Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo
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1927
L’amica delle mogli
Atto Terzo
La stessa scena del secondo atto, poche ore dopo. È notte. Nel salottino ogni lume è spento. C’è solo il riverbero, appena, di qualche luce che si intravede dalla tenda verde tirata sugli anelli e dall’arco sopra di essa, nell’altra camera, ove Elena muore. Elena muore sul letto del marito.
Nel bujo del salottino, qualche guizzo vivo di luce, di là dall’arco, dovrebbe di taglio investire una piega della tenda presso l’apertura, e farne risaltare la tinta verdissima. Potrebbe anche, lo striscio di luce, allungarsi di qua sul pavimento.
Al levarsi della tela, la scena dovrebbe dapprima apparir vuota, e poi, fatti gli occhi alla fitta penombra, scorgervisi appena Francesco Venzi, in piedi, a spiare dall’apertura della tenda, nell’altra camera.
Tutto l’atto – brevissimo – di poche parole e di molte pause lentissime e lugubri, consisterà di ciò che potrà indovinarsi della morte di Elena nell’altra camera.
Tra le pause – le parole – o di Marta, o di Fausto, o del dottore, o dell’infermiera – dovranno sonare chiare e dar bene l’impressione che sono della vita, di gente che è e che resta nella vita; per cose che si debbono fare nella vita; perché anche la morte – e sia pure d’una persona cara – è cosa, sì grave, ma ordinaria, della vita, a cui bisogna assistere e badare, compiendo certi atti determinati con animo vigile, dal quale a volte può sembrare anche assente la pietà.
In principio, s’udrà soltanto, cadenzato e ormai quasi meccanico, il lamento di Elena.
Stia l’attrice che rappresenta la parte di Elena veramente sul letto, e tutti gli altri attori e attrici, di là dalla tenda, compiano ogni azione indicata, come se il pubblico li vedesse.
ELENA: Ah Dio, ah Dio mio… – ah Dio, ah Dio mio… – ah Dio, ah Dio mio… E questo lamento, cadenzato e quasi meccanico, sia ripetuto ora alzando, or attenuando la voce, or intercalandovi qualche profondo sospiro, durante tutti gli intervalli, fino al momento che non cesserà con la morte.
MARTA: Non crede di dover fare un’altra iniezione, dottore?
FAUSTO: Sì, il polso”le manca! S’avverte appena! Subito, subito, dottore!
L’INFERMIERA: Ci sono altre due fialette d’olio canforato. E una d’etere.
IL DOTTORE: Prepari la siringa. Ma pare, purtroppo, che non .ne risenta più l’azione.
FAUSTO: Dopo la seconda, il polso era tornato quasi normale, però.
IL DOTTORE: Proviamo, proviamo. (All’infermiera:) No, non c’è bisogno. Dia qua! Lunga pausa, per l’azione indicata. Si udrà di nuovo il lamento di Elena.
FAUSTO: Non avverte più neanche la puntura, ha visto? Pausa. Di nuovo, il lamento, a lungo.
MARTA: Ma farà sempre così?
IL DOTTORE: Lamento meccanico.
FAUSTO: Eh, sì, forse non saprà nemmeno di farlo. È terribile!
L’INFERMIERA: Forse non sarebbe male rialzarle un po’ il capo.
MARTA: Sì, mi pare che così stia male.
L’INFERMIERA: Aspetti, aspetti…
FAUSTO: Meglio non toccarla!
MARTA: Un poco, appena appena… No, lasci, faccio io!
Pausa, per l’azione indicata. Il lamento di Elena cessa un poco; poi riprende.
FAUSTO (di nuovo col polso di Elena tra le dita): Ma com’è? Oh Dio, senta, dottore: il polso non batte più, proprio! Pausa. Il dottore prende il polso di Elena e lo ascolta. Poi:
IL DOTTORE: No, no, impercettibile; ma batte.
MARTA: Suda tanto…
FAUSTO: È gelata.
MARTA (all’infermiera): Mi dia, mi dia quel fazzoletto! (Pausa.) Elena, Elena mia…
Altra pausa. Il lamento dì Elena si fa più forte; poi tutt’a un tratto, sull’«ah» della terza ripresa, manca. Pausa d’attesa, breve.
FAUSTO: Com’è? Non si lamenta più!
MARTA: Stenta a respirare…
IL DOTTORE: Proviamo con l’ossigeno. Dov’è? L’hanno portato?
L’INFERMIERA: Sì, una bombola: è di là.
Il dottore scosta la tenda ed entra. Cerca al bujo: non trova. Francesco Venzi s’è tratto un po’ indietro. Ma già di là Elena ha ripreso il suo lamento.
IL DOTTORE: Dov’è?
L’INFERMIERA: Costì, dottore! (Entra in iscena anche lei, e prende a sinistra dell’arco, dov’era il tavolino, la bombola d’ossigeno.) Eccola!
IL DOTTORE: Provi a farglielo respirare.
L’infermiera ripassa nell’altra camera, di cui ora si scorgerà una parte, avendo il dottore tirato per circa la metà sugli anelli l’ala sinistra della tenda.
Francesco Venzi, che si sarà scostato verso destra, nell’ombra, vedendo anche il dottore ripassare nell’altra camera, lo chiamerà.
VENZI: Dottore, dottore…
IL DOTTORE (rivenendo avanti): Chi è? – Ah, lei avvocato?
VENZI: Sono qua da un pezzo. (Con cupa improvvisa implorazione, quasi minacciosa:) La salvi, la salvi, per carità, dottore, la salvi!
IL DOTTORE: Eh! Che vuol più salvare ormai!
VENZI: Non lo dica! non lo dica! Faccia di tutto per salvarla, dottore! Ci sarà un rimedio eroico: lo tenti almeno!
IL DOTTORE: Nessun rimedio! Soltanto un miracolo…
VENZI: Lo compia! lo compia!
IL DOTTORE: Il miracolo?
VENZI: Lei non sa che cosa può dipendere da questa morte!
IL DOTTORE: Dice per il marito?
VENZI: Per il marito e per tutti! Faccia che non avvenga, per carità. La scongiuro!
IL DOTTORE: Ma non è purtroppo in mio potere… Ed è questione di minuti… Teme proprio per il marito?
VENZI: Per il marito, sì!
IL DOTTORE: Sarà terribile, lo so; sposato da così poco; ma bisognerà pure rassegnarsi… (Rientra nell’altra camera.)
VENZI (solo, come una belva in gabbia): Rassegnarsi? rassegnarsi? Ah sì! rassegnarsi, dice! Lo vedrà! lo vedrà!
E viene a sedere sulla poltrona accanto al divano, con le spalle al pubblico sul davanti. Silenzio. E, di nuovo, nel silenzio, le voci di là.
MARTA: Non si riesce, non si riesce…
FAUSTO: Lasciatela stare, per carità!
IL DOTTORE (all’infermiera): Ma sì, la lasci, la lasci.
FAUSTO: L’avete smossa… s’è tutta alterata… non si lamenta neanche più… Elena, Elena! lamentati almeno… non posso vederti così… Elena, Elena… (E rompe in gran pianto.)
IL DOTTORE: No, no, su via, non pianga qua, adesso!
MARTA: Per pietà di lei, Viani, venga, venga: non faccia così… venga, venga!
FAUSTO: No, mi lasci! mi lasci stare qua!
MARTA: Ma le può far male! Sia buono! dia ascolto al dottore!
FAUSTO: Se non sente più! Non vede? non sente più!
MARTA: Ma sì, che sente! Venga, venga…
IL DOTTORE: Sia buono! È meglio che lei stia lontano… di là, di là, signorina… Lo affida a Marta, e rimane presso il letto della morente.
MARTA (accompagnando e quasi sorreggendo Fausto): Si stia qua – ecco, qua – a sedere qua… Ha pensato d’avvertire i parenti con un telegramma?
FAUSTO: Sì; ho detto giù, mi pare, d’andar subito a passare il telegramma che ho fatto per il padre, urgente.
MARTA: Ah, bene… Se l’ha fatto…
FAUSTO: Ma non giungerà certo a tempo!
MARTA: Chi glielo dice? Giungerà a tempo! Si metta a sedere qua…
FAUSTO: Non so piuttosto se il cameriere sia andato a spedirlo.
VENZI: È andato, sì.
FAUSTO (che s’accorge adesso della presenza di Venzi): Tu qua? Chi t’ha chiamato?
VENZI: Sono stato avvertito –
FAUSTO: – chi t’ha avvertito? Io no!
MARTA: Ah, io nemmeno…
VENZI: Avevo lasciato detto io qua, nell’andarmene, che mi s’avvertisse.
FAUSTO: Per venire a vedere il compimento della tua opera?
VENZI: Ma no –
FAUSTO (indica di là): – eccola! eccola! la vedi?
MARTA: Per carità, lasci, Viani, lasci!
VENZI: Incolpi me?
FAUSTO: Te, te, sì! Sei stato tu, tu, a far precipitare il suo male! tu, con la tua nequizia! Guardala! là, guardala!
MARTA: Ma no, lo lasci, Viani! E si stia zitto! Non le sembra inutile adesso codesta recriminazione, qua?
FAUSTO: Perché lei è generosa!
MARTA: Ma lasci star me! Che c’entro io?
FAUSTO (a Venzi): Vattene! vattene! E per sempre, ormai! Non c’è più posto per te in questa casa!
IL DOTTORE (sopravvenendo): Vi prego, vi prego, signori miei! Non è il momento!
MARTA: Segga, segga, Viani! Si calmi!
VENZI: Lei va via, dottore? l’accompagno.
FAUSTO (voltandosi di scatto): Ma come, dottore, va via?
IL DOTTORE: Non c’è nulla da fare per adesso…
FAUSTO: No, no, lei deve rimanere! La vuol lasciare così?
IL DOTTORE: Ma che vuole che stia a fare, scusi?
FAUSTO: Assisterla! Se ne vuole andare? Per essere pronto a un bisogno.
IL DOTTORE: Ma ho lasciato all’infermiera tutte le disposizioni.
FAUSTO: No, rio! Deve assisterla lei, deve assisterla lei! Non la lascio andare!
IL DOTTORE: È inutile, le dico! Ora è più calma. Pare che il polso abbia un po’ ripreso.
FAUSTO: Ah sì?
IL DOTTORE: E anche la respirazione.
FAUSTO: C’è allora qualche speranza?
IL DOTTORE: Non vorrei ingannarla. È gravissima. Speriamo che questa calma duri. Se supererà, come è probabile, la notte, domattina, prestissimo, io sarò qua. Si faccia animo! Buona notte. Buona notte, signorina.
MARTA: A rivederla, dottore.
Fausto si ripiega a piangere sulla poltrona. Il dottore fa un cenno col capo a Marta, per farle intendere che la catastrofe è inevitabile e forse imminente; e se ne va per l’uscio a sinistra con Venzi
MARTA: Su, su, coraggio, coraggio, Viani, non si perda d’animo così…
FAUSTO (rialzando’il capo): Avere il coraggio di presentarsi qua…
MARTA: Non ci pensi più. È andato via. Basta.
FAUSTO: Eh già! come i delinquenti sul luogo del delitto. È venuto a vedere. Lei lo può ben dire con me, che è stato lui, lui, per confessione esplicita di quella mia poverina…
MARTA: Sì, ma pensi che il male che ha potuto farle…
FAUSTO: Io ho detto che l’ha fatto precipitare.
MARTA: Ecco, sì; ma «la sua poverina» lo aveva già in sé.
FAUSTO: Tanto più non doveva fomentarglielo! E poi per lei, Marta! – Un’insinuazione così vile, indegna… Metterle in mente… Ah! Un’opera diabolica…
Pausa. Nel silenzio, di nuovo, il lamento dì Elena, ma fioco, come già lontanissimo. Marta, rimasta vicina a Fausto, in piedi, si volta appena ad ascoltarlo, e non dice nulla. Fausto, come avvertendo un senso di profonda angoscia e d’infinito rimpianto in quel silenzio, alza un poco il capo a guardarla, a osservarla; poi lo riabbassa. E seguita il silenzio. E il lamento.
ELENA: Ah Dio, ah Dio mio… – ah Dio, ah Dio mio… – ah Dio, ah Dio mio…
FAUSTO (come seguitando il suo pensiero): E il discorso che aveva fatto prima a me, su lei… con una tracotanza quasi feroce, chiamando la moglie… per farmi dire in faccia… sì, ha osato questo… farmi dire in faccia che mi avevano dato tutti dello stupido, perché io non avevo… (S’interrompe. Poi alza di nuovo il capo a sogguardare Marta, e poco dopo lo riabbassa.)
MARTA: Per carità, non parli di lui…
FAUSTO: Chi sa quanto l’avrà fatta soffrire!
MARTA: Zitto, mi faccia questo piacere! – Mai, creda, mai quanto adesso –
FAUSTO: – ha sofferto? –
MARTA: – sì. – Zitto.
FAUSTO: Per lui?
Marta non risponde. Si porta il fazzoletto agli occhi. Silenzio. E nel silenzio cadenzato, un po’ più forte, il lamento.
ELENA: Ah Dio, ah Dio mio… – ah Dio, ah Dio mio… – ah Dio, ah Dio mio…
FAUSTO (come seguendo ancora il suo pensiero): …ma che può volere? che osa, che osa volere da lei?
MARTA: L’ho pregata, Viani, di non parlarmi ora di lui… Perché vuol farmi pensare a lui, adesso?
FAUSTO: Ma tanto per cercare di spiegarmi questo suo accanimento feroce!
MARTA: Non ci vuol molto a spiegarselo. E appunto perché sa che non può osare di voler nulla da me –
FAUSTO: – e che altri potrebbe? Silenzio. Ma non si ode più il lamento.
MARTA (dopo averlo atteso un po’): Non si lamenta più? Si mostra sotto l’arco, rigida, l’infermiera, e chiama:
L’INFERMIERA: Signorina.
MARTA (intendendo): Ah sì? (E si muove verso l’altra camera.)
FAUSTO: Che cos’è? – Morta? – Morta? – (E accorre, gridando e piangendo.) Elena! Elena mia! Elena! Elena! (Appena entrato nell’altra camera, arretrando:) Oh Dio mio! Perché fa cosi?
L’INFERMIERA: Ma è già morta.
FAUSTO: Ma no! Vede? È orribile! Un’altra volta…
L’INFERMIERA: Quando si muore di sincope…
FAUSTO: Ma la bocca… ah Dio, non così…
MARTA: Venga, venga, lasci che l’infermiera la assista, prepari…
FAUSTO: No, no! (Andando presso il letto e curvandosi sul cadavere:) Elena mia, Elena mia, come te ne sei andata presto! poverina mia, presto, senza nulla vedere, senza nulla godere, così straziata subito, subito! Che cosa è stata la tua vita con me? Non mi senti più! non mi senti più! Elena! Elena! Mentre Fausto piange così sulla moglie morta, dall’uscio a sinistra rientra, cauto, Francesco Venzi, e subito si ritrae di nuovo verso destra, nell’ombra.
MARTA (forzando Fausto a staccarsi dal letto e conducendolo poi di qua dalla tenda): Su, su, basta, basta, Viani; poi tornerà qui; adesso venga, venga; bisogna che l’infermiera badi a quel che ha da fare… Sia uomo, e se ne stia qua un pochino… qua…
Appena Marta, sorreggendo Fausto, ha attraversato l’arco, l’infermiera tirerà sugli anelli l’ala sinistra della tenda. La scena resterà quasi al bujo, come in principio dell’atto.
FAUSTO: Sì sì, starò qua, starò qua…
MARTA: Ecco, sì, seduto qua… (Lo fa sedere sull’altra poltrona presso il divano, per modo che il pubblico lo possa discernere. Egli si volta sulla poltrona sul lato sinistro e si porta la mano destra sulla testa.) Ci starò anch’io di là… la curerò io, non dubiti…
Entra, scostando la tenda, nella camera mortuaria. Subito, allora, Francesco Venzi s’appresserà, di dietro, alla poltrona su cui Fausto è seduto, e così di dietro alzerà la mano con cui impugna la rivoltella tolta dalla scrivania al secondo atto, e sparerà contro la tempia di Fausto, abbandonando l’arma nello stesso momento che Fausto, morto, abbandonerà il braccio che teneva sulla testa. Alla detonazione, due gridi di là dalla tenda: e Marta e l’infermiera vengono fuori impaurite.
MARTA: Ch’è stato?
VENZI (subito): S’è ucciso! (Marta, esterrefatta, lo fulmina con gli occhi.)
L’INFERMIERA: S’è ucciso? Ah Dio… (s’accosta a guardarlo): è morto! è morto!
VENZI (imperioso): Non lo tocchi! Bisogna subito avvertire la questura. Vada, dica al cameriere che corra subito!
L’INFERMIERA (obbedendo, spaventata, all’ordine): Sì sì, vado, vado… Ah Dio, che cosa! (Via di corsa per l’uscio a sinistra. )
MARTA (subito a Venzi, quasi senza voce): L’ha ucciso lei!
VENZI (fermo e cupo, con voce sorda):. Se lo crede, mi denunzii.
MARTA (seguitando a guardarlo, esterrefatta, ripete più spiccatamente): L’ha ucciso lei.
VENZI (c.s.): Mi denunzii. L’arma, guardi, è la sua.
MARTA: Ha fatto questo! E può seguitare a guardare! L’ha ucciso senza ragione! Perché io l’amavo – ma non l’avrei mai sposato!
VENZI: A me è bastato accorgermi che lei l’amava.
MARTA (accostandosi a Fausto e sfiorandogli i capelli con la mano): Ah povero… povero… povero…
VENZI: E poi dice che non l’avrebbe sposato!
MARTA (fiera rilevandosi): Le dico che non l’avrei mai sposato!
VENZI Sta bene. E allora, mi denunzii. Mi denunzii. Se no, è complice.
MARTA (si volta a guardarlo: i più opposti pensieri e sentimenti le fanno impeto dentro: complice, lei? – ma ha detto che amava Fausto – si volge appena verso di lui, là morto – come denunziare ? – no: non sarà lei – trova la via per metterlo di fronte alla sua stessa coscienza e dice in tono pacato, ma fermo, di persuasione): Lei si denunzierà da sé.
VENZI: Ma che vuole che sia per me, denunziarmi, non denunziarmi? Quello che a me importa è che lei, dopo questo, non sarà più di nessuno.
MARTA (accettando questa sorte come qualche cosa che la alzi sopra se stessa): E le pare che sia una condanna per me?
Silenzio. Ma ecco che da sinistra sopravvengono affannose le mogli: Anna, Rosa, Clelia, con l’infermiera, le cameriere. Dopo le prime, irrefrenabili esclamazioni, restano, piene d’orrore, quasi senza fiato e tutte occhi, alla vista dell’ucciso.
ANNA: Ah Dio, che tragedia! – Eccolo! Eccolo!
ROSA: Ma com’ha fatto?
CLELIA: Com’è stato?
L’INFERMIERA: Tutt’a un tratto! La signorina l’ha portato di qua, e…
ANNA (al marito): Tu eri qua?
L’INFERMIERA: Ma è stato un attimo!
ROSA: E lei, di là – guardate! (Indica Elena sul letto dell’altra camera:) ah Dio, guardate!
ANNA: Tutt’e due! Che cosa!… E tu, povera Marta!
ROSA: Trovarti qua, a una simile tragedia! Pensai subito a te, appena Anna venne a chiamarmi: – «E Marta? E Marta?» –
ANNA (indicando il marito): Lui accorse subito, appena chiamato; io ero già a letto; sono corsa a chiamar loro! (Indica Rosa e Clelia.)
CLELIA: Che spavento ha dovuto essere per te, povera Marta! Sono venuta, vedi?, come mi trovavo! Ho lasciato Paolo con un gran mal di capo…
ROSA: Io non so nemmeno se ho richiuso la porta! Povera Marta!
MARTA: Basta! basta! Vi prego! Qua non c’è da pensare a me; c’è da pensare ad altro! Vi prego d’andare! – Sì sì, Anna, ti prego, ti prego (indica Venzi): pòrtatelo via con te!
ANNA: Ma come? vuoi restar sola?
CLELIA: Qua, tu sola?
ROSA: Siamo venute per te!
MARTA: Sola, sì, sola! Vi ringrazio; ma andate, andate, vi prego! Voglio restar sola! – Pòrtatelo via, pòrtatelo via, Anna!
VENZI: No. Io debbo restare.
MARTA (con minaccioso tono): Lei se n’andrà via con sua moglie! – (Poi rivolta alle mogli:) Insomma, come debbo dirvi d’andarvene? – Lasciatemi sola! voglio restar sola! – Sola, – sola, – sola! –
Tela.
1927 – L’amica delle mogli – Commedia in tre atti
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