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Leggi e ascolta. Voce di Edoardo Camponeschi.
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IV.
«Crederà adesso che quel mostro sia il mio amante! N’è capace», pensava Marta, dopo cena, rinchiusa in camera.
E diceva a se stessa proprio così: il mio amante, poiché come tale il marito le aveva già affibbiato un altro, quell’altro! Ma quanto più obbrobriosa adesso le sembrava questa parola, riferita al Falcone!
Voleva dunque prendersi una nuova vendetta, esasperato dal disprezzo di lei? La minaccia era esplicita, nella lettera di Anna Veronica.
Un nuovo scandalo… Ma le prove? Oh Dio, quel mostro… sì, era probabile che gliele avrebbe offerte quel mostro, le prove, se si fossero incontrati un’altra volta per via… Qualche scenata… e il nome di lei sù pe’ giornali accanto a quello del Falcone.
Marta si torceva le mani dalla paura, dallo schifo, smaniando senza requie; e a Maria che, intanto, nella stanza attigua, leggeva sul pianoforte alcuni brani di vecchia e piana musica, delizia della madre, avrebbe voluto gridare rabbiosamente che smettesse.
Ah la tranquillità della madre e della sorella, la quiete della casa, la musica, i discorsi alieni, come la facevano soffrire, in quel momento!
Sì, opera sua; ma nessuno dunque intendeva, nessuno indovinava a prezzo di quale martirio? Fatta una croce sul passato, non doveva parlarsene più? La madre e la sorella ne erano uscite; ed ecco una nuova vita, calma e modesta, era ricominciata per loro. Ma lei? la sua vita, la sua giovinezza dovevano rimanere sepolte lì, nel passato? Non se ne doveva più parlare? Quel ch’era stato era stato? Morta? Tutto morto, per lei? Viva solamente per far vivere gli altri? Sì, sì, se ne sarebbe magari contentata se, esclusa così dalla vita, le avessero almeno concesso di godere in pace dello spettacolo dolce e quieto di quella casetta, ch’era come edificata sul sepolcro di lei… Ma che si parlasse almeno un poco, che si avesse qualche compianto almeno della sua giovinezza morta, della sua vita spezzata! Era stato pure un delitto spezzarle la vita così, senza ragione, stroncarle così la giovinezza! Non se ne doveva più parlare?
Un’ombra, e ancora combattuta! perseguitata ancora! Il giorno appresso, certo, avrebbe riveduto il marito, lì alla posta; avrebbe riveduto il Falcone al Collegio.
«Se continua a molestarmi, ne parlerò alla Direttrice», pensò improvvisamente Marta, in un risveglio impetuoso d’energia, e cominciò a svestirsi con le dita nervose, per mettersi a letto. – E quegli altri due, se non la finiscono, li metto a posto io! E tu, aspetta, – disse poi, più col fiato che con la voce, alludendo al marito. Rimboccò la coperta e spense il lume.
Nel bujo, raggomitolata sotto le coperte, volle raccogliere le idee, ma non potè precisarne alcuna contro il marito. Diceva a se stessa: «Sì, questo per il Falcone, se séguita… La Direttrice non può soffrirlo, cerca un appiglio qualunque, per levarselo di torno; gliel’offrirò io…». E ripetendo meccanicamente queste frasi, cercava quel che avrebbe potuto fare contro il marito. Nulla, dunque? Non un solo mezzo di vendetta? E, nell’impotenza, sentiva l’odio quasi fermentare in una rabbia crescente. Poi (benché non avvertisse la sofferenza fisica della troppa e vana tensione) il cervello, come in un cerchio di tortura, non sapendo suggerirle il pensiero ch’ella cercava, altri pensieri in cambio cominciò a presentarle confusamente, che la distraessero. Marta però, ostinata a trovare quel che cercava, appena sorti, li scacciava. Uno finalmente riuscì a distrarla: il suo ombrello – sì – adesso rammentava con precisione – lo aveva appoggiato all’uscio della classe sul corridojo, per appuntarsi meglio il cappello; sì, e poi se l’era dimenticato lassù… Ah, senza dubbio il Falcone, passando per il corridojo, lo aveva riconosciuto e nascosto, sì, per poterle offrire il suo, per aver modo d’accompagnarla…. lui, sì, senza dubbio! Perciò era così inquieto, giù, in sala d’aspetto… Dove aveva potuto nasconderlo?
Poco dopo Marta dormiva.
Si svegliò per tempo, con un forte mal di capo, ma con l’animo tuttavia sostenuto da un’energia nervosa, che non era più la forza che prima le derivava dalla sicurezza di sé. Non vedeva l’uscita della sua via; ma sarebbe andata fino in fondo, a qualunque costo; già in attesa e preparata a scagliarsi contro ogni nuovo ostacolo che volesse sopraffarla.
Non provò quel giorno nessuna apprensione nell’uscir sola di casa. Dopo la pioggia del giorno innanzi, il verde degli alberi si era ravvivato quasi festivamente, e un aspetto festivo pareva avessero anche le case e le vie nella limpida freschezza dell’aria mattutina.
Con gli occhi, intanto, cercava innanzi a sé, se il marito fosse alle poste; sentiva che avrebbe avuto il coraggio di passare a testa alta sotto gli occhi di lui.
«Ma a quest’ora dorme», pensò a un tratto, e un sorriso di scherno le venne alle labbra, andando. «Non ha mai visto nascere il sole, in vita sua…»
Lo rivide col pensiero, a letto, accanto a lei, pallido, coi radi baffi biondi, scomposti sulle labbra aride, schiuse.
Distrasse subito la mente da quell’immagine e, poiché si recava al Collegio, oggetto immediato del suo dispetto diventò il Falcone. Non pensava più, non badava più alla propria sofferenza.
Che avrebbe fatto, che avrebbe detto, se egli si fosse arrischiato a fare il minimo accenno alla giornata di jeri?
Non lo sapeva ancora. Vedeva soltanto con straordinaria lucidità la sala d’aspetto del Collegio, in cui tra poco sarebbe entrata; e già vi entrava col pensiero; vedeva il Nusco e il Mormoni come spettatori della scena ch’ella andava a rappresentare là dentro; e il Falcone che l’attendeva, più cupo del solito.
Era già davanti al portone del Collegio: scese i pochi scalini; entrò.
In sala, nessuno.
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L’esclusa – Indice Parte prima Parte seconda |
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