monte Pellegrino… e la città intera sotto i tuoi occhi. Ecco, la porta è qui. Vieni!

            – No, no! – negò più recisamente Marta, guardando la porta, quasi non comprendendo ancora ch’egli abitasse lì e non trovando tuttavia la forza di liberare il polso dalla mano di lui.

            Ma egli la attirò. Varcata la soglia, Marta trasse un lungo sospiro; sentì tra le mura del breve, angusto androne un momentaneo sollievo, come un fresco refrigerante.

            – Guarda, guarda… – le disse Gregorio accennando i colombi che tubavano tutti insieme, ora avanzandosi impettiti come in difesa del loro campo, ora allontanandosi impauriti dalla voce di Marta che s’era chinata a chiamarli:

            – Come son belli… Uh, quanti…

            Gregorio la guardava così china, col desiderio irresistibile d’abbracciarla, di stringerla forte a sé e non lasciarla, non lasciarla mai più. Gli pareva d’averla sempre, sempre desiderata così, fin dal primo giorno che l’aveva veduta.

            – Ora guarda: due scalini… Andremo sù al terrazzo…

            – No, no, ora me ne vado… – rispose subitamente Marta, rizzandosi.

            – Come! Ora che sei entrata? Sono due scalini… Devi vedere il terrazzo… Sei già qui…

            Marta si lasciò novamente attirare; ma, appena posto il piede nell’interno della casa, si sentì sciolta dall’incanto che l’aveva trascinata fin lì; le s’infoscò la vista; un vertiginoso smarrimento la colse. Era perduta! E, come in un incubo, sentì l’impotenza di sottrarsi al pericolo imminente.

            – Il terrazzo? Dov’è il terrazzo?

            – Ecco… vi andremo… – le rispose Gregorio, prendendole una mano e premendosela sul petto. – Ma prima…

            Ella gli levò in volto gli occhi pieni d’angoscia, supplicanti.

            – Dov’è? – ripetè, ritraendo la mano.

            Non vedeva altro scampo, ora.

            Gregorio la condusse attraverso le stanze; poi salirono un’angusta scaletta di legno.

            Marta lassù sentì aprirsi il cuore.

            Lo spettacolo era veramente magnifico. La grande chiostra dei monti incombeva maestosa e fosca sotto il cielo fulgidissimo. Le schiene poderose si disegnavano con tagli d’ombra netti. E Morreale pareva là un candido armento pascolante a mezza costa; e, sotto, la campagna sparsa di bianche casette si stendeva oscurata dall’ombra dei monti.

            – Ora di qua! – diss’egli.

            Quanto imminente e fosco era dalla parte dei monti lo spettacolo, tanto vasto e lucente si spalancava dalla parte opposta. Tutta la città, distesa immensa di tetti, di cupole, di campanili, tra cui, gigantesca, la mole del Teatro Massimo, si offerse a gli occhi di Marta, e il mare sterminato in fondo, riscintillante al sole, sotto i cui raggi Monte Pellegrino rossigno pareva sdrajato beatamente.

            Marta per un momento si obliò nella contemplazione del vasto spettacolo. Poi cercò con gli occhi il campanile del Duomo, dietro a cui sorgeva la sua casa; e subito, al pensiero della madre e della sorella che colà la aspettavano, sentì più vivo il turbamento, più acuto il rimorso, e una sfiducia profonda e disperata di sé. Trasse il fazzoletto e si nascose la faccia.

            – Piangi? Perché, Marta? Perché? – le domandò egli con affettuosa premura, accostandosele. – Vieni, scendiamo… Adesso te ne andrai…

            – Sì, sì… subito… – fece lei, sforzandosi di dominarsi. – Non dovevo… non dovevo venire…

            – Ma perché? – ripetè Gregorio, afflitto, come ferito dalle parole di lei, aiutandola a discendere. – Perché dici così, Marta? Marta mia… Aspetta, aspetta… Così! non piangere… rassèttati…

            E asciugandole gli occhi, la carezzava, tutto tremante.

            – No… no… – cercava di schermirsi Marta, abbandonata di forze.

            Quand’egli la abbracciò, ella ebbe un fremito per tutte le membra, un singulto, come uno schianto, di chi cede senza concedere.

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L’esclusa – Indice

Introduzione

Parte prima
Capitolo 1Capitolo 2Capitolo 3
Capitolo 4 – Capitolo 5 – Capitolo 6
Capitolo 7 – Capitolo 8 – Capitolo 9
Capitolo 10 – Capitolo 11 – Capitolo 12
Capitolo 13 – Capitolo 14

Parte seconda
Capitolo 1 – Capitolo 2 – Capitolo 3
Capitolo 4 – Capitolo 5 – Capitolo 6
Capitolo 7 – Capitolo 8 – Capitolo 9
Capitolo 10 – Capitolo 11 – Capitolo 12
Capitolo 13 – Capitolo 14 – Capitolo 15

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