L’amica delle mogli – Personaggi, Atto primo

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Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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L amica delle mogli - Atto I
Romolo Valli, Giulia Lazzarini, L’amica delle mogli, 1968. Immagine dal Web.

Personaggi

Marta, l’amica delle mogli
Francesco Venzi
Fausto Viani
Elena, sua moglie
Anna, moglie di Venzi
Il Sen. Pio Tolosani, padre di Marta, Consigliere di Stato
La signora Erminia, sua moglie

(dedicata a Marta Abba)

1927
L’amica delle mogli
Atto Primo

        La scena rappresenta l’hall d’un villino, addobbato e mobigliato con finissimo gusto. Stoffe e mobili nuovi. Molti specchi. Infondo, una grande porta vetrata lascia scorgere un salottino intimo, anch’esso arredato di mobili nuovi e delicati. In vista, un pianoforte. Oltre il salottino, attraverso un altro uscio a vetri, si scorge una vasta sala da pranzo, splendida. La comune è a destra sul davanti. A sinistra, la parete è interrotta dal vano della scala che conduce alle stanze superiori.

        Al levarsi della tela la scena è vuota e buja. Si sente il rumore d’una chiave introdotta nella serratura. La porta si apre. Entra Marta, seguita da due ca­meriere e un cameriere. Marta dà subito luce ali ’hall e appare con un gran fascio di fiori tra le braccia. È bellissima: fulva; occhi di mare, liquidi, pieni di luce. Ha ventiquattr’anni: contegno, non rigido, ma riserbatissimo, che non impedisce affatto però la pura espressione della più nobile grazia femminile. Veste con squisita eleganza. Anche le due cameriere reggono fiori.

        MARTA: Eccoci qua. Abbiamo fatto un po’ tardi.

        CAMERIERE: La corsa arriva alle nove.

        PRIMA CAMERIERA: C’è più d’un’ora.

        MARTA: Bisogna sbrigarci, perché tutto sia pronto. Questi fiori… (Al came­riere:) ecco, reggete un po’… (Riprendendosi:) No, meglio posarli qua. (Li posa su un tavolinetto.) Prendo le chiavi. (Apre la borsetta e ne cava un mazzetto di chiavi. Rivolgendosi alla seconda cameriera:) Intanto date luce, qua al salotto, e poi di là alla sala da pranzo. (La cameriera eseguisce.) Bisogna apparecchiare subito la tavola. Per due. Ecco qua le chiavi delle vetrine e della credenza. (Al cameriere:) Vengo a darvi io la tovaglia. Poi vi farò la consegna di tutto. (Alla prima cameriera:) Posate qua i fiori anche voi. Pen­serò poi io a disporli un po’ da per tutto. Anzi, no – aspettate – codesti sarà meglio portarli nella sala da pranzo. Su su. Sveltezza, mi raccomando. (Esce, per la porta vetrata, seguita dal cameriere e dalla seconda cameriera. Al cameriere:) Tenete aperta questa porta a vetri. (Il cameriere eseguisce. Alla cameriera:)Questo è il salottino.

        CAMERIERA: Bello.

        MARTA: Bisognerà averne molta cura. Altrimenti, è così delicato che si sciupe­rebbe subito. Andiamo, andiamo per la tavola.

        CAMERIERA: Le camere da letto?

        MARTA: Sii a piano. Già apparecchiato, su. Resta qua la tavola e da disporre codesti fiori. (Al cameriere.:) Lasciate aperto anche quest’altro uscio. (Il ca­meriere eseguisce. Ora sono tutti nella sala da pranzo, in fondo. Si vedrà Marta dare gli ordini e il cameriere e le due cameriere aggirarsi attorno alla tavola per apparecchiarla. Poco dopo, Marta ritornerà nell’hall; s’appres­serà a uno degli specchi; si mirerà, levandosi il cappello e aggiustandosi i capelli; s’inciprierà.) Ah, sono proprio stanca. (Va a deporre il cappello, a sinistra, nel vano della scala. Si sente picchiare con un dito alla porta di destra come per un segno convenuto. Silenzio. Il picchio è ripetuto. Marta, ri­tornando, lo ode e ne è turbata. Dice tra sé:) La mamma? non è possibile.

        (S’appressa alla porta e domanda:) Chi è? Mamma! (Silenzio. Il picchio è ripetuto.)

        LA VOCE DI VENZI: Apra, signorina.

        MARTA (senza aprire): Ah, lei Venzi? Ma scusi, perché picchia così? C’è il campanello. Suoni. Credevo la mamma.

        LA VOCE DI VENZI: Mi apra, ora.

        MARTA (aprendo): Ecco. Ma com’ha fatto a entrare dal cancello?

        VENZI (sui quaranta: corporatura poderosa, segnatamente nel torace; spalle alte; grossa testa ricciuta e un po’ grigia sulle tempie: volto bruno, sbarbato, ancora bello benché ingrassato: tiene spesso le mani afferrate sul petto, la testa ciondolante, e volge gli occhi torbidi quasi bambinescamente, da ra­gazzo ingrugnato o sornione. Veste di scuro, senza cura): L’ho trovato aperto.

        MARTA: Bisognerà allora chiuderlo. Ce ne siamo dimenticati.

        VENZI: L’ho chiuso io. Non è sola?

        MARTA: Ci sono di là, come vede, le due donne e il cameriere che prendono servizio da questa sera. Ma com’ha saputo, scusi, che la mamma picchia così, senza sonare il campanello?

        VENZI: Me l’ha detto mia moglie.

        MARTA: Ah. E a che proposito?

        VENZI: Senza nessun proposito. Non sa com’è? Nota le cose più sciocche e le dice. Dice tutto.

        MARTA: E lei ne ha profittato. Perché?

        VENZI: Per farle credere che fosse la mamma.

        MARTA: Non potevo crederlo. L’ho lasciata a casa or ora.

        VENZI: Eppure l’ha supposto, tanto è vero che ha chiamato: «mamma».

        MARTA: Perché mi pareva impossibile. Tranne che non mi fosse corsa dietro per qualche motivo improvviso. Non capisco, Venzi, perché lei l’abbia fatto.

        VENZI (dopo averla guardata): Dica che non vuol capirlo.

        MARTA (con viso fermo): Le dico proprio che non capisco.

        VENZI: Se fosse vero, non me lo domanderebbe con codest’aria di riprensione; immaginerebbe senz’altro che ho voluto farle uno scherzo.

        MARTA: So che non usa farne. Nessun’aria di riprensione. Non so di che dovrei riprenderla. Mi sembra strano appunto che lei l’abbia fatto e gliene domando la ragione.

        VENZI: Vuole che me ne vada?

        MARTA: No, rimanga, ora ch’è venuto. Ma io ho da badare ancora a tante cose. Ecco, disporre qua e nel salottino questi fiori. (Eseguisce.) Insegnare alle per­sone di servizio, che sono nuove anche della casa, come ci si debbano muo­vere. (Chiama una delle cameriere:) Ehi, Antonia! (La chiamata accorre.) Non state in tre, Dio mio, ad apparecchiare una tavola per due.

        LA CAMERIERA: Se ci dà le chiavi di su…

        MARTA: Sì. Prendete di là (indica il vestibolo:) per piacere, la borsetta: è ap­pesa. (Mentre la cameriera eseguisce, a Venzi:) Debbo anche fare la conse­gna di tutto. (Alla cameriera che ritorna e le porge la borsetta:) Grazie. Que­ste sono le chiavi di su. (A Venzi:) Ho voluto chiudere tutto per prudenza. (Alla cameriera:) Una e due: per le due camere da letto accanto.

        VENZI: Li ha messi a dormire in due camere separate?

        MARTA: Come mi lasciò detto Viani.

        VENZI: Ma in provincia non usa, e vedrà che la sposina non vorrà saperne.

        MARTA: Sarebbe un peccato, perché ho trovato per le due camere certi accordi… (Alla Cameriera:) Ecco, sono tutte. (Le dà parecchie chiavi nuove.) Vedrete. Quella più piccola è del bagno. Poi verrò su io. Andate. La cameriera, via, per il vestibolo.

        VENZI: L’accordo nelle camere…

        MARTA: Per quello degli animi ci penseranno loro. Sarebbe stato meglio che, invece di lei, fosse venuta sua moglie – ecco – ad ajutarmi: e lei più tardi, con gli altri, come s’era rimasti jersera.

        VENZI: Sono venuto – se lo vuol sapere – per dirle che Anna, forse, non verrà.

        MARTA (restando): Non verrà? Perché? (Lo guarda; e poi:) Al solito?

        VENZI (con fosca espressione): Non la posso più soffrire!

        MARTA: Senta: questa volta, se lei ha litigato con sua moglie, sono proprio si­cura che la colpa non è di Anna.

        VENZI: Non è di Anna.

        MARTA: E di chi, allora?

        VENZI (freddissimo): Sua, signorina.

        MARTA: Mia? (Lo guarda.) Ma che dice?

        VENZI: Dico: sua.

        MARTA: Ma come, mia, scusi? Si spieghi! Ha un certo modo di parlare sta­sera…

        VENZI: Supponga, per esempio, ch’io abbia indovinato la ragione per cui lei jersera si fece promettere con tanto impegno da mia moglie di non offrirmi il minimo pretesto di litigare con me.

        MARTA: Ebbene?

        VENZI: Ebbene, capirà che, avendola indovinata –

        MARTA: – la ragione? ma è semplice!

        VENZI: Ah, non semplice! Tutt’altro che semplice! Anzi, complicatissima! C’è tutta lei, in questa ragione!

        MARTA: Sentiamola, quale sarebbe, questa «mia» ragione, secondo lei, così complicata.

        VENZI: Non c’è bisogno che gliela dica io. Si guardi attorno. Basta vedere que­sta casa, la cura che se n’è data, il gusto con cui ha comperato e disposto ogni cosa.

        MARTA: Non capisco. Sarebbe allora questa casa la ragione per cui mi sarei fatto promettere da Anna?

        VENZI: Ma non la casa per sé: la persona per cui l’ha messa e curata così bene!

        MARTA (scattando, indignata): Ah lei è pazzo! Potrebbe pensare che, quat­tr’anni fa, questa stessa cura –

        VENZI: – oh, non la stessa, prego! –

        MARTA: – la stessissima, come cura! Certo che, allora, non potei… –

        VENZI: – già! non ero in condizione, quattr’anni fa, d’offrirle, come ora Viani, i mezzi per far vedere come lei sa metter su una casa.

        MARTA: Oh, insomma, Venzi, sa ch’è un bel modo codesto, di ringraziarmi della pena che mi sono data, prestandomi a venire in ajuto a vojaltri amici nell’imbarazzo d’approntare qua a Roma una casa –

        VENZI: – per le mogli che siamo andati a cercarci lontano, quando potevamo trovarne una vicina –

        MARTA: – ecco – benissimo – che mi risparmiasse la responsabilità di grosse spese e della scelta di tutto: mobili, tappezzeria; col rischio anche di non in­dovinare i gusti. – Almeno lei, quattr’anni fa, mi stette un po’ attorno; ma ora Viani…

        VENZI (di scatto): Non mi richiami quel tempo!

        MARTA: Ha torto, ha torto se si vergogna di rivedersi col pensiero com’era al­lora! tanto, tanto più buono di ora! innamorato –

        VENZI (c.s.): – ma che innamorato! –

        MARTA: – e come! –

        VENZI: – per abitudine; lunga come una serpe; sei anni di fidanzamento!

        MARTA: Ma non dica, ora! Le scriveva ogni giorno!

        VENZI: Sei anni d’amore epistolare: che allegria!

        MARTA: Lettere,innamoratissime! Non può negare: sa che le ho lette.

        VENZI: E lei sa che gliele ho lacerate appunto perché gliele ha date da leggere!

        MARTA: Ah sì, bella prodezza, povera Anna!

        VENZI: Per me una donna che fa questo –

        MARTA: – se n’era voluta compiacere con me –

        VENZI: – da stupida! si dà a vedere a un’altra un simile compiacimento?

        MARTA: Lasciamo andare, lasciamo andare! Sa che io ho riprovato, indignata, quella sua cattiveria, e torno a riprovarla. – Viani, adesso è stato impareggia­bile: se n’è andato al paese a godersi il suo mese prescritto di fidanzamento, lasciando a me il pensiero di tutto, senza sapermi dir nulla. – «Faccia lei! faccia lei!» – Denari a profusione, libertà piena di disporne…

        VENZI: Ma stia tranquilla che ne resterà ammiratissimo Viani –

        MARTA: – grazie tante! – io penso alla sposina! vorrei che ne restasse contenta lei: l’ho messa su per lei!

        VENZI: Mi piacerebbe tanto sapere come sarebbe questa casa, se lei invece l’a­vesse messa su per sé. (Sogghigna, frigido.)

        MARTA: Certo, che gusti possa avere questa mogliettina di Viani, io ancora non lo so.

        VENZI: Che gusti vuole che abbia! Glielo educherà poi lei, il gusto; se sarà su­scettibile d’educazione.

        MARTA: Dato questo villino che Viani ha voluto comprare di sua iniziativa, mi pare d’avere scelto tutto con proprietà.

        VENZI: Oh, perfettissima! E vedrà che sarà una gioja per Viani abitarci con la moglie, che forse ci si sentirà spersa – mi par di vederla – come una gallina scappata dal pollajo.

        MARTA: Non la giudichi prima di conoscerla, santo Dio! – Si può sapere in­tanto che cosa è avvenuto tra lei e sua moglie, per cui crede che Anna non debba venire?

        VENZI: Una cosa naturalissima. Mi ha fatto tanta stizza, tutta questa mattina, con la sua remissione a ogni cosa che le dicevo, che alla fine non ho più po­tuto resistere alla tentazione di dimostrare quanto era stupida, obbedendole.

        MARTA: Obbedendo a me?

        VENZI: Sì. Mantenendo la promessa che le aveva fatta.

        MARTA: Gliel’ha dimostrato?

        VENZI: Così bene, che forse – le ripeto – non verrà.

        MARTA: Badi, Venzi, che lei comincia a urtarmi sul serio, avvelenando come fa le sue parole d’un veleno che non so, non vedo come e perché mi voglia mordere. Parli, parli chiaramente! Che dimostrazione ha fatto ad Anna?

        VENZI: Oh, se vuole proprio che gliela dica, gliela dirò.

        MARTA: Sì, dica, dica.

        VENZI: Le ho dimostrato che, d’ora in poi, arrivando questa sera la nuova sposa, passerà in seconda linea –

        MARTA: – chi? Anna? e perché? –

        VENZI: – ma perché lei certamente volgerà tutte le sue attenzioni alla giovane moglie di Viani: come si può vedere dalla casa che le ha apparecchiato.

        MARTA: Questo è cattivo, e forse più che cattivo, indegno, scusi, da parte sua, Venzi, perché sa bene che dopo di lei sposò Berri, sposò Mordini; e l’amici­zia, l’affetto che ho potuto avere per la moglie dell’uno e dell’altro, per Rosa, per Clelia e anche per la sorella di Clelia –

        VENZI: – già! anche per la Cognatina! –

        MARTA: – (può non garbarmi come si comporta, ma le voglio bene) – non hanno detratto nulla, proprio nulla all’amicizia, all’affetto che ho per Anna. Se ora ha sposato Viani, non vedo la ragione perché questo dovrebbe avve­nire. La moglie di Viani sarà – se vorrà essere – un’amica di più: basta. Lei ha voluto ingelosire Anna.

        VENZI: La gelosia già c’era; l’ho accesa.

        MARTA: E perché l’ha fatto?

        VENZI: Gliel’ho detto: per la stizza che m’ha cagionato –

        MARTA: – vedendola obbedire a me? Dunque confessa che è lei – se Anna ob­bediva – lei, a temere che questo possa avvenire. Perché?

        VENZI: Mah! Lo intravedo. – Me n’accerterò. – Perché io sarò sempre qua. Viani si mette con me. Lo sa?

        MARTA: Lo so.

        VENZI: Da domani il mio studio sarà qua.

        MARTA: E vuole che Anna non sia amica della moglie di Viani che sarà suo socio nello studio che metterete insieme?

        VENZI: No, prego. Le cose a posto. Lo studio è mio. Viani – che è un signore – farà l’avvocato così per ridere – per darsi un da fare: lo prendo con me, per­ché me l’ha chiesto lui; e pur di stare con me, m’ha offerto posto qua, sa­pendo che io dovevo cambiare quello dove ora sto. M’è convenuto. Ho accet­tato.

        MARTA: Sappiamo bene tutti che lei è ora uno dei più reputati professionisti… (Si sente sonare il campanello del cancello, in giardino.) Ah, ecco, suonano. Scommetto ch’è proprio Anna.

        CAMERIERE (accorrendo dal fondo): Hanno sonato?

        MARTA: Sì, andate ad aprire il’cancello. (Il cameriere esce dalla comune.)

        VENZI: Se è lei, una prova di più della sua stupidaggine. (S’appressa a Marta e soggiunge a bassa voce, concitatamente:) Mi sono sperduto in sciocche ciance. Ero venuto per farle un discorso molto serio.

        MARTA (ferma, dura, fredda): Su che, Venzi?

        VENZI: Lei lo sa.

        MARTA: Io non so nulla.

        VENZI: Non mi provochi, per carità!

        MARTA: Basta, Venzi! O da questa sera in poi, ogni relazione d’amicizia tra noi sarà troncata.

        VENZI: Ma io non voglio niente da lei! So che non posso voler niente! Mi con­ceda un momento questa sera, appena può, di parlarle.

        MARTA: Non ho nulla da sentirmi dire da lei di nascosto. La finisca. (Si fa alla porta rimasta socchiusa; la apre; domanda:) Chi è? (E poiché nessuno ri­sponde, sporgendosi a guardare nel giardino:) Ma che cosa avviene? Entrano Rosa Berri e Ninetta La Cognatina.Quella, più vecchia del marito, Carlo Berri, ricca provinciale, sposata per i suoi denari, mostra nel vestito elegante che le è stato scelto da Marta la prova maggiore della sua sgarba­tezza. L’altra, per dare a vedere d’aver preso l’aria cittadina, esagera in tutto.

        ROSA: Niente. E Anna che –

        MARTA: – dov’è? –

        ROSA: – piange –

        NINETTA: – sciocca! –

        MARTA: – ma perché? –

        ROSA: – l’abbiamo persuasa a venire –

        NINETTA: – e ora non vuole entrare. – È qua in giardino con Clelia e Paolo.

        MARTA: Vado io. (Scende in giardino.)

        ROSA (a Venzi): Per causa sua, vede?

        NINETTA: Senta, Anna è sciocca a piangere; ma lei è stato proprio cattivo, cat­tivo!

        VENZI: Sono sempre cattivo.

        NINETTA: E invece con Anna dovrebbe sempre esser buono; perché è buona!

        VENZI: Se considera che il merito della sua bontà è tutto nella mia cattiveria –

        NINETTA: – come sarebbe? –

        VENZI: – che merito avrebbe a esser buona, s’io fossi buono?

        NINETTA: – ah sì? lei dunque è cattivo con lei –

        VENZI: – per far risaltare la sua bontà: non l’ha ancora capito? Rientra Marta, che sorregge Anna in lagrime, seguita da Clelia e Paolo Mordini. Anna è presso la trentina: buona, sciocca e sgraziata. Per apparire più ricca e vistosa s’è sovraccaricata di gioje e di fiori finti. Clelia è piutto­sto bella; in una continua indolenza sorridente, parla molle molle; gli occhi un po’ socchiusi e le mani cascanti: ha assunto la professione di moglie e le pare che non debba ormai far altro, perché il marito faccia a sua volta quella di marito. Paolo Mordini, che vuol essere elegante e gli manca tutto per esserlo, con un corpo da pretone giovane, pulito, biondo biondo, occhi ovati, naso ritto e bocchino da bambola, ne soffre moltissimo, ferito conti­nuamente nella sua vanità.

        MARTA (a Venzi)’– Mi faccia’il piacere d’andare per un momento di là (indica il salottino) con Mordini. Lasciateci sole.

        VENZI: Potrei anche andar via senz’altro.

        MARTA: Oh, se vuole! Non creda d’essere necessario. Berri o Mordini, o an­ch’io, col babbo e la mamma, possiamo poi accompagnare Anna a casa.

        NINETTA (battendo le mani): Benissimo!

        VENZI: Eh, volentieri. Ma è che… – gliel’ho già detto, sono quasi di casa an­ch’io qua.

        MARTA (di scatto, severissima): Anch’io, intenderà con Viani?

        VENZI: Eh già: socio. Non potevo mica intendere lei, di casa, che diamine! – Concederà che potrei aver da dire a Viani qualche cosa –

        MARTA: – sta bene: rimanga, allora –

        VENZI: – circa al trasporto dello studio. – Ma ora che mi ci fa pensare… Guarda, Paolo: la casa è ancora intatta; Viani non c’è; la moglie (possiamo bene immaginarcela) ma non sappiamo ancora chi sia: non ti fa l’impressione che la padrona qua –

        MARTA: – sia io? – ecco, glielo dica per farlo contento.

        PAOLO: Eh sì, veramente; la padrona a cui chiedere gli ordini, e di cui conside­rarci ospiti tutti quanti.

        ANNA (aggressiva, al marito): Dovrebbe, infatti, esser lei!

        MARTA (con urto violento): Che ti scappa di bocca, Anna?

        VENZI (contemporaneamente, ridendo): Sì, brava; dillo tu!

        ANNA: Sì! sì! lo dico io! Se ci fosse un po’ di giustizia a questo mondo!

        ROSA: L’ho detto anch’io! l’ho detto anch’io!

        CLELIA: L’abbiamo detto tutte!

        ANNA: – che Viani è stato proprio uno sciocco a non sposar te!

        MARTA (cs. sulle spine): Ma insomma, la volete smettere?

        VENZI (dopo avere sghignazzato a lungo come in una convulsione): Oh Dio, oh Dio… impagabile questo coro di mogli! Vieni, vieni, Mordini! (E, seguitando a ridere, si ritira con Mordini nel salotto.)

        MARTA: Come si fa a pensare e a dire una simile stupidaggine?

        ANNA (restando): Perché?

        MARTA: Perché sì! – Tutt’e tre! – Viani ha sposato chi aveva in mente di spo­sare!

        NINETTA: Ah, questo no!

        MARTA: Che ne sai tu?

        NINETTA: Perché fu, fino all’ultimo, indeciso.

        CLELIA: È vero, è vero!

        ANNA: Ecco: vedi?

        ROSA: E lo diceva a tutti!

        CLELIA: Lo disse anche a mio marito!

        ANNA: Pareva stesse ad aspettare… non so… Ricorderai che te lo feci anche no­tare…

        MARTA: Sì; ma tu ricorda che ti pregai, anche allora, di smetterla! Come vi prego adesso. Questo discorso mi secca moltissimo. È fuor di luogo, e non ha nessunissima ragione d’esser fatto. (Cambiando animo e tono:) Andiamo, andiamo… (Ad Anna:) Guarda piuttosto come ti sei sciupati gli occhi!

        ANNA: Mi bruciano, mi bruciano come il fuoco, se sapessi! Non resisto più!

        MARTA: Ma ci hai messo il mastice, forse? (Voltandosi, severa, verso Ninetta:) Gliel’hai suggerito tu?

        NINETTA: Io, no!

        ANNA: No no: è stato lui! (allude al marito) è stato lui!

        MARTA: Tuo marito?

        NINETTA: Oh guarda! Il Rimmel? Eh, lo credo allora che ti bruciano!

        ANNA (torcendosi dal bruciore): Ah Dio… ah Dio… Scommetto che m’ha fatto piangere apposta… Ah Dio, Dio!

        NINETTA: Vedi, vedi un po’ col fazzoletto… Guarda, (cava lo specchio dalla borsetta) ti reggo lo specchio!

        MARTA:Ma brucia così tanto?

        ANNA: È terribile!

        NINETTA: E non c’è nessun rimedio, purtroppo! Il fazzoletto, così, tra le palpe­bre, piano piano… premi… non strofinare…

        ROSA: Mi pareva, infatti, ch’avesse negli occhi qualcosa di nuovo…

        CLELIA: Già, anche a me! La stavo a guardare…

        MARTA: Ti passa?

        ANNA: Sì, un poco.

        MARTA: Ma come ti sei lasciata persuadere?

        ANNA: Me l’ha portato; me l’ha passato lui stesso con lo spazzolino…

        NINETTA (ridendo): Lui stesso? Venzi? Incredibile!

        MARTA (a Ninetta): Avrà visto che tu te lo metti…

        ANNA: E sì, me l’ha detto, difatti. E vorrebbe anche che mi tagliassi i capelli come lei. (Indica Ninetta.)

        MARTA: Anche i capelli?

        NINETTA: Questo sì, te l’ho detto io: ti starebbero benissimo.

        ANNA: Ah no; questo non lo credo e non lo farò mai davvero. (A Marta:) So che a te non piacciono…

        MARTA: A me, no, di certo. Ma se veramente piacessero a tuo marito…

        ANNA: Che! Non gli piace più niente di me, a lui!

        MARTA: Ma no: forse te l’avrà suggerito perché – pare impossibile – ma tu, Anna mia, ti pettini male, male.

        ANNA: Mi si saranno disfatti…

        MARTA: Ma no, sei proprio pettinata male: vuoi farteli come me (e ti stareb­bero); non sai ancora farteli, però; e te l’avrò insegnato cento volte, come si fanno! Ma ora ci penso io: appena andiamo su.

        ANNA: Se la moglie di Viani viene coi capelli corti…

        ROSA: Oh guarda! L’hai pensato anche tu?

        CLELIA: Ce li taglieremo tutte e tre!

        NINETTA (a Clelia): Senti senti! Anche tu? Che progressi!

        CLELIA: Sola, non lo farei.

        NINETTA: Per miracolo non gridasti allo scandalo, quando me li tagliai io!

        MARTA: Tranquillatevi, perché la moglie di Viani li porta lunghi; e so che non se li taglierà.

        ANNA: Come lo sai?

        MARTA: Lo so.

        ROSA: Te l’ha detto lui, Viani?

        ANNA: – che la moglie non se li taglierà?

        NINETTA (guardando i capelli di Marta): No; forse che gli piacciono lunghi, le avrà detto.

        CLELIA: E perché supponi così? Tu metti sempre la malizia in tutto quello che dici. Non la posso soffrire!

        NINETTA: Ma nessuna malizia! Lo suppongo, perché, quando mi vide coi ca­pelli così, mi disse – precisamente come Marta – che le donne con la testa da maschio non gli piacciono. (Ad Anna:) È curioso che tuo marito t’abbia detto, ora, di tagliarteli, perché anche lui mi disse che non gli piacevano.

        CLELIA: Segno che ora gli piacciono!

        MARTA (recisa, a Clelia): No. (Poi ad Anna:) E tu da’ ascolto a me; non te li tagliare. Ti starebbero male.

        ANNA: Sì sì, lo so. E ne riderebbe, dopo avermelo consigliato. Ride come un diavolo, non so perché, di questi giorni.

        MARTA: Troppi fiori, Anna mia, troppe gioje! Pare che ti sia parata… No no: aspetta, aspetta, che accomoderemo sii tutto. E anche tu, Rosa, Dio mio, come si fa a portare un abito così?

        ROSA: Perché? Come mi sta?

        MARTA: Male, cara!

        ROSA: Non vedo –

        MARTA: – vedo io! Ti casca male; e poi codesto nastro! No, via! via!

        ROSA: L’ho messo apposta per far dispetto a lui!

        MARTA: Ma lo fai a te il dispetto, così, non a tuo marito, scusa!

        ROSA: Mi farai il piacere di dirgli, appena viene –

        MARTA: – permetti cara? vorrei vedervi, almeno per questa sera, un po’ tutte in pace e liete –

        ANNA: – ah vedi, vedi ch’è vero? –

        MARTA: – vero? che cosa? –

        ANNA: – che pensi a lei, a lei! –

        MARTA: – ma lo sto dicendo per voi! –

        ROSA: – hai detto però «almeno per questa sera» –

        ANNA: – ecco, l’ho sentito bene! perché arriva lei, la moglie di Viani! –

        MARTA: – appunto! appunto! – e non vorrei che le deste il cattivo esempio, proprio fin dalla prima sera –

        ROSA: – di litigare coi mariti? –

        MARTA: – ma no: questo sarà affar suo, come dovrebbe essere il vostro! Io dico per me: il cattivo esempio, d’una cosa a cui m’obbligate già da parecchio tempo, e che comincia a seccarmi seriamente, se volete saperlo! –

        ANNA: – che cosa? –

        MARTA; – che cosa! la parte che mi fate rappresentare nei vostri continui bi­sticci, nei dispetti che vi fate, litigi, picche, puntigli, malintesi, malumori: «Fammi il piacere di dirgli…», «Per carità, signorina, la prego di farle ca­pire…»; voi, con la scusa che conosco i vostri mariti da prima che vi sposas­sero e loro con la scusa che sono diventata vostra amica e che vi difendo, quando è giusto; vi consiglio, come posso; e cerco di lasciarvi contenti tutti quanti: ecco.

        NINETTA: Credevo che non ti dovesse dispiacere –

        MARTA: – non mi dispiace infatti, se realmente riesco, mettendomi di mezzo, a ristabilire l’accordo tra voi; ma che sia di mio gusto, no; via!

        CLELIA: E chi l’ha mai detto?

        MARTA: Se qualcuno tra voi l’abbia detto o soltanto pensato –

        ANNA: – io, no! –

        ROSA: – io, nemmeno! –

        CLELIA: – e tanto meno io! –

        ANNA: – nessuna, nessuna di noi! –

        NINETTA (ad Anna): – forse tuo marito? –

        MARTA (subito, recisa): – io non lo so! dico però che se qualcuno c’è, che l’abbia detto o pensato, è bene che se lo levi dalla testa: sono qua anche questa sera, per fare un piacere agli altri e non a me. M’è costato cure, pensieri, un gran da fare; e non m’aspettavo davvero che tu Anna –

        ANNA (subito, commossa, abbracciandola): – no no, per carità! perdonami! perdonami! – È lui, sì, è stato lui (allude al marito) a mettermi nella testa questo cattivo pensiero: perdonami! perdonami!

        MARTA: Ma sì, via, via! basta, adesso, basta! Andiamo sii. – Ah, ecco la mamma. Siete tutti?

        Entrano la signora Erminia, il senatore Pio Tolosani, il deputato Carlo Berri, il maestro di musica Daula e Guido Migliori. La signora Erminia è alta e rigida, con gli occhi un po’ loschi, quasi sempre socchiusi come se le dolessero; parla senza scomporsi, come se soltanto la bocca, per sé, parlasse; ciò che dice però è così pregno sempre di sentimento, che l’apparente impas­sibilità del volto e di tutta la persona, spesso, stordisce o conturba. Il sena­tore Pio Tolosani è un dolce vecchio pallido, di quelli che non sospettano af­fatto d’essere morti da gran tempo e seguitano a parlare con un senno e una sapienza che non servono più a nulla. Carlo Berri ha circa trent’anni: bruno e fiero in apparenza, con occhi sospettosi. Daula, presso i quaranta, è calvo, con barbetta bruna già brizzolata, la bocca rossa bambinesca avvelenata da un sorriso triste e ironico d’uomo mancato. Guido Migliori è un bel giova­nottone biondo, un po’ sciocco ma piacente, elegantissimo; buon figliuolo.

        DAULA: Tutti, tutti, e anche qualche altro che non era nel conto!

        MARTA: Ah, lei Migliori? Bravo!

        GUIDO: Eccomi, signorina!

        BERRI: Evviva! evviva! – Ah! Bellissimo qua! –

        MARTA: No no: voi restate qua, per ora! – Tu mamma, conducili un po’ a ve­dere: il salottino, la sala da pranzo, lo studio, le altre stanze. Nojaltre an­diamo su –

        GUIDO: E non potrei anch’io?

        MARTA: No no: non vogliamo uomini! Poi verrete su vojaltri. Avete intanto la mamma per guida. – Andiamo, andiamo!

        BERRI: Ma almeno il tempo di congratularci…

        MARTA: A poi, a poi, le congratulazioni: e non a me, se mai: al padrone di casa! Via per la sinistra, con Anna, Rosa, Clelia e Ninetta.

        DAULA: Già! al padrone di casa, dice!

        BERRI: Birbante d’un Viani! Ma guarda che nido troverà, senza un mal di capo!Rientreranno dal salotto Venzi e Mordini.

        PAOLO (alla signora Erminia): Cara signora mia! (Le bacia la mano: poi, ri­volgendosi al marito:) Caro Senatore, come va, come va? (Al Berri:) E tu, onorevole? Vi siete fatti aspettare. (Al Senatore:) Sa che dicevamo con Venzi? – (S’interrompe, accorgendosi di Migliori e indicandolo a Venzi:) Ah, guarda, Venzi, c’è anche lui: l’ultimo!

        GUIDO: Come, l’ultimo?

        VENZI: L’ultimo venuto.

        GUIDO (non intendendo): No; sono arrivato adesso insieme con gli altri.

        PAOLO: Sì, sì: ma «l’ultimo» per ciò che si diceva con Venzi; di noi tutti, come siamo venuti, da tante parti: e come ci siamo trovati insieme in casa del Sena­tore e della signora Erminia; quel che ne abbiamo ricevuto, e come siamo ri­masti legati –

        BERRI: – ah, per me, da un vero, vero affetto filiale!

        IL SENATORE: Grazie, grazie, cari…

        BERRI: Venzi diceva una cosa bellissima –

        VENZI (brusco): – ti prego di non ridirla!

        IL SENATORE: E perché no, se è bellissima? Sentiamola.

        BERRI: Sentiamola!

        VENZI: No! Perché son sicuro che alla signora Erminia non piacerà.

        LA SIGNORA ERMINIA: Se è sincera, mi piacerà.

        VENZI: Sincera, sì, signora! È appunto per questo mi secca che sia ridetta!

        PAOLO: Daula dovrebbe capirla meglio di tutti!

        VENZI: Al contrario, sciocco! Un maestro di musica…

        BERRI: Perdio, fate nascere una curiosità!

        DAULA: C’entra forse la musica?

        PAOLO: Sì: quando sentiamo sonare, e siamo tristi: ecco, quella tenerezza ango­sciosa che ci prende, d’una vita, quale forse poteva essere e non è stata… d’una vita che forse si può ancora sognare, pur con la certezza che non sarà mai. Questo. Restano tutti come a mezz’aria, delusi.

        GUIDO: Sì, sarà bello come effetto della musica, quando si è tristi: ma non vedo… (forse perché non sono mai triste).

        VENZI: Ah tu, si capisce…

        GUIDO: No, scusa: perché si capisce?

        VENZI: Scapolo!

        GUIDO: Ah, la solita canzone: tristi perché sposati? Dio mio, secondo come ci si sposa!

        VENZI: Forse a te potrà toccare in sorte di non diventare triste neanche spo­sando. Può sempre avvenire, senz’averne il minimo sospetto, di trovarci ac­canto uno, destinato chi sa perché a mostrarci il più inopinato dei miracoli!

        GUIDO: Se parli a enigmi… lo non ti capisco!

        VENZI: Mah! Daula forse ti farà lume.

        DAULA (stonato): Io?

        IL SENATORE: Veramente, scusi, Venzi, non capisco neppure io la relazione tra quell’effetto che lei dice della musica e il legame della nostra amicizia.

        LA SIGNORA ERMINIA: Rimpianto di qualche cosa che poteva essere e non è stata. Non è così?

        PAOLO: Ecco ecco: così! Brava, signora Erminia!

        VENZI: E dunque, questa tenerezza di noi tutti per loro, che tante volte, quando si è tristi, diventa angosciosa. – Tu, caro Migliori, non sei mai triste: dunque non potrai capirla mai.

        BERRI (comprendendo e turbandosi): Proprio così; proprio così! (Per troncare:) Su via, ci conduca a vedere, signora Erminia, i prodigi che ha saputo fare la sua figliuola. Vieni, Paolo.

        VENZI (per nascondere la commozione): Vado qua un momento nello studio. Via per la sinistra.

        LA SIGNORA ERMINIA: Venite. Ecco: questo è il salottino… Esce, seguita dal marito, da Berri e da Mordini. Restano in iscena Daula e Migliori.

        GUIDO: Mi spieghi, scusa, a che ha alluso Venzi dicendo che tu «mi farai lume»?

        DAULA: Te lo spiego, sì! Che sono tre imbecilli! E quattro con Viani! Uno più dell’altro! – Il rimpianto! – Rimpiangono adesso…

        GUIDO: D’aver preso moglie, già! Ma gli ho risposto bene, mi pare. Sfido! Sono andati a prendersi certe mummie!

        DAULA: Non è mica questo, per loro, il rimpianto!

        GUIDO: Ma sì, ho capito qual’è.

        DAULA: Lo consigliai prima all’uno, poi all’altro, poi all’altro… a tempo, a tutti e quattro.

        GUIDO: Ma tu credi che la signorina Marta –

        DAULA: – se si fossero fatti avanti? –

        GUIDO: – già! – li avrebbe accettati? – lo credi? –

        DAULA: Nessuno osò farsi avanti!

        GUIDO: Dio mio, ma tu vedi com’è?

        DAULA: Com’è?

        GUIDO: Quando fu di Viani, mi fece tanto ridere! Io non potei fare a meno d’osservare, sorpreso (perché nessuno s’aspettava che dovesse sposare così all’improvviso): «Oh guarda, anche Viani?». E allora lei: «Già! È curioso: di tanto in tanto qualcuno sparisce, e poi torna con la moglie».

        DAULA: E questo ti fece ridere?

        GUIDO: Per il modo come lo disse: così, come te lo sto dicendo io. Sono in casa del Senatore l’ultimo venuto, come dice Viani. Caro mio, affabilità, sì, gentilezza, vera bontà, e da parte della signorina, la confidenza più graziosa che leva subito d’impaccio e rassicura; ma poi, nascosto da una disinvoltura… come devo dire? sorridente e sfuggente, un ritegno che ha impedito sempre, almeno a me, anche di tentare d’entrare nelle sue grazie. Ognuno forse ha pensato: «Sposerebbe me, come un altro!». E allora, tu capisci, a un certo punto, appena s’avverte, si tocca la… la freddezza di questo ritegno, ci si ri­trae. – Tu credi, per esempio, che –

        DAULA: – se tu ti facessi avanti? –

        GUIDO: – no, dico… –

        DAULA: – ma caro, è il momento, il momento giusto per te! –

        GUIDO: – credi proprio? –

        DAULA: – non dovresti perdere un minuto di tempo!

        GUIDO: – perché dici «il momento giusto»? –

        DAULA: – ma non vedi questa casa? Pronta – e non è per lei! Entra da sinistra, con un.tristo riso di scherno, Francesco Venzi-

        VENZI: Bell’arte, ah bell’arte, la musica! Peccato…

        DAULA (andandogli incontro, minaccioso): Che intendi dire?

        VENZI: Peccato che tu la professi con tanta disgrazia!

        DAULA: Bada ch’è la seconda volta, questa, che tu mi provochi!

        VENZI (prendendolo per il bavero e dominandolo, con tono ambiguo): Sciocchi, caro, si può essere in due modi: per una sciocchezza che si fa, come tanti possono farla, pur senz’essere sciocchi; e allora si fa ridere non propriamente di noi, ma della sciocchezza che abbiamo fatta; o sciocchi per sciocchezza congenita, e allora facciamo ridere di noi, sempre, qualunque cosa si faccia, anche la più seria; come quella che tu hai consigliato adesso a questo bel giovanotto. Mi sono spiegato?

        GUIDO (lanciandosi e buttandolo indietro con una manata sul petto): Ah tu mi dici sciocco?

        DAULA (subito, mettendosi in mezzo): Signori miei, che fate?

        VENZI (riprendendosi dalla spinta e lanciandosi a sua volta, terribile, tratte­nuto però da Daula): Le mani addosso a me? Ah perdio! Accorrono tutti dalla sala da pranzo infondo e dal salottino, spaventati, par­lando simultaneamente.

        BERRI: Che cos’è? che cos’è?

        LA SIGNORA ERMINIA: Oh Dio, per carità!

        DAULA: Niente! niente!

        PAOLO: Venzi! Tu?

        IL SENATORE: Per amor di Dio! Una lite?

        VENZI (subito, frenandosi): No! Niente.. Niente…

        LA SIGNORA ERMINIA: Ma come lei, Migliori?

        GUIDO: No, no, stia tranquilla! Tutto finito.

        BERRI: Ma che è stato?

        DAULA: Niente! Basta, basta!

        PAOLO: Ma sì, basta! Ecco che scendono le donne!

        Vengono da sinistra, scendendo dalla sceda, Marta, Anna, Rosa, Clelia e Ni­netta. Parlano anch’esse un po’ tutte insieme.

        CLELIA: Che maraviglia! che maraviglia!

        ANNA: Un amore!

        ROSA: Uno splendore!

        NINETTA (alla signora Erminia): Quell’angolino lì tra le due camere, con quel­l’effetto di luce nello specchio!

        ANNA (c.s.): E la camera di lei!

        ROSA (c.s.): Quell’inginocchiatojo! quell’inginocchiatojo!

        NINETTA: E la piletta, sii, per l’acqua santa!

        VENZI: Anche l’inginocchiatojo?

        ROSA: Crede che noi donne siamo tutte scomunicate come lei?

        VENZI (a Ninetta): Prega anche lei, signorina, la sera, prima d’andare a letto?

        NINETTA: Se avessi un inginocchiatojo come quello, pregherei!

        DAULA: Benissimo!

        BERRI: Non poteva ribattere meglio!

        IL SENATORE: Ma sediamo, sediamo!

        BERRI: Tra poco gli sposi dovrebbero arrivare.

        PAOLO: Si potrebbe intanto provare il pianoforte.

        NINETTA: Sì sì, suoni Daula! suoni Daula!

        BERRI: Senza farsi pregare!

        DAULA: Non mi sono mai fatto pregare!

        BERRI: Benissimo, benissimo!

        ANNA: E Marta canti!

        TUTTI (a coro): – Sì sì! – benissimo! – Canti! canti! – Sediamo! sediamo! –

        MARTA (schermendosi): Ma no! Che volete che canti!

        ANNA: Sì, per piacere! tfosA e

        CLELIA: Canta! canta!

        NINETTA: L’ultima composizione di Daula!

        ANNA: Sì sì, quella della neve! com’è?

        GUIDO: Bellissima, sì: «Malinconia della neve» – Ci faccia questa grazia, si­gnorina!

        BERRI: La preghiamo tutti!

        MARTA (arrendendosi): Non so neppure se ho la voce… Sono tanto stanca…

        PAOLO (a Daula): Su su, Maestro! Silenzio! silenzio!

        Seggono tutti, un po nell’hall e un po’ nel salottino tranne Marta che resta in piedi accanto al pianoforte, su cui Daula prende a sonare la sua canzone. Quando Marta avrà finito di cantare tra gli applausi e le congratulazioni ge­nerali, si udrà la tromba d’un’automobile.

        MARTA: Ah, eccoli! Saranno loro! saranno loro!

        E corre ad aprire la porta. Tutti si alzano per accogliere i nuovi sposi, e se­guono Marta che è scesa nel giardino, tranne Venzi, il Senatore e la signora Erminia. Momento d’attesa, che si prolunga, cagionando un certo impaccio crescente, anche per le voci confuse che arrivano dal giardino.

        VENZI: Che sarà accaduto?

        Entra d’improvviso Elena, scomposta e infuriata, seguita poco dopo dal ma­rito Fausto Vianì che cerca di calmarla. Elena ha poco più di veni’anni, bruna e acerba; pur così scomposta e mal curata, mostra d’aver tanto, nel volto e nella persona, da apparire bella e formosa, se curata appena appena con un po’ d’arte. Ma dà a vedere, fin da questo primo apparire, negli occhi e nella fronte, come uno smarrimento mortale in contrasto con la furia a cui è in preda. Fausto Viani ha poco più di trent’anni. Alto di statura e di bellis­simo aspetto, capelli ricciuti, occhi dolci e vivi; elegantissimo.

        ELENA: Ma no! no! Faccio da me! Quante smorfie! Ho bisogno di buttarmi sul letto, subito! Non voglio veder nessuno!

        FAUSTO: Ma abbi pazienza…

        ELENA: Dov’è la camera da letto? per dove si prende? Ho bisogno di riposare!

        LA SIGNORA ERMINIA: Ecco, di qua, signora. (Indica a sinistra.)

        FAUSTO: Ma almeno prima ringrazia questi signori…

        ELENA: Ho già ringraziato! Basta! Io mi sento male! M’hai ridotta così e vuoi che mi mostri come una bestia alla fiera?

        FAUSTO: Ma sì, ma sì, vieni sii! vieni sii! – (Volgendosi agli altri, nell’avviarsi con Elena per la sinistra:) Io chiedo scusa…

        Via con Elena per la sinistra. Rientrano dal giardino, mogi mogi, imbaraz­zati, mortificati, Marta, Berri, Rosa, Ninetta, Paolo, Anna, Daula e Guido.

        BERRI: Dopo tutto, sì, si sentirà, male; ma, dico…

        PAOLO: – non è il modo di ringraziare…

        CLELIA: Eravamo venuti per accoglierla…

        ROSA: Questa, al mio paese,, si chiama villania!

        PAOLO: Lui stesso aveva scritto…

        MARTA: – sì, – che avrebbe avuto caro di presentare la moglie subito al suo ar­rivo a tutti gli amici…

        ROSA: Noi siamo state invitate da te…

        NINETTA: Chi si poteva immaginare una simile accoglienza!

        ANNA: Non saremmo certo venute…

        DAULA: Ma badate che deve star male davvero!

        MARTA: Ma sì, me l’ha detto!

        VENZI (con sottintesa malignità): Gliel’ha detto lui?

        MARTA: Lui, lui! – Che è stata gravissima! All’improvviso! Anzi ha detto: «Mi son visto perduto!».

        GUIDO: Sì sì, l’ho sentito anch’io!

        BERRI: Ma avrebbe dovuto allora avvertire…

        MARTA: – questo il suo torto!

        PAOLO: Almeno con un telegramma…

        DAULA: Pare che non possa neanche reggersi in piedi…

        GUIDO: Già; lui voleva, difatti, portarla in braccio…

        ROSA: Ha visto tutti noi, e s’è infuriata…

        NINETTA: – gli è scappata dalle braccia… –

        CLELIA: – ma stava per cadere…

        ANNA: Mi dispiace per te, Marta, sinceramente…

        MARTA (scattando): Ma che dici, per me!

        ROSA: Tante pene…

        CLELIA: Tante cure…

        NINETTA: Per averne poi questo ringraziamento!

        MARTA: Ma chi pensa adesso al ringraziamento!

        VENZI: In un incidente momentaneo…

        MARTA: Mi dispiace per lei, se sta così male, e dell’impressione sgradevole che ha potuto avere di noi –

        BERRI: – che le si voleva far festa –

        PAOLO: – eh già, senza sapere… –

        ROSA: – per colpa di lui! –

        NINETTA: Noi non c’entriamo!

        MARTA: Forse sarebbe bene che tu, mamma, andassi su a sentire –

        LA SIGNORA ERMINIA: Ah no! Io non vado.

        MARTA: Vado io, allora.

        ROSA: Noi ce n’andiamo!

        CLELIA: Sì sì, via tutti, via tutti!

        ROSA: Che si sta più a fare qua?

        NINETTA: Siamo stati lasciati così!

        BERRI: Sì, certo; meglio andarsene…

        DAULA: In tanti, si fa ingombro!

        GUIDO: Credo anch’io…

        Movimento verso il vestibolo per prendere scialli e cappelli, saluti al Sena­tore, alla signora Erminia, a Marta; e Berri con Rosa, Paolo e Clelia con Ninetta, Daula e Guido si apprestano ad andarsene.

        MARTA: Tu, Anna, dovresti restare, mi pare.

        ANNA: Io, perché?

        VENZI: Ma no! Ce n’andiamo anche noi.

        MARTA: Sembrerà davvero, scusate, che ci siamo avuti a male d’una festa che ci sia mancata, come se non dovessimo farla noi e ci aspettassimo invece che ci fosse fatta!

        BERRI: No: si voleva! Scusi, non è mancato per noi…

        PAOLO: È stata così mal gradita, che ce n’andiamo…

        MARTA: Ma per una ragione vera e grave! Non mi pare che si debbano lasciare soli così, appena arrivati; possono aver bisogno –

        BERRI: – non di tutti, a ogni modo! –

        DAULA: – quest’è certo! Ed è bene anzi sgombrare!

        MARTA: Io dicevo ad Anna. Se tuo marito è socio di Viani… Forse tu sei… non so… più indicata di me… Almeno, andar su a domandare… a sentire…

        VENZI: Ma hanno le donne di servizio, il cameriere…

        MARTA: Fate come volete! Io sento che debbo andare! Via su per la scala. Restano tutti un po’ incerti, in silenzio.

        ANNA (alla signora Erminia): Io non ci ho nessuna confidenza…

        VENZI: Ma sì, è meglio lasciarli soli, tra loro. Sarà stanca…

        PAOLO: Lo credo anch’io. Sarà un po’ di strapazzo. Cose che capitano…

        ANNA: Sono tanto addolorata per Marta, piuttosto…

        CLELIA: Dopo tutto quello che ha fatto –

        NINETTA: – non si meritava questo davvero!

        PAOLO: Basta. Buona notte, signora. Buona notte, Senatore. Altri scambi di saluti, e vanno via tutti.

        VENZI (prima d’uscire, torna indietro e dice al Senatore e alla signora Ermi­nia): Cerchino di condursela via! Le facciano intendere, perdio, ch’è stata trattata male, e che il suo posto non è qua! Buona notte. Via, chiudendo la porta. Restano i due vecchi per un tratto in silenzio, la si­gnora Erminia tentenna amaramente il capo.

        LA SIGNORA ERMINIA: Che crudeltà…

        IL SENATORE (dopo una pausa): Ma tu credi proprio…?

        LA SIGNORA ERMINIA: Io l’ho sentita piangere. (Altra pausa.)

        IL SENATORE: Forse non sarà per questo… Non mi pare che potrebbe essere così ora… se fosse per questo. (Altra pausa.)

        LA SIGNORA ERMINIA: Ma crudeltà è lo stesso!

        IL SENATORE: Ah, certo, a pensare che è ancora lì… (E resta a tentennare il capo anche lui.)

        LA SIGNORA ERMINIA: Che previdenza… che giudizio… Sarebbe la benedizione d’una casa… Scende dalla scala Fausto Viani.

        FAUSTO: Mi perdonino anche di questa attesa adesso…

        LA SIGNORA ERMINIA: Marta?

        FAUSTO: Ecco, scende a momenti…

        IL SENATORE: Ci duole per la signora…

        LA SIGNORA ERMINIA: Come sta ora?

        FAUSTO: S’è messa a letto. – Ah, signora, io sono pieno di riconoscenza e d’ammirazione per sua figlia –

        LA SIGNORA ERMINIA: – s’è data molta cura –

        FAUSTO: – no, non dico ora della casa; ho intravisto appena quel che ha saputo fare. Parlo d’un altro miracolo, signora: quello che ha operato su mia moglie, in un momento. Ne sono… non so come dire… ecco, tremo tutto dalla gioja… Mia moglie è scontrosa… purtroppo, sì… cresciuta, poverina, senza madre… mi s’è rivelata in questi pochi giorni, inasprita certo dal male, d’un’indole così risentita, acerba, ed è arrivata con tali prevenzioni contrarie che… l’hanno vista… mi ha fatto veramente mortificare…

        IL SENATORE: Ma quando si sta male…

        FAUSTO: Sì, sta male davvero… Ma è bastato alla signorina Marta mostrarsi, aprire appena le labbra… Io non so com’ha fatto… Ha trovato il modo… il modo d’offrire, con una tale schiettezza, con una tale premura, la sua amici­zia, la sua carità, che subito Elena le si è abbandonata… s’è lasciata mettere a letto: se la tiene vicina… con una confidenza di già, che non par vero, non par vero…

        LA SIGNORA ERMINIA: Ah, ne sono contenta.

        FAUSTO: E si figuri io! Mi sapeva tanto male che, dopo tutto quello che ha fatto, fosse rimeritata con uno sgarbo da mia moglie malata. E invece saranno amiche, com’io ho tanto desiderato… – Ecco che discende! Marta discende dalla scala.

        MARTA: Vada, vada su, Viani. Pare che il riposo le faccia bene. Le ho pro­messo che domattina, presto, sarò qua con la mamma. Bisognerà consultare un buon medico specialista… Mi ha fatto tanta pena!

        FAUSTO: Ma sì, ci ho già pensato…

        MARTA: Ha bisogno d’avere una donna accanto, come la mamma, in questo momento… si sente sola… Vada, vada! – Darò io qua gli ordini alle donne.

        FAUSTO: Sì. Non so come dirle grazie, di tutto… A domani, signora; buona notte, signorina; buona notte, Senatore. (Via per la sinistra.)

        MARTA (chiamando nella sala da pranzo): Ehi, Maria. Fate venire anche il ca­meriere! (La prima cameriera e il cameriere accorrono.) Ho detto sii all’altra donna di tenersi pronta, chi sa la signora avesse bisogno durante la notte. Potete, se mai, darvi il cambio. Intanto qua finite di rassettare e poi spegnete tutto. Chiudete bene. Io sarò qua domattina per la consegna che non s’è po­tuta fare stasera. (Al cameriere:) Voi venite a chiudere il cancello. Buona notte. Andiamo, mamma; andiamo, papà.

        LA SIGNORA ERMINIA: Sarai tanto stanca, figliuola mia…

        MARTA: Stanca sì, ma anche contenta, ora. Tanto contenta, sai, mammina! – Andiamo! andiamo! S’avviano per uscire.

Tela.

1927 – L’amica delle mogli – Commedia in tre atti
Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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