««« Introduzione ai romanzi di Luigi Pirandello
XXX.
Verso la mezzanotte, attorno al letto su cui Ciro aveva or ora cessato di rantolare, si ritrovarono Stellina, Pepè e Marcantonio Ravì, come in un’altra veglia, attorno a un altro letto.
Stellina, però, questa volta, piangeva con la faccia nascosta nel fazzoletto; e il suo pianto irritava don Marcantonio, scuro e taciturno, e avviliva Pepè.
Seduto su la greppina, con le braccia attorno al collo dei due figliuoli del Coppa, che gli sedevano accanto silenziosi, con gli occhi velati di lagrime, fissi sul volto esanime del padre, Pepè pensava alla sorella Filomena, morta in quella stessa camera, ora come allora rischiarata da quattro torce funebri a gli angoli del letto; e gli pareva di vederla lì stesa, accanto al marito. Ed ecco i due piccoli orfani, i due piccoli esseri rimasti in quella casa. Pepè se li teneva stretti sul petto e sentiva, nell’esaltazione del dolore, che la povera Filomena, dal mondo di là, glieli affidava. Con lo sguardo dolorosamente fisso su Stellina, aspettava, aspettava, che ella levasse gli occhi dal fazzoletto e lo vedesse così e comprendesse.
A un certo punto don Marcantonio sbuffò:
– Questo, che pareva un leone, eccolo qua: morto! E quel vecchiaccio, sano e pieno di vita! Doman l’altro, sposa Tina Mèndola, la tua cara amica… Don Pepè, dopo tutto…
Non finì la frase.
– Un paio di forbici, figlia mia. Senti come scoppiettano queste torce? Bisogna aver occhio a tutto, nella vita, ed anche a questo…
Roma, 1895
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