Guardare al teatro di Pirandello, dalla prospettiva critica del finale, riserva davvero molte sorprese. L’invenzione dell’epilogo a fine Ottocento può rinviare così alla fin de siècle, mentre la mancata conclusione dei Sei personaggi in cerca d’autore a una drammaturgia circolare. Fra enigmi, parabole, sogni e misteri, molti suoi finali acquistano il significato di emblemi di un’epoca, come tutti i finali che si rispettino.
Beatrice Alfonzetti
Pirandello. L’impossibile finale
Marsilio Editori – 2017 – pp. 128
Collana Elementi
prezzo di copertina Euro 10,00
Finale senza catastrofe
di Domenico Scarpa
«Sei un testo troppo difficile, davvero non ti capisco». La battuta appartiene al primo testo teatrale di Pirandello (Perché?, anno 1892) e basta a segnare ironicamente un destino distorto: ancora oggi, dopo 125 anni, suona infatti paradossale indicare ai lettori la semplicità e la coerenza che Pirandello dimostrò durante la sua vita. E allora, meglio percorrere il cammino inverso, dalla costanza alla linearità: in questa maniera emerge subito che Pirandello non smise mai di cercare terre incognite, e che nel corso del viaggio abbandonò parecchie zavorre: il peso del pensiero, della parola, degli abiti che coprono il corpo, delle idee e ideologie e filosofie che ingombrano la testa: tutto questo bisognava scrollarselo di dosso, fino alla nudità.
Il naturismo esistenziale che per Pirandello sembra essere l’obiettivo ultimo fu forse la reazione tipica di chi si trova a vivere un’età di ferro, e qui conta fino a un certo punto che abbia aderito con taccagna cocciutaggine al fascismo. Conta di più il parere di un collega, Alberto Savinio, che di lui ebbe stima senza esserne un simpatizzante: «nessun altro drammaturgo si è spinto così avanti verso il confine fra dramma e soluzione del dramma». E più tardi precisava, ricorrendo al corsivo per maggiore efficacia: «tra i nostri scrittori e specie quelli di teatro egli aveva ciò che agli altri generalmente manca, volontà di grandezza, curiosità di ricerca, fiducia nella pazzia».
Sono queste le premesse di una ricerca sulla sua opera, che Beatrice Alfonzetti va conducendo da oltre vent’anni e che si concentra oggi in un saggio dal titolo-epitome L’impossibile finale. Se si vuole afferrare il capo del testo che fin da quell’esordio-1892 fu definito «difficile» da Luigi Pirandello in persona, reo confesso per interposti personaggi di sua creazione, allora si deve partire dalla coda: dagli epiloghi dei suoi testi teatrali, azzardando la «scommessa di ricostruire la sua straordinaria poetica». D’altronde, al tema della «drammaturgia della fine» lungo gli ultimi sei secoli della letteratura italiana e non solo italiana Alfonzetti ha già dedicato un volume (Bulzoni, 2008) la cui premessa s’intitola «Il finale come atto interpretativo». Questo nuovo libro – dove il tono discorsivo dissimula la densità di fatti e concetti – è il suo complemento: un finale a sua volta, in armonia con l’oggetto dello studio.
Beatrice Alfonzetti
Pirandello. L’impossibile finale
Marsilio Editori – 2017 – pp. 128
Collana Elementi
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