Di Pietro Seddio.
Il vaso greco e le sue ceneri vennero conservati nella casa natale di Pirandello, in attesa che il progettato monumento funebre a lui dedicato fosse realizzato in località Caos, proprio sotto il famoso pino al quale il drammaturgo era tanto affezionato.
Il testamento di Luigi Pirandello
Per gentile concessione dell’ Autore
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Il testamento di Luigi Pirandello
Appendice
I tre funerali
Fu e continuò ad essere anche dopo tanto tempo della sua morte un rompicapo, non si riusciva mai a trovare l’ultima soluzione.
Così era stato nel leggere la lettera testamentaria, così nel ritrovare le sue ceneri al Verano, ed ora così anche per il trasporto dopo che finalmente tutte le pratiche burocratiche erano state esperite anche grazie all’intervento di autorevoli personaggi politici, esclusi i personaggi ecclesiastici che, anzi, continuavano il braccio di ferro. E arrivò finalmente il fatidico giorno in cui tutto era pronto per la partenza.
L’urna con le ceneri fu affidata al prof. Gaspare Ambrosini, emerito giurista e conterraneo del poeta, essendo originario di Favara, paese a pochi chilometri da Agrigento, che si mostrò attento e vigile che tutto andasse per il meglio e che si potesse arrivare ad Agrigento senza altri ulteriori intoppi.
All’atto della partenza alcuni viaggiatori siciliani, data la difficoltà dei trasporti causata dalla guerra da poco finita, chiesero un passaggio per la Sicilia che fu loro concesso ma, saputo del particolare carico dell’aereo, preferirono superstiziosamente di non sfidare la malasorte e rinunciare al viaggio. I piloti americani incuriositi del comportamento di quei viaggiatori, venuti a conoscenza di cosa conteneva la cassa, anche loro rifiutarono di partire.
Ambrosini dovette così affrontare un lungo e disagevole viaggio in treno durante il quale la cassa si perse sino a quando non fu ritrovata presso alcuni viaggiatori che la stavano utilizzando come un tavolino per giocare a carte.
Giunte finalmente le ceneri di Pirandello ad Agrigento, il vescovo della città si rifiutava di benedirle a meno che non fossero trasferite da quel pagano vaso greco e messe in una regolare bara cristiana che però al momento era disponibile solo nel formato e nel colore bianco usato per i bambini defunti.
Nella bara però la cassa con il vaso delle ceneri non entrava. Si tolse allora il vaso che fu sistemato nella piccola cassa e i funerali poterono celebrarsi con una grande cerimonia.
In attesa della costruzione del monumento funebre la cassa fu sistemata nella casa natale di Pirandello. Si dice che i custodi per timore che potesse avere qualche danno la coprirono con dei copertoni d’automobile, quasi per nasconderla da eventuali trafugazioni.
Il monumento fu pronto solo quindici anni dopo, nel 1962 quando, alla presenza di personalità come Leonardo Sciascia e Salvatore Quasimodo le ceneri furono trasferite in un cilindro metallico che fu inserito all’interno della “rozza pietra”.
Ci fu una qualche difficoltà a mettere le ceneri nel cilindro perché dopo ventisei anni si erano calcificate e si dovettero scalpellare per polverizzarle di nuovo.
Il cilindro però era troppo piccolo per contenere tutte le ceneri, così quelle che avanzarono andarono finalmente disperse come desiderava Pirandello.
Si arriva così all’ultimo atto di questa commedia funebre pirandelliana: nel 1994 nel vaso greco riportato nel museo di Agrigento si rinvenne una piccola quantità rimasta delle ceneri che si ebbe l’idea di sottoporre all’esame del DNA.
Dall’analisi risultò che le ceneri, oltre quelle di Pirandello, appartenevano a corpi diversi, e quelle, per la cremazione avvenuta in comune, ora riposavano mescolate alle sue.
Per ironia del destino e per tutti quei contrattempi alla fine Pirandello ebbe celebrati tre funerali:
IL PRIMO FUNERALE
Due giorni dopo la sua morte un carro d’infima classe portò una cassa d’infima classe al forno crematorio. Ma nessuno se la sentì di assecondare il suo desiderio di spargere al vento le ceneri, pratica a quei tempi inaudita prima ancora che illegale e avversata dalla Chiesa. Le ceneri furono allora raccolte in un’urna e portate al cimitero romano del Verano, dove rimasero per undici anni.
IL SECONDO FUNERALE
A guerra finita, nel 1947, il sindaco DC di Girgenti, nel frattempo divenuta Agrigento, Lauricella, rivendicò per la sua città l’onore di dare sepoltura ed esequie cristiane e solenni alle ceneri dell’illustre concittadino.
Si rivolse niente di meno che al democristiano presidente del consiglio dell’epoca, Alcide De Gasperi, che malgrado le notevoli difficoltà che in cui versavano ancora i trasporti procurò un aereo militare americano per il trasferimento da Roma ad Agrigento.
Ad accompagnare i resti del grande drammaturgo fu incaricato il prof. Gaspare Ambrosini, noto pirandelliano e pirandellologo e futuro presidente della prima Corte Costituzionale.
Sistemate le ceneri in un prezioso vaso greco del V secolo avanti Cristo e imballatolo ben bene, a prova d’urti, in una cassa di legno, l’aereo era pronto a partire quando una decina di persone tutti siciliani si avvicinarono all’aereo poco prima del decollo chiedendo di poter usufruire di un passaggio.
Il professore, conscio dei gravi problemi di spostamento di quei tempi parlamentò coi piloti dell’Air Force e ne ottenne il consenso.
Mentre si sistemavano, qualcuno chiese ad Ambrosini cosa contenesse quella cassa così ben imbracata, e avutane la spiegazione disse:
“Pirandello, quello che aveva chiesto che le sue ceneri fossero disperse al vento? Non è che il destino ha stabilito di accontentarlo proprio oggi…”.
Calò un silenzio spettrale, mentre i passeggeri si guardavano l’un con l’altro, e sotto i sedili alzavano l’indice e il mignolo di una mano.
Poi, appena le eliche cominciarono a girare, uno di loro chiese di scendere. Ambrosini parlò con i piloti, questi sospesero la procedura di decollo e il passeggero scese. Inutile dire che uno dietro l’altro lo seguirono anche gli altri nove.
A questo punto i piloti si insospettirono e chiesero al professore spiegazioni. Questi le diede, ripetendo più volte la parola superstitions, che i due piloti ripetevano come una eco, scambiandosi occhiate d’intesa. Fu così che i due, di cui si sospetta avessero antenati siciliani, o napoletani, accampando varie scuse, si rifiutarono di partire. Al prof Ambrosini, accompagnato dalla sua inseparabile cassa, non restò che salire su un treno: lo aspettava un giorno intero di viaggio.
Tutto sarebbe filato liscio se, svegliatosi da un breve sonno, non si fosse accorto che la cassa era sparita.
La cercò vagone per vagone e finalmente la trovò in mezzo a quattro individui che l’avevano utilizzato come tavolo per giocare a carte. Ignari, ovviamente, di fare una partita “col morto”, e che morto: un premio Nobel.
Comunque sia la recuperò. Arrivata finalmente ad Agrigento, l’Odissea della cassa non era ancora finita. Il vescovo della città Giovan Battista Peruzzo si rifiutò di dare la benedizione ad un vaso greco. Niente benedizione, niente funerali solenni: tutta l’organizzazione politicopropagandistica DC messa in piedi dal sindaco se ne andò in fumo.
All’ultimo momento, quando la rinuncia ai funerali sembrava inevitabile, il vescovo si convinse a promettere la benedizione se la cassa con le ceneri fosse stata ospitata in una bara cristiana. Ma i cassamortari di Agrigento non avevano bare pronte; ci si dovette accontentare di una piccola bara bianca, di quelle per bambini. Ma lì la cassa non entrava.
Allora fu necessario estrarre il vaso e assicurarlo per bene dentro la piccola bara.
E fu così che finalmente Luigi Pirandello ebbe il suo secondo funerale. In pompa magna, come non avrebbe mai voluto.
IL TERZO FUNERALE
Il vaso greco e le sue ceneri vennero conservati nella casa natale di Pirandello, in attesa che il progettato monumento funebre a lui dedicato fosse realizzato in località Caos, proprio sotto il famoso pino al quale il drammaturgo era tanto affezionato.
Ma si sa come vanno le cose in Italia, l’opera fu pronta solo quindici anni dopo, nel 1962. E fu così che le ceneri di Pirandello ebbero la loro definitiva sistemazione e il loro terzo funerale. Presenti autorità civili e religiose, e personalità della cultura del calibro di Salvatore Quasimodo e Leonardo Sciascia, un cilindro d’alluminio dove erano state travasate le ceneri fu prima benedetto e poi murato dentro il monumento.
Ma non era finita!
Si racconta che l’incaricato del travaso, un impiegato del comune conosciuto come il dott. Zirretta, dovette sudare le sette camice per portare a termine l’operazione.
Dopo tanti anni, ventisei per l’esattezza, le ceneri si erano calcificate all’interno del vaso. Armatosi di scalpello, Zirretta, aiutato da un paio di assistenti, le ridusse nuovamente in polvere e le versò nel contenitore di metallo.
Ma il contenitore era troppo piccolo. Ne avanzava un discreta quantità. Che fare?
Deve essersi accesa una lampadina nella mente dell’impiegato del comune agrigentino. Una lampadina luminosa, brillante.
Prese le ceneri rimaste, le versò in un giornale e si diresse verso un dirupo, lì vicino, che dava sul mare. Ma non fece in tempo ad arrivarci: una folata di vento si portò via le ceneri.
E fu così che le ultime volontà di Pirandello, il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere, furono (almeno in parte) rispettate. Confortati dalla scienza possiamo oggi dire, pirandellianamente, che quelle ceneri sono e non sono di Pirandello.
E che nell’urna di metallo interrata al Caos, insieme a Pirandello ci sono tante altre persone sconosciute, dei signori nessuno.
Come dire Uno, nessuno e centomila.
Occorre dire che l’urna per alcuni anni, in attesa che si sistemasse la rozza pietra che doveva accogliere l’urna trascorsero alcuni anni per cui si provvide a sistemare il vaso e le ceneri presso il Museo di Agrigento, allora in Piazza Pirandello.
Poi, una volta sistemata la casa natale, che durante la guerra aveva subito gravi danni, ed ultimato il cippo funebre si provvide, finalmente, a sistemare definitivamente le ceneri del Maestro sotto il Pino.
Da quel momento quel luogo, sistemato a dovere è diventato meta di numerosi turisti che vanno a visitare quell’insolita tomba dove riposano, speriamo per sempre, quelle ceneri che testimoniano una vita, un’attività, un carattere, irripetibili sapendo che quel patrimonio di opere lasciato è testimonianza di tanta, ma tanta sofferenza che di gran lunga ha superato quei momenti di gioia e soddisfazione.
Con quella lucida consapevolezza che lo contraddistinse, piace riportare un suo pensiero, presago di quanto sarebbe accaduto:
“… il chiasso che ho suscitato un po’ dovunque (la mia opera), non è certo la condizione migliore per la sua vita, per me è tutt’al più un’arra per il tempo, che prima d’intaccarla come è fatale per ogni opera umana, avrà da distruggerle attorno una zona di vano rumore; e vi sarà un momento che, nel silenzio creato da questa prima demolizione, essa potrà vivere davanti agli uomini nuda e intera, chiara come fu già, nel mio spirito, quando la contemplai ultimata e per un attimo mi parve perfetta”.
Pietro Seddio
Il testamento di Luigi Pirandello
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